PSICASTENIA - OCTAVIO NICOLA DERISI - Seconda Parte (2/2)

 PSICASTENIA

Octavio  Nicola Derisi

Seconda Parte (2/2)

 Prima Parte:

https://padrecavalcoli.blogspot.com/2023/03/psicastenia-octavio-nicola-derisi-prima.html

Capitolo III


La teoria psicastenica

 

 

 

 

 

            Dopo aver analizzato e descritto nelle pagine precedenti i fatti caratteristici dell' ossessione, cercheremo ora di raggrupparli in una teoria che li organizzi in una spiegazione psicologica accettabile. Dei vari che vengono presentati, quello che sembra adattarsi meglio ai fatti della malattia è la cosiddetta teoria psicastenica. Formulata dapprima dall'eminente psicologo francese Pierre Janet, è stato successivamente adottata e precisata dai PP. Agostino Gemelli e Antonino Eymieu nelle rispettive opere: "De Scrupulis" e "Le gouvernement de soi méme", secondo volume: "La obsession et le scrupule". Altri psicologi avevano formulato in precedenza altre teorie per organizzare questi stessi fenomeni in una visione esplicativa. Tale, ad esempio, quella di Maignan e Legrain, di tipo intellettualistico, che colloca nell'idea ossessiva il fenomeno fondamentale, generatore di tutti gli altri; quella di Pitres et Regis, che indica il fenomeno originario della malattia nei disturbi emotivi, soprattutto nell'angoscia; quello di Freud, per il quale la radice della malattia -come quella di tutte le malattie mentali- risiede anche in un malfunzionamento dell'emotività, determinato dalla spinta della libido contrastata nel suo movimento naturale verso la saturazione. Janet, invece, più in linea con l'osservazione dei fatti, compiuta durante lunghe e pazienti esperienze con questa classe di pazienti, sostiene e chiarisce che il fenomeno primordiale dell'ossessione risiede in un'insufficienza funzionale psichica; nella debolezza o declino della tensione psicologica del paziente, da cui emanano, come fatti secondari, le idee ossessive, l'indecisione, ecc., e come fenomeni derivati, l'agitazioni mentali, emotivi e motori. Questa teoria della psicastenia, così chiamata per Janet, vuole spiegare tutti i disturbi intellettivi, emotivi e motori, che abbiamo visto coinvolti nella malattia, dovuti a questa insufficienza o debolezza della tensione psichica.

            La teoria psicastenica si sostiene sul postulato di due ipotesi: 1) quella della tensione dell'energia psichica e 2) quella della gerarchia dei fenomeni psichici secondo il grado di tensione richiesto da ciascuno di essi, entrambe in perfetta armonia tra loro risonanza con l'esperienza dei fenomeni psicologici osservati all'interno e all'esterno di questa malattia.

 

1) La tensione psichica

 

            L'esperienza ci mostra che la triplice vita dell'uomo: vegetativa (materiale e inconscia), sensibile e intellettiva o spirituale (cosciente), si manifesta successivamente man mano che gli organi si sviluppano e l'energia vitale acquista un maggiore sviluppo. La vita vegetativa è la prima ad apparire e condiziona e prepara la sensibile, che a sua volta accumula e offre all'intelligenza il materiale (le conoscenze sensibili) da cui deve attingere le proprie idee e conoscenze, anche le più spirituali, e alla volontà gli impulsi e le tendenze che devono favorire le sue decisioni. C'è, quindi, come una scala ascendente nell'apparire della triplice serie di fenomeni vitali dell'uomo. D'altra parte, è facile per noi osservare che questa stessa gradazione all'apparizione dell'attività psichica, indica una gradazione di sforzo dell'energia vitale per la sua elaborazione, vale a dire che l'intensità dell'energia vitale richiesta per la sensazione è maggiore di quella necessaria ai processi vegetativi, e quella richiesta dalla vita mentale è molto più alta a quella richiesta dalla sensazione. In altre parole, che esiste una gradazione ascendente dell'intensità vitale -psicologica nel caso della sensibilità o dell'intelligenza- che risponde alla gerarchia ascendente della triplice specie dei fenomeni vitali.

            È chiaro che, oltre alla qualità del fenomeno, si deve tener conto della quantità o numero di atti che la forza vitale deve compiere; perché naturalmente lo sforzo psicologico richiesto per un semplice atto di comprensione non è lo stesso che per tutta la moltitudine di essi, di cui è composto un discorso. In questo caso è necessaria un'intensità, una tensione molto maggiore della stessa energia psicologica o, meglio ancora, un'energia della stessa tensione ma di volume o quantità maggiore. Va da sé che quando si parla di quantità di energia psicologica, lo si fa solo per analogia con le energie meccaniche e, di conseguenza, svuotando il termine di ciò che è meccanico e riducibile a numeri. Così, in psicologia accade qualcosa di analogo -cioè proporzionale e non simile- a quanto avviene con le forze fisiche, le quali per produrre "lavoro" richiedono non solo quantità ma anche intensità o sufficiente elevazione del livello della loro energia. Così, per esempio, una corrente elettrica, per quanto grande sia il suo volume quantitativo, non farà arrossire il filamento di una lampada, a meno che non abbia la minima intensità richiesta per esso. La stessa cosa accade con le altre forze fisiche. Non basta avere una grande quantità di calore accumulato per comunicarlo ad un corpo, in quella forza è richiesta un'intensità superiore di quella del soggetto che vuole riscaldare; né basta avere un'enorme quantità d'acqua per mettere in moto una turbina o un'elica, ma è indispensabile avere una certa elevazione del suo livello, che le permetta di scendere e mettere in moto la macchina.

            Insistendo sul fatto che si tratta solo di un'analogia e purificandola del coefficiente quantitativo meccanicistico che contiene e che assumiamo per ragioni didattiche per chiarire e significare una forza essenzialmente e specificamente superiore, qualitativa, potremmo applicare all'energia psicologica la formula del "lavoro" delle forze fisiche, come segue. Chiamando E l'energia vitale, T la sua tensione, intensità o livello, e N il numero di fenomeni psicologici da eseguire, avremmo:

                                                                           T

                                                                 E = -------

                                                                           N

 

            O se no anche: T = NE, vale a dire che l'energia vitale è in ragione o dipendenza diretta della tensione, così che maggiore è la tensione, maggiore è l'energia (a parità di circostanze), e in ragione inversa del numero di atti da compiere, in modo che più atti, meno energia e perfezione vitale e meno tensione anche in ciascuno di essi.

 

2) Gerarchia dei fenomeni psicologici

 

            Janet osservava che in questa classe di pazienti, di cui ci occupiamo, con l'avanzare della malattia, la capacità di compiere certi atti psichici scompariva successivamente, secondo un ordine costante definito; da cui ha giustamente concluso che non tutte le funzioni mentali sono della stessa gerarchia, né presentano gli stessi gradi di facilità di esecuzione, né ciascuna di esse richiede lo stesso sforzo, ma richiede uno specifico grado minimo di tensione dall'attività di l'anima. Quando, per determinate cause, non si raggiunge quell'altezza di forza psichica, allora l'esecuzione dell'atto è resa difficile o del tutto impossibile. I confronti fatti con altre malattie simili (esaurimento mentale, ecc.) o con eventi simili della vita normale (per esempio: fatica, stanchezza) confermano la stessa osservazione.

            Ora, assumendo l'ipotesi dei diversi gradi di tensione psichica richiesti per le varie manifestazioni della nostra vita cosciente -ipotesi anch'essa suggerita e adattata ai fatti- la scomparsa o il successivo offuscamento di certi fenomeni mentali, avvenuti sempre nello stesso ordine, sarebbe determinato dalla graduale diminuzione della tensione o dell'intensità dell'attività psichica, che non raggiunge il livello necessario richiesto per la sua realizzazione. Secondo questa ipotesi e criterio, Janet ha potuto facilmente classificare gli atti psichici in un ordine gerarchico secondo il coefficiente di difficoltà della loro esecuzione, ovvero in altri termini secondo, il maggior grado di tensione psichica necessario alla loro esecuzione. Per raggiungere questo scopo, gli bastava osservare e annotare l'ordine successivo della scomparsa di queste manifestazioni dalla nostra vita cosciente, man mano che la malattia si aggravava e con essa, secondo l'ipotesi, diminuiva il livello di tensione psichica. Va da sé che non si tratta di una classificazione secondo la gerarchia essenziale o il valore intrinseco degli atti, ma solo secondo lo sforzo o la tensione da essi richiesti nell'attività dell'anima.

            Ecco i risultati della classifica di Janet in ordine decrescente, in base al livello di tensione richiesto per eseguirla:

            1) I primi eventi psicologici a scomparire e, di conseguenza, i più difficili da eseguire e quelli che richiedono più tensione, sono gli atti di volontà e intelligenza, attenzione e memoria, sentimenti ed emozioni, movimenti, ecc., necessari per adattarsi ad una realtà e situazione presente interessata, cioè tutti quegli atti che ci coordinano attivamente e ci fanno prendere posizione di fronte a una realtà attuale, che ci interessa o ci tocca vividamente e molto da vicino, o più brevemente, gli atti di accomodamento interessato alla realtà.

            2) Seguono, in secondo luogo, questi stessi atti di adattamento del soggetto a una realtà presente, ma privata del coefficiente di interesse per lui.

            3) Terzo sono le operazioni intellettuali speculative, le immagini, ecc., che non hanno alcun rapporto diretto con una realtà alla quale dobbiamo immediatamente adattarci.

            4) Il quarto posto è occupato dalle emozioni che non dicono relazione ad un fatto che attualmente ci tocca da vicino.

            5) L'ultimo posto corrisponde a reazioni motorie e viscerali prive del carattere di connessione con la realtà.

            Come si può subito osservare, non si tratta di una classificazione di valori psichici assoluti, ma sempre relativi al soggetto. Lo stesso atto di adattamento dell'attività psichica a un evento della vita richiederà uno sforzo maggiore o minore da parte di un soggetto piuttosto che di un altro, a seconda che lo tocchi o meno e quanto o quanto poco riguardi le sue rispettive tendenze, preferenze e interessi. Non costa lo stesso prendere una decisione sugli interessi degli altri che sugli nostri interessi; e così accade a noi che sappiamo vedere e consigliare meglio gli altri ciò che dovrebbero fare, piuttosto che vedere e trovare la norma che meglio si adatta alla nostra situazione in circostanze simili. Inoltre, lo stesso atto richiede maggiore tensione e sforzo per il solo fatto di modificare alcune circostanze esterne ad esso, che richiedono un più complesso adattamento. Ognuno di noi, per esempio, è capace di conversare a lungo e senza difficoltà con un altro su un argomento che gli è familiare; ma il solo fatto di dover dire la stessa cosa non a una persona ma a molte, in pubblico, e ancor meno, la sola circostanza di essere osservati o sentiti ascoltati da altri nella loro conversazione privata, rende l'atto più difficile che per alcuni persone, diventa poco meno che impossibile se non impossibile affatto.

            Nella prima diminuzione della tensione psichica -se si potesse parlare di gradi precisi nella riduzione di un'intensità- il paziente non perde l'uso speditivo delle sue facoltà superiori, ma solo il suo adattamento al caso che lo colpisce. Di fronte a una situazione reale da risolvere, l'ossessionato non ha l'idea definita che gli dia l'esatta nozione del fatto, la memoria dimentica i precisi dati circostanziali per affrontare la reale soluzione proposta, le emozioni e i movimenti sono disadattati alle reali aggiunte, e soprattutto la volontà rimane indecisa e non sa definirsi per una via o per l'altra, il malato diventa turbato, agitato, non sa cosa fare. Nello stesso tempo, e in assenza di idee e di altri atti necessari che lo adattino accuratamente alla situazione presente, pensieri inutili, accompagnati da emozioni e movimenti, anch'essi senza uno scopo definito, si affollano nella coscienza del paziente per angosciarlo e turbarlo sempre di più e rendono la loro situazione più ingombrante. Questa mancanza della "funzione del reale", che Janet chiama giustamente, è ulteriormente accresciuta da altre circostanze che non fanno che complicare la situazione e rendere difficile per il soggetto inserirsi adeguatamente in essa. Così la complessità dell'evento reale e la conseguente difficoltà di adattamento ad esso della vita psichica aumentano se il fatto che deve essere assimilato alla sintesi mentale, il soggetto, e di fronte al quale quest'ultimo deve agire è rapportato a molti principi, se esso si riferisce anche all'ordine morale o ad azioni di interesse personale da qualsiasi altro punto di vista e se l'accomodamento che lo riguarda deve essere reso pubblico e rapidamente. A volte la complessità di questa situazione può essere così grande che anche la stessa normale tensione psichica rimane al di sotto del livello richiesto per la sua assimilazione e accomodamento psicologico. Naturalmente, in questo lavoro tralasciamo tali casi, in cui la mancanza di tensione è normale e temporanea, causata com'è dall'eccessiva e straordinaria grandezza di un tale evento. Tali situazioni sono in grado di turbare la persona psicologicamente più sana e di provocare in essa uno stato transitorio di ossessione e scrupolo.

            Ma se il livello di tensione psicologica scende ancora di più, allora si perde l'adattamento alla realtà, anche quando questa assimilazione non tocca o interessa maggiormente il paziente. È il caso di tante persone, a volte molto sagge invece, che non sanno comportarsi in armonia con gli avvenimenti che le riguardano, ma nemmeno compiono altri atti secondo la situazione presente, che non interessa loro. Sono i classici "disadattati", anche per sedersi, camminare, giocare, parlare, ecc.

            Solo in un terzo e più grave depressione di tensione queste e altre facoltà potrebbero essere toccate in un esercizio estraneo all'adattamento alla realtà. Quindi, se sotto un altro aspetto (metafisico o essenziale) la speculazione astratta, la scienza, l'arte, ecc., sono manifestazioni superiori dello spirito, tuttavia, dal punto di vista della loro complessità e gerarchia psicologica non sono quelle che occupano il primo posto e per questo durano nei pazienti, il cui sforzo non riesce più a coprire l'altezza delle prime azioni della serie e manca di sufficiente tensione per questo.

            Sul gradino più basso della scala dei fenomeni psichici, e per questo sono gli ultimi a scomparire, stanno le emozioni e i movimenti muscolari, ecc., che invece nei primi gradini della diminuzione della tensione non solo durano, ma, con la perdita o la difficoltà di altre funzioni superiori, per una legge di compensazione, sembrano svilupparsi e esacerbarsi sempre di più, naturalmente che sconnesse e mal adattate alla situazione presente.

 

3) Applicazione della teoria psicastenica ai fenomeni di ossessione

 

            Applicando questa teoria di Janet ai fenomeni di ossessione, precedentemente descritti, troviamo una spiegazione sufficiente della sua costituzione e manifestazione. Da qui il suo valore scientifico: i fatti sono verificati e spiegati.

            Secondo questa teoria della psicastenia, i fenomeni di ossessione non sarebbero altro che la manifestazione di uno stato di depressione generale della tensione psichica che li determina e in cui risiede l'essenza del male. Tale declino della forza psichica porta come immediata conseguenza uno squilibrio o dislivello tra l'intensità dell'attività psichica e quella richiesta da certi atti posti al vertice della gerarchia di Janet. Vale a dire che nel soggetto malato la forza psichica è al di sotto del livello richiesto per la risoluzione e l'adattamento di certe situazioni, soprattutto morali.

            In circostanze eccezionali, come dicevamo, lo squilibrio potrebbe essere causato non proprio dalla diminuzione della tensione, ma dalla straordinaria ed eccessiva difficoltà dell'atto, che richiederebbe un'intensità di attività psichica superiore di quella comune. Ma tali casi sono temporanei e non costituiscono in alcun modo un caso anormale in quanto tale. È quanto accade talvolta a persone con tensione psichica normale, che all'inizio della loro vita spirituale, quando vogliono salire subito alle cime della santità eroica, provano temporaneamente degli scrupoli. È il caso di alcuni santi (S. Ignazio, per esempio, S. Agostino, S. Teresa di Gesù Bambino) e di molte anime all'inizio della loro conversione. Che sia la situazione e non la tensione ad essere anormale, lo dimostra il futuro di quelle vite, pienamente equilibrate una volta che era scomparso la causa straordinaria che ha reso loro estremamente difficile l'adattamento alla situazione reale e che ha causato il conseguente squilibrio della tensione normale rispetto ad esso, cosa che è ben lungi dall'accadere quando la causa del male risiede nella diminuzione dell'intensità dell'attività psicologica stessa.

            Ordinariamente, lo squilibrio tra la tensione e la situazione reale a cui lo scrupoloso deve adattarsi e affrontare, ha le sue radici nella depressione dell'attività stessa, anche se in molti casi, se non quasi sempre, non raggiunge un grado tale da costituisce un'anomalia in quanto tale.

            La depressione della tensione psichica è il fatto fondamentale dello stato psicastenico, che determina immediatamente lo squilibrio del soggetto di fronte alla situazione reale con la conseguente incapacità o massima difficoltà ad assimilarla e ad adeguarsi ad essa con obiettività, precisione e fermezza.

            Per questo, una volta prodotta la depressione, immediatamente stanno scomparendo o diventano difficili nel paziente, tutte quelle funzioni di coordinamento con la realtà, secondo l'ordine gerarchico di intensità psicologica da esse richiesto, a cominciare da quelle che si riferiscono alle più complesse e che li toccano più intensamente. Da questa diminuzione di tensione nasce nel paziente -attraverso lo squilibrio e il conseguente mancato adattamento alla vita pratica, soprattutto morale, perché più difficile- la sua indecisione di fronte ai fatti, che può talvolta degenerare in abulia; di qui anche questo non saper applicare i principi morali generali ad ogni situazione concreta, senza poter eliminare i fatti che evidentemente non rientrano nelle esigenze di quelle, con il conseguente radicamento nella coscienza dell'idea ossessiva; da qui questa mancanza di memoria, quelle "eclissi mentali" di ricordi, amnesie e oscuramenti di ricordi riferiti a eventi reali, questo oscuramento delle regole e della loro giusta portata, proprio nei momenti in cui più ne hai bisogno per risolvere la situazione presente; da qui questo imbarazzo o disturbo quando deve agire, prevalentemente in pubblico o con decisione, e ancor più se da tale decisione dipende una questione di relativa importanza, per mancanza della visione precisa della realtà e del modo di assemblarsi con essa, in un ordine morale soprattutto. Per questo si spiega anche che gli scrupoli compaiono proprio nei momenti della vita, in cui l'orizzonte morale si estende e ingloba una realtà più complessa con nuovi e più difficili problemi (così, ad esempio: nella pubertà), o in cui la delicatezza della coscienza morale si acuisce e si applica a situazioni a cui prima si prestava poca attenzione (così, ad esempio: nella prima confessione o nella confessione di alcuni esercizi, in cui si è approfondito e affermato nel senso della vita cristiana), o in altre circostanze eccezionali in cui è necessario decidere l'adattamento della nostra vita, non solo ad una situazione presente e transitoria, ma a tutto un generale stato di cose con durevoli ripercussioni per tutta la nostra esistenza terrena ed anche eterna (così, ad esempio, nell'elezione di stato: accadrà allora, che quando verrà il momento decisivo di prenderlo, chi per anni non ha mai dubitato della sua vocazione, cominci a dubitare e a turbarsi con scrupoli di ogni genere).

            Nella prima fase della depressione, la malattia si manifesta, quindi, con la scomparsa di quella che possiamo chiamare la "funzione del reale", -del reale a cui il paziente è principalmente interessato- che Janet colloca, come abbiamo visto sopra, nel grado superiore della scala, e che in realtà non è un atto semplice ma contiene più atti gerarchici tra loro. Questo spiega anche perché la persona scrupolosa, che non è capace di eliminare il proprio dubbio, la propria idea ossessiva, quando il grado della sua depressione non è molto grande, può essere -e di solito è, data la sua capacità intellettuale e virtù morale- un ottimo direttore di coscienza, anche di persone scrupolose; perché la sua intelligenza, che riesce a vedere chiaramente in fatti e circostanze reali che non l'intaccano direttamente e mantiene una visione di penetrazione non comune nei domini della speculazione, si oscura solo quando cerca di risolvere le proprie questioni, principalmente pratiche e morali prima di tutto. Solo una diminuzione più profonda della tensione potrebbe portare il disturbo al punto di non saper discernere e non poter adattare un altro nella sua funzione pratica o raggiungere la stessa contemplazione teorica dell'intelligenza.

            È anche naturale che mancando le facoltà del paziente di coordinamento con la realtà, di "presentificazione del fatto", a causa della depressione psichica, scompaia ipso facto il sentimento di soddisfazione completa, che segue a questa assimilazione e adattamento alla realtà da parte della comprensione dell'intelligenza e della decisione della volontà e il paziente sperimenta i sentimenti di "incompletezza", di "incompiutamento", che lo torturano così spietatamente e gli portano disagio.

            Tutti i fenomeni fin qui elencati compresi nella privazione della "funzione della realtà": mancanza di visione della realtà in tutta la sua complessità, mancanza di decisione di fronte ad essa, mancanza di adattamento al fatto, ecc., sono, per questo, i fenomeni diretti secondari dello stato psicastenico (fatto fondamentale) e sono direttamente spiegati dalla teoria della psicastenia o depressione: la sua scomparsa o successivo e progressivo intorpidimento è direttamente determinato da una insufficienza di realizzazione da parte dell'attività psichica causata dalla diminuzione o declino della sua tensione.

            Ma abbiamo visto nell'esposizione dei fenomeni di ossessione come questo stato sia accompagnato da agitazioni mentali, emotive e motorie, sia sistematizzate che diffuse. Anche tutti loro sono spiegati in questa teoria, ma come fenomeni secondari derivati, cioè causati indirettamente dalla depressione. Qualcosa di analogo a ciò che accade con l'energia fisica accade con l'energia psicologica. La corrente d'acqua che non può superare il livello di una diga di contenimento, ha la forza di urtarla con gran rumore e con movimenti in innumerevoli direzioni, straripando in tutte le direzioni dove trova un livello inferiore a se stessa. La corrente elettrica che non è abbastanza forte da arrossare un filamento, è abbastanza forte da produrre un forte rumore, facendo suonare, ad esempio, una moltitudine di campanelli. Allo stesso modo, ipotizzando la depressione psichica e il conseguente squilibrio tra essa e l'azione da porre, l'attività vitale, scontrandosi inutilmente con l'atto il cui livello è al di sopra del suo, deborda, e talvolta clamorosamente, verso fenomeni psichici inferiori inutili, che richiedono minore intensità psicologica. È quello che in psicologia viene chiamato il fenomeno della derivazione dell'energia, così predisposta dall'Autore della natura per scaricare una forza vitale accumulata ed evitare così i disturbi che, se così non avvenisse, si verificherebbero alla psiche e il sistema nervoso. Noto, per essere volgare, è l'esempio di come la considerazione di una grande disgrazia, che potrebbe portare a gravi disturbi mentali se fosse fissata nella mente del paziente, viene scaricata, sfociando in singhiozzi e lacrime, cioè in atti psicologici inferiori inutili. La stessa cosa accade a noi nella vita quotidiana, quando per la complessità della situazione reale la tensione rimane al di sotto di essa e insufficiente a compiere gli atti adeguati e convenienti per detta situazione, l'energia psichica trabocca in inutili movimenti delle mani e del corpo e del nostro sangue (ci fa arrossire la faccia). La derivazione di energia è la naturale valvola di sfogo, di "sfogo", con la quale il Creatore ci libera dai danni conseguenti ad un'eccessiva concentrazione psichica e fisiologica.

            È esattamente ciò che accade nel nostro paziente, secondo la teoria della psicastenia. Le forze psichiche quando tentano un atto che richiederebbe un livello di tensione superiore al proprio e si scontrano inutilmente contro di lui, per esempio: non essere capace di rimuovere il dubbio che tormenta il paziente, si rivolgono ad atti che sono al di sotto del loro livello, si applicano a idee, emozioni e movimenti inutili, che non hanno nulla a che fare con la realtà presente, e in questo modo compaiono nella coscienza, per prime le manie, le fobie e tics (agitazioni intellettuali, emotive e motorie sistematizzate), che con l'accentuazione della depressione si accumulano e si sovrappongono, trasformandosi in ruminazioni mentali, angosce e semi-convulsioni (agitazioni intellettuali, emotive e motorie diffuse). Tutta la serie di inutili fenomeni di ordine intellettuale, emotivo e motorio osservati nello scrupoloso non sono altro che la derivazione di uno sforzo frustrato in direzione dell'accomodamento del soggetto al reale. Una volta che la fine dello sforzo non è stata raggiunta a causa del dislivello tra la tensione psichica e l'oggetto intentato, l'attività psicologica si scarica applicandosi ad atti che sono al di sotto della sua tensione, e con la diminuzione di questa tensione ad atti più e più più inferiore. Tutti gli atti inutili compiuti dal nostro paziente sono, quindi, il risultato di uno sforzo fallito nei confronti del suo oggetto e dirottati dalla natura stessa verso un'altra attività, più facile per evitare la concentrazione psichica: sono un semplice fenomeno di derivazione dell'energia.

            Come si è visto in queste pagine, la teoria di Janet ci offre una spiegazione sufficientemente chiara sia della comparsa dell'idea ossessiva che degli altri fenomeni di questa malattia: la prima, incistata nella sintesi mentale per insufficiente tensione a vederne la portata e la precisa applicazione dei principi morali nel presente caso concreto e a decidere di eliminarlo; questi, come eventi causati dalla derivazione di energia, a loro volta determinati dalla stessa depressione psichica. In verità, alla luce di questa teoria psicastenica, comprendiamo che né l'idea ossessiva in quanto tale, né gli altri fenomeni anormali di ossessione costituiscono l'essenza propria della malattia, ma sono solo le manifestazioni di un male più profondo, fontana da dove emanano provocati direttamente o indirettamente (per derivazione di energia): la mancanza di sufficiente tensione, la depressione della forza psichica.

            Preziosa conclusione, che ci fa intravedere e ci guida sulla via della terapeutica per questa dolorosa malattia.

 

 

 

 

Capitolo IV


La terapeutica degli scrupoli

 

 

 

 

 

            Se lo scrupolo è generato da uno squilibrio tra la tensione psichica e la reale situazione morale a cui occorre adeguarsi, determinato dalla depressione della prima, la sua cura consisterà essenzialmente nella riconquista di quell'equilibrio perduto, 1) diminuendo la difficoltà di l'atto da compiere mediante la semplificazione della situazione morale e 2) elevando l'intensità della forza psichica mediante rimedi materiali e soprattutto psicologico-morali. Ma prima è indispensabile dire due parole sul modo di procedere del direttore spirituale o confessore con il malato.

 

1) Condotta che il direttore deve osservare con il malato

 

            È indispensabile per la sua cura che il malato cominci con la scelta di un direttore fisso. Se per la vita spirituale questo è un mezzo utile, nel caso degli scrupolosi è un mezzo necessario. Il frequente cambio di direttore o di confessore non farebbe che contribuire ad aggravare il suo malessere, poiché, da un lato, l'applicazione di adeguati mezzi terapeutici al malato può cominciare ad essere pienamente utilizzata solo quando il direttore è giunto all'esatta comprensione delle condizioni del paziente e, dall'altro, la sua efficacia dipende da un' applicazione costante e ferma senza claudicazioni disastrose per il paziente.

            Il malato deve quindi trovare un direttore che, per la sua scienza e virtù, meriti piena fiducia e, una volta trovatolo, attenersi ciecamente alle sue prescrizioni. Qualsiasi dubbio o esitazione sulla capacità direttiva del suo confessore pregiudicherebbe in anticipo l'efficacia e la prontezza della sua cura.

            Il direttore, a sua volta, deve stabilire la sua autorità morale nel paziente sulla base della sua saggezza, santità e prudenza. Una volta accertato che si tratta davvero di un ossesso, e non solo di una persona timorosa e delicata di coscienza, si deve mettere in pratica la norma che Sant'Alfonso de Liguori proponeva per tali casi più di due secoli fa sulla base dei più solidi principi di moralità e insieme nell'esperienza psicologica più acuta: "Con questa classe di penitenti, il confessore deve essere paziente, benigno e fermo". Dimenticare una di queste condizioni (per esempio, una eccessiva bontà senza fermezza, o eccessiva fermezza senza bontà) sarebbe fatale per il povero malato.

            Pertanto, deve essere, soprattutto, paziente e benevolo con l'esposizione infinita, intricata e quasi incomprensibile dei casi di coscienza del paziente (soprattutto all'inizio, fino a quando non si forma un'idea chiara della sua situazione), non deve mostrare arrabbiato con le meditabondi che li sottoporrà al suo giudizio in ogni momento suo diretto, così come con l'insistenza su questioni già risolte e con le sue frequenti e inopportune visite e consultazioni. Il pover'uomo deve soffrire troppo con la sua croce, e una dimostrazione di fastidio non farebbe altro che intimidire ulteriormente uno spirito già depresso. Abbiamo visto che, a seconda del dislivello, l'ossessione riguarderà aree più o meno ampie; e infatti lo scrupolo talvolta appare localizzato in uno o più punti e solo in casi più avanzati si estende a tutte le manifestazioni della vita morale. Lo stesso accadrà con gli atti ​​secondari derivati, la cui comparsa e sviluppo sarà inversamente proporzionale al livello di tensione. Tutto ciò deve essere osservato dal direttore per formarsi un giudizio approfondito sul reale stato del suo diretto. Come nelle altre parti della medicina, anche in questa e più che in quella vale il detto che "non ci sono malattie, solo malati".

            La persona scrupolosa, come abbiamo detto sopra, è solitamente una persona intelligente e per questo stesso sensibile. La malattia non ha fatto altro che offuscare la pace e la gioia della sua anima, immergerla in una tristezza deprimente e acuire la sua sensibilità. Se la durezza non farebbe altro che ferirlo e disperarlo, l'affabilità, invece, gli darà più fiducia nel suo direttore, gli farà comprendere meglio la regola di condotta da lui dettata e lo incoraggerà ad abbracciarla fedelmente e aprirà il suo cuore alla speranza e predisporlo alla pace. La benignità del confessore ravviverà più facilmente nella sua anima la fiducia in Dio e addolcirà l'asprezza e l'arduità della sua vita, scaricherà alquanto l'enorme peso della sua angoscia e del suo dolore. Dato lo stato di prostrazione e la delicata sensibilità di queste anime, una manifestazione di fastidio o insofferenza da parte del direttore potrebbe portare alla disperazione e al conseguente crollo morale del malato.

            Insieme alla dolcezza, il malato ha bisogno della fermezza del suo confessore. Questo deve avere una mano paterna: soave e forte allo stesso tempo. Dovrà dare norme precise, come diremo subito, che non permetterà di discutere e di cui dovrà esigere l'osservanza. Guai al confessore che ammette le discussioni ei "ma" degli scrupolosi e cerca di dargli ragione delle sue regole! Per questo non deve mai scendere a compromessi quando il suo penitente mette in discussione le sue direttive, perché, oltre al fatto che è difficile convincerlo con argomenti, che il suo stesso stato di coscienza non gli permette di vedere, rischia di rimanere senza una risposta e farsi travolgere dalla forza dialettica del suo improvvisato avversario. Al di là del fatto che il fondamento di tali norme implica in esse una complessità, che lo stato del paziente non può assimilare nella vita pratica e diventeranno tanti focolai di ossessione. Pertanto, è meglio evitare qualsiasi spiegazione ed essere categorici nelle risposte. Non esitare o dubitare quando spieghi al paziente il modo di agire che deve seguire, perché il paziente metterebbe subito in dubbio la sua scienza o la sua sicurezza e correrebbe il rischio di perdere la sua autorità e l'efficacia della sua direzione: il dubbio sarebbe localizzato facilmente nella competenza e la saggezza del direttore e annullerebbe e impedirebbe alla loro stessa fonte i rimedi dati per la sua guarigione. Per questo è necessario, naturalmente, essersi guadagnati la fiducia del penitente con l'autorità della scienza, della virtù e della prudenza. In generale, sarà conveniente raggiungere questo obiettivo parlando in modo chiaro, sicuro e breve della norma. Il resto della direzione sarà usato in modo più proficuo aprendo quel cuore alla fiducia in Dio.

            Una volta data la norma precisa della sua vita -che esporremo- e ripetuta più volte quando il malato torna a consultarlo sulla sua estensione e valore, il direttore deve esigere che il suo penitente risolva da solo il suo dubbio, che passe sopra di lui e delle sue angoscie senza consultarlo in ogni caso. A maggior ragione, dovrebbe essere fermo nel non ammetterlo alla confessione, se non quella settimanale e nel caso in cui il paziente sia veramente certo di aver commesso un peccato mortale. Anche se il malato supplica e piange con angoscia perché lo confessi, anche se afferma di credere di aver peccato gravemente, il confessore deve essere abbastanza forte da non acconsentire. Sarebbe carità fraintesa commuoversi davanti a una situazione del genere e risolvere in ogni caso i dubbi del paziente e dargli l'assoluzione per ogni presunto peccato mortale. Con tale condotta, il confessore, lungi dall'incoraggiare, annullerà il
sforzi del penitente, che permetterebbero la guarigione della sua malattia. Risolvere in ogni caso la sua situazione, ammetterlo alla confessione in ogni dubbio, equivarrebbe a dar da bere all'idropico. Con questa procedura, la malattia del paziente non farà che peggiorare e le esigenze dell'idea invadente si diffonderanno sempre di più e saranno ogni giorno più tiranniche. Se il confessore non si sente abbastanza forte per questo atteggiamento, è meglio che lasci il timone di quell'anima ad altre mani più salde; la sua compassione fraintesa l'avrebbe solo danneggiata piuttosto che guarita. Naturalmente questa ferma intransigenza del direttore deve sempre essere coperta di bontà, facendo capire al malato che è proprio per il suo bene che ciò viene fatto.

 

2) La semplificazione della situazione morale, primo rimedio degli scrupolosi

 

            L'ossesso si trova più o meno frequentemente, a seconda del grado della sua depressione psichica, di fronte a situazioni morali che non sa o non può risolvere. Non è in grado di assimilare la realtà riducendola e inquadrandola nei principi che dovrebbero regolarla, si scontra con qualcosa che è superiore alle sue forze e che di conseguenza trincera e lacera l'unità della sua coscienza.

            Il rimedio consisterà, quindi, nel riuscire ad abbassare il livello di difficoltà di quegli atti che sono al di là delle loro forze. La molteplicità degli aspetti morali e l'intervento di molti principi nella sua soluzione, -più di quelli realmente intervenuti, portati dall'intelligenza del paziente, incapace di scartarli come irrilevanti per il caso- è ciò che rende più complessa e difficile la realizzazione di un atto morale. Per metterli alla portata delle forze degli scrupolosi, sarà necessario semplificarli e racchiuderli entro un unico principio morale facilmente applicabile. Questo principio sarà solo quello che il paziente hic et nunc è capace di applicare, e che possiamo così formulare: "Finché io non veda chiaramente e senza esaminare me stesso, come due più due fa quattro, che una cosa è peccato, per me non lo è; e se dubito che sia peccato grave o lieve, per me è peccato lieve". All'inizio il malato crederà di averlo capito, e infatti lo avrà capito bene. Ma di fronte a situazioni specifiche, esiterà se applicare o meno quel principio, se si estende anche a quel caso, e comincerà a dubitare della portata e del significato della norma. Bisognerà ripeterglielo ancora in tutta la sua semplicità e universalità, finché non lo assimili; ma dopo un po' il direttore non deve più ammettere dubbi al riguardo, ma semplicemente rispondere: "Sai già come devi agire"; perché altrimenti c'è il rischio che lo scrupolo si trovi nella norma stessa. Questa stessa norma potrebbe essere proposta in altri modi, e la prudenza del direttore sarà lasciata al modo di proporla per renderla più accessibile al paziente. Pertanto, il principio potrebbe anche essere formulato in questo modo: "In tutti i tuoi dubbi morali, agisci sempre a tuo favore, e senza pensare o esaminare te stesso".

            Questa semplificazione deve abbracciare l'intera vita morale ed estendersi, quindi, non solo agli atti da compiere, ma anche a quelli compiuti. È necessario vietare rigorosamente al malato di esaminarsi su eventuali peccati gravi commessi, se non li vede chiaramente fin dall'inizio e senza alcuna riflessione. Questa norma è tanto più necessaria, quando lo scrupolo si trova in materia di purezza, come spesso accade con i giovani; perché un prolungato esame di coscienza su questo punto, oltre a non portare ad alcuna conclusione chiara e ad ingarbugliare sempre più il malato -come sempre accade in casi del genere agli scrupolosi- non fa che moltiplicare le tentazioni, con il conseguente moltiplicarsi degli scrupoli e anche per fissare sempre di più queste immagini oscene o pericolose, radicandole con l'ordito di nuove associazioni che le rafforzino e le estendano all'interno della coscienza.

            L'esame generale va semplificato -e se necessario anche soppresso-, riducendolo a poche cose considerate molto altamente e per pochissimi minuti. Allo stesso modo, tutta la sua vita spirituale dovrebbe essere semplificata. Pertanto, a chi sperimenta scrupoli e difficoltà nella confessione, dovrebbe essere concesso solo un brevissimo esame e recitare l'atto di contrizione una sola volta prima di presentarsi al sacerdote, vietando severamente ogni ripetizione della sua formula. A chi ha difficoltà nella preghiera (per esempio, nella pronuncia, nell'attenzione, ecc.) sarà imposto un divieto categorico di ogni ripetizione, sarà loro indicato un tempo certo, che non dovrà superare, e se necessario appunto, dovrà essere abbreviato e persino completamente soppresso per un po', se la malattia peggiora. In modo analogo, questa semplificazione potrebbe essere applicata a tutti gli atti, in cui il paziente incontra delle difficoltà e in cui si trova lo scrupolo. La cosa migliore sarà fargli capire bene la norma generale enunciata all'inizio, fissarla bene nella sua intelligenza -dopo averlo istruito in particolare nelle prime applicazioni concrete- e costringerlo ad applicarla lui stesso e sempre in favore della sua libertà.

            In casi estremi -molto rari- e temporaneamente, si potrebbe e si dovrebbe non solo semplificare ma addirittura sopprimere tutte le norme morali (apparentemente, perché in realtà il malato non ripercorrerà mai impunemente un peccato mortale palesemente manifestato), nel modo seguente: "Non badare a niente, agisci come vuoi, non peccherai".

            Naturalmente, tali regole sono valide e applicabili solo ai pazienti di cui ci occupiamo qui. La morale cristiana, inoltre, giustifica questo procedimento. Ogni obbligo morale, per sua stessa concezione, deve essere possibile di praticare, deve essere alla portata di coloro che devono sottomettersi ad essa. Ora, la norma semplificata esposta è l'unica alla quale gli scrupolosi possono sottostare. La debolezza delle sue spalle lo rende incapace di sostenere qualsiasi altra regola più complessa. Si dirà che una regola così semplificata può portare il paziente a commettere effettivamente un peccato mortale. Anche supponendolo così, il peccato in tal caso sarebbe solo materiale, sarebbe una grave colpa commessa con "invincibile ignoranza", poiché il paziente è hic et nunc incapace di discernerne la gravità; a parte il fatto che il suo stesso stato di supereccitabilità e di angoscia gli impedirà sempre o quasi sempre le esigenze soggettive di pieno ammonimento e deliberata volontà necessarie al peccato mortale. Ma non è così. Chi trema alla sola ombra del peccato, potrebbe non vedere chiaramente un grave peccato effettivamente commesso? C'è ovviamente un'impossibilità morale in questo.

            A volte, lo squilibrio di tensione, fonte originaria dello scrupolo, sarà stato causato dal cambiamento di situazione o compito o impiego del malato, che impone obblighi e il compimento di atti che richiedono uno sforzo e un livello di energia psicologica superiori a quelli infatti realmente sono posseduti. La vita è letteralmente "diventata complicata per lui", e questo trauma psicologico si è verificato. In realtà, quello che gli è successo è molto semplice. La tensione psichica, sufficiente a dominare una vita più semplice, è rimasto al di sotto di una nuova situazione più complessa.", e questo trauma psicologico si è verificato. In realtà, quello che gli è successo è molto semplice. La tensione psichica, sufficiente a dominare una vita più semplice, è rimasto al di sotto di una nuova situazione più complessa.

            Un povero contadino, padrone della sua vita, senza grosse complicazioni, improvvisamente arricchito e portato a una situazione sociale più complessa, può diventare ossessionato. Un uomo, trasferito da un lavoro senza trascendenza a uno di maggiore responsabilità, può essere portato a scrupoli. In tali casi, l'abbandono della nuova posizione o compito, il ritorno alla prima vita, sarebbe la cura più semplice e radicale per il paziente. Ciò avrebbe rimosso la difficoltà e abbassato istantaneamente l'altezza della situazione reale, dopodiché il paziente avrebbe ritrovato ipso facto l'equilibrio della sua tensione nei confronti della vita. Si tratta di fuggire o evitare una situazione reale che è superiore alle forze del paziente. Tale rimedio è più facile da applicare come prevenzione che come cura. Una volta in possesso della posizione, delle circostanze, del buon nome, delle risorse finanziarie, ecc. renderanno quasi impossibile questo ritiro strategico. Ma prima di accettarlo, un buon consiglio dato per tempo dal direttore potrebbe evitare, a costo di privazioni materiali o di onore o gloria umana, la lacerazione e la perdita della pace di tutta una vita.

            E comunque sono i superiori di comunità che devono applicare questo rimedio: tengano sempre presente questa regola, e non distribuiscano equamente gli oneri, come se tutti gli uomini fossero messi a portare lo stesso peso. È un abuso di autorità invocare l'obbedienza e la mortificazione per imporre obblighi a sudditi che sono veramente al di sopra delle loro forze. E quando dico "le sue forze", intendo quelle fisiche, ma soprattutto quelle psichiche. L'esperienza insegna, tuttavia, che questo abuso viene commesso con grande frequenza. Con la migliore retta intenzione, ma con assoluta ignoranza di psicologia e prudenza, ci sono superiori che, per essere "giusti", vogliono imporre a tutti gli stessi obblighi in egual modo, senza considerare che non tutti hanno né le stesse condizioni né la stessa capacità. L'unica giustizia praticabile per un governante buono e prudente è quella proporzionale alle forze e alle condizioni di ciascuno. Perché così come c'è un'incapacità fisica e un'incapacità intellettuale per svolgere certi compiti -qualcosa che tutti vedono e capiscono- c'è anche un'incapacità di tensione psichica, non meno reale di quella -che spesso non viene notata.

            Con questa regola di prudenza, in molte vite si sarebbe evitato il crollo psichico -quasi mai perfettamente curabile- che genera la persona "amareggiata" e che spesso porta anche al collasso morale. Alcuni superiori si sarebbero risparmiati il dolore di vedere uscire dalle file della loro Congregazione o collegio, ecc., soggetti molto capaci e virtuosi oltretutto, con questa misura elementare di prudenza, che evitando una vita di angustie e squilibri solo togliendoli da certi compiti e imposizioni eccessive per loro, sarebbero stati liberati dall'esasperazione e dall' abbandono della loro vocazione e forse dalla stessa bancarotta morale della loro vita.

            Non tutti gli uomini sono per tutte le compiti; le forze psichiche più di quelle fisiche sono disuguali. E un soggetto capace di svolgere un'attività enorme e feconda in un settore, può non possederla in un altro e raramente è colui che la possiede in tutti. Così la persona scrupolosa, per la quale lo svolgimento di un incarico di responsabilità può costituire un onere insopportabile, è in grado di svolgere una proficua attività scientifica, artistica, ecc. In tali casi, è necessario far comprendere al paziente, al quale viene imposta la rinuncia a certi incarichi, che la grandezza morale, anche umana, non dipende dall'incarico che si svolge, ma dal modo di svolgerlo, e che si può essere ugualmente grandi su tutti i gradini della gerarchia sociale.

 

3) L'elevazione della tensione psichica, secondo rimedio per gli scrupolosi

 

            Poiché la causa dello scrupolo risiede nello squilibrio tra la tensione psichica e l'atto da compiere, è chiaro che il livellamento tra i due può essere riconquistato non solo abbassando la difficoltà della situazione, ma anche innalzando e intensificando le forze psichiche.

            Per questo, il direttore deve incoraggiare lo scrupoloso, fargli vedere l'inanità e la banalità dei suoi dubbi e delle sue angosce, aprire la sua anima alla fiducia in Dio e alla gioia della vita cristiana con pensieri e riflessioni sulla bontà di Nostro Signore. Deve fargli capire che se tendere alla perfezione è compito e dovere del cristiano, essa deve essere fatta senza eccessi che portano solo al male, e che infatti la condizione umana è tale che potremo raggiungerla solo in parte e con molti difetti e fallimenti; che ciò che è importante e ciò che Dio esige da noi è la buona volontà, il desiderio sincero di servirlo, e non fare i nostri atti con perfezione oltre le nostre forze. Il direttore non dovrebbe mai stancarsi di sollevare lo spirito di quest'anima, che per la sua situazione di vita e sensibilità, gravita verso la tristezza, il pessimismo, l'abulia, l'abbandono, la pigrizia e la disperazione. I temi delle sue meditazioni e letture devono essere i più adatti a tale fine (la bontà di Dio, la sua misericordia, la sua paternità, ecc.). Generalmente, soprattutto se la malattia è un po' più avanzata, il paziente va dissuaduto dal fare esercizi spirituali, confessioni generali, ecc., perché la considerazione degli ultimi momenti e dei peccati -così buoni da infondere il santo timor di Dio- in il nostro malato riescono solo ad angosciarlo e ossessionarlo sempre di più.

            È necessario incoraggiare il paziente, facendogli vedere il valore della propria vita e delle proprie qualità, di cui non è consapevole per il suo stesso stato, che né la sua esistenza è sterile né le sue forze così deboli come crede. Abbiamo detto altrove che lo scrupoloso è intelligente e nel peggiore dei casi non è uno sciocco, e molte volte capace di svolgere una preziosa attività scientifica, artistica, ecc., oltre che di solito è una persona sufficientemente virtuosa. Il suo stato lo porta ad apprezzare tutto ciò che fa come incompleto e imperfetto e a giudicare tutto ciò che fa con disprezzo e persino sentirsi annoiati della propria vita. Sarà bene che chi ha preso la direzione della sua anima, gli faccia vedere il valore delle sue opere, il rispetto e l'apprezzamento che il suo comportamento suscita intorno a lui, incoraggiandolo a lavorare con moderazione nella coltivazione delle sue non comuni qualità.

            Il direttore deve anche sforzarsi di accendere nel suo animo la gioia della vita cristiana, incoraggiandolo a compiere i suoi atti di pietà e le sue opere quotidiane con semplicità e pace, senza preoccuparsi eccessivamente del loro esito. Togligli ogni tormentosa concentrazione e infondigli una concezione più ottimistica della vita, facendogli vedere che insieme ai tanti mali della terra, ci sono anche tante cose buone: anime generose, virtù ed eroismi. Mettendolo in contatto con un buon amico, pieno di entusiasmo e sana allegria, il direttore otterrà forse più che lunghe chiacchierate sull'argomento. Gli infiniti orizzonti della carità e dell'apostolato, presi con moderazione, daranno incoraggiamento e valore a quest'anima, fatta di generosità, e nello stesso tempo le porteranno il conforto e la purissima gioia dello spirito, di cui ha tanto bisogno.

            Si sforzerà di instillare nello scrupoloso un'idea più umana della vita, facendogli comprendere che la grazia non si oppone alla natura e che è indispensabile tener conto delle sue ragionevoli esigenze. A tal fine, deve cercare le distrazioni necessarie, evitare il lavoro eccessivo o troppo faticoso, che, sebbene alla sua portata, non fa che indebolirlo e predisporlo a nuovi attacchi di ossessione, e prendersi il necessario riposo quotidiano e le periodiche vacanze. È estremamente importante -per la correlazione del fisico e dello psichico- fargli curare il suo sonno, la sua dieta e i suoi esercizi corporei. Per tutto questo regime della sua salute organica, che di solito soffre di una depressione generale simile a quella dell'ordine psichico, sarà opportuno metterlo in contatto con un buon medico. Ma per quanto riguarda le sue infermità psichico-spirituali, nessuno è un medico migliore e ha un'influenza più efficace sugli scrupolosi dello stesso confessore. Se in altre malattie nervose è opportuno consultare un medico competente, riteniamo che nel nostro caso non solo non sia necessario, ma neppure conveniente, se non nell'aspetto corporeo della malattia, come si è detto, poiché nessuno possiede l'indispensabile autorità morale di imporre al paziente le norme terapeutiche sopra enunciate, prescindendo dallo stesso confessore o direttore spirituale, oltre al fatto che il medico -salvo onorevoli eccezioni- rischia di non comprendere il paziente e la portata della sua malattia, se non soprattutto se non è cristiano, per dissuaderlo da ogni pratica e vita cristiana, come unico rimedio alla sua malattia.

            Ancor più nel caso degli scrupolosi, crediamo che il medico, consultato, posto di fronte ad un malato di tale natura, debba declinare le sue cure e guarigioni in un sacerdote santo e prudente. Solo nei casi di ossessione in materia non religiosa, è il medico che deve fornire i mezzi terapeutici, uguali o simili a quelli appena citati.

 

 

 

 

Capitolo V


Conclusione

 

 

 

 

 

            L'esperienza insegna che quando lo scrupolo non è dovuto a una circostanza eccezionale che ha straordinariamente accresciuto la difficoltà della situazione reale, ma a una vera depressione psichica, questa malattia è poco meno che incurabile. Il paziente difficilmente raggiunge il livello normale di tensione psichica, che non ha ricevuto in eredità o che ha perso a causa di una circostanza speciale della sua vita. Tuttavia, con il doppio procedimento indicato di semplificare la difficoltà e stimolare l'intensità delle sue forze, il paziente può raggiungere un equilibrio, se non naturale e permanente, almeno abituale e acquisito nel modo esposto, che rende la sua vita sopportabile e tollerabile. Fedele ad una direzione spirituale buona ed energica, di cui abbiamo appena tracciato le linee fondamentali, il paziente riuscirà non solo ad ammorbidire gli spigoli laceranti della sua malattia, ma potrà anche raggiungere, attraverso questo cammino di obbedienza alla norma del suo confessore, padronanza della situazione, che non otterrebbe con il proprio discernimento e decisione. Regolarizzata la sua vita con questo mezzo straordinario, potrà sfruttare meglio le sue forze, talora notevoli, d'intelligenza e di carattere, ed applicarle ad un lavoro utile e fecondo. Non dimentichiamo che grandi saggi e santi soffrirono di questa malattia, che sembra non essere altro che la malattia delle grandi anime dell'aristocrazia spirituale, e che l'intelligenza penetrante dello scrupoloso, sottratto alle sue meditazioni e cavillare dalla mano prudente di il direttore, per applicarsi alle scienze, può portare i frutti stagionati di un Sant'Agostino o di un cardinale Franzelin, così come l'ardente desiderio di perfezione del malato, ben indirizzato, ha potuto raggiungere i frutti della santità di Teresa di Lisieux.

            La vita della persona scrupolosa, già normalizzata, non avrà praticamente nulla di anormale né gli impedirà il fruttuoso sviluppo delle sue attività. Ma lo sforzo sostenuto, che mantenere l'equilibrio tra la sua tensione e la difficoltà gli richiede di rimanere costantemente e ciecamente fedele alla sua regola, non potrà mai dargli la pace e la tranquillità saturante di chi raggiunge quel livello per naturale spontaneità. La nuvola oscura delle sue angoscie, dubbi e ossessioni si dissiperà, la luce illuminerà di nuovo la sua vita, anche se solo in rare occasioni brillerà nella sua anima lo splendore di un sole radioso. La sua esistenza scivolerà, sempre illuminata da una luce che non riesce a dissipare del tutto il cielo grigio della sua coscienza.

            Quella sarà la sua croce, la croce della sua vita, la croce della sua purificazione e ascensione a Dio, la sofferenza, non più intollerabile e sterile come prima, è vero, ma la sofferenza permanente, che senza privarlo di svolgere una feconda attività, si proietta nel profondo della sua anima come un cono d'ombra per velare un po' tutta la sua vita e imprimere un accenno di tristezza e insoddisfazione nella sua tonalità affettiva. Beato lui, se sostanzialmente guarito dalla fedeltà alla sua direzione, sa portare quella croce permanente della sua vita, che privandolo della soddisfazione e della gioia saturante di un'anima sottomessa al suo dovere, gli riserva in paradiso il premio totale delle sue opere, nello stesso tempo che lo allontana da un pericoloso ristagno della sua vita spirituale, lo stimola con quella stessa insoddisfazione a un costante miglioramento e lo unisce così intimamente alla Croce redentrice del Salvatore. Per lui l'assioma della vita cristiana è singolarmente valido e in lui trova un compimento più compiuto: "Per crucem ad lucem, Attraverso la croce alla luce".

 Immagini da Internet: Mons. Derisi

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