Papa
Francesco è diverso da tutti gli altri Papi?
Mi percuota il giusto e il fedele mi
rimproveri;
ma
l’olio del peccatore non profumi il mio capo
Sal 141,5
Una gara a chi la spara più grossa
In questi ultimi anni del
pontificato di Papa Francesco una potente organizzazione modernista massmediatica
ha costruito attorno alla figura del Papa il mito fantastico del «Papa diverso
da tutti gli altri», «un Papa così non c’è mai stato», ha fatto esplodere una
mastodontica glorificazione di Papa Francesco, quale non vediamo tributata
neppure agli Imperatori Romani o ai Faraoni d’Egitto, con l’intento evidente di
esaltare non il vero papato, ma un personaggio dalle dimensioni ciclopiche, un
superman, presentandolo non tanto come Vicario di Cristo, che è troppo poco, quanto
piuttosto, a quel che sembra, migliore di Gesù Cristo, il quale, tutto sommato,
sembra nella dottrina troppo astratto e nella sua morale piuttosto rigido, con
i suoi dogmi e comandamenti fissi ed assolutamente obbligatori per tutti, pena la
dannazione eterna; mentre Francesco predica la libertà, «una vita rilassata»
(Radclyffe), il progresso e la salvezza per tutti; Cristo ha una dottrina fondamentalista
ed intransigente, che non dà spazio a idee diverse, mentre Francesco predica il
pluralismo e il rispetto per le idee degli altri; Cristo ha la pretesa
dispotica di fondare una religione dominante, che sia assolutamente vera alla
cima delle altre religioni, miste ad errori, mentre Francesco, molto
democratico e di mente aperta, dice che
tutte le religioni sono relative le une alle altre, allo stesso livello,
reciprocamente complementari, e sono volute da Dio e tutte conducono a Dio. Cristo
giudica e condanna; Francesco non giudica nessuno ed accoglie tutti. Cristo è
buono con alcuni e cattivo con altri; Francesco è buono con tutti. Così almeno vogliono far passare la figura di
Francesco.
Quasi ad eseguire un copione o
programma prefissato da tempo, già fin dagli inizi del pontificato di Papa
Francesco, si sono succeduti, quasi si trattasse di una carrellata sulla scena
di un teatro, numerosi personaggi di spicco inneggianti ed osannanti, cantori
di corte, aspiranti o sedicenti o cosiddetti «amici», laici ed ecclesiastici,
ognuno con l’elogio sperticato di uno speciale vero o presunto titolo di merito
del Papa. Tutto cominciò col titolo corale di «Papa della misericordia»[1], virtù effettivamente
molto cara a Papa Francesco e anche praticata, tanto che l’ha messa persino nel
motto del suo stemma pontificio.
Frattanto, poco tempo prima
dell’elezione di Francesco, il Card. Martini, pochi mesi prima della morte,
aveva preparato lo scenario scrivendo sul Corriere
della sera che la Chiesa di allora non era mai andata così bene, che
possedeva buoni teologi, tra i quali Karl Rahner, mentre, regnante ancora
Benedetto XVI, ebbe la spudoratezza di affermare che la Chiesa di Papa
Ratzinger era rimasta indietro di due secoli. Dunque si attendeva un Papa
palingenetico e rinnovatore del mondo.
Come è noto, poi, il Card. Danneels,
una volta eletto Papa Francesco, dichiarò pubblicamente che egli, insieme con
altri Cardinali di orientamento rahneriano, come il Card. Martini, Lehmann,
Kasper, Silvestrini, Murphy O’Connor, Baskys, Van Luyn ed altri, fin dal 1996
aveva preparato l’elezione di Papa Francesco. Per questo non c’è da
meravigliarsi se la pastorale di Papa Francesco, può ricordare le idee di
Rahner. Tuttavia, è degno di nota che il Papa non ha mai ricordato Rahner. E in particolare è degno di nota che
nel Magistero di Papa Francesco, nonostante l’ambiguità di certe sue
espressioni, non è mai possibile
riscontrare traccia delle eresie di Rahner.
Sin dagli inizi del pontificato
Papa Francesco ricevette un formidabile lancio pubblicitario da Eugenio
Scalfari, astutissimo laicista ateo, il quale dichiarò che finalmente era
apparso un Papa che gli piaceva, cosa che non comportò nessun avvicinamento di
Scalfari alla fede, ma al contrario, in successivi incontri col Papa, fu di una
tale slealtà e sfrontatezza, che la Santa Sede dovette ogni volta
successivamente smentire le false notizie che Scalfari aveva diffuso dei
colloqui col Papa, nei quali colloqui faceva con soddisfazione apparire il Papa
come un eretico.
Questi modernisti fanatici non intendono
il compito del Papa come quello di conservare e trasmettere immutata (la
«traditio») una determinata collezione di immutabili verità di fede, alla quale
nulla si può aggiungere e nulla si può togliere, perché, da buoni
evoluzionisti, sono convinti che tutte le verità umane e divine cambiano col
mutare dei tempi ed inoltre, come ha detto il Card. Kasper, non sappiamo
esattamente quali e quante sono le verità di fede.
Ma il compito del Papa sarebbe secondo loro quello
di rinnovare il dato dottrinale nell’ascolto dello Spirito che tutto rinnova. C’è
anche chi, come Massimo Borghesi, ha voluto presentare lo stesso metodo di
pensare di Papa Francesco come un nuovo metodo originale di pensare,
chiamandolo «pensiero agonico»[2]. Ecco poi apparire, come
lo chiama Kasper, il «nuovo paradigma». Non si sa bene però che cosa è questo
«paradigma». Paradigma di che cosa? Kasper non lo spiega. Resta l’aura di
mistero per aumentare la suggestione. Ma comunque per lui non occorre
precisare. L’essenziale è che sia un qualcosa di nuovo, non importa che cosa[3].
Altra sparata pubblicitaria che
circola nel pubblico è che il Papa sarebbe l’iniziatore di una «svolta
epocale», senza che si riesca a capire anche qui di che cosa dovrebbe
trattarsi. Ma l’importante è spararla grossa, e poi gli ingenui la bevono a
bocca aperta. Ma questa certamente non è serietà nei confronti di un Papa. Se
di svolta si può e si deve parlare a proposto dell’attuale Papa è semmai
un’auspicata attuazione della riforma conciliare, che corregga l’interpretazione
modernista del Concilio, che da 50 anni sta facendo immensi danni screditando ingiustamente
il Concilio agli occhi di molti cattolici.
Titoli
inadatti a lodare un Papa
I tuoi nemici
vorranno adularti
Dt 33,29
È
interessante notare altresì come i titoli laudativi inventati dagli adulatori ed
incensieri modernisti, a parte alcuni titoli attinenti o per lo meno non
sconvenienti con all’ufficio petrino, come quello di «radicalmente aderente al
Vangelo» (Francesco Cosentino[4]), quello di «grande
profeta» e «grande teologo», «comunicatore universale», «Papa della libertà»
(Radclyffe, Grillo), e più precisante «Papa della libertà di coscienza» (Padre
Sosa Abascal), o della libertà sessuale (Padre James Martin, Mons. Paglia, Enzo
Bianchi), appellativi comunque esagerati
o fraintesi, presentano un Papa sbalorditivo ed inaudito, «rivoluzionario»
(Spadaro), ma nel contempo pacificatore e conciliatore universale, tra
cattolici e luterani (Kasper), tra cattolici ed ortodossi (Melloni), tra
cristiani ed ebrei (Di Segni), tra cristiani e musulmani (Accordo di Abu
Dhabi), tra credenti e non credenti (Scalfari), tra teisti e panteisti
(rahneriani), fra teisti ed idolatri (cultori di Pachamama), nessuno dei
modernisti esalta il Papa con quelle lodi che converrebbero al Successore di
Pietro e Capo della Chiesa cattolica: la pietà religiosa, il timor di Dio e non
quello degli uomini, l’umiltà e lo spirito di penitenza, l’annuncio integrale
del Vangelo, con chiarezza, senza equivoci, senza tagli, o reticenze e rispetti
umani, lo zelo per la sana dottrina e per la conversione delle genti a Cristo, un
dialogo costruttivo e persuasivo circa la verità del Vangelo, la confutazione e
repressione dell’eresia, l’unione, saggiamente dosata, della motivata misericordia
con la giusta severità, la difesa del primato pontificio su tutte le autorità
della terra, la prudenza e il coraggio nel governo della Chiesa, la cura
efficace per l’unità interna della Chiesa, nel superamento degli estremismi,
divisioni e conflitti.
I modernisti riconoscono reali
meriti di Papa Francesco, come il suo appello alla fratellanza universale,
l’attenzione agli ultimi, agli sfruttati ed agli emarginati, la sensibilità ai
valori umani dovunque si trovino, l’attenzione alla chiamata universale alla
figliolanza divina ed alla santità, il suo linguaggio immediato ed stimolante, a
volte spiritoso, le battute efficaci, la viva percezione della collegialità
episcopale e del ruolo dei laici nella Chiesa e nella politica, ma è molto
significavo che i modernisti non vedano difetti pastorali e morali del Papa,
con la sua grave negligenza nel correggere gli errori dottrinali e dogmatici,
la sua mancanza d’imparzialità, la sua simpatia per la sinistra e la durezza
con la destra, il suo linguaggio a volte ambiguo e doppio. Ma è chiaro che
tutte queste cose fanno loro piacere e comodo, per cui, se parlano di un Papa
«scomodo», come fa Cosentino, per loro, sotto questi aspetti, è un Papa
comodissimo.
Ed inoltre è significativo come i
modernisti trascurino completamente – perché ciò per loro sarebbe estremamente
scomodo - di lodare il Papa per suoi reali ed eccelsi, benché rari, meriti in
campo teologico e dottrinale e spirituale, come la sua condanna dello
gnosticismo e del pelagianesimo, la devozione allo Spirito Santo, la sua
devozione rosariana, le sue preziose istruzioni circa la lotta contro il demonio.
L’interpretazione del pontificato
dell’attuale Papa come papato straordinario, diverso da tutti gli altri non è
solo lo stravedere di visionari o l’invenzione di menti esaltate, ma ha anche
un fondo di verità in due sensi opposti: uno positivo ed uno negativo: positivo
per l’aver compiuto atti o fatto gesti che nessun Papa aveva mai fatto o
pensato di poter fare, come quella che lui chiama «ecologia integrale», l’accordo
di Abu Dhabi, la condanna dello gnosticismo e del pelagianesimo, un Sinodo
sull’Amazzonia, un accordo con la Cina Comunista.
Aspetto negativo di questa
straordinarietà è il fatto che questo Papa crea difficoltà alla virtù della
fede, cosa mai successa in precedenza, in quanto sono bensì esistenti Papi con
tutti i peccati possibili ed immaginabili; ma Papi che creassero dubbi sulla
fede o dessero l’impressione di cambiare i dogmi o il contenuto la dottrina
della fede, Papi apparentemente relativisti, lassisti, eretici, massoni,
modernisti o rahneriani non si sono mai dati. Ciò ha creato tra i cattolici,
come Cardinali, Vescovi, teologi, moralisti, e comuni fedeli un grande
sconcerto, suscitando divisioni, polemiche, scismi, corruzione morale tra i
cattolici, e compiacimento tra i modernisti, i massoni, i comunisti, i
rahneriani, gli islamici, e gli stessi non-credenti.
Ma non è
questa la maniera di lodare un Papa
Una bocca adulatrice produce rovina
Pr 26,28
In
realtà, i titoli di merito aggiunti dai modernisti non hanno niente a che fare col ministero petrino, ma sono di
carattere puramente secolare e politico, oltre a ciò discutibili, come la
simpatia per la politica di sinistra[5], con la sua tendenza
populista russoiana, l’ eccessivo insistere sull’ecologia, sull’egoismo
economico e la sete del danaro, come fossero l’unica causa di tutti i mali
della società, trascurando o minimizzando quelle cause gravissime, che sono il
soggettivismo dottrinale, la superbia, il materialismo, l’ateismo, il
relativismo e l’edonismo morale; troppo duro con la destra, accusata di
conservatorismo solo perchè vuol conservare il deposito della fede; destra che
egli accusa di rigidezza e rigorismo, solo perchè ricorda l’importanza
dell’ascetica e tiene ai valori assoluti ed immutabili, in modo speciale nel
dogma, nella liturgia e nell’etica sessuale.
Particolarmente astuta è la mossa
di coloro che vorrebbero presentare il Papa come un rahneriano, il grande deus ex machina della teologia
modernista di oggi, come ha fatto di recente Alfonso Botti nel suo articolo Se il Papa s’ispira a Rahner, in Vatican Insider del 20 maggio scorso. Ma
il Papa è sempre abilmente sfuggito a questa
trappola, consapevole della sua responsabilità di Maestro della fede. Papa
Francesco non ha mai nominato Rahner, anche se certamente i rahneriani
premeranno su di lui perchè lo nomini. Potrebbe anche farlo, ma è molto
significativo che non lo faccia. Non é certo segno di approvazione. Il Papa non
s’ispira a Rahner, ma a Gesù Cristo.
La grossa
questione è il governo della Chiesa
Amate la
giustizia, voi che governate sulla terra
Sap 1,1
L’appunto
principale che vien fatto a Papa Francesco da parte di osservatori, consiglieri,
collaboratori saggi e qualificati è quello di governare male la Chiesa,
concedendo troppa libertà agli eretici, curando poco la conservazione del
deposito della fede, insistendo troppo sul cambiamento, sordo ai buoni consigli
e sensibile agli adulatori, troppo timoroso di ciò che il mondo può fare contro
la Chiesa, e poco curante di espanderla nel mondo, più curante dei rapporti
della Chiesa col mondo che non degli affari interni della Chiesa.
A quest’ultimo riguardo Papa Francesco
potrebbe essere paragonato ad un padre di famiglia, il quale, anziché dedicare
le sue cure innanzitutto alla moglie e all’educazione dei figli, se ne stesse
troppo tempo fuori casa, più interessato ai buoni rapporti con gli altri, che
non con i propri familiari, tutto preoccupato di andar d’accordo con questi
altri e senza curarsi di risolvere i conflitti che nascono in famiglia. Sarebbe
questo un buon papà? No certamente.
Ora, dobbiamo però ricordare a
questo riguardo che la pastorale del Concilio Vaticano II, sembra avere un
difetto simile. Esso, infatti, è il primo nella storia dei Concili, che non si
rivolge solo ai cattolici, ma «a tutti gli uomini di buona volontà» e pare
avere l’ingenuità di credere che di fatto tutti gli uomini siano di buona
volontà. Il che purtroppo non è vero. Da qui la necessità sempre sentita dai
Concili del passato, consapevoli della malizia umana, di avvertire che chi non
accetta i decreti del Concilio non può far parte della Chiesa, è nemico della
Chiesa o è escluso dalla Chiesa: il famoso anàthema
sit.
Invece l’ultimo Concilio fornisce
ottimi insegnamenti, ma non pare curarsi più di tanto di stabilire i
provvedimenti da prendere contro coloro che li falsificano. Ciò ha reso possibile il ritorno del modernismo, che è
consistito esattamente nella falsificazione
delle dottrine del Concilio. E ciò spiega come mai i modernisti, per
esempio i rahneriani, abbiano potuto farla franca fino ad oggi e dare ad
intendere a molti di essere loro i veri interpreti del Concilio, agendo
indisturbati e suscitando la reazione opposta dei lefevriani, che accusano le
dottrine Concilio di essere moderniste.
Ora, Papa Francesco, anziché correggere
questa interpretazione modernista, l’ha tollerata ed anziché correggere quel
difetto pastorale del Concilio, lo ha accentuato, provocando nella Chiesa una situazione
di tale sofferenza e disagio, che finalmente oggi se n’è accorto e sta correndo
ai ripari. Uno dei segni confortanti di tale provvidenziale svolta della
pastorale del Papa è precisamente la sanzione contro Enzo Bianchi, il quale è
uno dei più noti e popolari esponenti di coloro, che, in questa situazione,
come dicono i romani, «ci marciano».
Inoltre sembra che Francesco
senta molto la Chiesa come insieme di comunità diverse, ma che avverta poco i
valori dell’unità e dell’universalità della Chiesa. Da qui la sua famosa
immagine del poliedro, che è certamente bella e vera. Ma è incompleta, perché
non dà la rappresentazione dell’universale,
ossia di ciò che nei singoli è sempre identico a sé stesso («unum in multis et de multis»). Ogni
cattolico, in quanto cattolico, è essenzialmente identico ad ogni altro cattolico,
anche se concretamente è un diverso cattolico.
Ma l’essere cattolico come tale è
sempre lui, è sempre presente identicamente a se stesso in tutti i cattolici,
altrimenti non sarebbe possibile l’universalità della Chiesa cattolica, la quale
è universale non tanto per il fatto che è sparsa dappertutto, ma perchè
dappertutto e dovunque possiede sempre la
medesima identità essenziale, è sempre lei, benché in modi concreti sempre
diversi. Questa è la vera, essenziale universalità della Chiesa, già dal giorno
di Pentecoste, nel quale essa si presentò al mondo, anche se era solo a Gerusalemme,
anche se non era ancora sparsa per il mondo.
Papa Francesco ha molto la
percezione del concreto, ma, per una sua certa antipatia per l’astrazione, sembra
faticare nell’astrarre l’universale dal singolo concreto, per pensare e
teorizzare concettualmente l’universalità della Chiesa, anche se ovviamente va
detto che Papa Francesco, come Maestro della fede, trattandosi di un concetto
di fede, di fatto lo possiede
esattissimamente.
È vero, d’altra parte, come
sottolinea spesso il Papa, che la Chiesa è una realtà pluralistica, diversificata
o molteplice (cf I Cor 12, 4-30), ma sta di fatto che non la molteplicità o la
varietà, ma l’unità e l’universalità («cattolica») sono le note di fede della Chiesa. È chiaro che unità non vuol dire
uniformismo o conformismo o monolitismo. È chiaro che l’unità non esclude
affatto la molteplicità, ma è il fondamento ed è il principio dell’unione, del
collegamento, della coordinazione e dell’organizzazione armoniosa delle parti
fra di loro.
Diversamente, avremmo il caos, il disordine, la
confusione, la contrapposizione e la divisione, che non sono l’effetto dello
Spirito Santo, ma del diàbolos, del
divisore, del demonio. Il molteplice da
solo non crea l’unità o l’unione, perché di per sé dice solo separazione; ma gli
occorre un principio di unità: questo vale per ogni comunità umana e vale anche
per la Chiesa. L’unità serve proprio a garantire la sana molteplicità, affinché non ci sia un bellum omnium contra omnes. Principio supremo di unità della Chiesa
è lo Spirito Santo in Sé stesso e per mezzo dei suoi doni, santificanti,
gerarchici e carismatici.
Papa
Francesco risente di un vecchio errore pastorale
I tuoi pastori
dormono
Na 3,18
Occorre
peraltro ricordare, per fare un po’di storia, che subito dopo il Concilio vi furono
coloro che compresero esattamente il vero pregio della pastorale conciliare e
specificamente dell’ecclesiologia conciliare, come il Congar, il Maritain, lo
Journet o il Daniélou o lo Spiazzi, mentre i Papi del postconcilio si
adoperarono a darne la giusta interpretazione.
Ma purtroppo già dall’immediato postconcilio
nacque quella sciagurata frattura intraecclesiale fra tradizionalisti e
modernisti, che oggi con Papa Francesco, è giunta ad una gravità inaudita, frattura
grave non tanto per il suo esser segno della presenza dell’eresia, che nella
Chiesa è sempre esistita, quanto piuttosto per il fatto che entrambe queste due
opposte correnti in lotta fra di loro all’interno della Chiesa pretendono
entrambe, pur nella comune disobbedienza al magistero pontificio, di
rappresentare il vero cattolicesimo e la vera Chiesa.
Ma la cosa mai successa finora è
che mentre in passato gli eretici erano espulsi dalla Chiesa o essi stessi ne
uscivano, per cui se ne stavano fuori, mostrando apertamente la loro ostilità,
adesso essi, fingendosi o credendosi cattolici senza esserlo, restano cocciutamente e spavaldamente nella
Chiesa, della quale gli uni si considerano la punta avanzata e gli altri i
custodi della vera tradizione, ma gli uni e gli altri, per loro disobbedienza
al Magistero, la guastano dell’interno, perseguitano i veri cattolici e,
numerosi e potenti come sono diventati, impediscono al Papa di esercitare il
suo potere disciplinare.
Ora, c’è da dire che
effettivamente la Gaudium et spes,
che è documento solamente pastorale e non dogmatico, pur nei suoi aspetti di
grande saggezza pastorale, nella sua parte pastorale è inficiata da una visuale
utopistica e troppo ottimistica del mondo moderno ed inoltre sembra sottendere
l’idea buonistica ed ingenua di un’umanità sostanzialmente innocente e in buona
fede, esente dalle conseguenze del peccato originale, anche in certi suoi atti
più oggettivamente malvagi, bisognosa
solo di misericordia e mai di castigo o di coercizione.
Ma la cosa più seria è che dietro
a questo permissivismo e falsa misericordia sembra fare capolino l’idea
marcionista di un Dio, preferibilmente detto «veterotestamentario», che non
punisce mai, ma sempre perdona, tollera e scusa, per non dire che lascia libero
l’uomo di agire come crede («libertà religiosa»), nella falsa certezza, di
marca rahneriana, che tutti si salvano. Se così il Concilio insegnasse
veramente, sarebbe nell’eresia. Ma è stata una delle eresie di Lutero
condannate da Leone X, il credere che l’eresia possa entrare in un Concilio
(Denz. 1479).
Questa idea marcionista del Dio bonaccione
che non castiga perché sennò sarebbe cattivo, è balzata in piena luce nei
discorsi e negli articoli di molti prelati e teologi nelle passate settimane
della pandemia, ed io ho avuto il mio da fare nel confutarli uno per uno, mano
a mano che comparivano sulla scena. Ma ciò purtroppo è un’impressionante
testimonianza di questo clima di buonismo e di misericordismo, che in momenti
drammatici come questo della pandemia, non è capace di fornire quella risposta
risolutiva e consolante alla sofferenza, che solo dalla Parola di Dio può
provenire.
Sono sorti molti studi su questo
problema suscitato da Papa Francesco, problema molto delicato, perché tocca la
questione della conoscenza della verità della dottrina della fede, circa
l’insegnamento della quale il Papa possiede un dono d’infallibilità. Alcuni
Autori hanno messo in luce certe affermazioni o frasi del Papa, che
sembrerebbero smentire quel dono, ma che occorre invece interpretare o come sfuggite
di bocca, o dette scherzosamente, o inavvertitamente o imprudentemente o in
forma ambigua o come opinioni personali[6].
D’altra pare, bisogna anche dire
che se è vero che i Pontefici del postconcilio si sono sempre premurati di dare
la retta interpretazione delle dottrine del Concilio, non hanno efficacemente contrastato
la falsa interpretazione rahneriana, dando l’impressione di una certa
doppiezza, col permettere che essa si diffondesse tranquillamente in tutta la
Chiesa e che quindi Rahner sembrasse sostituire S.Tommaso, apparendo come il nuovo Doctor
communis Ecclesiae, contro le
direttive dello stesso Concilio, che raccomandano la dottrina dell’Aquinate.
A discolpa e a giustificazione di
quei Pontefici, partecipi dell’umana fragilità, tra i quali ve ne sono di Santi,
si può dire che essi non hanno avuto la
forza sufficiente per frenare il potentissimo rahnerismo ed è molto
probabile che Benedetto XVI, critico di Rahner, si sia ridotto a dare le
dimissioni su pressione della «mafia di San Gallo», composta da rahneriani. La
mafia di San Gallo, scegliendo Bergoglio come Papa, ha creduto di avere tra le mani
un docile strumento, ma non ha fatto i conti con lo Spirito Santo, il Quale ora
gli sta dando la forza di correggere la sua pastorale in barba alla mafia di
San Gallo e a tutti i falsi amici e i nemici della Chiesa.
Papa
Francesco riformatore della Chiesa
Trasformatevi
rinnovando la vostra mente
Rm 12,2
Tra
i titoli magniloquenti attribuiti dai modernisti al Papa non poteva mancare
quello di riformatore della Chiesa, naturalmente una riforma radicale, ab imis, quale mai finora si era vista,
non però sul modello della riforma del Concilio Vaticano II, ma di Lutero. Su
questa linea si trova la Conferenza episcopale tedesca capeggiata dal Card. Marx,
così come si è espressa nel suo recente sinodo.
Ma Papa Francesco ha dato un chiaro avvertimento ai Vescovi tedeschi a stare al loro posto e a non affrontare argomenti dottrinali, che non sono di loro competenza, tanto più se poi si tratta dell’idea eretica da loro avanzata di ammettere le donne al sacerdozio ministeriale, idea contro la quale il Papa si è già espresso riprendendo la definizione dogmatica in merito di S.Giovanni Paolo II.
Questa deformazione modernista della Chiesa, che i modernisti hanno voluto appioppare a Francesco, per la verità è ormai di vecchia data, è un brodo riscaldato sullo stile del ’68, e quindi è importante non confonderla con l’ecclesiologia autentica del Vaticano II.
Ma Papa Francesco ha dato un chiaro avvertimento ai Vescovi tedeschi a stare al loro posto e a non affrontare argomenti dottrinali, che non sono di loro competenza, tanto più se poi si tratta dell’idea eretica da loro avanzata di ammettere le donne al sacerdozio ministeriale, idea contro la quale il Papa si è già espresso riprendendo la definizione dogmatica in merito di S.Giovanni Paolo II.
Questa deformazione modernista della Chiesa, che i modernisti hanno voluto appioppare a Francesco, per la verità è ormai di vecchia data, è un brodo riscaldato sullo stile del ’68, e quindi è importante non confonderla con l’ecclesiologia autentica del Vaticano II.
Questa è contenuta soprattutto
nei due grandi documenti del Concilio, la Costituzione Dogmatica Lumen Gentium e la Costituzione
Pastorale Gaudium et spes. Come è
noto, però, l’ecclesiologia conciliare, con gli annessi decreti sull’ecumenismo
Unitatis redintegratio, sulla libertà
religiosa Dignitatis humanae e sul
dialogo interreligioso Nostra aetate,
se da una parte cominciò ad essere subito strumentalizzata dai modernisti, per
esempio dalla rivista Concilium,
dall’altra suscitò una reazione di rigetto in un ambiente cattolico, che non
riuscì a capire e ad apprezzare il valore di quei documenti, ma, ingannati
anche dal can-can fatto dai modernisti attorno a quei documenti, si convinse
che il Concilio aveva cambiato l’essenza della Chiesa togliendole il suo
primato sul mondo e riducendola ad un’organizzazione umanitaria soggetta al
mondo moderno[7].
Questa reazione di rigetto in
nome di un concetto di Tradizione che non sapeva riconoscere la Tradizione
nelle dottrine del Concilio, fu iniziata, come tutti sappiamo, da Mons. Marcel
Lefebvre e seguaci con la fondazione della famosa Fraternità Sacerdotale San
Pio X. Ma l’atteggiamento di eccessiva durezza di Papa Francesco nei confronti
del tradizionalismo anticonciliare ha finito per ampliare ed aggravare
l’opposizione per non dire l’ostilità nei suoi confronti di più ampli settori del
mondo cattolico, fino a che essi sono giunti ad accusarlo di eresia, per non
parlare di accuse ancor più insensate. Dispiace a questo riguardo il gioco poco
leale condotto da anni dal prof. Roberto De Mattei, storico della Chiesa, il
quale, senza giungere ad accusare formalmente il Papa di eresia, si sforza di
dimostrare la possibilità di un Papa eretico con esempi storici, che in realtà non
tengono.
Se Papa Francesco è negligente
nella repressione dell’eresia e guida la Chiesa con eccessiva indulgenza nei
confronti dei modernisti e se è troppo severo contro il tradizionalismo
anticonciliare, ciò non giustifica assolutamente il parlare che fa quest’ultimo
spregiativamente di «neochiesa» o di «Chiesa di Bergoglio», come se il Papa
avesse concepito una sua idea di Chiesa, contraria alla Tradizione e la volesse
imporre alla Chiesa stessa, idea falsissima, di menti maligne, che solo il diavolo
può ispirare.
Cristo
chiama Francesco ad essere il buon pastore
Il buon pastore
offre la vita per le pecore
Gv 1,11
Ci
attendiamo da Papa Francesco che Dio lo rafforzi nel suo compito di buon
pastore. Non si deve aver paura o ripugnanza dell’astrazione, quando essa è
giustificata dalle esigenze della conoscenza teologica e morale. La buona
pastorale è la prudente applicazione nel concreto della sana dottrina, che per
sua essenza è una verità astratta. È l’applicazione nella prassi della verità
pratica. L’antipatia per la verità astratta, che ogni tanto affiora in certi
discorsi, che vogliono essere pratici, col pretesto che l’azione è nel
concreto, in realtà è segno di una certa ignoranza, perché l’astrazione è il
clima proprio del pensare, e agire senza basarsi sul pensiero non è avere il
senso del concreto, ma è agire, come si suol dire, «con la testa nel sacco» o
come fanno gli animali, che non usano la ragione.
Ora, la pastorale riguarda
l’agire. Ma l’agire da solo non può essere norma a se stesso, non può
costituire dottrina. La pastorale da sola non fa dottrina e quindi non può
sostituire quella dottrina che dev’essere norma della pastorale o dell’agire, affinché
l’agire sia buono, secondo Dio e non combini disastri. La dottrina non emerge
dalla pastorale, anche se è vero che agendo si può comprender meglio quella
verità che si sta mettendo in pratica. Ma è la prassi che nasce dalla teoria,
così come è dal vedere che possiamo capire come dobbiamo muoverci. Un pastore
che non conosce la sana dottrina è un cieco, guida di ciechi: finirà nella
fossa lui e le persone che guida (Mt 14,15).
L’arte del buon pastore sta
altresì nel saper parlare quando occorre parlare e tacere quando occorre
tacere. Egli parla ed anzi insiste o, se occorre, alza la voce là dove occorre
insistere, ossia nel caso si tratti di verità importanti, che pochi ascoltano o
praticano, verità magari di non facile comprensione e che quindi hanno bisogno
di essere chiarite o spiegate, o liberate da errori o equivoci, mentre tace non
per rispetto umano, ma là dove non occorre parlare, ossia nel caso che si
tratti di verità elementari o evidenti, già note a tutti e comunemente
praticate, almeno dalla maggioranza.
L’arte del buon pastore è saper
correggere i fedeli devianti e il saper difendere il gregge dai lupi. Deve saper
riconoscere il lupo sotto la veste di agnello. Non deve prendere per lupo un
agnello che lo richiama al suo dovere. Ci sono dei pastori, i quali non
fuggono, non perché non hanno paura del lupo, ma perchè non si accorgono neppure
della loro presenza, li scambiano per pecore innocue o riformatrici, e non si
accorgono che invece le supposte pecore stanno sbranando le pecore del gregge.
Il buon pastore non acquista
nuove pecore senza aver verificato che siano sane, tali da non infettare le
altre. Cura le malate e rafforza le sane. Le chiama una per una (cf Gv 10,3). Tratta
ciascuna secondo i suoi bisogni, gli agnelli da agnelli, le pecore adulte da
pecore adulte. Fa in modo che vadano d’accordo fra di loro e in caso di conflitto,
giudica con imparzialità tra pecora e pecora (Ez 34,20), dando a ciascuna il
suo. Premia le buone e castiga le cattive. Cerca di aumentare il numero delle
pecore, invitando quelle adatte ed esortando quelle che si trovano in cattivi
ovili a venire da lui. Caccia dall’ovile le pecore malvage e ribelli e le pone
in un ovile a parte perché si correggano.
Il
congedo di Enzo Bianchi, segno di una nuova linea pastorale
Correggete gli
indisciplinati
I Ts 5,14
È
vero invece che Papa Francesco ha dato di recente con la sanzione ad Enzo
Bianchi un chiaro segnale di voler
correggere la sua eccessiva indulgenza verso i modernisti e di accogliere le
pressanti istanze e suppliche che da tempo gli giungono da tutti i buoni
cattolici di essere veramente il Padre di tutti i cattolici, senza parzialità,
ma sforzandosi di mediare fra tradizionalisti e progressisti, così che essi
collaborino tra di loro per il bene della Chiesa, evitando gli estremi
dell’ultratradizionalismo e del modernismo.
Bianchi effettivamente è l’esponente
più popolare e più famoso e nel contempo più insidioso e fascinoso di quel
cristianesimo buonista, laicista, naturalista, facile, liberale ed edonista, senza
obblighi stretti, senza peccato originale e senza penitenze o sacrifici
espiativi, senza gerarchie ecclesiastiche o gerarchie di religioni, dotato di
un vago alone mistico, col Papa come semplice capo religioso come tutti gli
altri, che piace ai non-cattolici, luterani, anglicani, ortodossi, ebrei,
musulmani, massoni, esoteristi, buddisti, taoisti, bramani.
La Chiesa di Bianchi non si
distingue dal mondo, non c’è un criterio per dire chi è fuori e chi è dentro.
Quindi non si entra e non si esce. Tutti sono nella Chiesa («cristiani
anonimi»). È fuori chi esclude gli altri. Accogliere tutti, non escludere
nessuno. Non la fede, ma le fedi. Nessun muro, ma solo ponti. Si vive tutti
assieme: Chiesa-mondo. Tutti sono figli di Dio. Tutti sono perdonati, nessuno è
punito. Non esistono condizioni per entrare e per uscire. Chi si considera
dentro e vuol star dentro, è fuori («la Chiesa non deve curare sé stessa»), chi
è fuori, è dentro («Chiesa in uscita»). Il futuro è adesso; l’adesso è il
futuro. Si tratta, in fondo, di un’estremizzazione della pastorale troppo larga
e troppo di sinistra di Papa Francesco.
Adesso il Papa si è accorto che
così non va e perciò ha scaricato Bianchi. Papa Francesco sembra essersi
accorto che accanto alla misericordia occorre recuperare la severità, senza
tornare agli eccessi di prima del Concilio, ma nella forma evangelica insegnata
dal Concilio, altrimenti la Chiesa diventa un bordello e una gabbia di matti e
di bestie feroci.
Il congedo di Bianchi, il maggior
esponente del rahnerismo popolare e in soldoni, è un chiaro avvertimento al
mondo del rahnerismo, anche a quello dotto ed accademico che fa al primo da
supporto e giustificazione culturale. «Adesso basta – sembra dire Papa
Francesco – mi avete preso in giro abbastanza, ho sopportato abbastanza, la
pacchia è finita, convertitevi e credete al Vangelo».
Il Papa sembra essersi disgustato
dell’immensa fanfaronata che gli hanno costruito attorno i modernisti nella speranza
di averlo dalla loro parte. Se in un primo tempo Francesco si è lasciato
abbacinare da questo fuoco d’artificio, adesso, accorgendosi che esso vuole la
distruzione della fede, della Chiesa e del cristianesimo, avverte con forza il richiamo
della sua coscienza e del suo dovere. I modernisti hanno il ben servito e
bisogna che si ritirino in buon ordine.
Il provvedimento della Santa Sede
nei confronti di Bianchi conferma la validità della sua istituzione di Bose e
proprio affinché essa possa continuare a dar frutto dev’essere potata, ossia
bisogna che Bianchi tolga dalla prassi di Bose quegli aspetti che non si
conciliano col vero ecumenismo, con la vera comunione ecclesiale e col Papa, aspetti che sono all’origine
della tensione e del disagio attualmente presenti a Bose, e che hanno suscitato
malcontento anche nei Vescovi del circondario.
Come reagiranno adesso i
modernisti? Probabilmente minimizzeranno e diranno che l’allontanamento di
Bianchi non significa che il Papa condanni un suo supposto modernismo, ma
semplicemente che ha voluto risolvere il suo conflitto personale col nuovo
Priore di Bose e metter pace in questa comunità disturbata dall’eccessiva ingerenza
del vecchio Priore.
Ma una spiegazione in questi
termini banali dell’intervento del Papa non è soddisfacente. Se è stato necessario
che intervenisse il Papa, Pastore universale della Chiesa, evidentemente qui
non ci sono in gioco gli interessi particolari di Bose, come dissensi in
comunità o la questione dell’esercizio dell’autorità a Bose, problemi per risolvere i quali può
bastare l’Ordinario del luogo, anche perchè Bose non dipende dalla Santa Sede.
Figuriamoci se il Papa dovesse ogni volta
scomodarsi per risolvere tutti i problemi e tutte le beghe pastorali con dispetti
e ripicche personali che sorgono ogni giorno nelle diocesi di tutto il mondo! Che
ci stanno a fare i Vescovi? Evidentemente, allora, si tratta di una questione che interessa tutta la Chiesa,
ossia quella che appunto ho trattato in questo articolo.
L’intervento del Santo Padre, a
parte la sua personale prudenza, è segno secondo me che egli sta prendendo le
distanze da consiglieri inadatti e che stanno subentrando consiglieri buoni e saggi, per aiutare
il Santo Padre a portare avanti con prudenza, sagacia, avvedutezza, modestia e
coraggio la vera riforma della Chiesa, quella voluta dal Concilio, sulle orme
dei Pontefici precedenti, nella continuità[8] e non nella rottura, se
non è la rottura col peccato. Così il Santo Padre rimarrà alla storia come
prosecutore coraggioso e zelante della riforma conciliare e strumento dello
Spirito Santo per una nuova Pentecoste.
P.
Giovanni Cavalcoli
Fontanellato,
31 maggio 2020
Solennità
di Pentecoste
[1] Il Papa ha fatto le lodi
del libro di Kasper «Misericordia. Concetto fondamentale del Vangelo – Chiave della
vita cristiana», Queriniana, Brescia 2015. Non vuol dire che il Papa approvi
tutto quello che Kasper dice, perché vi sono contenuti gravi errori, che
evidentemente il Papa non può approvare. L’errore più grave è l’idea
marcionista secondo cui, con la venuta di Cristo, il Padre ha cessato di
castigare. Basterebbe leggere il Vangelo per confutare questa eresia. Altro
errore è quello di ritenere la misericordia essenziale a Dio. No. Se Dio non
avesse creato il mondo, la misericordia divina non sarebbe esistita. Inoltre,
l’atto più alto dell’amore divino verso l’uomo non è la misericordia, che
suppone la miseria dell’uomo, ma è la glorificazione celeste dell’uomo in
paradiso, dove evidentemente l’uomo non ha più bisogno d’essere compassionato.
[2] Cf Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale, Jaca Book, Milano
2017.
[3] José Antonio Ureta ha
dedicato un intero libro per cercare di capire in che cosa consisterebbe questo
«nuovo
paradigma»: «Il
“cambio di paradigma” di Papa Francesco. Continuità o rottura nella missione
della Chiesa? Bilancio quinquennale del suo pontificato», Edizioni
Instituto Plinio Corrêa de Oliveira, Fano (PU) 2018. Tutto quello che gli pare
di capire sarebbe una rottura da parte del Papa col deposito rivelato. Ma
questo in realtà non può essere, perché vorrebbe dire che Papa Francesco è
caduto nell’eresia. E un Papa non può essere eretico. Così Ureta cita molte
frasi del Papa certamente malesonanti od oggettivamente erronee, che occorre
interpretare o in bonam partem o come
lapsus mentali o come male espresse o come opinioni private.
[4] Cf il suo articolo Un Papa scomodo, apparso su Avvenire del 12 maggio scorso.
[5] Così il Papa si è procurato
l’elogio di Massimo D’Alema, che lo ha salutato come «leader della sinistra
internazionale»; di Nicolás Maduro, presidente del
Venezuela, che in lui vede la «guida nella liberazione dei popoli»;
di Evo Morales, presidente della Bolivia, che gli ha regalato un Crocifisso con
la falce e il martello; e l’ammirazione
entusiasta di Leonardo Boff, leader impenitente di quella teologia della liberazione di orientamento
marxista, che fu già condannata dalla CDF nel 1984.
[6] Vedi per es. Mauro Mazza, Bergoglio e pregiudizio. Il racconto di un
pontificato discusso, Edizioni Pagine,
2018; Aldo Maria Valli, 266. Jorge Mario
Bergoglio Franciscus P.P., Liberilibri, Macerata 2016; Come la Chiesa finì, Liberilibri, Macerata 2017: A.J.Ureta, op.cit.
[7] Un esempio di questa incomprensione del
valore della vera ecclesiologia conciliare apparve fin dagli anni ’60
nell’opera del dotto filosofo cattolico, pur tomista, Romano Amerio, col suo
famoso libro molto documentato, ma purtroppo inficiato da questa incomprensione
tradizionalista, Iota unum. Studio delle
variazioni della Chiesa cattolica nel XX secolo Nuova Edizione Lindau 2019
Torino 2009. Il termine «variazioni» è un eufemismo, perché in realtà Romano
Amerio vorrebbe sostenere che il Concilio ha cambiato l’essenza della Chiesa, cosa impensabile per un cattolico,
perché sarebbe come accusare il Concilio di eresia. È stata invece l’operazione dei modernisti
quella di falsificare il concetto di Chiesa in senso ereticale e protestante,
spacciandola per ecclesiologia conciliare.
[8] Cf il mio libro Progresso nella continuità. La questione del
Concilio Vaticano II e del post-concilio, Edizioni Fede&Cultura,Verona
2017.
Caro padre Cavalcoli, comprendo il suo desiderio che questo Papa rinsavisca dalle derive, ma già nel libro "Il nome di Dio è Misericordia" ha dichiarato la sua convinzione del perdono di Dio a prescindere; come anche il cancellare della messa alla prova e quindi del giudizio nella preghiera del Padre Nostro lo confermano. Credo che Francesco si sia pentito di aver fatto troppe aperture ai vescovi tedeschi e adesso ha iniziato a mandare dei segni che impediscano di associarlo alle derive dottrinali che quei vescovi stanno sbandierando.
RispondiEliminaCaro Gennaro, la ringrazio per la segnalazione del libro del Papa. L'ho ordinato e lo leggerò con molto interesse. In ogni caso, le ricordo che sia il Concilio di Quierzy dell'853 che il Concilio di Trento insegnano che non tutti si salvano.
Eliminail mio commento è cortissimo: Bergoglio non è il Papa perchè è scomunicato.
RispondiEliminaCaro Unknown, le faccio presente che l'istituto della scomunica è sotto la suprema giurisdizione del Papa, il quale può scomunicare qualunque fedele, ma non evidentemente se stesso.
EliminaSe è possibile vorrei avere un suo commento su quando riportato da frà Alexis Bugnolo circa l'invalidità della rinuncia al mandato di Papa Benedetto XVI https://www.chiesaromana.info/index.php/2019/12/05/la-rinuncia-e-invalida-per-6-ragioni/
RispondiEliminaCaro Ignazio, la questione è molto semplice. Il Papa valido è Papa Francesco. Da qui qualunque cattolico, senza bisogno di aver fatto chissaquali ricerche se la rinuncia di Papa Benedetto sia o non sia valida, può dedurre che la rinuncia è valida. Se infatti lo stesso Papa Benedetto ha fatto professione di obbedienza a Papa Francesco, evidentemente la sua rinuncia era valida, come pure è valida la elezione di Papa Francesco.
Elimina