Può esistere un ateo in buona fede? (Terza parte - 3/3)

Può esistere un ateo in buona fede?

Terza Parte - 3/3 

«Né caldo né freddo» (Ap 3,16)

Ma al di fuori di questa alternativa così netta esistono oggi posizioni sedicenti cattoliche, come quella di Hans Küng, il quale tiene il piede su due staffe, a somiglianza di Kant: per lui non si può dimostrare razionalmente l’esistenza di Dio, ma non si può dimostrare razionalmente neanche l’ateismo. Egli dunque si professa per suo conto teista, ma non si pone affatto la prospettiva di confutare l’ateo.

Quanto poi a Kant, egli si pone il problema dell’esistenza di Dio, dice di voler confutare gli atei, ma poi fa un buco nell’acqua per esser partito male ed essersi fermato al piano dei fenomeni, per cui egli resta miseramente bloccato a terra e non è riuscito ad elevarsi sul piano dello spirito e della trascendenza, dove soltanto troviamo Dio, giacché egli non riuscì a vedere la causalità se non come causa dei fenomeni fisici[1].

Eppure Kant non mancava della percezione dello spirituale. Tanto è vero che la prova dell’esistenza di Dio per mezzo della coscienza del dovere morale è senza dubbio efficace. Ma allora non si capisce come fa a sapere che il dovere richiede l’esistenza di Dio, se non sa se Dio esiste. Nihil volitum nisi cognitum. La ragion pratica kantiana non mette in pratica ciò che la speculativa ha visto, ma possiede già da sé la verità su Dio[2]. Si capisce allora come Fichte giudicherà sufficiente la prassi a stabilire la verità. E ciò rimarrà fino a Marx.

Ma qui Kant non dà prova di spiritualità. E d’altra parte, se noi non ci eleviamo al di sopra delle cause dei fenomeni e non sappiamo entrare nell’orizzonte della causa spirituale, è logico che non riusciamo a trovare Dio, perché lo cerchiamo dove non c’è. Dio è spirito e non fenomeno tra i fenomeni. Se il Cardinale Gaetano, dotto tomista del sec. XVI, avesse potuto parlare con Kant, gli avrebbe ripetuto le sue famose parole: disce elevare ingenium aliumque rerum ordinem ingredi.

Questa sorprendente incapacità di Kant di sollevarsi al di sopra dei fenomeni per raggiungere la metafisica, la mostra quando asserisce che l’intelletto speculativo non può conoscere ciò che supera i limiti dell’esperienza, quando poi d’altra parte dà prova di sapersi muovere benissimo nel mondo dello spirito con la sua opera dedicata alla critica della ragion pura.

Kant non ha mai riflettuto seriamente su come, con quali mezzi e perchè egli era in possesso di nozioni attinenti alla vita dello spirito e da dove le aveva ricavate.  Si sarebbe reso conto che in realtà egli sapeva cosa è la metafisica[3] ed era perfettamente al corrente della possibilità di un sapere metafisico, perchè lo praticava egli stesso.

Se soltanto si fosse fermato sulla questione dell’essere, non avrebbe fatto fatica a scoprire Dio. Con tutto il suo interesse per i problemi dello spirito, dell’anima, della conoscenza, della coscienza, dell’intelletto, del giudizio, dell’idea, del concetto, e della ragione non si capisce come mai non gli viene mai in mente di speculare sull’essere, che è precisamente la cosa in sé, spirito e materia, la realtà, oggetto del pensiero, dell’intelletto, della conoscenza, della coscienza, del giudizio, del concetto, dell’idea e della ragione.

Kant sbaglia quindi gravemente nel sostenere nella Critica della ragion pura che la dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio, soprattutto se sorretta dalla filosofia scolastica, «al di fuori delle scuole non ha mai convinto nessuno». Crede forse che le sue arzigogolate e sofistiche elucubrazioni circa l’impossibilità di tale dimostrazione convincano qualcuno, che non sia uno che dà per scontato quello che lui vuol dimostrare? Povero Kant! Tanta fatica a scrivere un libro di 650 pagine per arrivare, dopo giri e rigiri, alla squallida conclusione che la ragione speculativa non può dimostrare l’esistenza di Dio, cioè che fallisce al suo fine ultimo, che è proprio quello di conoscere razionalmente Dio!

Su questa linea un caso notevole di disprezzo della ragione circa la questione dell’esistenza di Dio è quello di Hans Küng. Egli infatti, nel suo grosso volume di 950 pagine Esiste Dio?, dice: [4]

«Dio non può essere conosciuto come qualcosa di oggettivo che ci troviamo di fronte. Non si può dimostrare in forma universalmente convincente che Dio esiste» (p.611); «appare impossibile una deduzione di Dio ad opera della ragione teoretica, da questa realtà sperimentata del mondo e dell’uomo, con l’intento di dimostrarne la realtà in base a conclusioni logiche»(ibid.); «su di un piano razionale la negazione di Dio non si può controbattere» (p.634); «l’esistenza di Dio, come l’amore, sfugge a ogni tentativo di rigorosa dimostrazione logica» (p.640); «non si deve parlare di “praeambula fidei” in quanto infrastruttura razionale della dogmatica poggiante su di un’argomentazione razionale della ragion pura» (p.644).

Un caso notevole di disprezzo della ragione circa la questione dell’esistenza di Dio è dunque quello di Hans Küng nel suo grosso volume di 950 pagine Esiste Dio?[4]. Egli, contro l’esplicito insegnamento della Bibbia e della Chiesa, estromette la competenza della ragione sia dalla tesi teistica che dalla tesi atea, ma nel contempo dà la preferenza alla prima.

Ma questa preferenza, essendo, come egli dice, non una questione di dar ragione o dar torto, ma semplicemente di «fiducia», egli sceglie la tesi teistica, ma senza sincera convinzione, lasciando spazio anche alla tesi atea, oggetto di una diversa «fiducia». Per questo, il problema di chiedersi se un ateo può o non può essere in buona fede per lui non ha senso, come non avrebbe senso se io mi chiedessi se per me domenicano uno che sceglie di farsi francescano è o non è in buona fede. È semplicemente diverso da me e basta. Non tutti sono obbligati a farsi domenicani. Dal che vediamo quanto Küng è lontano da un corretto esame del problema e quanto è ipocrita e doppia la sua posizione di finto cattolico, che è per il sì, ma non esclude il no, onde figurare per il sì, ma di tenersi buono anche il no ed apparire animo liberale che sa comprendere anche il «diverso».

Hans Küng nel suo libro dichiara apertamente di non accettare alcuna evidenza oggettiva e primaria né sensibile né razionale e per conseguenza respinge il valore eminentemente razionale del principio di causalità, il quale si fonda appunto sulle prime evidenze del senso e della ragione. Dunque in Küng la ragione non riesce a mettersi in moto e a procedere con la sua forza logica naturale, ma oscilla fra il sì e il no.

Come mai? Perché evidentemente lo stesso Küng, con tutta la sua esaltazione della libertà, non lascia libera la ragione di avanzare verso la verità passando dall’effetto alla causa e dalle premesse alla conclusione teologica; mentre nel contempo non s’accorge di quanta violenza fa l’ateo alla ragione bloccandola a metà strada nel suo cammino verso Dio.

L’ateismo come opzione di vita

L’unico modo concreto che l’uomo ha di negare l’esistenza di Dio non è certo il dimostrare che non esiste, opera assurda ed impossibile, ma è quello di opporsi alla sua volontà col peccato. Il vero è proprio ateismo, dannoso a sé e agli altri, punito da Dio, non è tanto il negare l’esistenza di Dio o il non pensare a Dio, ma è la colpa morale, che consiste semplicemente nel disobbedire alla volontà di Dio. In tal senso può essere praticamente ateo anche il più dotto teologo, che sa con assoluta certezza che Dio esiste ed è capace di dimostrarne inconfutabilmente l’esistenza.

E questo perché? Perché ognuno di noi, appena comincia a ragionare e ad interrogarsi sul perché delle cose e di stesso, si accorge da solo che deve esistere un perchè ultimo della vita e dell’esistenza, un valore assoluto, primo ed ultimo, che dà senso a tutto il resto. Si accorge che Dio esiste come causa prima del mondo e, posto davanti a Lui, opera la sua scelta di vita o per Lui o contro di Lui, magari non considerandolo in Sé stesso, ma in un umile oggetto della vita quotidiana, nel quale però implicitamente è impegnato il rapporto con Dio, per esempio un comando della mamma, al quale il piccolo può obbedire o disobbedire.

Ma in questo atto apparentemente banale e senza conseguenze in realtà la volontà del piccolo, forse senza piena consapevolezza, prende posizione davanti a Colui che ha scoperto essere Dio, Colui che è il senso e fine ultimo della sua vita, il suo sommo bene. Ma il piccolo potrebbe respingere come il proprio bene ponendo il proprio bene non in Dio ma in lui stesso. Si tratta di quella che i moralisti chiamano «opzione fondamentale».

Saltano fuori allora tutte le scuse per tentare una giustificazione del suo rifiuto di Dio. La storia delle religioni e della filosofia è la storia di tutti gli infiniti tentativi o espedienti – l’idolatria, il politeismo, il panteismo, lo stesso ateismo -  suggeriti agli uomini dal diavolo o dalla stoltezza o dalla follia per sottrarsi allo sguardo di Dio e per cancellarlo dall’orizzonte della coscienza al fine di assolutizzare la propria volontà in falsa libertà che porta alla perdizione.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 14 novembre 2020

Fine Terza ed Ultima Parte (3/3)

 

 

Kant sbaglia quindi gravemente nel sostenere nella Critica della ragion pura che la dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio, soprattutto se sorretta dalla filosofia scolastica, «al di fuori delle scuole non ha mai convinto nessuno». 

Immanuel Kant

 

Hans Küng nel suo libro dichiara apertamente di non accettare alcuna evidenza oggettiva e primaria né sensibile né razionale e per conseguenza respinge il valore eminentemente razionale del principio di causalità, il quale si fonda appunto sulle prime evidenze del senso e della ragione. Dunque in Küng la ragione non riesce a mettersi in moto e a procedere con la sua forza logica naturale, ma oscilla fra il sì e il no.


 

 



Hans Küng   
                                                                                    (immagini da internet)

[1] Uno studio approfondito di come Kant affronta il problema dell’esistenza di Dio si trova nell’opera di Paolo Celesia Studi kantiani, Libreria di Scienze e Lettere, Roma 1923. Cf anche Maurizio Duce Castellazzo-Sebastian Künkler, Il ponte di Remagen. Le ragioni per ripensare la dottrina kantiana circa la prova cosmologica dell’esistenza di Dio, Edizioni Vertigo, Roma 2015.

[2] Cf Italo Mancini, Kant e la teologia, Cittadella Editrice, Assisi 1975.

[3] Cf M. Heidegger, Kant et le problème de la métaphysique, Gallimard, Paris 1953; Concetto Baronessa (ed.), La critica kantiana  della «ragione pura»  la metafisica, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2018.

[4] Arnoldo Mondadori, Milano 1979.

7 commenti:

  1. Letture memorabili, uniche. Solo il riassunto storico starebbe in piedi da solo in una pagina dedicata. Grazie Padre Giovanni!

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    1. Caro Alessandro ti ringrazio molto per le buone parole. Prega per me, perché possa essere di utilità alla Chiesa e alle anime.

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  2. Caro Padre Giovanni,
    trovo magistrale come, nel breve spazio di tre articoli, lei sia riuscito non solo a sintetizzare brillantemente il percorso dell’ateismo filosofico con le sue ricadute sulla falsa teologia, ma pure a smascherare le false certezze di cui si traveste l’ateismo, tanto spesso, in realtà, incapace di riconoscere la propria dipendenza dal peccato di superbia.
    Quale grande contraddizione esistenziale, vivono quegli atei, che si prodigano a lenire le sofferenze materiali dei poveri! Mi è venuto in mente, esempio forse paradigmatico della categoria, Gino Strada, che dopo aver esercitato in prima persona, presso la Croce Rossa, la chirurgia di guerra in varie zone di conflitto, ha fondato Emergency, l'associazione umanitaria internazionale per la riabilitazione delle vittime della guerra e delle mine antiuomo che, dal suo inizio, ha curato (fonte Wikipedia) oltre 10 milioni di pazienti.
    In un’intervista del 2019 (https://www.corriere.it/cronache/19_gennaio_26/gino-strada-gli-inizi-emergency-svolta-fu-costanzo-show-f16c63b6-21ad-11e9-b334-77e854371a4e.shtml), alla domanda “Dio?” risponde: “Non ne sento alcun bisogno. Penso che il significato delle cose stia nelle cose stesse, non al di fuori o al di sopra.”
    Nonostante egli abbia trovato costantemente insopportabile assistere a certa sofferenza umana, senza intervenire in soccorso, nonostante questa sua capacità di immedesimarsi nei panni del prossimo, nonostante, in ultimo, il suo sentirsi umanamente fratello del malato e povero di ogni parte del mondo… Gino non trova la forza, la libertà, la gioia, la pace… di riconoscere “il perché” dentro di lui ciò sia possibile, ovvero l’esistenza del Padre che rende ragione dell’essere e sentirsi fratelli.
    Come lei ha ben scritto:
    “L’ateo è uno che non pensa a Dio o respinge Dio nei suoi interessi intellettuali e nel suo agire morale; ma sa benissimo che esiste e che deve rendergli conto del suo operato. Per questo la sua coscienza non ha mai pace e cerca sempre, ma invano, di soffocarla [,,,]. Si crogiola nella contraddizione del pensare e nell’incoerenza della vita.”
    E forse tanto attivismo filantropico trova la sua radice anche nel tentativo, incessante ma disperato, di lenire il senso di colpa causato dal rifiuto del Padre…

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  3. Nel 2014 il suo confratello Padre Angelo alla domanda: “Se uno diventa ateo e lo resta fino in punto di morte, se ha compiuto il bene, può andare in paradiso?” (https://www.amicidomenicani.it/se-uno-diventa-ateo-e-lo-resta-fino-in-punto-di-morte-se-ha-compiuto-il-bene-puo-andare-in-paradiso/), così rispose:
    “[…]il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che “l’ateismo è un peccato contro la virtù della religione per il fatto che respinge o rifiuta l’esistenza di Dio” (CCC 2125).
    […] Dire quale sia la responsabilità dei soggetti è invece una questione molto più difficile. Le coscienze, e cioè i cuori, le conosce solo Dio. Per questo il CCC afferma che “l’imputabilità di questa colpa può essere fortemente attenuata dalle intenzioni e dalle circostanze” (CCC 2125).
    […] Ricordiamo tutti la parabola degli invitati a nozze e di quel tale che era sprovvisto dell’abito nuziale.
    Dio offre a tutti, attraverso le vie che lui solo conosce, quest’abito nuziale.
    Lo offre in maniera certa attraverso il Battesimo. Ma lo offre a tutti anche per altre vie misteriose, che Lui solo conosce.
    […] Pertanto anche per un ateo la condizione imprescindibile per potersi salvare è costituita dall’essere in grazia di Dio.
    […] In conclusione noi non possiamo dire con certezza di nessun ateo se attualmente sia privo della grazia di Dio.”
    Le chiedo cortesemente, Padre Giovanni, un commento su quanto allora scrisse Padre Angelo, e in anticipo la ringrazio.

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    1. Gino Strada dice che le cose hanno signifucato per se stesse. Sì, ciò nonvuol dire che esistano da sè stsse; sno causate. E chi le causa? E la gente alla quale fa del bene esiste da se stessa? Allora che bisogno ha di lui? Ma se lui si accorge che hanno bisogno di lui, allora come fa a dire che ha un significato da se stessa? Dovrebbero cavarsela da soli. E lui come fa a fare il bene che fa? E' lui la fonte assoluta del bene? O c'è Qualcuno che gli consente di farlo? E se non lo ricocnosce è un ingrato.
      E poi fa del bene agli altri e non lo fa a se stesso cercando quel Bene sommo ed infinito che è Dio. Non ha bisgno di Dio? Ma chi crede di essere? Autosufficiente come Dio?
      Nel suo amore per il prossimo c'è forse implicito l'amore per Dio? O fa del bene perchè ha lo sfizio di fare del bene come allo stesso modo sarebbe disposto a fare del male? Tanto chi lo controlla? Non può fare quello che gli pare?

      Le chiedo cortesemente, Padre Giovanni, un commento su quanto allora scrisse Padre Angelo, e in anticipo la ringrazio.
      Il peccato di ateismo non ammette parvità di materia e neppure attenuanti, quasi potesse essere un peccato veniale, perchè riguarda il senso ultimo della vita, ciò da cui dipende la salvezza o la dannazione. E' impossibile che l'ateo, se è veramente ateo, sia in grazia di Dio. Semmai il problema è sapere caso per caso se questi o quegli è veramente ateo.

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  4. Caro Padre, recentemente mi hanno mostrato un documentario intitolato "Pope Francis: A Man of His Word" dove Papa Francesco dice quanto segue: "Dio non guarda con gli occhi, Dio guarda con il cuore. E l'amore di Dio è il uguale per ogni persona, indipendentemente dalla sua religione.E se sono atei, è lo stesso amore...Dio ama e guarda con il cuore a tutti.È, forse, l'unico legame che gli uomini hanno. Nel resto siamo liberi; liberi anche di non amarlo» Come si potrebbe comprendere questa affermazione del Papa che è in contraddizione con tutti i mali dell'ateismo che lei spiega? Inoltre, se il primo comandamento ci comanda di amare Dio sopra ogni cosa, come potrebbe Dio amare chi osserva il suo comandamento allo stesso modo di chi non lo fa? Ti ringrazio in anticipo per la tua risposta.

    In Cristo

    Pietro

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    1. Caro Pietro,
      quando il Papa dice che l’amore di Dio è uguale per ogni persona indipendentemente dalla sua religione, non intende dire, come potrebbe sembrare, che Dio non tiene conto degli errori che si trovano nelle religioni non cristiane, ma intende dire che il suo amore si rivolge a tutti appunto tenendo conto sia di quelli che si trovano nella verità che di quelli che sono nell’errore, approvando i primi e richiamando gli altri alla verità.
      Per quanto riguarda gli atei, Dio li ama suscitando nel loro cuore uno stimolo a pentirsi e a convertirsi a Lui.
      Per quanto riguarda il legame con Dio, di fatto tutti hanno bisogno di Dio e Dio li chiama tutti a sé. Tuttavia, dato che ognuno possiede il libero arbitrio, ha la facoltà di legarsi o non legarsi a Dio, naturalmente con le conseguenze che tutti sappiamo.
      Per quanto riguarda all’altra frase “per il resto siamo liberi”, bisogna fare molta attenzione ad interpretarla bene. Infatti il Papa intende dire che, se da una parte non dipende da noi l’inclinazione naturale che Egli ci ha dato di tendere al Sommo bene e Fine Ultimo, che poi è Lui, dall’altra noi abbiamo la facoltà di accoglierLo o non accoglierLo, per cui quando il Papa dice “liberi anche di non amarlo”, queste parole non vanno intese che possiamo fare quello che ci pare, perché tanto tutto finirà bene o non ci saranno conseguenze, ma intende dire che abbiamo questa grave responsabilità legata al fatto che abbiamo la possibilità di non amarLo.
      Il Papa vuol dire che Dio, come Creatore, ama indistintamente tutte le sue creature e tanto più tutti gli uomini, uno per uno, e offre a tutti il suo amore e non lo impone a nessuno, perché vuole una risposta libera. La risposta libera al suo amore è la vita di grazia e la partecipazione alla stessa natura divina, come dice San Pietro.

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