Tradizione e
Scrittura
La questione
della Tradizione
Assistiamo
oggi e non solo da oggi, ma dalla fine del Concilio Vaticano II, alla presenza
molto attiva e combattiva, a volte acrimoniosa,
nella Chiesa, di una tendenza minoritaria, chiamata con disprezzo dai
modernisti «tradizionalista» o
«conservatrice».
Questa tendenza
che sconfina a volte nello scisma, vorrebbe avere il monopolio della Tradizione
e della conservazione inalterata del deposito della fede non solo contro i modernisti,
che effettivamente su questi valori sono carenti, ma anche contro i cattolici
normali in comunione con la Chiesa e col Papa, accusato di eresia e di avere
tradito la tradizione o addirittura di non essere vero Papa, ma un intruso.
In questo
articolo, senza venir meno alla promessa del titolo, intendo concentrare l’attenzione
soprattutto sulla questione della Tradizione. Intendo parlare anche della Scrittura,
ma solo in relazione al problema della Tradizione, perché è impossibile definire
questa senza definire quella.
Gli ultratradizionalisti,
dunque, sono tenacemente attaccati a un insieme fisso e convenzionale di valori
cattolici, alcuni veramente essenziali ed immutabili, altri non più attuali e
superati o corretti dalla Chiesa stessa di oggi, un insieme che essi chiamano
«Tradizione», e che considerano come unica fonte della Rivelazione e della
dottrina della fede, escludendo, quindi, la Scrittura e il Magistero, a meno
che non si tratti di testi presenti nella «Tradizione», ma non posteriori al
Concilio Vaticano II.
Ciò ci fa
capire che questa tendenza non ha un concetto giusto, cattolico, di Tradizione,
benché essa tenga a considerarsi cattolica, anzi più cattolica dei cattolici
postconciliari. Infatti, per questa tendenza, la Tradizione non è stata
illustrata ed approfondita dal Concilio, ma è stata tradita ed infettata dal
modernismo. Essa, dunque, accoglie la Tradizione solo così come è stata conservata
dal Magistero fino al Concilio e non oltre.
La cosa
strana è che in realtà anche la Tradizione preconciliare, per esempio quella
liturgica, risalendo fino agli inizi del cristianesimo, ha sempre conosciuto un approfondimento o
perfezionamento e in tal senso un mutamento. Non si comprende, quindi, per
quale motivo, se non per una preoccupazione antiprotestante fuori luogo, i tradizionalisti non hanno difficoltà ad accettare,
per esempio, l’evoluzione della liturgia eucaristica avvenuta prima del Concilio
e respingono il rinnovamento o riforma conciliare della Messa, la quale, nella sostanza,
non è altro che quella che essa chiama «Messa di sempre».
Che cosa è
in generale una tradizione
In generale
una tradizione è un evento, una pratica o una dottrina o un’usanza, che
vengono ripetuti o rievocati o
ripresentati indefinitamente identici a se stessi, eventualmente a scadenze
fisse, per mantenere la memoria di fatti o di personaggi importanti, come
formazione o alimento periodico dello spirito, per conservare valori preziosi o
perenni.
Tradizione viene
dal latino tradere, che vuol dire consegnare, sott’intendendo qualcosa a qualcuno. Se ciò che viene consegnato è qualcosa di prezioso, che
s’intende conservare, mantenere integro e custodire, allora il consegnare è un trasmettere qualcosa che deve restare inalterato,
è un affidarlo a persona di fiducia
o, come si suo dire, a buone mani. Se invece si vuol consegnare qualcosa che si disprezza e del quale non ci si
preoccupa se viene cambiato a addirittura distrutto, il consegnare, il tradere diventa un tradire,
come per esempio il consegnare qualcuno nelle mani dei nemici.
Ora dobbiamo
ricordare che Cristo ha consegnato a voce
agli apostoli il proprio messaggio di salvezza. Tradizione, dunque, è stato
l’atto di questa consegna o affidamento. Però, per «tradizione» s’intende anche
il contenuto di questo atto, ossia l’insieme delle verità salvifiche rivelate
da Cristo agli apostoli e a loro da Lui consegnate da trasmettere a loro volta
inalterate e con la massima cura ai loro
successori fino alla fine del mondo.
Ben presto,
però, gli apostoli hanno ritenuto opportuno, anzi necessario mettere per
iscritto gli insegnamenti del Signore, che essi avevano ricevuto e che
contenevano tutto quello che Gesù aveva rivelato a loro a nome del Padre. Non
c’era più nulla da aggiungere. Le verità erano quelle: non una di più, non una
di meno. Per questo si dice che la Rivelazione si è chiusa con l’ultimo degli
apostoli. Il compito che restava era una conoscenza sempre più progredita o
approfondita del deposito rivelato e la sua trasmissione e diffusione in tutto
il mondo.
Da questa
decisione di mettere per iscritto i detti e i fatti del Signore sono nati i
Vangeli e l’intero Nuovo Testamento sul modello della Scrittura
anticotestamentaria, che appunto metteva per iscritto la storia d’Israele, i
comandi e le grandi opere del Signore, i salmi, le sentenze dei saggi d’Israele e la predicazione dei
profeti.
La Sacra
Tradizione comprende altresì le opere dei Santi Padri, almeno in quanto
illustrano le verità fondamentali della fede, anche se la filosofia platonica,
che essi utilizzano, non sempre si presta aduna buona interpretazione del dato rivelato
a causa della sua tendenza dualistica o la loro esegesi, per la sua carenza di
informazione storica, eccedeva nell’allegorismo.
Bisogna
distinguere nella Chiesa la Sacra Tradizione dalle tradizioni ecclesiastiche. La
prima è unica, esprime la Parola di Dio, è di istituzione divina, dev’essere
accolta con fede divina, ha validità universale per tutta la Chiesa, ed è
perenne ed immutabile.
Le seconde
sono molteplici, spesso di iniziativa privata e rappresentano modi diversi e particolari di rendere onore a
Dio e di esprimere le verità della fede e la bontà della vita cattolica. La
loro accoglienza può essere un dovere disciplinare in segno di rispetto per l’autorità
della Chiesa. A volte l’accoglienza può essere solo facoltativa. Nascono con
approvazione ecclesiastica, sono sotto la sua tutela, sono di varia durata,
possono essere antiche o recenti, e possono estinguersi.
Non tutto
ciò che Cristo ha trasmesso a voce è stato messo per iscritto: per esempio gli
insegnamenti che ha impartito per quaranta giorni dopo la resurrezione. Lo
stesso Giovanni dice che ci sono «molte altre cose compiute da Gesù» (Gv 21,25)
e «molti altri segni, che non sono stati scritti in questo libro» (20,30).
Per questo
esiste una tradizione orale, che dai tempi di Gesù arriva fino al Magistero
vivo della Chiesa di oggi, che è più ampio di quanto non è stato scritto. Si può dire allora che il contenuto della
Tradizione è più ampio di quello della Scrittura, benché in questa
implicitamente sia contenuta tutta la Rivelazione. Tuttavia, senza
l’esplicitazione che si ricava dalla Tradizione, la Scrittura da sola non ci dà
tutto il contenuto della Rivelazione.
Il Padre Congar
riporta una bella definizione della Tradizione del Card.Giovanni Battista Franzelin,
teologo del Concilio Vaticano I. È «la dottrina della fede, manifestata oralmente
dal Cristo o dallo Spirito Santo agli apostoli, da essi predicata a viva voce e
senza alterazioni, conservata e trasmessa fino a noi, per successione ininterrotta,
sotto l’assistenza dello Spirito Santo»[1].
Il deposito
della Rivelazione che si esprime nella Scrittura e nella Tradizione, è come uno
scrigno contenente perle preziosissime, che lo Sposo ha consegnato alla Sposa
prima di tornare al cielo, con l’incarico di estrarle una per una ed ammirarle,
in ricordo dello Sposo, fino al suo Ritorno.
Il Concilio
Vaticano II sulla Tradizione
Il Concilio Vaticano
II nella Dei Verbum spiga l’origine,
il contenuto, il perché e lo scopo della Tradizione:
«Dio
dispose che quanto Egli aveva rivelato per la salvezza di tutte le genti,
rimanesse sempre integro e venisse trasmesso a tutte le generazioni. Perciò,
Cristo Signore, nel quale trova compimento tutta la rivelazione del sommo Dio
(cf II Cor 1,20 e 3, 16-4,6), ordinò agli apostoli di predicare a tutti, comunicando
loro i doni divini, come la fonte di ogni verità salutare e di ogni regola
morale, il Vangelo, che, prima promesso per mezzo dei profeti, Egli ha
adempiuto e promulgato di sua bocca. Ciò venne fedelmente eseguito, tanto dagli
apostoli, i quali nella predicazione orale, con gli esempi e le istituzioni,
trasmisero sia ciò che avevano ricevuto dalla bocca, dal vivere insieme o dalle
opere di Cristo, sia ciò che avevano imparato per suggerimento dello Spirito
Santo, quanto da quegli apostoli e uomini della loro cerchia, i quali, sotto
l’ispirazione dello Spirito Santo, misero in iscritto l’annunzio della
salvezza» (n.7).
Il Concilio
sottolinea il fatto che
«questa tradizione, che trae origine dagli
apostoli, progredisce nella Chiesa sotto l’ispirazione dello Spirito Santo:
infatti, la comprensione tanto delle cose, quanto delle parole trasmesse,
cresce sia con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in
cuor loro (cf Lc 2, 19 e 51), sia con la profonda intelligenza che essi provano
delle cose spirituali, sia con la predicazione di coloro, i quali, con la successione
episcopale hanno ricevuto un carisma certo di verità. La Chiesa, cioè nel corso
dei secoli, tende incessantemente alla pienezza della verità, finchè in essa giungano
a compimento le parole di Dio» (n.8).
L’oggetto della
Tradizione è immutabile – in ciò i lefevriani hanno ragione – perché è quella Parola
di Cristo che «non passa» (Mt 24,35). Per questo è giusto e doveroso ricordare
– come la Bibbia prescrive (II Mac 9,26; Is 46,8; Gv 2,17; II Tm 2,8; Gd 17) i
benefìci del Signore e ripetere sempre e possibilmente a memoria – come la stessa
Bibbia raccomanda (Gdt 11,10; Pr 4,21; Lc 2,19) – le parole e le formule della Tradizione,
come per esempio gli Articoli del Credo.
È eresia modernista
il credere che i dogmi mutino o siano relativi ad un dato tempo o cultura, o
che si possano mutare le formule ufficiali dei dogmi senza mutarne il significato.
Semmai la Chiesa elabora nuove formule, ma per spiegare e precisare meglio il significato
del mistero di fede, che resta il medesimo della formula precedente, la quale,
pertanto, non viene sostituita dalla nuova, ma rimane, perché è utile per
comprenderla.
Così per
esempio la formula del dogma cristologico di Nicea non è stata abbandonata per
il fatto che il Concilio di Calcedonia spiega meglio il mistero di Cristo, ma
resta a farcelo capire. Così il Simbolo degli Apostoli, benché meno articolato
di quello Niceno-Costantinopolitano, è utile per farlo ben comprendere. Così
l’aggiunta del Filioque nel sec.XI al
Simbolo della Fede non muta il senso del dogma trinitario, ma lo chiarisce.
È vero che
si può esprimere un concetto con un linguaggio o con simboli diversi; ma occorre
fare attenzione a non confondere concetto e linguaggio e credere, con Schillebeeckx,
che sia possibile esprimere un medesimo concetto con concetti diversi[2].
I Concili non
sono monumenti della Tradizione, ma documenti del Magistero; però, in quanto Magistero
della Chiesa, li interpretano, li esplicitano, li sviluppano e li spiegano e li
applicano alla situazione storica presente. Per questo sbagliò Mons.Lefebvre
a credere che le dottrine del Concilio Vaticano II fossero in contrasto con la Tradizione.
Al contrario, ogni Concilio ecumenico è testimone infallibile della Tradizione.
La voce
della Tradizione, benché in modo limitato ma fedele, perchè la Tradizione, come
Parola di Dio, è al di sopra del Magistero,
la avvertiamo nello stesso Magistero vivo ed attuale della Chiesa,
soprattutto del Papa, nelle sue parole e nei suo scritti.
Il rispetto per
la Tradizione garantisce al teologo la percezione della continuità della dottrina
e al contempo pone le basi per promuovere un
vero progresso dogmatico e teologico. Però tutto ciò può avvenire a
patto che il teologo non trasformi la Tradizione in un assoluto immutabile come
Dio stesso, anche se si tratta di divina Tradizione, ma deve, per obbedienza
alla volontà di Cristo, confermata dalla tradizione della Chiesa, confrontare continuamente
i dati aggiornati della Tradizione con
il progresso degli studi biblici, della filosofia e delle scienze umane, in comunione
con la Chiesa e il Magistero, al fine di approfondire e migliorare la conoscenza
del dato rivelato e della Parola di Dio.
La teologia,
nell’ indagare il patrimonio della Tradizione e della Scrittura sotto la guida del
Magistero, scopre cose sempre nuove e come lo scriba sapiente del Vangelo (Mt
13,53) estrae dal suo tesoro cose antiche e cose nuove.
Quando
Cristo, prima di lasciare questo mondo, dice di aver altre cose da dire ai suoi,
delle quali per il momento non possono portare il peso e che lo Spirito Santo
li avrebbe condotti alla pienezza della verità (cf Gv 16,12-13), non intende
riferirsi ad un aggiunta al deposito della Rivelazione, proveniente dallo Spirito
Santo dopo la sua morte, ma al fatto che lo Spirito avrebbe fatto conoscere alla
Chiesa sempre meglio quelle medesime verità
che sono contenute nel deposito rivelato.
Sulle mutue
relazioni fra Scrittura e Tradizione dice il Concilio:
«La
Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura sono strettamente fra loro congiunte e comunicanti.
Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo
qual modo una cosa sola e tendono allo stesso fine. Infatti, la Sacra Scrittura
è Parola di Dio, in quanto è messa per iscritto sotto l’ispirazione dello Spirito
divino; la Parola di Dio, affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli
apostoli, viene trasmessa integralmente dalla Sacra Tradizione ai loro
successori, affinchè questi, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione
fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano; accade così che la Chiesa
attinga la sua certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Sacra Scrittura»
(n.9).
Da come si
esprime il Concilio, sembra che la Tradizione aggiunga delle verità che non
sono contenute nella Scrittura, come se questa contenesse verità che non si trovano
nella Tradizione. In realtà Cristo ha comunicato a voce tutte le verità salvifiche; quindi si può dire che la
Rivelazione contiene tutte le verità di fede, alcune delle quali si trovano
nella Scrittura.
Si nota nel
Concilio la volontà di escludere il sola
Scriptura di Lutero. Ma mi pare che il tentativo sia un po’maldestro. Credo
si possa dire infatti che la Scrittura contiene effettivamente in modo
implicito tutte le verità rivelate. In tal modo possiamo andare incontro a
Lutero; così come, affermando che la Tradizione contiene dalla viva voce di
Cristo tutte le verità rivelate, possiamo andare incontro al sola Traditio di Mons.Lefebvre. Ma ci
separiamo sia da Lutero che da Mons.Lefebvre e stiamo col Concilio
nell’affermare che comunque l’interpretazione sia della Tradizione che della
Scrittura è compito del Magistero della Chiesa.
Non è dunque esatto dire che alcune verità si
trovano nella Tradizione e non nella Scrittura. Esse sono tutte nella
Tradizione e tutte nella Scrittura. Tutte nella Tradizione perchè la Scrittura
è la messa per iscritto della tradizione orale. Tutte nella Scrittura, perché
essa, se non le contiene esplicitamente tutte, le contiene tutte
implicitamente.
Ma esiste
anche una Tradizione messa per iscritto, che non è la Scrittura, ma si
manifesta nei documenti del Magistero. Essa si esprime anzitutto nei Concili e negli
insegnamenti dei Papi, che godono del carisma dell’infallibilità; in forme
imperfette essa si esprime nelle opere dei SS.Padri e dei Santi Dottori, le
quali però possono contenere errori o cose superate.
Il
Magistero, con i suoi insegnamenti dottrinali e dogmatici, ci interpreta
infallibilmente e la Tradizione e la Scrittura. Non è quindi lecito nè
possibile determinare le verità di fede per mezzo di un contatto diretto o con la
Tradizione o con la Scrittura con la pretesa di fare a meno della mediazione del
Magistero. Scrittura e Tradizione sono al di sopra del Magistero, perché sgorganti
entrambi dalla parole di Cristo, mentre il Magistero è mediazione umana di
queste parole, per quanto infallibile perché assistito dallo Spirito Santo.
La
Tradizione contiene valori perenni ed assoluti ed indica una meta finale – il
regno di Dio – fissa, insuperabile,
assoluta ed immutabile. Tuttavia essa stimola e sollecita nei fedeli e negli
stessi pastori, compreso il Papa, sempre nuove scoperte, un continuo cammino di
approfondimento e di chiarificazione, dove non bisogna mai fermarsi e restare
indietro sotto pretesto di restar fedeli a ciò che non muta. Infatti la vera
fedeltà ai valori si attua proprio in questo «seguire l’Agnello dovunque va»
(Ap 14,4). Non bisogna avanzare per conto proprio, ma neppure farsi trascinare.
L’errore di
Lutero riguardo alla Tradizione
L’errore di
Lutero riguardo alla Tradizione è che egli non percepì o perse di vista il
valore divino della Tradizione come
presenza, grazie all’assistenza dello Spirito Santo, dell’insegnamento orale e
dell’interpretazione della Scrittura da parte dei successori degli apostoli,
formanti il collegio episcopale, insieme con lo stesso popolo di Dio, sotto la
guida del Successore di Pietro.
Si attaccò invece
in modo irragionevole e feticistico alla sola Scrittura, al solo libro
materiale, come ad unica fonte della Rivelazione, considerando la Tradizione come
un cumulo di tradizioni meramente umane, caduche, discutibili o pretestuose,
estranee alla Parola di Dio contenuta nella sola Scrittura. Pretese di fondare la
sua fede solo sulla Scrittura diffidando della voce del Papa e dei successori degli
apostoli, quando è proprio il Vangelo che fonda la loro autorità.
Invano
Lutero distorce il significato dei passi evangelici che toccano l’argomento,
perché in tal modo egli si oppone all’interpretazione tradizionale della
Chiesa, la quale in ciò non può sbagliare, dato che è la comunità di salvezza
che ci conduce a Cristo, come disse S.Agostino: «Se non avessi creduto nella
Chiesa, non avrei potuto credere a Cristo».
Lutero, invece,
pretese di essere lui ad essere direttamente e sovranamente illuminato dallo Spirito
Santo, così da avere la possibilità e il diritto di accusare la Chiesa sua
madre di errore o di inganno, proprio quella madre che lo aveva generato ed iniziato
alla fede. È triste dover notare che Rahner, il quale accusa qui Agostino di sbagliare,
mostra di essere caduto nella trappola di Lutero.
In questo atteggiamento
gretto e pedante, Lutero, che pur tanto esaltava lo «spirito» contro la «lettera», mostrò una mentalità
burocratica o da notaio, mostrò, forse senza accorgersene, lui che era così
contrario al giuridismo romano, di essersi lasciato accalappiare proprio da una
delle espressioni meno felici della saggezza romana: «scripta manent, verba
volant», quel principio che fece dire a Ponzio Pilato il famoso «quod scrpsi,
scripsi».
Lutero,
tuttavia, si convinse che in fin dei conti non era tanto la lettera della Scrittura,
quanto piuttosto era la sua parola di lui come interprete della Scrittura, che doveva
costituire il contenuto dell’annuncio evangelico. Così, cacciata la Tradizione
dal suo luogo legittimo – la Chiesa – ebbe quasi la pretesa di mettersi al suo
posto. E così è nata la tradizione protestante. Ma con quali garanzie di
soprannaturalità?
È vero che lo
scritto hai suoi vantaggi: non per nulla ai tempi di Cristo esisteva già la Scrittura,
la quale riporta in molti passi come Dio stesso abbia comandato all’agiografo, al
profeta o al sacerdote di scrivere o registrare le parole udite da Dio o le
opere da Lui compiute (cf per es. Nm 5,23; 17,17; Dt 6,9; 27,3; Tb 12,20). «Mosè
scrisse tutte le parole del Signore» (Es 24,4).
Il riferimento
a “come sta scritto” (Mt 4,4; 11,10; Mc 14,27;Lc 24,46, ecc.) nella Scrittura è
fondamentale e risolve le questioni, come risulta dalle stesse parole del
Signore nel Vangelo. Ma occorrono riferimenti chiari. Altrimenti, sorge il problema
dell’interpretazione. E chi è autorizzato ad interpretare? Evidentemente l’Autore
dello scritto o chi è da lui incaricato. Ecco l’eventuale utilità di interpellare Dio stesso o i suoi
apostoli, benché – e in ciò Lutero non sbagliava – ogni cristiano, in quanto è in
possesso dello Spirito Santo, sia abilitato a interpretare la Scrittura.
Il suo errore
invece fu quello di rifiutare gli interpreti ufficiali incaricati di Cristo, essi
pure ed anzi primariamente assistiti dallo Spirito Santo. La tesi di Lutero che
la Scrittura nelle verità essenziali è chiara e da tutti comprensibile, non
risponde a verità, come dimostra l’esperienza, perché altrimenti Lutero non si
sarebbe incaricato egli stesso di spiegarla e non esisterebbero tra i suoi seguaci
tante interpretazioni contrastanti.
La
Tradizione, mediata dal Magistero, è un aiuto necessario al cristiano per interpretare
correttamente la Scrittura, perché essa contiene ciò stesso che è stato messo per
iscritto nella Scrittura. E questa contiene implicitamente ciò che è esplicito
nella Tradizione, come per esempio l’Immacolata Concezione di Maria o la sua
Assunzione al cielo.
Ma Cristo, d’altra
parte, come già altri grandi maestri dell’umanità, come Socrate o il Budda, non
scrisse e non disse ai suoi apostoli «scrivete», ma «predicate». Gesù ci insegna
che, tutto sommato, la parola è più importante dello scritto, è più significativa
e più comunicativa, perché può accompagnarsi col gesto o con l’espressione del volto
o col tono della voce. L’affidare alla parola, inoltre, implica la certezza o
la fiducia che il discepolo interiorizza il messaggio e non si limita a
trasmetterlo passivamente o meccanicamente.
C’è invece il
problema della memorizzazione o del ricordo, per il quale è utile lo scritto. E
non è sbagliato l’avvertimento romano che la parola può sfuggire o essere
falsamente interpretata. Ma anche lo scritto ha bisogno di essere interpretato.
E a chi ci si deve rivolgere per ottenere spiegazioni, se non all’Autore o a colui
che parla a nome dell’Autore?
Un altro
errore di Lutero è stato quello di strappare la Bibbia dal seno materno della
Chiesa, nel quale solo essa vive e ha senso, alla quale essa innanzitutto
appartiene, dalla quale è stata scritta, alla quale da Cristo è stata affidata,
pretendendo di usarla per conto suo contro la Chiesa.
Operazione
del tutto insensata, solo che Lutero si fosse domandato come la Bibbia era
giunta nelle sue mani, chi glie l’aveva data, chi l’aveva istruito in essa a partire
dalla fanciullezza fino a quando aveva conseguito il dottorato in Sacra Scrittura,
chi gli aveva conferito il mandato di insegnare la Bibbia, a quali condizioni e
a che scopo.
Oggi la
Chiesa è divisa fra i sostenitori di una «Tradizione» che serve a rifiutare le dottrine
del Vaticano II, fino a negare la validità del pontificato di Papa Francesco e
un evangelismo fai-da-te, privo di basi razionali e tradizionali, il quale
punta solo sulla Scrittura e solo su alcuni quei passi, spesso male interpretati,
che servono per accontentare il mondo strumentalizzando il Papa. Occorre un
lavoro di riavvicinamento fra la sola Scriptura e la sola Traditio nel comune ascolto della parola del Papa, che,
assistito dallo Spirito Santo, ci fa giungere la stessa Parola di Cristo per il
tramite della Scrittura e della Tradizione.
P.Giovanni
Cavalcoli
Fontanellato,
13 luglio 2019
Nessun commento:
Posta un commento
I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.