Lettera ad un Vescovo su Rahner - Prima Parte (1/2)

 Lettera ad un Vescovo su Rahner

Eccellenza Reverendissima,

ho letto con molto interesse il suo saggio su Karl Rahner.

Dato che m’interesso di questo teologo da quarant’anni, avendo pubblicato su di lui numerosi studi a partire dal 1985, ho pensato di farLe pervenire alcune mie osservazioni, che si aggiungono a quelle che feci già in anni passati.

Giudizio complessivo su Rahner

Innanzitutto la qualifica di Rahner come «grande teologo». Non sono d’accordo e lo dico a ragion veduta in base a quanto di lui ho rilevato in quarant’anni di attenti studi e confronti con altri studiosi. Per parlare di grande teologo il criterio non è il suo successo, né il suo influsso, né la quantità delle sue pubblicazioni, ma il livello della sua sapienza[1] ed eventualmente le lodi provenienti dalla Santa Sede, lodi che non ci sono mai state, né ci saranno mai. Nessun documento della Chiesa ha fatto propri gli errori di Rahner, né diversamente poteva accadere, anzi li ha condannati, soprattutto la CDF sotto Ratzinger, anche se non ha mai fatto il suo nome.

Considerando Rahner come teologo, Rahner, al di là di una certa profondità di pensiero, si rivela un mediocre teologo[2], ripetitore di errori già condannati dalla Chiesa lungo i secoli, in particolare quelli modernistici condannati da San Pio X e Pio XII.

Io mi domando, cara Eccellenza, come si fa a chiamare «grande teologo» un impostore come Rahner? Che credente è uno che crede nel Dio di Hegel? Che cattolico è uno che dubita dei dogmi? Che Gesuita è uno che si ribella al Papa? Che teologo è uno che disprezza San Tommaso? Che Messa è quella di chi non crede nel sacrificio di Cristo?[3] Che sacerdozio è quello di chi non crede nella specificità del sacerdozio?[4] Che preghiera è quella di chi prega la propria Autocoscienza o il proprio Io trascendentale?

Rahner ha indubbiamente una capacità notevole di indagare e scavare tra le pieghe recondite dello spirito. Ma come mai turba anziché dar pace? Come mai fa deviare anziché guidare? Come mai crea dubbi anziché dar certezze? Come mai oscura anziché chiarire? Creando disordine e sconcerto a queste delicate profondità, il danno è ancora maggiore. La grandezza di un teologo si misura non nel crear problemi, ma nel risolverli. Non c’è bisogno di grandi teologi perché ci troviamo nei guai. Vi ci caschiamo già da soli. Grande teologo è chi ci tira fuori.

Delle lodi che Vostra Eccellenza tributa a Rahner alcune sono certamente giuste e doverose, soprattutto quelle che si riferiscono al contributo dato da Rahner all’elaborazione dei documenti conciliari. Altre invece sono troppo benevole. Altre infine si riferiscono a dottrine inquinate dagli errori di Cartesio, Kant, Fichte, Hegel ed Heidegger. Qui Rahner non mette in luce punti di contatto, ma semplicemente o fraintende o falsifica.

Con meraviglia mi domando se si conoscoscono veramente gli errori di questi filosofi, che non ho mai cessato di studiare dall’epoca del liceo nei lontani anni 1959-61 e quindi successivamente di segnalare anche con numerose pubblicazioni come insegnante di filosofia a partire dal 1971 fino ad oggi e come Accademico Pontificio a partire dal 1992.

Ora io mi domando: in questi sessant’anni quali vantaggi ha arrecato la teologia rahneriana al bene delle anime, al radicamento della fede nel popolo di Dio, all’espansione della Chiesa, al progresso e alla pace interna della Chiesa, alla disciplina ecclesiastica, al progresso della teologia, della dogmatica e della santità, alla realizzazione del Concilio, al miglioramento dei costumi cattolici, all’unione dei cristiani, all’evangelizzazione, allo sviluppo dei valori umani, al bene della società?

Senza negare l’esistenza di qualche vantaggio, anche cospicuo, bisogna dire che il bilancio complessivo è del tutto negativo: diffusione del dubbio e dello scetticismo in fatto di fede, conflittualità all’interno della Chiesa, disobbedienza al magistero della Chiesa, libertinismo morale, decadenza dei costumi, diminuzione delle vocazioni e della pratica dei sacramenti, crisi degli istituti religiosi, ristagno  dell’evangelizzazione, diffusione degli scandali e delle eresie, falsificazione modernista della riforma conciliare, cedimento agli errori della modernità.

La prova della bontà della teologia rahneriana è stata fatta nel corso di questi sessant’anni. I rahneriani hanno avuto tutto l’agio di dimostrare la bontà della via rahneriana. Che cosa hanno combinato? Che cosa stanno combinando? Visti i risultati, sarebbe ora di cambiar strada e di andare dai veri maestri, che non mancano. Insistere in un esperimento fallito è dar prova di grave insipienza e di irresponsabilità. Nessun Papa ha raccomandato Rahner, mentre il Concilio raccomanda espressamente San Tommaso.

Per trovare i veri maestri che ci conducono a Cristo occorre onestà, umiltà, vigilanza, amore per la verità, assenza di rispetto umano, coraggio nel testimoniare il Vangelo, spirito di servizio, rinuncia ad ambizioni mondane, accettare di essere disprezzati dal mondo.

Non si devono ascoltare la gran cassa e le dolci sirene dei modernisti, ma la voce intima ed austera della Parola di Dio, con amore incondizionato per il patrimonio inestimabile ed immarcescibile della Sacra Scrittura e della Sacra Tradizione interpretate dal magistero della Chiesa, da San Pietro fino a Papa Francesco, in ascolto dello Spirito Santo e della propria coscienza, con la costante disponibilità a correggersi e la volontà assoluta di farsi santi.

Ci sono molti altri teologi di oggi e del secolo scorso ben più sapienti di Rahner, soprattutto tomisti, magari nel nascondimento e ignorati dal mondo, meritevoli di essere seguìti e imitati, anche se assai meno noti o prolifici o disprezzati. Un fulgido esempio è il Maritain, lodato e portato ad esempio da San Paolo VI e San Giovanni Paolo II, mentre nessun Papa ha mai presentato Rahner come modello di teologo, anzi nel loro magistero e in quello della CDF non è difficile vedere la condanna degli errori di Rahner.

Rahner comunque ebbe una buona idea a voler ammodernare la teologia con l’avviare un confronto col pensiero moderno[5] da Lutero e Cartesio ad Heidegger, e capisco che egli sia stato perito al Concilio, ma procedette secondo un metodo che era il contrario di quello che avrebbe dovuto usare: invece di scegliere nella modernità ciò che è conforme al Vangelo, scartando il resto, giudicò il Vangelo alla luce della modernità, scartando da esso ciò che non si accordava con i suoi errori. In tal modo Rahner non ha prodotto un vero ammodernamento secondo la proposta del Concilio Vaticano II[6], ma una forma di teologia neomodernista.

Questo lavoro di vaglio prudente e di discernimento illuminato è sempre stato fatto dai veri grandi teologi, a cominciare dai primi apologisti e poi i Padri, i Dottori fino ad oggi. Prendiamo ad esempio un Maritain, più volte raccomandato dai Papi. E al di sopra di tutti un San Tommaso, il quale con somma sapienza e prudenza ha saputo separare nelle opere di Aristotele ciò che concordava da ciò che discordava dalla divina Rivelazione, assumendo quello e rifiutando questo.

Opera simile va fatta con le dottrine di Lutero. L’ecumenismo promosso dal Concilio ha messo in maggior luce i punti in comune creando un clima di reciproca stima e fiducia. Ma ciò non basta, perché purtroppo i luterani non hanno ancora abbandonato tutti gli errori segnalati dal Concilio di Trento. Per cui sulla base di questa piattaforma comune, occorre, come prescrive la Unitatis redintegratio (n.3) che i fratelli separati, abbandonate «carenze» e «lacune», arrivino alla piena comunione con la Chiesa cattolica. 

Le basi gnoseologico-metafisiche

Così, come ha dimostrato inconfutabilmente Padre Cornelio Fabro, le basi del sistema filosofico di Rahner non sono realiste, ma idealiste ed ontologiste: idealismo hegeliano[7] in gnoseologia, dove oggetto del conoscere è l’essere come autocoscienza, mentre, come nell’ontologismo, oggetto della metafisica è l’esperienza immediata ed apriorica dell’essere assoluto, quella che egli chiama «esperienza trascendentale atematica preconcettuale». 

La gnoseologia rahneriana non è tomista, come egli volle farci credere, ma è fondata su base kantiana oltre che hegeliana. Il soggetto, ossia il cogito rahneriano non è solo l’autocoscienza hegeliana, ma è anche l’«io penso» (Ich denke überhaupt) di Kant. Da qui la distinzione tra il «trascendentale» e il «categoriale».

Questa distinzione, se intesa bene, è del tutto legittima e la si trova anche in San Tommaso. Lo sbaglio di Kant è averla intesa non in senso realista ma idealista. È chiaro peraltro che mentre il trascendentale tocca l’orizzonte del divino, il categoriale riguarda il creato.

Ma l’errore di Rahner nell’uso di queste nozioni, oltre quello di assumerle in senso kantiano, è quello di dare troppa importanza gnoseologica al trascendentale, fino a consentirgli un’«esperienza immediata di Dio e della grazia»; e dà troppo poca importanza al categoriale, fosse anche al dogma ecclesiale, che viene relativizzato al mutare dei tempi e delle culture, ed al quale nega, alla maniera modernista, la sua immutabilità e capacità espressiva della verità di fede. Da qui l’impossibilità nella gnoseologia teologica di Rahner, di distinguere con certezza e definitivamente l’ortodossia dall’eresia[8].

Rahner mescola il soggetto hegeliano col soggetto kantiano e ne viene fuori la famosa «esperienza trascendentale», che prende da Hegel l’oggetto, ossia il sé e l’essere assoluto; e prende da Kant il soggetto, ossia il trascendentale o «io penso», che però, sotto l’influsso di Heidegger, diventa una precognizione preconcettuale, il cosiddetto Vorgriff, ricavato dalla Vorverständnis di Heidegger.

A completare l’operazione Rahner utilizza anche la gnoseologia di Maréchal, il quale concepisce l’intelletto sul modello non della ragione speculativa kantiana, ma sul modello della ragion pratica. Ciò per quale motivo? Perché Kant attinge Dio non con la ragione speculativa, ma con la ragion pratica.

Ora, siccome San Tommaso raggiunge Dio con l’intelletto speculativo e Kant con la ragion pratica, Maréchal ha creduto che bastasse questo punto di contatto fra Tommaso e Maréchal, ossia la comune tensione a Dio, per poter assimilare l’intelletto tomista alla ragion pratica kantiana, ma ne è venuto fuori quel parto mostruoso e fascinoso del volontarismo, che è il famoso «dinamismo dell’intelletto», il cui risultato non è altro che quello di imbrigliare la libertà dell’intelletto sotto il dominio di una volontà dispotica o peggio, della passione o dell’emozione, dando luogo al paradigma di tutte le tirannie e prepotenze dell’uomo sull’uomo, sotto pretesto della «fede», dell’«amore» e dell’«obbedienza». Ne viene la conseguenza della confusione della metafisica con la morale, della teoria con la prassi, del pensiero con l’azione. Il fare sostituisce il sapere; la libertà e l’amore sostituiscono la verità, Da qui la riduzione rahneriana di tutta la teologia alla teologia pastorale.

Così Maréchal e Rahner al suo seguito, come tutti gli idealisti e i pragmatisti, scambiano l’ordine del sapere con l’ordine dell’agire.  La conoscenza, infatti, inizia dagli effetti e passa alle cause. L’agire, al contrario, comincia con la considerazione del fine e passa alla determinazione dei mezzi. Primum in cognitione est minimum in entitate. Ultimum in cognitione est maximum in entitate. Primum in intentione est ultimum in executione. Primum in executione est minimum in intentione.

Il tendere a Dio sta all’inizio dell’agire, non del conoscere, perché la conoscenza non arriva a Dio se non per la mediazione delle creature. Invisibilia Dei per ea quae facta sunt intellecta conspiciuntur, Rm 1,20. Mettere Dio all’inizio del sapere, come fanno gli idealisti e gli ontologisti, vuol dire invertire l’ordine dello spirito e mettersi al posto di Dio, che suppone se stesso prima («apriori») di creare il mondo («aposteriori»).

Così l’apriori e il trascendentale rahneriano non riguardano l’ente, ma il soggetto, come in Kant, in modo tale che la conoscenza non parte dall’aposteriori empirico per cogliere l’apriori intellegibile ed ontologico trascendentale, ma l’autocoscienza cartesiana, che si esplicita nell’Io penso, ossia nell’apriori kantiano, non è più derivata dall’esperienza delle cose esterne, ma è la condizione apriorica di possibilità del «categoriale», ossia della conoscenza empirica.

Ora, siccome in verità è solo l’autocoscienza divina che è apriorica e non preceduta da una conoscenza aposteriori come avviene in noi, che usiamo i sensi, questa autocoscienza apriorica ed originaria, in quanto conoscenza di sé come identità di essere e di pensiero, fa sì che il sapere umano sia identificato col sapere divino, per cui Rahner, come Hegel, cade nell’idealismo panteista.

Le conseguenze nella morale

Le conseguenze di questa teologia nel campo della morale sono naturalmente negative. In sintesi possiamo dire che le conseguenze in morale del trascendentale rahneriano sono l’accentuazione esagerata della libertà del singolo soggetto a danno del rispetto della legge naturale e delle finalità proprie della natura umana, la quale viene confinata nell’incertezza, relatività e mutabilità del categoriale, per cui il soggetto non è tenuto ad adeguarsi alle esigenze oggettive ed universali della natura, ma è libero di plasmarla come meglio crede, essendo sufficiente per la regolazione della propria condotta l’«esperienza trascendentale».

Non è difficile vedere nell’applicazione di questi princìpi il perché dello spaventoso dilagare attuale del libertinismo, del lassismo e della corruzione dei costumi, fino ad aver raggiunto perversioni ignote allo stesso antico paganesimo.

San Giovanni Paolo II nell’enciclica Veritatis splendor (nn.65-68) ha condannato il dualismo rahneriano del trascendentale-categoriale, il quale pretenderebbe garantire un’«opzione fondamentale» per Dio indipendentemente dagli atti categoriali del libero arbitrio, alla maniera di Lutero, atti estromessi da ogni decisiva competenza decisionale nella dinamica della salvezza, comunque assicurata a tutti dall’universale possesso della grazia.

Inoltre nell’etica rahneriana c’è la mistica, ma, come in quella luterana, non c’è l’ascetica. Questo è il segno che si tratta di una falsa mistica, pura emozione e sentimento, perché la mistica è impossibile senza l’ascetica. Ma la cosa si spiega col fatto che l’antropologia rahneriana, col pretesto dell’unità della persona umana insegnata dalla Bibbia, rifiuta la distinzione reale anima-corpo e col pretesto di evitare il «dualismo greco», sostiene che il corpo è la materializzazione dell’anima, mentre l’anima è il corpo che si trascende trasformandosi nello spirito.

In queste condizioni è chiaro che perdono di senso la rinuncia, il sacrificio, l’astinenza, il voto religioso. Farsi eunuchi per il regno dei cieli è una stoltezza, come credeva già Lutero. La vita religiosa non è superiore alla vita laicale, ma è una scelta semplicemente diversa, allo stesso livello. A questo punto viene legittimo chiedersi come Rahner viveva i suoi voti religiosi. Ed è chiaro che la lotta della quale parla San Paolo tra lo spirito e la carne non ha senso, e che l’uomo «spirituale» è il medesimo dell’uomo «carnale» non grazie ad un’armonia fra spirito e carne, ma perché entrambi sono la stessa cosa. Lo spirito è la persona che pensa e vuole; la carne è la persona che mangia e beve.

Stando così le cose, dobbiamo ricordare che la qualità di una teologia dipende dalla qualità della filosofia che viene utilizzata per edificarla. Una casa potrà anche essere ben costruita; ma se viene edificata sulla sabbia, non la si potrà considerare una casa robusta e affidabile.

Senonchè, a parte la filosofia, anche la stessa teologia rahneriana è mal costruita per il fatto che egli non parte dai dati scritturistici interpretati secondo gli insegnamenti dei dogmi e del magistero della Chiesa, ma attingendo ad esegeti protestanti, per esempio Bultmann, o lasciando cadere certi dati biblici sgraditi che entrano a far parte della dottrina cattolica. Per cui occorre dire francamente che egli sotto questo aspetto non merita il titolo di cattolico, ma semmai quello, come ho detto, di modernista o filoprotestante.

Fine Prima Parte (1/2)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 11 novembre 2021

Rahner mescola il soggetto hegeliano col soggetto kantiano e ne viene fuori la famosa «esperienza trascendentale», che prende da Hegel l’oggetto, ossia il sé e l’essere assoluto; e prende da Kant il soggetto, ossia il trascendentale o «io penso», che però, sotto l’influsso di Heidegger, diventa una precognizione preconcettuale, il cosiddetto Vorgriff, ricavato dalla Vorverständnis di Heidegger.

A completare l’operazione Rahner utilizza anche la gnoseologia di Maréchal, il quale concepisce l’intelletto sul modello non della ragione speculativa kantiana, ma sul modello della ragion pratica. Ciò per quale motivo? Perché Kant attinge Dio non con la ragione speculativa, ma con la ragion pratica.

Ora, siccome San Tommaso raggiunge Dio con l’intelletto speculativo e Kant con la ragion pratica, Maréchal ha creduto che bastasse questo punto di contatto fra Tommaso e Maréchal, ossia la comune tensione a Dio, per poter assimilare l’intelletto tomista alla ragion pratica kantiana.

Ne viene la conseguenza della confusione della metafisica con la morale, della teoria con la prassi, del pensiero con l’azione. Il fare sostituisce il sapere; la libertà e l’amore sostituiscono la verità. Da qui la riduzione rahneriana di tutta la teologia alla teologia pastorale.

Maréchal, e Rahner al suo seguito, come tutti gli idealisti e i pragmatisti, scambiano l’ordine del sapere con l’ordine dell’agire.



Immagini da internet:
- Joseph Maréchal
- Karl Rahenr

[1] Altrimenti anche Lutero, Calvino, Mani, Ario, Maometto o il Budda dovrebbero essere qualificati come grandi teologi.

[2]ANALISI CRITICA DEL PENSIERO DI KARL RAHNER, corso di licenza in teologia presso lo Studio Teologico Accademico Bolognese, Bologna, 1992. Inedito; KARL RAHNER E IL CRISTIANESIMO, Sacra Doctrina, 1989, 1, pp.93-135.

[3] LA REDENZIONE SECONDO KARL RAHNER, in Il mistero della Redenzione, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2004.

[4] IL CONCETTO DI SACERDOZIO IN RAHNER, ne Il sacerdozio ministeriale: “L’amore del Cuore di Gesù”, Atti del Convegno Teologico Internazionale organizzato dai Francescani dell’Immacolata, a cura di P. Stefano M. Manelli, FI e P. Serafino M. Lanzetta, FI, Casa Mariana Editrice, Frigento (AV), 2010, pp.183-230.

[5] Anche il confronto con la massoneria non è riuscito e il pensiero rahneriano mostra di aver subìto influssi negativi anche dal pensiero massonico. Cf il mio articolo RAHNER E LA MASSONERIA, in Fides Catholica, 2, 2011, A.VI, pp.245-260.

[6] Cf il mio libro KARL RAHNER. IL CONCILIO TRADITO, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009.

[7]RAHNER E KÜNG. IL TRABOCCHETTO DI HEGEL, Chorabooks, Hong Kong 2021.

[8] LA QUESTIONE DELL’ERESIA IN KARL RAHNER, in Divinitas, 2008, 3, prima parte, pp.289-310; LA QUESTIONE DELL’ERESIA IN KARL RAHNER, in Divinitas, 2009, 1, seconda parte, pp.57-71; IL PROBLEMA DELL’ERESIA IN RAHNER, in Fides Catholica, 2009.  2, 531-548.

 

4 commenti:

  1. Caro Padre
    a Lei decidere se pubblicarlo, ma mi permetto di aggiungere due testi sullo stesso tema presi da un articolo di Padre Mauro Gagliardi che cita a sua volta Padre Fabro (in Gagliardi, M. (2017). La Critica di Cornelio Fabro al Pensiero Filosofico di Karl Rahner e alcune Conseguenze Teologiche. Angelicum, 94(4), 709-740. )
    Un altro esempio piuttosto clamoroso (di errore in Rahner, NDR) consiste in una citazione della Summa contra gentiles, H, 99: un testo che Rahner riporta con forte valore probante per le sue tesi, in questo modo: “Intellectus in actu perfectio est intellectum in actu” (sottolineatura nostra). Fabro nota che la citazione è riportata con un grave errore, li dove si usa il sostantivo perfectio al nominativo, invece dell'aggettivo perfecto in ablativo. L'edizione critica della Contra gentiles riporta infatti il testo in questo modo: "Intellectus in actu perfecto est intellectum in actu". Dunque, mentre san Tommaso parla dell' «intelletto in atto perfetto", Rahner legge: "la perfezione dell'intelletto in atto". Rispetto ad una svista cosi grave, Fabro dichiara che è "esilarante la versione-parafrasi rahneriana che traduce come genitivo l'intellectus del textus princeps e parla di interpretazione sballata, poiché l' unità-identità [tra intelletto e oggetto conosciuto] di cui parlano Aristotele e san Tommaso non è ontologica primaria, come vuole Rahner, ma ontologica secondaria, cioè il soggetto diventa l’oggetto assumendo in sé come sviluppo del proprio essere la forma intenzionale (per similitudinem), e ciò vale tanto per il senso quanto per l'intelletto" (SA, p. 100). Ma Rahner riporta un testo che nella versione originale afferma: "L'intelletto in atto perfetto é l’intelletto in atto", in una versione errata che viene tradotta con un senso molto diverso, anche se a cambiare nel testo latino è solo una lettera: "La perfezione dell'intelletto in atto è l’intelletto in atto". In base a questi ed altri esempi, Fabro si sente dunque sicuro nel dichiarare che "il ricorso a san Tommaso non ha per Rahner il significato di una fonte ma soltanto quello di un pretesto che giunge fino alla manomissione dei testi e alla deformazione dei contesto (Fabro, C. (1974). La svolta antropologica di Karl Rahner. ,p. 117). E in altro luogo non si trattiene e scrive: "Orripilante esegesi completamente a rovescio del tomismo" (ibidem, p. 194).

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    1. Caro Alessandro,
      la ringrazio per il suo scritto, che denota in lei una profonda sensibilità per la tematica gnoseologica affrontata da Rahner. Conoscevo già questo intervento del Padre Fabro, il quale, con grande acutezza, denuncia la mistificazione operata da Rahner, il quale vorrebbe fare di San Tommaso un idealista.
      C’è però da dire che quel passo di San Tommaso crea difficoltà interpretativa anche per i critici testuali, non nel senso che anche qui Tommaso non mostri il suo realismo gnoseologico; ma la discussione tra i critici del testo non sembra essere giunta a conclusioni sicure, perché ci sono due testi differenti tra di loro, dei quali non si sa con sicurezza quale sia quello autentico. In ogni caso entrambi non possono essere utilizzati a favore dell’idealismo.
      Per quanto riguarda la traduzione del passo “intellectus in actu est intellectum in actu”, il termine “intellectum” sarebbe meglio tradurlo con “l’inteso”, ossia “ciò che è inteso in atto”.

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  2. Cogliamo l'occasione per rilevare il fatto che questo Autore (Rahner NDR) ha utilizzato neisuoi scritti un periodare ampio e contorto e ciò per unanime ammissione tanto dei suoicritici, quanto dei suoi ammiratori. Lo stile tipico di Rahner si diffonde in ampie circonlocuzioni, in cui egli spesso riesce con notevole talento ad affermare contemporaneamente due o più dottrine tra loro contraddittorie l lettore esperto si rende conto dell' orientamento generale del suo pensiero, ma il censore incontra spesso difficoltà a stigmatizzare eventuali espressioni eronee, perché esse vengono sovente proposte accanto ad altre di segno opposto. Quanto a questo, c’è un passaggio interessante nell' ultima intervista di Benedetto XVI, che ha conosciuto da vicino Rahner, pubblicando anche alcuni saggi insieme a lui in gioventù. Alla domanda circa il fatto che il giovane teologo Ratzinger sottoscrisse una petizione per abolire il celibato ecclesiastico, il Papa emerito risponde: "II documento fu elaborato da Rahner e Lehmann [...J. Era cosi tortuoso, come sono appunto i testi di Rahner, che da un lato rappresentava una difesa del celibato, dall'altro cercava di lasciare aperto il problema per un 'ulteriore riflessione. lo firmai più per l’ amicizia verso gli altri. Non fu naturalmente una decisione felice, ma direi che non si trattava di una richiesta di abolire il celibato. Era un tipico testo alla Rahner, formulato attraverso un intrico di frasi affermative e negative che si poteva interpretare sia in un senso che nell'altro” (BENEDETTO XVI, Ultime conversazioni [P. Seewald, ed.], Garzanti, Milano 2016, p. 150)

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    1. Caro Alessandro,
      per quanto riguarda le sue osservazioni circa lo stile di Rahner, la cosa è ben nota e non è il caso di fermarsi. Molto interessanti invece e significative sono le parole di Papa Benedetto, il quale da giovane fu effettivamente collaboratore e amico di Rahner, in particolare durante i lavori del Concilio. Ma in seguito, accortosi della pericolosità di questo teologo, egli prese a confutarlo e questo atteggiamento critico lo ritroviamo appunto in questa testimonianza, che lei ha citato e che Ratzinger fece nelle vesti di Papa Benedetto XVI.

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