L’ascetica e
la mistica nella vita cristiana
Un trattato
da recuperare
A
partire soprattutto dalla Riforma Tridentina sorse, in ripresa della più antica
tradizione cristiana risalente ai Padri del deserto, un trattato specifico di
morale per la formazione sacerdotale e per la guida delle anime, soprattutto
religiose e sacerdotali, ad una più alta perfezione ed alla santità, sotto il
titolo di «teologia ascetica e mistica», in risposta all’etica luterana, che,
sotto pretesto che ogni credente, laico o ministro, è guidato soltanto e
direttamente dallo Spirito Santo, respingeva, come condizioni per salvarsi, la
mediazione della Chiesa e dei sacramenti, l’esercizio nelle buone opere e lo
sforzo metodico, per dominare le passioni, elementi da lui visti come inutili
fonti di scrupoli e di presunzione, nonchè pretesa di sentirsi giusti e di
meritare davanti a Dio.
La risposta tridentina a Lutero è stata certo
efficace, mostrando come lo sforzo ascetico non è vano, ma condotto con
equilibrio e moderazione, soccorso dalla grazia, produce copiosi frutti di virtù, come poi fu
testimoniato dalla ricchissima fioritura di santità, alla quale dette luogo
l’applicazione delle direttive conciliari. Il Concilio di Trento non toccò
invece il tema della mistica. Ciò non impedì che comunque ci fosse nei secoli
seguenti una fioritura di Autori mistici e teologi della mistica, nonchè una
forte ripresa della vita monastica e contemplativa.
Tuttavia, la persistenza della spiritualità
protestante, che nel frattempo, soprattutto nel sec.XIX, si era trasformata con
Hegel in un vero e proprio panteismo, che
avrebbe in seguito favorito il modernismo, richiedeva un nuovo impegnativo intervento della Chiesa,
nel tentativo di affrontare nuovamente in dialogo ecumenico il grande tema
dell’ascetica e della mistica.
E così si è addivenuti al grande evento del Concilio
Vaticano II, il quale, per la verità,
non è entrato ex professo nel tema; e tuttavia non è difficile ricavare dai
documenti conciliari, soprattutto quelli dedicati alla vita religiosa e dal n.4
del c.I, nonchè dai cc.V, VI e VII della Lumen
Gentium, degli spunti importanti per il rinnovamento del trattato di
ascetica e mistica.
Purtroppo
è successo invece che da molte parti si sia creduto che questo trattato avesse fatto
il suo tempo e così è avvenuto che nella formazione sacerdotale e della cultura
cattolica si sia trascurata l’importante materia da esso svolta, con grave
danno per la spiritualità sacerdotale e cattolica in genere. Certamente il
trattato aveva bisogno di essere rinnovato, assumendo la nuova impostazione del
Concilio, il quale mette in luce la prospettiva escatologica nell’acquisto
della santità e nel progresso delle virtù. Ma occorreva mantenere il confronto con
la spiritualità luterana.
Confronto
con Lutero
Ricordiamo, allora, che Lutero, come è noto, troppo
impressionato sin da giovane monaco dalla corruzione della natura umana e della
sua fragilità personale, conseguenti al peccato originale, ed inizialmente
aspirante ad una perfezione assoluta impossibile su questa terra, giunse ad
abbandonare il suo impegno monastico ed a
respingere l’utilità e la necessità delle buone opere e del libero arbitrio per
salvarsi.
Respinse inoltre il concetto di etica naturale,
che S.Tommaso aveva ricavato da Aristotele, ma che aveva fondamento di fede
nella Scrittura, per esempio in S.Paolo (Rm 2,14) o nel decalogo mosaico. Egli
infatti credette che la morale evangelica si potesse e si dovesse riassumere
nella sola confidenza incondizionata nella misericordia divina (sola fides), nonostante l’invincibilità
della concupiscenza, la permanenza del peccato (peccatum permanens) e l’impossibilità di osservare i precetti del
decalogo e le leggi della Chiesa, che pertanto diventavano facoltativi, mentre
la cosa essenziale era il mettersi a totale disposizione dello Spirito Santo,
senza tener conto dei dogmi, delle pratiche e dei riti comandati dalla Chiesa,
che per lui erano ingannevoli residui del farisaismo e del paganesimo. Credette,
quindi, di riscoprire l’autentica ed evangelica Chiesa di Cristo sostituendosi
all’ufficio del Papa col far credere ai suoi seguaci che il vero continuatore
dell’opera di Cristo era lui e non il papato.
Lutero dimenticò, con la sua pretesa di
conoscere infallibilmente la Parola di Dio mediante il contato diretto con la
Scrittura, che essa, come ci avverte S.Pietro,
non può andar soggetta a «privata spiegazione» (II Pt 1,20), ma che, se
l’opera degli esegeti e dei biblisti è comunque utile e preziosa come aiuto al
Magistero, essi non possono presumere gnosticamente di illuminare o correggere l’insegnamento
pubblico di coloro, che per mandato di Cristo sono gli interpreti ufficiali, ossia
i successori degli apostoli sotto la guida inappellabile dei Sommi Pontefici.
Invece dobbiamo ricordare che noi riceviamo
la Bibbia dalla Chiesa, e che quindi la lettura della Bibbia deve avvenire nella
Chiesa e con la Chiesa, perché è la Chiesa che ha messo per iscritto le Parole
del Signore e le custodisce fedelmente, integralmente ed immutabilmente sotto l’assistenza
dello Spirito Santo fino alla fine dei secoli. La Bibbia vive solo nel seno
della Chiesa come il feto vive solo nel seno della madre. Pretendere, come fece
Lutero, di toglierla da questo seno per conservarla per proprio conto col pretesto
dello Spirito Santo dato ad ogni cristiano, è come uno che pretenda di far
vivere un feto fuori del seno della madre senza alcun sussidio.
I luterani hanno visto e vedono in Lutero un
«Riformatore». Ma in realtà, a parte alcuni aspetti positivi, Lutero non è stato
un riformatore, ma un deformatore.
Per questo, il successivo Concilio di Trento ha riportato la Chiesa alla sua forma
autentica, senza per questo rinunciare ad una sua opera di riforma, che, col passare
del tempo e l’evoluzione delle idee e dei i costumi ha mostrato limiti e difetti,
ai quali ha cercato di rimediare il recente Concilio Vaticano II, nel momento in
cui esso ha fatto avanzare la Chiesa nel cammino verso il regno di Dio. E qui
mi riferisco in particolare alla importante questione dell’ascetica e mistica.
Così la
salvezza per Lutero è opera della sola grazia e non della natura. Le opere non sono condizione per salvarsi, ma
sono il segno che si è già salvi per sola grazia. La salvezza non è mercede delle
opere, ma è puramente gratuita. Per salvarsi basta aver fede di salvarsi,
indipendentemente dalle opere, che restano peccaminose.
È inutile sforzarsi di togliere i peccati, sono
inutili la confessione e la penitenza, sono inutili le austerità, le rinunce,
le astinenze e i voti monastici, perché ogni azione umana è comunque peccato.
La giustizia non è evitare il peccato, ma coprirsi con la giustizia di Cristo.
La nostra giustizia non è nostra, ma è la giustizia di Cristo, una giustizia di
altri (iustitia aliena).
Non c’è quindi da preoccuparsi se pecchiamo:
l’importante è attaccarsi a Cristo crocifisso, che paga per noi (theologia crucis) ed «afferrare Cristo».
La mistica luterana è la gioia e la pace, che vengono dal sapere che Cristo ci
ama, ha pietà di noi, ha dato il suo sangue per noi, e dalla certezza assoluta,
di fede, che Egli e il suo Spirito sono con noi e che ci salveremo, anzi siamo
già salvi e santi fin da adesso.
Lutero trovò il suo modello etico ed antropologico
nella Genesi, dove uomo e donna si uniscono in matrimonio per l’accrescimento della
specie nella lode di Dio e nel dominio sulla natura. E in ciò non sbagliò. Tuttavia,
ben conscio del fatto che il peccato originale aveva introdotto nell’uomo la concupiscenza, come è noto, giudicava sufficiente per la salvezza
credere nei meriti di Cristo senza che fosse necessario e possibile, data la
corruzione della natura, acquistarne per conto nostro.
La prospettiva contemplativa pareva a Lutero un’utopia
di tipo platonico. E ciò meraviglia in un Agostiniano, quando sappiamo quanto è
importante in S.Agostino il tema della contemplazione. Eppure, benchè Lutero
fosse tanto attaccato alla Bibbia, manca, nella sua spiritualità, il desiderio
fondamentale della Scrittura: il desiderio di vedere Dio, che nel Vangelo di
Giovanni si concreterà nel desiderio di vedere il Padre (Gv 14,8).
Lutero si concentra nel desiderio dell’unione
con Cristo, cosa in sè certamente bella. Ma ciò che interessa a Lutero in Cristo,
come del resto nel Padre, è ricevere la loro misericordia, cosa che fa calar molto
di tono la nobilissima aspirazione, dandole tutto l’aspetto di una spiritualità
ripiegata su se stessa, dove l’io finisce per prevalere su Dio. Non più l’uomo
al servizio di Dio, ma Dio al servizio dell’uomo. Dio mi serve per star bene
io.
Per
questo, il bisogno che Lutero ha di Cristo non pare funzionale al desiderio di
vedere il Padre, ma sembra soddisfarsi di un Cristo, che non conduce al Padre,
ma chiuso su se stesso e tutto dedicato a Lutero. Ora, questo atteggiamento infantile
ed immaturo verso Cristo, questo cristocentrismo senza il Padre, non
corrisponde per nulla alla missione che Cristo ha ricevuto dal Padre, che è
quella di farci conoscere il Padre
(Gv 17,3).
Anche lo Spirito Santo, nella spiritualità
luterana, non pare avere alcun rapporto col Padre, non conduce al Padre, ma è
solo lo Spirito immanente al credente, che lo illumina direttamente, lo rende
loquace e lo certifica della Parola di Dio da annunciare al mondo. Siamo
daccapo con un Dio non al vertice dell’ascesi umana, ma funzionale alla
salvezza dell’uomo. Pare che se non esistesse l’uomo, Dio non saprebbe che cosa
fare.
La spiritualità luterana, come quella
cattolica del suo tempo fino al Concilio Vaticano II, è ovviamente, in quanto
cristiana, incentrata sull’ascolto della Parola di Dio, sull’unione affettiva con
Cristo e sulla docilità allo Spirito. Ma, come abbiamo visto, manca l’anelito
verso il Padre, e quindi l’istanza contemplativa, che prepara la visione
beatifica del cielo. E questa è una grave lacuna, che vanifica l’unione con
Cristo e con lo Spirito Santo, perché queste due Persone, mandate per noi dal
Padre, sono venute precisamente per condurci al Padre. Invano cercheremmo nelle
parole di Lutero, riferite al Padre, un’eco delle seguenti parole del Salmista,
pur fondamentali per capire la spiritualità biblica: «Come la cerva anela ai corsi
d’acqua, così la mia anima anela a Te, o Dio» (Sal 42,2).
Sì, certo, Lutero anela a Dio, ma solo in quanto
è il suo Redentore, è Cristo; non lo interessa in se stesso e per se stesso. Il
Dio di Lutero è un Dio relativo all’uomo, come poi sarà il Dio di Kant e di
Hegel. A Lutero il Padre non interessa. Per lui è il «Deus absconditus», che
gli fa paura. Non si capisce bene perchè. Egli sembra immaginarselo come se lo
immaginava Marcione: il Dio crudele dell’Antico Testamento. Confonde la
giustizia divina con la crudeltà. Cristo invece sarebbe il «Deus revelatus»,
che lo mette a suo agio, lo conforta, gli dà fiducia e lo consola. Ma chi o che
cosa ci rivela Cristo, se non il Padre?
Lutero non riesce a vedere anche nella
giustizia divina una manifestazione del suo amore. Pare quasi l’atteggiamento
di un fanciullo che voglia svignarsela davanti ai rimbrotti del padre. Deve avere
avuto un blocco psicologico sin dall’infanzia per aver sofferto da parte del
padre, che si dice fosse molto o troppo severo. Forse questa sarebbe la
diagnosi, se Lutero avesse potuto essere psicanalizzato.
Manca la
prospettiva escatologica
L’orizzonte cristiano di Lutero, come tutto
quello cattolico fino al Concilio Vaticano II, non riesce a superare lo stato presente
della natura decaduta per anticipare la resurrezione. Se in Paolo è rilevante la
theologia crucis, sono altrettanto vivi i temi e la prospettiva della
resurrezione, che inizia già da quaggiù con la stessa vita cristiana.
Lutero, invece, nonostante la sua attenzione a
S.Paolo, ignora completamente l’antropologia escatologica, anche perché manca in
lui il culto dei Santi, che sono, coi loro miracoli e i doni speciali o
specialissimi ricevuti, gli araldi e i prodromi più significativi della resurrezione.
Egli, quindi, finisce per ridursi ad un’onestà
borghese secolare e accomodante, ben assestata su questa terra, inserita in una
Chiesa adagiata nella politica, serva dello Stato, assolutamente sicuro della
propria salvezza, perché glie lo ha rivelato e promesso Cristo, tranquillamente
convivente con la propria concupiscenza perdonata a priori, dalla quale Dio distoglie
gli occhi, per guardare alla giustizia di Cristo.
La spiritualità luterana apre due strade, che
sono state entrambe percorse nei secoli seguenti fino ad oggi: da una parte,
con l’abolizione dei gradi gerarchici e degli stati di vita, un appiattimento,
una laicizzazione o secolarizzazione
della spiritualità, che ha abolito le prospettive ultraterrene celesti e
ridotto il comportamento del cristiano ad un semplice agire socio-politico,
magari rivoluzionario, che cerca la felicità
in questo mondo. E qui abbiamo la teologia della liberazione. Qui, per la
mistica come per la contemplazione, non c’è spazio. A meno che non parliamo di
una mistica della politica.
Dall’altra parte, Lutero, con la sua mistica
dello Spirito Santo immanente nel cristiano, ha aperto la strada
all’immanentismo hegeliano dello Spirito Assoluto, del quale l’individuo umano
è un momento passeggero ed una contingente manifestazione storico-empirica.
Questa mistica immanentistica rivive in qualche
modo oggi nella morale rahneriana, con l’aggravante che, se almeno Hegel
mantiene, seppure in clima idealistico, la dignità del concetto, delle idee e
della ragione, la mistica rahneriana - avrebbe detto lo stesso Hegel, se
l’avesse conosciuta –, con la sua teoria dell’«esperienza preconcettuale,
apriorica, atematica e trascendentale del Dio senza nome», finisce nel
«torbido», come quella di un Böhme, a giusto giudizio dello stesso Hegel. Oppure
lo stesso Lutero avrebbe chiamata la mistica rahneriana Schwärmerei, fantasticheria,
per riferirsi alle esternazioni irrazionalistiche ed emotiviste di certi
esaltati del suo tempo, dove l’anima è confusa col corpo, il sesso con lo
spirito, il senso con l’intelletto e la volontà con gli istinti.
La
concezione cattolica
L’ascetica cattolica invece insegna le norme
e i metodi più esigenti e i mezzi migliori del perfezionamento morale e del
progresso nelle virtù naturali e soprannaturali, con eventuale riferimento a
regole di vita consacrata; la mistica[1]
rappresenta il punto di arrivo del cammino ascetico, come fruizione dei doni
dello Spirito Santo, soprattutto il dono della sapienza infusa, principio della
contemplazione o esperienza mistica, pregustazione nella fede della visione
beatifica del cielo.
Mentre l’ascetica comporta alcune austerità o
rinunce, come l’astinenza sessuale, i digiuni, le veglie, le penitenze, gli
spogliamenti, i disagi, il silenzio, la solitudine, la povertà nel vestire e nell’alloggio e
simili, la fase mistica tradizionale può essere arricchita da doni
straordinari, come le visioni, le apparizioni, i raptus, le estasi, la lettura
dei cuori, le penitenze straordinarie, le profezie, le levitazioni, le
stigmate, le bilocazioni, e via dicendo. Questi fenomeni, tuttavia, fanno
riferimento alla prospettiva della separazione dell’anima dal corpo come
condizione per la visione beatifica.
La mistica inaugurata dal Vaticano II, senza
escludere i fenomeni precedenti, fa invece riferimento alla resurrezione, per
cui i fenomeni mistici ad essa corrispondenti sono prefigurazioni della futura
resurrezione individuale e collettiva, come per esempio amicizie uomo-donna
nello svolgimento di grandi opere o nella fondazione di istituti a favore della
Chiesa o della società, liberazione di nazioni o popoli da mali gravissimi o da
dittature disumane o soluzione prodigiosa di conflitti religiosi o sociali
umanamente insolubili e senza bisogno dell’uso della forza; esperienze collettive
straordinarie liturgiche o di amore fraterno su larga scala.
L’ascetica e la mistica hanno alquanto
favorito la santità producendo in questi ultimi secoli una vasta e variegata
letteratura scientifica e popolare ad opera di Santi ed autori meno noti in
tutti gli Ordini religiosi, nell’episcopato, nel clero e perfino tra i laici,
fino all’avvento del Concilio Vaticano II, il quale di per sé non ha affatto
abolito questa disciplina teologica, ma ne ha rinnovato l’impostazione, sia col
sottolineare la chiamata universale alla santità, compresi i laici, sia col
legare maggiormente la ricerca della perfezione personale alla vita ecclesiale,
sia col mostrare meglio la meta escatologica del cammino spirituale nella
pregustazione della futura resurrezione sin dalla vita presente.
Da Trento al
Vaticano II
La
mistica promossa dal Concilio di Trento è una mistica dell’anima separata, che contempla Dio per conto proprio, nella
solitudine, al di fuori del tempo e del mondo.
Sembrerebbe che in cielo siano tutti monaci ed eremiti. Sì, certo, c’è la
compagnia degli angeli e dei Santi. Ma la visione beata dell’anima separata
sembrerebbe bastare a tutto. È una concezione che risente del platonismo e di
Origene.
Invece la mistica promossa dal Vaticano II è
una mistica della resurrezione, della
gioia anima e corpo, dello spirito e dei sensi, comunitaria ed ecclesiale, nei
«nuovi cieli e una nuova terra» (Is 65,17), quindi un nuovo mondo e una nuova
storia. Si nota un passaggio dall’antropologia platonica a quella aristotelica,
più biblica, valorizzata da S.Tommaso.
La spiritualità del Vaticano II dà alla
spiritualità luterana una risposta diversa da quella che aveva dato il Concilio
di Trento, che si manteneva, come aveva fatto Lutero, nell’orizzonte della
presente natura decaduta, per cui il Concilio di Trento, per rimediare alla
sfiducia luterana nella possibilità di vincere la concupiscenza, proponeva un ideale ascetico di lotta severa
col soccorso della grazia.
Il Vaticano II, invece, senza dimenticare la
vita misera di quaggiù, amplia ed allarga lo sguardo alla riconciliazione
edenica della carne con lo spirito, che inizia già da quaggiù con l’avanzare di
quell’«uomo nuovo» (cf Col 3,10; Rm 6,6), «uomo risorto» (cf Col 3,1), «uomo
celeste» (I Cor15,47) e «nuova creatura» (II Cor 5,17), che sono sorti dal
battesimo ed alimentati dalla grazia dei sacramenti, dalle opere buone e dalla
comunione ecclesiale.
Gli insegnamenti spirituali del Vaticano II
erano fatti, di per sé, per lasciare perfettamente in piedi il trattato di
ascetica e mistica. L’ascetica resta valida e necessaria, considerando le
condizioni attuali della natura decaduta e quindi la necessità di una vittoria
dello spirito sulla carne. Nel contempo la mistica veniva confermata come
possibilità di poter già fin d’ora pregustare nella fede la gioia della visione
beatifica.
Il Concilio, tuttavia, alla luce della riconciliazione escatologica di carne e
spirito, prefigurata dall’avanzamento verso la resurrezione, attenua la
severità dell’ascetismo del Concilio di Trento, perché, guardando alla
resurrezione, considera con maggior ottimismo
la possibilità della conciliazione; da cui l’attenuazione delle misure
ascetiche che portano a rinunciare alla carne o a lottare contro la carne.
Potremmo fare il paragone con un malato in
cura presso un ospedale. È chiaro che deve stare in ospedale finchè non è
guarito. Tuttavia, mano a mano che riprende le forze, anche in ospedale gli può
essere concesso di fare qualche passo, come appunto vediamo, nei corridoi degli
ospedali, dei degenti in via di guarigione, che muovono i primi passi in attesa
di essere dimessi.
Così
sono le pratiche ascetiche della vita presente. Esse non sono fini a se stesse,
ma sono funzionali all’avanzamento del
processo di riconciliazione dello spirito con la carne. Mano a mano che la
riconciliazione va avanti, diminuisce la necessità delle pratiche ascetiche.
Per questo l’ascetismo proposto dal Vaticano
II è meno severo di quello del Concilio di Trento. Ma è accaduto che la
mitigazione delle austerità da alcuni moralisti e maestri di spiritualità è
stata condotta oltre una ragionevole misura, fino a ingenerare nei decenni
seguenti al Concilio, la diffusione di costumi rilassati per non dire
dissoluti. È così che il tradizionale trattato di ascetica e mistica è entrato
in crisi. Il termine stesso «ascetica» in certi ambienti ha cominciato a dare
fastidio, tanto che in essi è stato abbandonato ed è stato sostituito con una
più generica espressione, come «teologia spirituale».
Quanto alla mistica, da certe parti, come per
esempio fra i rahneriani, si è cominciato a intenderla non come punto di
arrivo, ma come punto di partenza o clima normale del vivere cristiano, come
«esperienza atematica trascendentale del Mistero». La presenza in questa vita
della dimensione escatologica dell’esistenza umana è stata talmente
enfatizzata, da farla coincidere con quella presente, terrena, sicchè al futuro
dopo la morte pare non esserci più spazio.
Oggi
appare come non mai la fondazione trinitaria dell’ascetica e della mistica. L’ascetica
riguarda il Figlio e lo Spirito Santo, perché sono queste le divine Persone che
ci guidano al Padre, meta del cammino terreno. Ora, l’ascetica tratta appunto
delle tappe del progresso spirituale verso il Padre che è nei cieli. La mistica
comporta invece la pregustazione terrena della patria celeste, e quindi è
l’incontro mistico col Padre e la contemplazione iniziale, fin da ora, del suo
volto.
Questione importante è quella della
collocazione dell’ascetica e mistica nell’ambito delle discipline teologiche[2].
Essa si propone come scopo quello di far raggiungere alle anime la perfezione
della carità e perciò viene chiamata anche «teologia della perfezione». Ma la
perfezione consiste nella santità, e perciò può essere chiamata anche «teologia
della santità».
Il termine «teologia spirituale» è pure
opportuno, in quanto è quella parte completiva della teologia morale o coronamento
della teologia morale, che insegna a porsi a disposizione delle mozioni e
ispirazioni dello Spirito Santo o sotto la guida dello Spirito Santo, come
discernere la sua venuta – è la discretio
spirituum (I Cor 12,10) - e come condursi quando soffia. Si può distinguere
la teologia spirituale dalla teologia morale, in quanto questa tratta delle
virtù teologali, mentre la teologia spirituale tratta dei sette doni dello
Spirito Santo.
P.Giovanni
Cavalcoli
Fontanellato,
27 aprile 2019
Articolo pubblicato il giorno 11 maggio 2019 :
[1] Cf il mio libro Il silenzio della parola. Le mistiche
confronto, Edizioni ESD,Bologna 2002.
[2] Cf il mio saggio Proposta di sistemazione della teologia
spirituale, in Teoria e pratica della
mistica, Atti del I Forum Internazionale organizzato dal Santuario del
Corpus Domini, La Santa, Bologna
2000, pp,23-33.
http://www.libertaepersona.org/wordpress/2019/05/lascetica-e-la-mistica-nella-vita-cristiana/
Caro padre mi piacerebbe capire un po' meglio il passaggio di s.Agostino nelle Confessioni X sul fatto che Dio abiti nella sua memoria eppure non lo trovi lì. Sembra contraddirsi. In fin dei conti si capisce della trascendenza di Dio più grande di tutte le cose e al di là di tutte le cose eppure più intimo a lu che lui stesso. Capisco l'esperienza autobiografica del Santo e pure le sue esperienze mistiche che forse avrà avute, però alcuni passaggi mi sembrano oscuri, forse la filosofia di s.Tommaso può elucidare meglio. Grazie. Riporto in una traduzione probabilmente non felice che si trova su web: "
RispondiElimina25. 36. Ma dove dimori nella mia memoria, Signore, dove vi dimori? Quale stanza ti sei fabbricato, quale santuario ti sei edificato? Hai concesso alla mia memoria l’onore di dimorarvi, ma in quale
parte vi dimori? A ciò sto pensando. Cercandoti col ricordo, ho superato le zone della mia memoria che possiedono anche le bestie, poiché non ti trovavo là, fra immagini di cose corporee. Passai alle
zone ove ho depositato i sentimenti del mio spirito, ma neppure lì ti trovai. Entrai nella sede che il mio spirito stesso possiede nella mia memoria, perché lo spirito ricorda anche sé medesimo, ma
neppure là tu non eri, poiché, come non sei immagine corporea né sentimento di spirito vivo, quale gioia, tristezza, desiderio, timore, ricordo, oblio e ogni altro, così non sei neppure lo spirito stesso,
essendo il Signore e Dio delle spirito, e mutandosi tutte queste cose, mentre tu rimani immutabile al di sopra di tutte le cose. E ti sei degnato di abitare nella mia memoria dal giorno in cui ti conobbi!
Perché cercare in quale luogo vi abiti? come se colà vi fossero luoghi. Vi abiti certamente, poiché io ti ricordo dal giorno in cui ti conobbi, e ti trovo nella memoria ogni volta che mi ricordo di te.
Dove dunque ti trovai, per conoscerti? Certo non eri già nella mia memoria prima che ti conoscessi. Dove dunque ti trovai, per conoscerti, se non in te, sopra di me? Non v’è spazio che sia ove ci allontaniamo, ci avviciniamo, e non v’è luogo dovunque. Tu, la Verità, siedi alto
sopra tutti coloro che ti consultano e rispondi contemporaneamente a tutti coloro che ti consultano anche su cose diverse. Le tue risposte sono chiare, ma non tutti le odono chiaramente. Ognuno ti consulta su ciò che vuole, ma non sempre ode la risposta che vuole. Servo tuo più fedele è quello
che non mira a udire da te ciò che vuole, ma a volere piuttosto ciò che da te ode.
Caro Anonimo,
Eliminain questo bellissimo brano di Sant’Agostino ci sono effettivamente due punti che fanno difficoltà e sono i seguenti: che Dio è intimo a me più di quanto io sia intimo a me stesso; e l’altra “Dove ti trovai, per conoscerti, se non in te”.
La prima significa che essendo Dio il mio Creatore supera, trascende e precede la mia intimità, appunto perché l’ha creata.
La seconda frase la si può interpretare facendo riferimento al discorso di San Paolo all’Areopago (Atti 17,27-28): “perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo”. Con queste parole San Paolo si riferisce al fatto che il nostro essere, creato da Dio, è fondato su di Lui.
Inoltre, per capire il discorso di Sant’Agostino, è bene rifarsi a quella inabitazione della Santissima Trinità nell’anima, che ci viene promessa dal Signore per coloro che lo amano (Gv 14,23).