Sulla questione del limbo - Seconda Parte (2/2)

 

Sulla questione del limbo

Seconda Parte (2/2)
 

Nel fuoco della discussione

 

Il documento della CTI afferma che “occorre riconoscere chiaramente che la Chiesa non ha conoscenza certa della salvezza dei bambini che muoiono senza battesimo. … In generale la sorte dei bambini non battezzati non ci è stata rivelata, e la Chiesa insegna e giudica in relazione a ciò che è stato rivelato” (n.79). D’altra parte però è evidente che tutta la linea del documento propende per la negazione del limbo.  Così similmente, da una parte simpatizza per la teologia del Padri greci, i quali non osano indagare il mistero, ma dall’altra tutto il documento è uno sforzo per dimostrare la tesi della salvezza di questi bambini. Si notano delle incoerenze che denotano la presenza di mani diverse. Che dire su questo punto?

 

Se posso esprimere un mio parere, secondo me questa salvezza è un rivelato virtuale, dato comunissimo nella storia del dogma e della teologia: non abbiamo, su questa questione, affermazioni esplicite né della Scrittura né della Sacra Tradizione né del magistero. Tuttavia la tesi del paradiso per i bambini morti senza battesimo sembra potersi ricavare per logica conseguenza (metodo tipico che conduce alle verità “prossime alla fede”) dal tema fondamentale della possibilità data a tutti di salvarsi. Se poi la Chiesa ritiene di dover definire solennemente una tal verità, essa diventa senz’altro di fede.

 

I sostenitori del limbo, dal canto loro, a differenza dei modernisti che relativizzano e storicizzano gli insegnamenti del magistero, senza temere di negare il dogma, sono generalmente teologi che intendono rispettare l’insegnamento della Chiesa, soprattutto quello tradizionale. Per questo, per cercare di convincerli che il limbo non esiste, non si deve puntare su di un concetto equivoco ed ibrido di “speranza”, mezzo naturale e mezzo soprannaturale, ma occorre dimostrare, come appunto mi pare faccia il documento della CTI, che la dottrina del limbo non è oggetto né della dottrina della Chiesa né della Tradizione, mentre tutti conveniamo nel riconoscere che nella Sacra Scrittura non se ne fa alcun accenno.

 

Ma non condivido neppure il parere dello Harrison, secondo il quale esisterebbero i presupposti per una dichiarazione dogmatica. Questi presupposti dovrebbero essere dati da pronunciamenti già di per sé infallibili (“prossimi alla fede”); ma essi, come mostra bene il documento della CTI, non esistono.

 

Harrison cita bensì due lettere di Papi: 1) la lettera di San Siricio al vescovo Imerio del 385, nella quale il Pontefice sottolinea l’importanza di battezzare quanto prima il neonato, “altrimenti la nostra anima sarebbe in pericolo se, a causa del diniego del fonte battesimale, … uno di loro, nel lasciare il mondo, perdesse sia Regno dei cieli che la vita” (Denz. 184) e 2) la lettera ancora più importante di Sant’Innocenzo I del 417 ai Padri del Sinodo di Milevi, dove dice che “l’idea che ai bambini possa essere concesso il dono della vita eterna senza la grazia del battesimo è del tutto folle”(Denz.219).

 

Per quanto riguarda il primo documento, il contenuto è certamente significativo e a favore di Harrison; manca però un requisito per l’infallibilità della dottrina: il Papa non si rivolge alla Chiesa, ma ad un singolo vescovo; quanto al secondo documento, esso possiede indubbiamente maggiore autorità, giacchè si tratta di un sinodo locale di vescovi, benchè non fosse un concilio ecumenico.

 

Ma il punto decisivo non sarebbe neppure questo. Il punto decisivo è che in questi documenti manca un requisito essenziale perché possa aversi veramente l’infallibilità: nessuno dei due fa riferimento dichiarato (de fide) o implicito (proxima fidei) alla Scrittura o alla Tradizione, le quali, come è noto, sono la sorgente della divina rivelazione, oggetto della fede teologale. Non si tratta quindi di dottrina o verità di fede, né prossima alla fede.  

 

Quanto al Concilio di Firenze del 1442, è vero che insegna che coloro che muoiono col solo peccato originale sono punti nell’inferno. Si potrebbe osservare: di per sé sono puniti, a meno che non giunga a salvarli la grazia. Ora, posto che Dio vuol salvi tutti gli uomini, si deve pensare che a tutti fa giungere la grazia necessaria per la salvezza. Ma questi bambini non possono respingerla, giacchè non usano ancora il libero arbitrio. E perché allora non dovrebbero salvarsi? E Dio non può forse far giunger loro la grazia anche senza il battesimo?

 

Alcuni hanno la preoccupazione che la negazione del limbo favorisca la teoria rahneriana del “cristianesimo anonimo”. Tale preoccupazione non ha ragion d’essere, in quanto la teoria rahneriana suppone un falso concetto di peccato originale e di rapporto tra natura e grazia. Il primo infatti non è considerato come fatto storico comportante la trasmissione della colpa per generazione, per cui ogni uomo è concepito nella colpa.

 

Invece per Rahner il racconto del peccato originale è un mito eziologico che tenta di spiegare l’esistenza attuale del male nel mondo, mentre ogni uomo è concepito in grazia - come la Beata vergine Maria -, giacchè la grazia è originaria, necessaria, universale e permanente. Il peccato coesiste con la grazia.

 

Viceversa la dottrina che manda tutti i bambini in paradiso è evidentemente contraria a questi errori di Rahner. Essa ha in comune con Rahner solo l’idea che tutti i bambini vanno in paradiso; tuttavia per loro la grazia non giunge nella concezione (come pensa Rahner), ma dopo la concezione a togliere la colpa originale, nella quale sono stati concepiti. Invece per Rahner la grazia non toglie nessuna colpa, perché l’uomo non è concepito in uno stato di colpa e comunque la colpa (che è solo quella personale) resta insieme con la grazia (simul iustus et peccator)[1].

 

Tradizione divina e tradizione umana

 

Inoltre i tradizionalisti, generalmente sostenitori del limbo, devono fare attenzione a distinguere bene la sacra Tradizione, che è Parola di Dio e come tale immutabile e verità assoluta, dalle tradizioni ecclesiastiche, fondamentalmente basate sulla sapienza umana, anche se di Papi o di Concili e quindi non senza rapporto, almeno nelle intenzioni degli autori, con la dottrina della fede o la sacra Tradizione o la stessa sacra Scrittura.

 

Una tradizione ecclesiastica di tipo semplicemente umano, sia essa esegetica, storica, morale o giuridica può apparire od essere valida anche per secoli, ma, non essendo per ipotesi suffragata da un riconoscimento infallibile del magistero, per quanto essa possa avere anche per lunghi secoli diritto di sussistenza nella Chiesa, viene però inesorabilmente prima o poi il tempo nel quale la Chiesa, comprendendo meglio la Parola di Dio e lo stesso dettato della sacra Tradizione,  si accorge che quella tradizione umana (che poteva apparire divina), deve essere o mutata o abbandonata, pena il blocco irragionevole del progresso dogmatico e morale della Chiesa o addirittura il mantenimento di qualche dottrina o prassi contraria al Vangelo, della quale fino ad allora non ci si era accorti.

 

Non è sempre facile distinguere la sacra Tradizione da quella che appare tale, ma in fondo è parola solo umana. Il criterio della distinzione in fin dei conti non è altro che il pronunciamento del magistero, ossia dei successori degli apostoli, ai quali Cristo ha detto: Chi ascolta voi, ascolta me. Ma appunto su questo tema non abbiamo chiari pronunciamenti del magistero né tanto meno, come si è detto, della Scrittura.

 

Chi pertanto oggi come oggi sostiene l’esistenza del limbo o la nega, purchè ciò sia fatto con serietà e modestia, è parimenti libero di farlo, né è consentito a ciascuna delle parti di accusare l’altra di eresia o di prossimità all’eresia. Tutt’al più si potrà parlare di errore teologico, e tutti devono ricordarsi che si stanno muovendo sul piano di ciò che per adesso è opinabile, poiché per adesso non abbiamo, checchè ne dicano alcuni, alcun pronunciamento infallibile del magistero, definito o non definito che sia.

 

Il parere della CTI è certo degno di considerazione, ma non è magistero. Lo dimostra il fatto stesso di insinuare, a quanto pare, l’idea sbagliata che tutti si salvino, benchè poi in altro luogo smentisca se stesso citando, come abbiamo visto, il Concilio di Quierzy. Ritengo invece che la Chiesa si stia muovendo verso l’affermazione esplicita che i bambini morti senza battesimo vanno in paradiso, ma guardo con rispetto anche quei teologi che desiderano mantenere la loro credenza nel limbo.

 

Se però, per sostenere la loro posizione si riducono a dire che il Catechismo sbaglia, come cattolico non mi sento proprio di seguirli su questo punto. Non ha senso correggere un pronunciamento dottrinale attuale della Chiesa sulla base di una supposta “tradizione” del passato, perché vorrebbe dire mettere il magistero del presente contro quello del passato, il che non ha senso per un cattolico. Un certo tradizionalismo poco illuminato, che trova mutamenti negli insegnamenti del magistero per lamentarsene, finisce per incontrare l’aborrito modernista che ne trova per rallegrarsene.

 

Importanza del battesimo

 

Il battesimo resta comunque sempre, secondo la tradizionale prassi della Chiesa, un dovere da assolvere con urgenza e quanto prima, perché esso suggella con la grazia sacramentale il processo di liberazione già iniziato immediatamente dopo la concezione del bambino, e resta pur sempre la prassi ordinaria per operare la salvezza dei bambini, mentre la grazia che giunge subito dopo il concepimento, per quanto possa interessare – si pensi alla pratica attuale dell’aborto – un numero sterminato di bambini, resta sempre una via straordinaria di spettanza della misericordia e dell’onnipotenza divine. Quanto Dio ci ha rivelato nel Vangelo circa il suo piano di salvezza non è tutto quello che egli fa o può fare.

 

Come è noto, la Chiesa sin dagli inizi del cristianesimo, non senza un ispirazione dello Spirito Santo, ebbe l’idea di battezzare i bambini, benchè ciò potesse apparire contrario al comando esplicito del Signore di battezzare coloro che hanno creduto. La Chiesa capì che Cristo si riferiva solo a coloro che hanno l’uso di ragione.

 

E da sempre la Chiesa ha saputo che Dio salva anche senza i sacramenti. Da tempo esiste la dottrina ecclesiale del cosiddetto battesimo di sangue e battesimo di desiderio, i quali evidentemente non sono il sacramento del battesimo e quindi si scostano dalle parole formali del Signore (“chi crederà e sarà battezzato sarà salvo”). Ma ciò vuol dire che la Chiesa ha disobbedito al suo Signore? Sarebbe empio il solo pensarlo!

 

La Chiesa ha interpretato le parole del Signore inserendole nel più ampio contesto del piano del Padre per la salvezza dell’umanità, ed ha quindi capito che Gesù si riferiva evidentemente soltanto a coloro che hanno l’uso di ragione. E gli altri? Tutti dannati? E’ impensabile, se è vero che Dio vuol salvi tutti e quindi, anche al di fuori del sacramento, darà a tutti, nella sua onnipotenza, in modi a noi sconosciuti e in via straordinaria ma reale la grazia per salvarsi. Ne sarà privo solo chi volontariamente la rifiuta, ossia chi ha l’uso di ragione.

 

E allora che cosa impedisce oggi alla Chiesa di riconoscere esplicitamente che la misericordia di Dio, più ampia di quanto finora si era pensato, raggiunge anche i bambini morti senza battesimo, poichè Dio vuol salvare tutti gli uomini e quindi offre a tutti la grazia, salvo che non siano loro stessi rifiutarla? Ma come può un bambino che non ha ancora l’uso del libero arbitrio rifiutare la grazia?

 

Gesù, come dice Giovanni, “è venuto con l’acqua e con il sangue. Ed è lo Spirito che rende testimonianza, perché lo Spirito è la verità” (I Gv 5,6). Gesù è stato battezzato nell’acqua da Giovanni il Battista, nel sangue dai suoi uccisori, nello Spirito dal Padre. Similmente possiamo pensare che il bambino che nel seno della madre è immerso nell’acqua e nel sangue, sia battezzato nello Spirito a somiglianza di Cristo, immediatamente dopo esser stato concepito, sicchè il caso di Giovanni Battista, purificato sin dal seno di sua madre, rappresenterebbe il primogenito della nuova generazione dei figli di Dio. In tal modo si verifica la promessa del protoevangelo: “io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe; questa ti schiaccerà la testa e tu la insidierai al calcagno” (Gn 3,15).

 

Conoscer meglio fin dove giunge la misericordia divina non è uno smentire credenze del passato, per quanto accolte dalla Chiesa, ma è il cammino normale della nostra conoscenza del dato rivelato. È questo il criterio col quale giudicare il recente diffondersi dell’opinione, non proibita dal magistero, secondo la quale anche i bambini non battezzati vanno in paradiso.

 

Ciò che di nuovo si aggiunge all’antico non invalida l’antico. È solo il vecchio che è sostituito dal nuovo. Un’opera d’arte antica si conserva e ad essa se ne aggiungono delle nuove. Un utensile vecchio e consumato si sostituisce col nuovo. La nuova prospettiva della salvezza dei bambini non smentisce quanto già si sapeva della divina misericordia, ma semplicemente ci apre un nuovo orizzonte della medesima e ci fa capire che essa è più ampia di quanto immaginavamo.

 

Per questo, se il bambino dovesse morire prima di ricevere il battesimo, il Catechismo stesso ci invita a “sperare nella sua salvezza”. Se nelle esequie di un bambino morto senza battesimo non si prega per il defunto, non vuol dire che egli sia al limbo, ma che, essendo già salvo, non c’è bisogno di pregare per lui.

 

Ragionamento sciocco sarebbe quello dei genitori che dicessero: tanto è già in grazia, battezziamolo con comodo o addirittura: non c’è bisogno di battezzarlo. Niente affatto! E’ di fede che dobbiamo battezzarci e all’occorrenza dobbiamo battezzare, ed è una veneranda prassi tradizionale della Chiesa l’uso di battezzare il bambino quanto prima, benchè oggi si sia introdotto l’uso in alcune parrocchie di celebrare battesimi collettivi, sicchè si attende che si sia formato un numero congruo di bambini da battezzare.

 

Ma appunto perché il comando di battezzare è di fede, non dobbiamo cedere al razionalismo di chi dice: perché dovremmo dargli qualcosa che ha già? Certo ha già la grazia, ma se le circostanze lo permettono, Dio vuole che il bambino sia battezzato, pena non la dannazione del bambino, ma il rischio della dannazione stessa dei genitori, i quali peccano mortalmente per tale grave negligenza.

 

Ricordiamoci il paragone con la prassi della confessione: un atto di contrizione basta ad ottenere il perdono; ma poi bisogna andare a confessarsi. Se ciò vale per la confessione, non potrebbe valere anche per il battesimo? Il bambino è in grazia, ma poi dev’essere confessato. E neppure dobbiamo criticare prassi di questo genere: se la Chiesa le attua, vuol dire che sono buone. È una questione di fede nella Chiesa.

 

Lo Harrison riconosce che Dio, se vuole, può salvare un bambino anche senza il battesimo - tutti del resto conosciamo la solennità liturgica dei santi Innocenti - ; ma considera il fatto come miracoloso. La tesi mi pare eccessiva e mi sembra confondere il dono universale della grazia con quel dono specialissimo, che è il miracolo. Qui è in gioco il primo tipo di dono, non il secondo. Se Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi e se per essere salvi bisogna che siano in grazia, Dio deve offrire a tutti la grazia. La grazia dev’essere un dono universale. Il miracolo, viceversa, non è affatto necessario per salvarsi, ma semmai per rendere credibile l’annuncio della salvezza.

 

Certamente l’uomo che usa il libero arbitrio può respingere la grazia e così dannarsi. Ma l’infante che non lo usa, come potrebbe respingere la grazia? E dunque come non sarebbe in grazia? Come non eviterebbe l’inferno se non fosse in grazia? Come questa grazia non lo libererebbe dal peccato originale, sostituendo così quel battesimo che senza sua colpa e magari per colpa di altri non potrebbe ricevere? Come in tal caso la potenza della divina misericordia non sarebbe più forte del peccato di coloro che avrebbero potuto battezzarlo e non lo hanno fatto? Se essi fanno la loro parte per mandarlo all’inferno, Dio non potrà fare la sua per impedirlo? E’ certo che va all’inferno chi vuole; ma per chi non vuole (o negativamente come il bambino o positivamente come l’adulto), perché non dovrebbe trionfare la grazia?

 

Nessun pronunciamento infallibile della Chiesa ci dice che questo non avviene, anche se è vero che nessun pronunciamento infallibile ci dice formalmente ed esplicitamente il contrario. E se questa tesi si potesse ricavare per deduzione da quanto la Chiesa ci insegna già esplicitamente? qui sta la mia tesi a favore del paradiso per i bambini morti senza il battesimo.

 

Una nobile controversia

 

Questa nobile controversia ricorda altre storiche discussioni, tenutesi per secoli, o fra Domenicani e Gesuiti sul rapporto tra la grazia e libero arbitrio, o tra Francescani e Domenicani sullo scopo dell’Incarnazione o sull’Immacolata Concezione di Maria, o tra Carmelitani e Domenicani sulla natura dell’esperienza mistica.

 

Nella comune ed assoluta fedeltà al magistero è possibile e doveroso, su alcuni punti di dottrina, laddove il magistero non si è ancora infallibilmente pronunciato e quindi concede la discussione, dibattere assieme in fraterno confronto e in comune ricerca i punti non ancora chiariti, nella certezza che un giorno si farà luce definitiva. Il disaccordo in tali questioni, espresso in termini garbati e rispettosi dell’avversario, non dev’essere di scandalo a nessuno, ma è il segno normale della limitatezza dell’intelligenza di tutti, anche se illuminata dalla fede, è un fenomeno normale nella ricerca comune della verità, fornisce un aiuto allo stesso magistero della Chiesa ed è espressione di un sano pluralismo e di una sana libertà di pensiero.

 

Per questo, concludendo, faccio mie le parole dello Harrison, esse pure a conclusione del suo studio: “affermo la mia ferma lealtà e obbedienza alla Santa Madre Chiesa, al cui infallibile giudizio, se si pronunciasse in tale materia, io molto volentieri sottometterei il mio proprio”.

 

P. Giovanni Cavalcoli, OP

Bologna, 3 dicembre 2009

Fontanellato, 24 settembre 2023 


Questa nobile controversia ricorda altre storiche discussioni, tenutesi per secoli, o fra Domenicani e Gesuiti sul rapporto tra la grazia e libero arbitrio, o tra Francescani e Domenicani sullo scopo dell’Incarnazione o sull’Immacolata Concezione di Maria, o tra Carmelitani e Domenicani sulla natura dell’esperienza mistica.

 

Nella comune ed assoluta fedeltà al magistero è possibile e doveroso, su alcuni punti di dottrina, laddove il magistero non si è ancora infallibilmente pronunciato e quindi concede la discussione, dibattere assieme in fraterno confronto e in comune ricerca i punti non ancora chiariti, nella certezza che un giorno si farà luce definitiva. 

 

Il disaccordo in tali questioni, espresso in termini garbati e rispettosi dell’avversario, non dev’essere di scandalo a nessuno, ma è il segno normale della limitatezza dell’intelligenza di tutti, anche se illuminata dalla fede, è un fenomeno normale nella ricerca comune della verità, fornisce un aiuto allo stesso magistero della Chiesa ed è espressione di un sano pluralismo e di una sana libertà di pensiero.

 

 

Per questo, concludendo, faccio mie le parole dello Harrison, esse pure a conclusione del suo studio: “affermo la mia ferma lealtà e obbedienza alla Santa Madre Chiesa, al cui infallibile giudizio, se si pronunciasse in tale materia, io molto volentieri sottometterei il mio proprio”.



Foto, Roma

[1] Per maggiori chiarimenti su queste tesi di Rahner, mi permetto di rimandare il Lettore al mio libro Karl Rahner. Il Concilio tradito, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009.

1 commento:

  1. Caro padre Giovanni,
    noi che consideriamo i suoi scritti come fonti ineludibili, e che viviamo fuori dall'Europa, siamo sempre molto grati quando ci metti a disposizione i suoi vecchi e nuovi insegnamenti, che per noi costituiscono un patrimonio preziosissimo. Grazie.

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