Vescovi
falsari della fede
Un
gravissimo attentato al Magistero di Papa Francesco
Commento
ad alcune dichiarazioni del Documento del Sinodo Tedesco
riguardanti
il sacerdozio femminile
tratte
dal blog di Sandro Magister del 6 maggio 2020
I brani del documento dei vescovi
sono tra graffette
Premessa
dottrinale
Compito dei
Sinodi ecclesiali nazionali è quello di essere l’espressione della collegialità
episcopale che pasce collegialmente, in unione ed obbedienza al Romano
Pontefice, il popolo di Dio residente in quella nazione, al fine di affrontare
e risolvere, in giusta autonomia, alla luce del Magistero universale della Chiesa,
questioni attinenti al modo migliore di vivere come Chiesa nazionale, il
Vangelo in quella nazione, in comunione con la Chiesa universale e col Sommo
Pontefice, al quale può indirizzare proposte pratiche di vita o di riforma
della Chiesa, che il Papa si riserva di valutare e sottoporre al suo prudente
giudizio e può, se crede, far sue per il bene della Chiesa universale.
Ma questa
assemblea non ha assolutamente l’autorità
magisteriale per affrontare e decidere su temi dottrinali o attinenti al dogma,
che siano oggetto di discussioni o contestazioni, temi che, come tali, non sono
e non possono essere di competenza di una singola Conferenza Episcopale
Nazionale, ma, trattandosi di argomenti di interesse della Chiesa universale,
non possono che essere di competenza di colui che è stato costituito da Cristo capo
e pastore della sua Chiesa, col compito di pascerla e confermarla nella fede a
nome e col potere, conferitogli da Cristo, di definire infallibilmente e
dichiarare definitivamente, all’occorrenza, ciò che va tenuto per fede, al fine
di porre termine alle discussioni ed alle incertezze e far sapere a tutti i
fedeli con sicurezza qual è la verità salutare, un po’ come adesso tutti siamo
in attesa che la comunità scientifica metta in circolazione un vaccino efficace
a far cessare la pandemia.
Quale
sarebbe lo stolto o il temerario che, col pretesto dell’evoluzione della
scienza, mettesse in discussione, una volta trovato il vaccino, la sua validità?
Eppure, questi vescovi fanno la stessa cosa nei confronti di un Magistero
pontificio, il quale, a differenza del sapere umano che può sbagliare, ci garantisce infallibilmente
circa l’essenza di quel sacerdozio cristiano, che è ministero di salvezza
eterna.
Il compito
magisteriale di una Conferenza episcopale nazionale è molto prezioso, ma, tutto
sommato, è semplicemente quello di mediare e spiegare ai fedeli della propria
Chiesa locale gli insegnamenti della Chiesa universale, custoditi e proclamati
dal Sommo Pontefice, e di farli applicare ai loro fedeli. Inoltre, ha il dovere
di difendere il Magistero della Chiesa dagli attacchi degli increduli e dalle
truffe degli eretici, confutando le loro bestemmie e le loro menzogne.
Esame
delle proposizioni
Quale
sarebbe la «cultura scientifica»?
Dicono i vescovi: “L’evidente discrepanza fra la posizione dei
documenti magisteriali e l’argomentazione unanime della teologia scientifica
sulla questione della chiamata femminile all’apostolato ministeriale è uno
‘skandalon’ che deve essere superato per amore della credibilità dell’annuncio
del Vangelo della Pasqua”.
Rispondo rivolgendomi
direttamente a loro: lo scandalo siete voi, cari vescovi, che tradite, nuovi
Giuda, e profanate vergognosamente, per ambizione mondana mascherata di pietà, il
vostro sacro mandato di successori degli Apostoli e di collaboratori del
Successore di Pietro per l’edificazione e il cammino della Chiesa verso il
regno di Dio.
Quella che
voi chiamate pomposamente e con sussiego «teologia scientifica», che ha la
pretesa di confutare o quanto meno di mettere in discussione il Magistero dogmatico
del Papa, ve lo dico io che cosa è in realtà: è la teologia neomodernista
luterano-hegeliana, gnostica, falsa mistica idealista e panteista di Karl
Rahner[1],
falsificatore delle dottrine del Concilio Vaticano II, Rahner, le cui eresie sono peggiori di quelle di Lutero,
Rahner, dal quale vi siete lasciati sedurre da cinquant’anni, dato che è proprio
lui, che, tra le altre eresie, ha osato empiamente falsificare l’essenza del sacerdozio[2],
e quindi vi ha indotti, ad insistere con biasimevole e stolta pervicacia, quasi
ispirati da Satana, a volere una pratica eretica
condannata sin dai tempi di S.Paolo VI.
Non vi rendete
conto che la vostra iniziativa arrogante e sfrontata scandalizza il buon popolo
di Dio, fa esultare gli eretici e i modernisti, dispiace a tutti i vostri
confratelli vescovi nel mondo, vi rende scismatici, addolora e indigna il Santo
Padre, che mai cederà alle vostre pretese, mentre invece attirerete su di voi i
fulmini dell’ira di Dio? Egli ha permesso questa pandemia per indurvi a far pulizia
e voi avete l’audacia di aumentare l’immondizia? Desistete, vi scongiuro, dal vostro insano
proposito, prima che Dio ci mandi un flagello ancor peggiore di questo! Togliete
la sporcizia ereticale dalla Chiesa, come auspicò a suo tempo quel sant’uomo di
Benedetto XVI!
L’esclusione della donna dal sacerdozio
ministeriale
non intacca per nulla la pari dignità
dell’uomo e della donna
Dice il documento: “Si
percepisce una discrepanza fra la pari dignità dell’uomo e della donna,
continuamente sottolineata nelle dichiarazioni della Chiesa, e la
partecipazione di fatto non paritaria delle donne alla vita della Chiesa nella
corresponsabilità ministeriale”.
La pari
dignità dell’uomo e della donna, continuamente sottolineata nelle dichiarazioni
della Chiesa, consiste, come dovreste ben sapere dal Magistero della Chiesa sin
dall’epoca di Pio XII, nel fatto di possedere entrambi sul piano naturale la
medesima natura umana e dignità di persona, creata da Dio a sua immagine e sul piano
soprannaturale, come dono della grazia, la medesima dignità di figli di Dio, ad
immagine di Cristo, pur nella diversità e complementarità reciproca fisica,
psicologica e spirituale[3],
entrambi chiamati come membra del medesimo Corpo mistico di Cristo e sotto la
mozione dei vari doni dello Spirito Santo, ad «essere uno in Gesù Cristo» (Gal
3,28), alla santità ed alla medesima
vita eterna[4].
Infatti,
come sappiamo dalla fede, Dio «maschio e femmina li creò» (Gen 1,27)[5]
perché fossero «una sola carne» (Gen 3,24)[6],
qui in terra e alla futura resurrezione[7],
segno sacramentale ed immagine dello sposalizio mistico di Cristo con la
Chiesa, prefigurazione di Cristo nuovo Adamo e di Maria nuova Eva, sicché la tendenza
omosessuale, falsamente ritenuta da alcuni come semplice «diverso orientamento
sessuale», è in realtà una corruzione dell’originaria dualità sessuale voluta
da Dio ed è quindi una conseguenza del peccato originale.
Questa pari
dignità, così come è descritta e precisata sopra, non richiede affatto, secondo il dato rivelato
e la tradizione della Chiesa, la partecipazione paritaria delle donne alla vita
della Chiesa nella corresponsabilità ministeriale, come se la organizzazione
della Chiesa potesse essere sic et
simpliciter omologata a quella di qualunque organizzazione della società civile:
e invece la gerarchia ecclesiastica sacramentale (diaconato, presbiterato ed
episcopato) non è basata sul diritto naturale o positivo come quella civile, ma
è un dato di fede, perché è stata voluta da Cristo per mandato del Padre, per
cui il cambiarla o mutarla, magari col pretesto
dell’«evoluzione del dogma», è eresia.
Ora, come da
sempre la Chiesa ha insegnato e in modo speciale i Papi a partire da San Paolo
VI fino a Papa Francesco, la mascolinità è essenziale
al sacramento dell’Ordine, sicché l’aggiunta del sesso femminile non sarebbe per
nulla una promozione della donna, ma un’adulterazione eretica del sacramento, che pertanto non sarebbe più valido. Non è la
stessa cosa per un eventuale sacerdozio coniugato. Su ciò la Chiesa ha già precisato
che il celibato non entra nell’essenza
del sacramento dell’Ordine, per cui un sacerdozio uxorato è altrettanto valido
quanto uno celibatario.
Una concezione eretica del sacramento dell’Ordine
La detta concezione
eretica del sacramento dell’Ordine, sembra essere quella di Rahner[8]
e Schillebeeckx[9],
per i quali l’essenza del sacerdozio da loro preferibilmente e
significativamente chiamato «ministero», non sta nel potere del sacerdote alter Christus di offrire (sacrum-dans) il sacrificio di Cristo, ma
di fungere da «presidenti della comunità».
L’operazione
condotta da quei due teologi è simile a quella condotta da Lutero: togliere al
sacerdozio il riferimento all’offerta del sacrificio di Cristo e ridurlo a una semplice
funzione di presidenza della comunità, con l’annuncio del Vangelo. Ora,
togliendo e relativizzando il riferimento a una vittima di sesso maschile, con quella riduzione sociologistica, per
non dire politica, non appare alcun motivo per il quale il presidente di una comunità,
soprattutto oggi, debba per forza essere maschio. Suona infatti come insulto ed
umiliazione della donna.
Cristo
inoltre col suo Sacrificio volle essere in continuità con i sacrifici
dell’Antica Alleanza, che utilizzavano vittime di animali maschi. Infatti allora si riteneva che il maschio fosse più prezioso
e quindi più degno della femmina da offrire a Dio. Senza fare alcuna
valutazione circa un’eventuale superiorità del maschio sulla femmina, Gesù
volle adattarsi alle idee del suo tempo e decise di istituire il sacrificio
cristiano con una vittima maschile, che fu Egli stesso e per conseguenza il
sacerdote cristiano. Ma un sacramento divino, una volta istituito, nessuno lo
può più cambiare nella sua sostanza, come la Chiesa ha detto e ripetuto molte volte.
Chi infatti e con quale autorità poteva cambiare ciò che Dio ha stabilito per
sempre? Ci ha provato Lutero; ma giustamente la Chiesa lo ha condannato. E i
vescovi tedeschi oggi vogliono riprovarci?
Certo, con
la recente scoperta della pari dignità dell’uomo e della donna, si può capire
che il problema sia sorto: ma perché dovremmo mantenere ancora un’idea arcaica
del sacrificio, che suppone la superiorità del maschio sulla femmina? Semplicemente
per mantenere religiosamente ciò che Cristo ha voluto, senza che ciò implichi
minimamente alcun giudizio men che sfavorevole o discriminatorio nei confronti
della donna nel campo della società e della Chiesa.
Continuano i vescovi: “Nella percezione pubblica e anche in quella
interna alla Chiesa esiste una notevole differenza fra questi processi. Essi
devono essere presi molto seriamente come espressioni del ‘sensus fidelium’. Se
questo non avviene si può giungere a una divisione dall’esterno della Chiesa
cattolica, che già s’intravvede all’interno”.
Il sensus fidelium è una sensibilità
spirituale collettiva ispirata dallo Spirito Santo, quello stesso Spirito, che
assiste il Papa e i pastori uniti con lui; per cui non può mai esserci
contrasto fra sensus fidelium e
dottrina della Chiesa. Questa dà fondamento dogmatico al sensus fdelium, mentre il sensus
fidelium, basato sul dogma, può suggerire al Magistero un progresso
dogmatico. I vescovi sembrano ricorrere alle minacce. Se il Papa non li accontenta,
nascerà uno scisma. Ma di chi sarà la colpa, se non dei vescovi? Vogliamo ripetere
l’esperienza di Lutero?
Disprezzo per il dogma
Ancora: “Nella ricerca teologica non si concorda su quanto sia
vincolante l’affermazione nella lettera apostolica ‘Ordinatio sacerdotalis’ di
papa Giovanni Paolo II secondo cui l’esclusione delle donne dal ministero
sacramentale deve essere ‘definitive tenendam’, ossia una decisione alla quale
devono ‘attenersi in modo definitivo’ tutti i fedeli. […] Al riguardo bisogna
considerare la tematica fondamentale dello sviluppo dei dogmi”.
Osservo che
è evidente che se il Magistero della Chiesa dovesse «recepire le dichiarazioni
di teologhe e teologi sulla possibilità della chiamata anche di donne ai
servizi e ministeri della Chiesa», nonché le «manifestazioni di protesta anche
a livello di comunità cristiane (per esempio da parte di associazioni femminili
e del movimento Maria 2.0) che si sono organizzate in tempi recenti »,
aprirebbe il sacerdozio anche alle donne. Solo che qui i vescovi invertono le
parti: è il Magistero che deve obbedire ai teologi modernisti o sono questi che
devono obbedire al Magistero?
A parte la ribellione nella questione
specifica del sacerdozio della donna, l’errore di fondo che traspare dal
documento del Sinodo su questo punto, è una forma di disprezzo neomodernista
del dogma. È cioè un atteggiamento di sfiducia e indisponibilità ad accogliere
le decisioni o sentenze del Magistero pontificio come mediatore di una verità
divina salvifica che ci libera e dura in eterno, di un bene certo, prezioso,
immutabile ed incorruttibile, da conservare con cura, una roccia che ci rende
saldi e sicuri contro le tempeste, una medicina che ci guarisce, una forte
difesa e protezione contro le forze nemiche, una soluzione o risposta certa e definitiva
ai nostri dubbi esistenziali, un’indicazione certa sul cammino da compiere o sulle
cose da fare, un ideale sublime e stabile, al quale esser fedele per sempre e ad
ogni costo. Una perla preziosa nascosta in un campo, per acquistare la quale
siamo pronti a vendere tutto.
Pare che i vescovi tedeschi non sappiano che
il dogma non limita la nostra libertà, ma la disciplina e la promuove. Esso è
liberante, non opprimente. Amplia e sublima il pensiero, non lo restringe, né
lo immiserisce, Può sembrare, certo, ostico alla ragione, anzi irragionevole e
scandaloso; ma ad uno sguardo umile e attento si rivela ispirato a sublime sapienza.
Può sembrare troppo pesante o addirittura impossibile da praticare; eppure esso
dà lo sguardo dell’aquila, la libertà dell’uccello, la semplicità della
colomba, la prudenza del serpente, il coraggio de leone, «la forza di un bufalo»
(Sal 92, 11), la corsa del cavallo, l’agilità delle cerve.
Invece i teologi cavillosi citati dai
vescovi, soffocati dai loro presuntuosi titoli accademici, stanno a misurare al
centimetro la loro spilorceria intellettuale, anziché mostrarsi, come
dovrebbero, semplici, fiduciosi, generosi ed aperti nella loro adesione
intellettuale, sia pur sempre liberi e prudenti, non certo come nastri
registratori o pappagalli, ma da veri uomini di fede figli della Chiesa.
Che cosa sono queste discussioni su fino quanto
sia o non sia vincolante la sentenza di San iovanni Paolo II? Esse non sono
lecite e denotano incredulità. Gravissimo pertanto è l’avallo fatto dai vescovi
a simili vane discussioni. Infatti, il cattolico qui obbedisce senza discutere,
pena il cadere nell’eresia per
mancanza di fede.
Le sentenze definitive dei Romani Pontefici
servono a metter fine alle discussioni, a togliere i dubbi e dar certezza
definitiva su difficili questioni di dogmatica e di morale dibattute fra i teologi
o gli esperti. E non c’è da credere che una di queste sentenze, oggi vera,
domani potrebbe diventare falsa o un’opinione da loro giudicata falsa, domani
potrebbe diventare vera, perché la Parola di Dio che esse interpretano infallibilmente, è una Parola che non
passa (Mt 24,35)., avendo per oggetto realtà immutabili ed eterne e anche quando
si tratta di pratiche sacramentali che, come in questo caso, dovranno cessare nella futura
resurrezione, la verità che il Papa insegna su di esse resta comunque eterna.
Pertanto, ogni fedele, quale che sia il suo
grado nella gerarchia ecclesiastica, compresi quindi i vescovi, che anzi devono
dare il buon esempio, deve accogliere con gioia e gratitudine al Papa queste
sue sentenze come doni preziosi fatti da Dio alla Chiesa per suo tramite in
ordine alla salvezza. Il mantenere dubbi
o rimettere in discussione queste sentenze è segno di stoltezza, di intollerabile
presunzione e di mancanza di fede.
Credono forse questi sciagurati vescovi di riuscire
a far cambiare idea al Papa o di poter agire
in buona coscienza disobbedendogli? Allora che gettino la maschera e che si facciano
luterani, come avvenne purtroppo per certi vescovi tedeschi sedotti dalla
predicazione di Lutero!
Non hanno ancora capito la lezione degli
ultimi Papi? Quanti altri Papi dovranno parlare perché si convincano che stanno
sbagliando? Credono forse che con Papa Francesco sia arrivato un soggetto manovrabile
secondo i loro piani diabolici, solo perchè Francesco è aperto all’ecumenismo
ed apprezza certi lati di Lutero, come se il Papa non sapesse distinguere l’ortodossia
dall’eresia?? Si ricordino invece che se continuano ad insistere, sperimenteranno
non più la dolcezza ma la terribile
severità del Vicario di Cristo. Sperano
che sia il Papa a cedere? S’illudono gravemente, e saranno loro invece a restare
scornati con immensa vergogna davanti a tutta la Chiesa.
Si tratta di
una definizione dogmatica
In questa questione, infatti, non c’è in
gioco un vecchio pregiudizio antifemminista o un’opinione privata o un gesto
autoritario di San Giovanni Paolo II, ma è chiarissimo, da come si esprime il Papa,
che si tratta di un argomento serissimo, che tocca la Rivelazione divina e più
precisamente, come dice appunto il Papa, la «Costituzione divina della Chiesa»,
che non è una creazione del Papa, ma di Cristo.
Si tratta insomma di una dottrina di fede, e ciò per due motivi: primo, perché Giovanni
Paolo II dichiara di insegnarla «in virtù del mio ministero di confermare i
fratelli nella fede (cf Lc 22,32)». E che vuol dire confermare i fratelli nella
fede? Appunto insegnare una verità di
fede, la cui negazione o messa in discussione è eresia.
In secondo luogo, se un Papa dichiara che si
debba tenere in modo definitivo una sua sentenza in materia di fede («divina Costituzione della Chiesa»), è chiaro che
intende enunciare una dottrina di fede, cioè un dogma.
E poi che cosa c’entra l’«evoluzione dei
dogmi»? I vescovi sembrano quasi subdolamente insinuare la possibilità di
respingere o mutare la sentenza del Papa in nome dell’evoluzione del dogma.
Diciamo subito che l’espressione, già usata dal modernismo dei tempi di San Pio
X, è piuttosto pericolosa o rischiosa, in quanto posta nell’enciclica Pascendi a titolo del n.19, dove è
appunto pronunciata la condanna dell’«evoluzione del dogma», intesa come
«mutevolezza delle formule dogmatiche», causata dal «pervertimento dell’eterno
concetto di verità».
I motivi
dell’esclusione
Ancora: “Quello che occorre motivare non è l’ammissione delle
donne al ministero ordinato sacramentale, ma la loro esclusione”.
Non occorre
motivare l’ammissione delle donne al ministero ordinato sacramentale, perché la
motivazione non esiste, mentre le motivazioni dell’esclusione sono ben note
soprattutto dal Magistero di San Paolo VI e S.Giovanni Paolo II.
Occorre peraltro
tener presente che le motivazioni che la Chiesa adduce in questa materia,
proprio perché si tratta di materia di
fede, non hanno alcuna pretesa di essere stringenti o dimostrative, ma sono
solo gli argomenti di convenienza di un dato rivelato – la volontà di Cristo -,
che va quindi accettato con fede e non per motivi razionali o di esegesi
biblica.
Cristo qui
ci chiede solo di credere in Lui, sia pure per il tramite del Papa. Il rifiuto
della sentenza pontificia implica quindi il non fidarsi di Cristo. La pretesa di
chi pertanto non accetta la sentenza della Chiesa perché priva di rigore
razionale o ragioni antropologiche, non è il segno di un’esigenza critica, ma
di mancanza di fede. Quanto alla pretesa di opporre alla sentenza della Chiesa
una propria interpretazione della Scrittura, non è segno di docilità cattolica,
ma di sfiducia e presunzione protestante.
La vera promozione della donna
La cosa semmai da fare, come ha suggerito in
passato saggiamente la Conferenza Episcopale Italiana, è che i buoni Vescovi
interpellino le donne stesse, chiedendo loro che, salva la loro obbedienza alle
disposizioni della Chiesa riguardanti il sacerdozio, siano esse stesse ad esprimere che cosa
pensano di se stesse e delle loro capacità, come vedono il loro posto nella
Chiesa a fianco dei Vescovi, dei sacerdoti, dei loro mariti, degli amici maschi;
quali sono le loro esigenze, i loro desideri, le loro aspirazioni, che cosa possono
fare nella Chiesa e per il bene della Chiesa? Che cosa, secondo loro, lo Spirito
Santo «dice alle Chiese» (Ap 3,8) riguardo a queste cose?
Il Vescovo è
un maschio, con le qualità del maschio; ma quelle femminili non può conoscerle
se non dal di fuori, in quanto e nella misura in cui le manifestano le donne
con le quali entra in relazione. Ma chi più della donna, coinvolta in ciò in prima
persona, conosce meglio nell’intimo la donna, cioè sé stessa, che non la donna stessa
guardando a se stessa e alla propria esperienza di donna?
È chiaro che
la donna cattolica accoglie serenamente la sentenza della Chiesa; tuttavia,
bisogna che la Chiesa chiarisca ulteriormente quali sono, nella società e nella
Chiesa, il ruolo e la missione specifici
ed insostituibili, che il Datore dei doni, lo Spirito Santo, le assegna,
accanto e in reciproca complementarità con l’uomo.
Non ha più
senso l’idea di risolvere ogni
apporto femminile, salvo casi speciali, in un ruolo suppletivo, di imitazione
del maschio, con l’idea che l’uomo possa farsi aiutar meglio da un altro uomo
maschio piuttosto che da una donna, alla quale si è costretti a ricorrere alla
donna in mancanza di meglio, ossia dell’uomo e cose del genere. La donna che
vuol imitare le qualità esclusivamente proprie
del maschio, si sentirà frustrata, perchè le sue qualità proprie femminili
ovviamente non le consentono di pareggiarlo e superarlo.
Sarebbe come
se la donna volesse imitare la voce dell’uomo. Che ne verrebbe fuori? Ma poi
chi glielo farebbe fare, quando essa ha per conto suo una voce splendida e
affascinante. che il maschio non può imitare, se non facendo degli strilli
ridicoli. La donna nella società e nella Chiesa ha qualità ed attitudini proprie
e peculiari preziosissime ed insostituibili, delle quali deve essere fiera, per
cui nulla deve importarle se non possiede le qualità del maschio, fosse anche
il poter fare il Papa.
Si pensi
solo al miracolo della grazia, che, secondo una recente opinione teologica. giunge
nel seno della madre a battezzare il feto prima della nascita e della
possibilità di ricevere il battesimo sacramentale. Un caso del genere, benché eccezionale,
a parte quello assolutamente unico della Madonna, è stato quello di S.Giovanni
Battista e dei Santi Innocenti, fatti uccidere da Erode.
P.Giovanni
Cavalcoli
Fontanellato,
9 maggio 2020
[2] IL CONCETTO DI SACERDOZIO IN RAHNER, ne Il sacerdozio ministeriale: “L’amore del Cuore di Gesù”, Atti del
Convegno Teologico Internazionale organizzato dai Francescani dell’Immacolata,
a cura di P.Stefano M.Manelli, FI e P.Serafino M.Lanzetta, FI, Casa Mariana
Editrice, Frigento (AV), 2010, pp.183-230.
[3] SULLA DIFFERENZA TRA L’ANIMA DELL’UOMO E QUELLA DELLA DONNA, in Atti
del congresso della SITA, Ed.Massimo, Milano, pp.227-234
[4] Cf il mio libro LA COPPIA CONSACRATA,
Edizioni Viverein, Roma 2008
[5] CfJ.Maritain, Facciamogli un aiuto simile a lui, in «Approches sans entraves».
Scritti di filosofia cristiana. Città Nuova Editrice, Roma 1977, pp.181-199.
[6] LA TEOLOGIA DEL CORPO NEL
PENSIERO DI GIOVANNI PAOLO II, Sacra Doctrina, 6,1983, pp.604-626
[7] LA RESURREZIONE DELLA SESSUALITA’ SECONDO San TOMMASO, in Atti dell’VII
Congresso Tomistico Internazionale a cura della Pontificia Accademia di San
Tommaso, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1982, pp. 207-219.
[8] Vedi nota 2.
[9] Il
ministero nella Chiesa. Servizio di presidenza nella comunità di Gesù Cristo,
Queriniana, Brescia 1981.
Padre Cavalcoli,
RispondiEliminaTu dici: "Cristo inoltre col suo Sacrificio volle essere in continuità con i sacrifici dell’Antica Alleanza, che utilizzavano vittime di animali maschi. Infatti allora si riteneva che il maschio fosse più prezioso e quindi più degno della femmina da offrire a Dio. Senza fare alcuna valutazione circa un’eventuale superiorità del maschio sulla femmina, Gesù volle adattarsi alle idee del suo tempo e decise di istituire il sacrificio cristiano con una vittima maschile, che fu Egli stesso e per conseguenza il sacerdote cristiano".
Non si capisce perché Dio abbia voluto ancorarsi nel tempo a questo punto. In altre parole, pur conoscendo la pari dignità dell'uomo e della donna, però, come quando istituì il sacerdozio, questo non si sapeva - mi risulta che Gesù lo sapesse - decise di seguire quella tendenza e stabilire che solo gli uomini potessero ricevere questo sacramento. Non è così per altre situazioni come il divorzio in cui ha contraddetto la concezione del suo tempo, anche l'autorità invocata di Mosè.
Caro Fabio,
EliminaGesù si è adattato alla mentalità del tempo, che poneva la superiorità dell’uomo sulla donna, per cui accettando questa mentalità non ha inteso affatto trasformarla in una verità di fede, ma l’ha semplicemente tollerata per non incorrere in altre difficoltà, oltre a quelle che già aveva.
D’altra parte nell’insegnamento di Cristo ci sono già i presupposti che avrebbero condotto la Chiesa nei secoli seguenti alla consapevolezza della pari dignità di uomo e donna. E questi presupposti si sono appunto esplicitati con l’attuale Magistero della Chiesa concernente la pari dignità dell’uomo e della donna.
Ciò significa che il fatto che Gesù abbia voluto che il sacerdozio sia esercitato solo dal maschio non dipende affatto dal suo essersi adattato alla mentalità del tempo. Come ha spiegato molto bene il Magistero della Chiesa sin dai tempi di San Paolo VI, la connessione del sacerdozio col sesso maschile è un dato di fede, legato al fatto che il Verbo si è incarnato in un individuo umano di sesso maschile, mistero di fede che va accolto con serenità senza pensare che possa essere offensivo della moderna dignità della donna.
Infatti la Chiesa in questi ultimi decenni ha spiegato molto bene che la donna nella Chiesa ha un suo particolare carisma, diverso e complementare a quello maschile, in modo simile al quale padre e madre si completano a vicenda nella generazione della prole.