La conoscenza dello spirito - Terza Parte (3/3)

  La conoscenza dello spirito

Terza Parte (3/3)

Le vie per arrivare alla conoscenza dello spirito

Lo spirituale non è solo l’immateriale. Non può essere definito solo per negazione. Abbiamo bisogno di guardarlo in faccia; altrimenti, come la sua conoscenza potrebbe essere la nostra gioia e la nostra felicità? La visione delle cose materiali congiunta con l’affermazione che quelle spirituali non sono quelle cose materiali che vediamo, basta a farci conoscere lo spirito? Se dico che un elefante non è un leone, avendo visto l’elefante e non avendo mai visto il leone, posso sapere che cosa è il leone?

Ci chiediamo allora: come fa Platone, che pure era pagano, a vedere le cose dello spirito, vedere le idee? Che cosa sono le Idee? Che operazione ha compiuto? Che cosa è nella Bibbia, libro dello spirito, che attira l’interesse dell’umanità da millenni? Come fa il cristiano a gioire di quelle che San Paolo chiama «le cose di lassù»? Che cosa vede?

Non si può negare che stiamo vivendo oggi in occidente un clima intellettuale di smarrimento e disorientamento. Sant’Agostino esortava: intellectum valde ama. Ma chi ama oggi l’intelletto? Per questo non si sa più che cosa è lo spirito; si è perso il gusto delle cose spirituali, perché non si sa più che cosa è l’intelletto, potenza spirituale che conosce lo spirito, spirito esso stesso.

Ma come può vivere un cristianesimo dove ci si disinteressi dello spirito? Certo non mancano oggi i segni e le tracce dello spirito in tanti fenomeni sociali ed ecclesiali di carità, misericordia, solidarietà, operosità. Non mancano i movimenti esaltatori dello Spirito Santo. Il Papa parla spesso dello Spirito Santo. La mistica riscuote successo.

Nel 1970 mi laureai in filosofia a Bologna con una tesi dal titolo: «la crisi dell’intellettuale nella società moderna». Allora si parlava ancora di intellettuali. Oggi non si è più capaci. Vuol dire che la crisi è peggiorata. E quale rimedio proponevo? La metafisica. Ma a chi interessa oggi la metafisica? Eppure è proprio la metafisica che ci eleva alla conoscenza dello spirito, col soccorso di una sana gnoseologia.

È proprio la metafisica quella che consente l’edificazione di una teologia per la quale Dio è l’ipsum Esse per se subsistens. La parola stessa metafisica è indicativa: oltre la fisica, ossia oltre la materia verso lo spirito. È possibile parlare di Dio e dello Spirito Santo ignorando la metafisica?

Esiste una diffusa antipatia nei confronti di ciò che sa di intellettuale, di teorico, di speculativo, di dottrinale e di astratto, frettolosamente bollato come «ideologia» ed un eccessivo insistere sulla concretezza, sulla storicità, sulla prassi, sulla soggettività, sull’esperienza, che denota una ripugnanza per l’esercizio stesso del pensiero, il cui elemento naturale è l’astratto, così come l’acqua è l’habitat del pesce. Esiste certo un astrattismo indiscreto e sterile, laddove occorre concretezza. Ma ciò non giustifica certe ostilità di principio laddove l’astrarre è necessario alla scienza della verità e al normale funzionamento dell’intelletto.

A questo riguardo occorre ricordare che l’intellezione della realtà spirituale offerta dalla metafisica si raggiunge mediante un processo astrattivo che comporta tre gradi a ciascuno dei quali l’intelletto astrae da una proprietà categoriale dell’ente, fino a giungere alla massima e più alta astrazione, che prescinde dalla quantità, ossia dalla materia per considerare l’ente come ente, indifferente al materiale e allo spirituale. A questo punto l’intelletto, mediante un giudizio d’esistenza, che separa i corpi dagli spiriti, nega la materialità dello spirito e lo considera in se stesso.

Come guardare in faccia lo spirito? Come porlo davanti agli occhi della nostra mente? Un atto molto semplice è quello della riflessione sugli atti del nostro spirito: il pensare, il concepire, il giudicare, lo stesso riflettere, il ragionare, l’intuire, il contemplare, il ricordare, il volere, il desiderare, lo sperare, l’amare, il temere, il calcolare, il misurare.

Se riflettiamo su questi stati e questi atti, ci troviamo subito nel mondo dell’immateriale, del sovrasensibile, del sovratemporale e sovraspaziale, nel mondo dello spirito, dove tacciono i sensi e l’immaginazione e parla nel silenzio e nella solitudine il nostro spirito o ascoltiamo messaggi spirituali, parole interiori, emergenti dall’inconscio o dalla memoria o forse provenienti da qualche altro spirito o da Dio, o avvertiamo stimoli ed impulsi spirituali all’azione, all’amore o all’odio, alla speranza o al timore, alla pazienza o al coraggio, alla mitezza o alla severità, alla carità o alla giustizia o alla misericordia, al sacrificio, alla preghiera o all’adorazione.

Percepiamo qui lo spirituale non nel concetto ma per esperienza, certo non un’esperienza sensibile, ma interiore, non meno certa e chiara di quella esterna.  E nel contempo ci accorgiamo e sperimentiamo di avere un’anima che forma tutti questi atti. Sono io che penso, che so, che voglio, che rifletto, che decido, che scelgo, che considero questi contenuti invisibili al senso ma non al mio intelletto, non alla mia coscienza. Eccomi immerso nel mondo dello spirito.

Altro modo di considerare lo spirito è quello di concepirlo come principio dei trascendentali relazionali, ossia quei trascendentali che non dipendono dalla semplice considerazione dell’ente (unum, aliquid, res), ma sono l’effetto di una relazione, appunto la relazione con lo spirito, che è quell’ente capace di divenire intenzionalmente ogni ente.

L’anima, come dice Aristotele, è in qualche modo tutto, perché tutto può conoscere. Il privilegio dello spirito sul corpo è dato dal fatto che questi ha la sua forma ed è chiuso nella sua forma, mentre il conoscente, già l’animale, ma molto più l’uomo grazie dell’astrazione dell’universale, allarga la sua forma naturale al di là di se stesso con l’acquisto di forme intenzionali, tratte dalla realtà esterna, per le quali diventa intenzionalmente e conoscitivamente l’altro da sé. Questo è il pregio e la meraviglia dello spirito.

E così a questo ente che è lo spirito, l’ente, ogni ente appare come vero al suo intelletto e buono alla sua volontà. Appare come bello, precisa Platone all’intelletto al quale piace vedere (pulchrum, quod visum placet, dice l’Aquinate) perché il bello è buono e amabile al vedersi. Ora il piacere tocca l’affetto ed è espressione del volere. Per questo, come notò giustamente Kant nella sua Critica del Giudizio, il bello è il punto di passaggio dal conoscere all’agire.

Il faciendum appare bello al vedersi e desiderabile al volere. Ma allora, se è tale, esso spinge alla prassi e giustifica la prassi. Vero, buono e bello è la triade trascendentale scoperta da Platone, oggetto dello spirito sciente ed amante, volente e intelligente, sia esso umano o sia angelico o sia divino.

Mediante l’intelletto lo spirito interiorizza il reale esterno nella coscienza. Questa interiorizzazione mediante la rappresentazione concettuale e l’atto del giudizio fa sorgere nello spirito una seconda potenza di contatto col reale conosciuto, che è la volontà.

Ma il contatto, questa volta, non è finalizzato ad adeguare lo spirito alla realtà esterna contattata dai sensi. Questa volta è il soggetto stesso che si muove esistenzialmente verso l’oggetto esterno, che è il fine dell’azione, è il bene amato, praticato o desiderato, è l’opera prodotta, è il progetto realizzato. Se l’intelletto arriva all’immateriale partendo dai sensi, la volontà è una forza immateriale che fa uso e si esprime nelle passioni e nella sensibilità.

Nella vita presente, legati come siamo ai sensi, non possiamo avere un’intuizione intellettuale immediata della esistenza spirituale oggettiva, a noi esterna. Conosciamo lo spirito solo per analogia con le cose materiali, per simboli, per metafore, per partecipazione, per negazione, negando la materialità, per eminenza, ossia per superlativi, per causalità, ossia come causa delle cose materiali. Così similmente non possiamo adesso vedere immediatamente l’essenza di Dio, anche se possiamo farcene un concetto di ragione e di fede; ma conosciamo Dio solo mediante le creature, filosoficamente, e la divina rivelazione, per fede. Solo in paradiso potremo vederLo faccia a faccia.

Caso singolare di mescolanza di empirismo occamista ed idealismo cartesiano nella conoscenza dello spirito è quello di Giorgio Berkeley, il quale da una parte vorrebbe accettare la gnoseologia occamista, per la quale l’oggetto dell’intelletto è l’individuo sensibile materiale, per cui l’intelletto non astrae l’essenza universale dal singolare concreto, ma sostituisce l’universale con un nome collettivo,  ma dall’altra vorrebbe negare addirittura l’esistenza della sostanza materiale, in nome della convinzione che oggetto dell’intelletto è lo spirito, alla maniera cartesiana.

Come fa Berkeley a mettere assieme queste due tesi contradditorie? Interpreta Ockham alla luce di Cartesio: Ockham sostiene che l’intelletto intuisce immediatamente l’ente sensibile individuale nella sua individualità senza mediazione concettuale e quindi senza astrarre l’essenza universale dal singolare concreto.

Berkeley sostiene che lo spirito o l’intelletto, da lui confuso col senso, percepisce immediatamente l’essere spirituale non in se stesso, ma in quanto percepito o, usando il linguaggio di Cartesio, in quanto ideato. In altre parole, confonde la sensazione con l’idea, l’essere con l’essere pensato, il percepibile col percepito e quindi lo spirito reale con lo spirito pensato.

Si capisce che Berkeley riduce lo spirituale al sensibile dal fatto che egli ritiene che lo spirito sia il primum cognitum del nostro sapere, quando invece il primum cognitum sono le cose esterne sensibili, dalla conoscenza delle quali, per negazione, causalità ed analogia, si ricava la conoscenza delle realtà spirituali, a parte l’autocoscienza per la quale possiamo avere un’esperienza della nostra anima.

 Alla fine dunque lo spiritualismo di Berkeley nasconde una gnoseologia sensista, come in fondo era quella di Ockham e idealista, come è quella di Cartesio messe assieme, perché l’ideato è il sentito e l’essere coincide con l’essere pensato e ideato.

Quindi tutto lo sdegno di Berkeley contro i materialisti è una messa in scena, perché sotto le apparenze dello spiritualismo Berkeley è in realtà un sensista, ma  sensista idealista, che identifica l’idea con l’ideato, il sentire col sentito e l’essere con l’essere pensato. Lo spirito non è lo spirito reale extramentale, ma lo spirito pensato. Dio è un Dio pensato e non il vero Dio che trascende il cielo e la terra.

Quello che mi pare mancare oggi è il discorso filosofico sullo spirito. La psicologia ha perduto la sua articolazione sapienziale e la sua apertura ai valori morali, per essere invasa da orientamenti sociologistici, politicizzanti, sensualisti, empiristici e materialisti, che ne restringono la vita all’orizzonte terreno, spengono l’interiorità gettando nell’esteriorismo, senza prospettive trascendenti ed apertura all’assoluto divino.

Sono troppi nella Bibbia i riferimenti alle realtà spirituali perché di fatto non se ne parli nei nostri ambienti cattolici. Ma sembra spesso prevalere l’emotivismo e l’indisciplina, per non dire il fanatismo, su quello che dovrebbe essere un solido fondamento razionale teologico. La convinzione presuntuosa di essere strumenti dello Spirito Santo porta alcuni a lasciarsi sedurre da idee ereticali o da scelte scismatiche nel campo della morale o della liturgia.

Lo spirito nella vita presente legata ai sensi, non ci si manifesta direttamente in se stesso, non ci rivela direttamente il suo volto, se non nell’esperienza dell’autocoscienza, ossia l’esperienza che l’anima ha di se stessa o dei prodotti immateriali del nostro spirito, intimi al nostro spirito e alla nostra coscienza.

Esiste una manifestazione sensibile dell’attività del nostro spirito, che è la parola, il linguaggio. Qui il pensiero si esprime in segni o simboli sensibili convenzionali o naturali, eventualmente accompagnati da gesti esterni. espressioni del volto significativi, toni della voce o messaggi scritti od orali, che rimandano al contenuto del pensiero o alle intenzioni della mente o della volontà.

La parola è un prodotto dello spirito funzionale alla comunicazione ed ordinato alla comunione. Essa parte da uno spirito e serve a illuminare l’intelligenza e a muovere la volontà di un altro spirito. La Parola di Dio muove efficacemente la volontà dello spirito creato, pur lasciandolo libero. La nostra può argomentare, può stimolare, può eccitare; ma non causare l’assenso. L’altro resta libero di accoglierla o meno.

La parola genera tra gli spiriti o l’accordo o il conflitto. Lo spirito resta libero di accogliere, di ascoltare o di rifiutare, di contestare. La parola è il luogo spirituale dove gioca la verità e la menzogna. Essa esprime l’amore come l’odio. Induce alla giustizia come al peccato. Comunica la sapienza come è segno di stoltezza. Edifica o ferisce. Illumina o confonde. Consola o amareggia. Libera o incatena. Soggioga o lascia indifferente. Invoglia o ripugna. Conforta o scoraggia. Unisce o divide. Scatena la passione o scalda l’amore. Induce in tentazione o stimola alla virtù.

La parola domina gli altri spiriti o sottopone lo spirito all’obbedienza. Inganna o disinganna. Onora o diffama. Proibisce o permette. Rivela o nasconde. Assente o dissente. Illude e disillude. Non si contano gli atti dello spirito che si manifestano nella parola. In ognuno di essi abbiamo una manifestazione dello spirito. Sotto questo profilo del linguaggio e della parola, non diciamo dunque che è difficile conoscere lo spirito.

Quello che manca, invece, nella cultura contemporanea, almeno nei grandi numeri, non è tanto questa proliferazione del linguaggio, spesso vuoto ed inutile, quanto piuttosto è l’interesse per il grande tema dell’anima, delle sue facoltà, delle sue manifestazioni, della sua origine, del suo destino, della sua dignità, delle sue possibilità, del suo rapporto con Dio, della vita dell’al di là, del suo rapporto col corpo, della sua formazione ed educazione spirituale, della sua illuminazione, purificazione e progresso, della sua salvezza e santificazione, della sua beatitudine e dannazione, della sua modalità maschile e femminile.

L’esperienza della presenza attiva di Dio in me è l’esperienza di un beneficio spirituale, come per esempio l’essere consolato o perdonato o anche solo un beneficio fisico, come per esempio uno scampato pericolo o una guarigione o una grazia ricevuta o una bella sorpresa,  cose che sento che non vengono da me, sento che mi vengono donate gratuitamente, non le ho prodotte io, ma vengono dal di fuori e dal di sopra di me, al di là di ciò che potevo fare con le mie forze, al di là delle migliori aspettative.

Quest’apparizione o manifestazione sensibile o interiore dello spirito può venirmi direttamente dall’apparizione di un amico, dalla bontà del prossimo o dalla bellezza e maternità della natura, ma mi accorgo che dietro a questi benefìci c’è Dio, che li causa. Ma se penso anche a quello che faccio io, come potrei farlo se non ci fosse Dio che mi ha creato e che mi ha mosso? Questo lo aveva già capito Aristotele col suo famoso Motore immobile, scioccamente bistrattato dagli ignoranti.

Alta esperienza spirituale è quella religiosa: l’esperienza del compimento di un sacrificio, della consacrazione, della preghiera, del render culto a Dio, della presenza del sacro, della comunità orante, della solennità liturgica, della commozione mistica e l’esperienza estatica.

Forte esperienza spirituale è l’esperienza morale, della propria responsabilità, dell’obbligo morale, dell’angoscia, dell’aridità, della colpa, del pentimento, della carità, della misericordia, della tenerezza, della pace della coscienza, della riconciliazione, della conversione.

L’esperienza psicologica è di per sé un’esperienza sensitiva, ma che media quella morale: è l’esperienza della preoccupazione, dell’incertezza, del dubbio, del timore, della paura, della sofferenza, dell’odio, della tristezza, della gioia, dell’entusiasmo, del piacere sessuale.

La spiritualità trinitaria

San Paolo prospetta l’ideale dell’uomo spirituale, figlio di Dio, mosso dallo Spirito Santo, uomo nuovo nato nel battesimo, il quale per tutto il corso della vita presente mortifica l’uomo vecchio corrotto dal peccato originale. L’uomo spirituale è già risorto con Cristo e pertanto pensa alle cose di lassù, non a quelle della terra.

È membro del Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa, animata dallo Spirito Santo. Fruisce di una varietà di grazie, carismi ed uffici donatigli dallo Spirito per la propria santificazione e l’edificazione della Chiesa. Fruisce della sapienza dello Spirito Santo, combatte la battaglia spirituale contro gli spiriti maligni, usa il linguaggio della sapienza, e comprende le cose dello Spirito, per cui giudica tutto e non è giudicato da nessuno. È crocifisso con Cristo e castiga il proprio corpo per non essere vinto dalla concupiscenza. Segue gli impulsi dello Spirito e non ascolta i desideri della carne.

Il fine, tuttavia, di quest’opera ascetica, non è la liberazione dello spirito dal corpo, ma la sottomissione del corpo allo spirito in vista della resurrezione del corpo. L’astinenza dai desideri della carne non ha quindi per fine la liberazione dalla carne, ma la sua purificazione, così da renderla pienamente soggetta allo spirito, secondo la volontà originaria divina.

Il conflitto dello spirito con la carne, in forza della stessa vita ascetica spirituale, è destinato a risolversi nella finale armonia della carne con lo spirito, nella formazione dell’uomo perfetto, secondo Cristo, composto di spirito e carne, di anima e corpo.

La vita cristiana è dunque sotto il segno della Santissima Trinità. È la vita del figlio del Padre, ad immagine del Figlio, mosso dallo Spirito Santo. Le radici della spiritualità cristiana affondano dunque e si perdono nella spiritualità abissale del mistero trinitario.

Ora, nella SS.Trinità le tre Persone sono un solo Spirito, un solo Dio, ma non una sola Persona. Qui lo spirito non coincide con la persona, come nello spirito creato. Dio spirito è l’ipsum esse per se subsistens, è l’essenza o natura divina, dove l’essenza coincide con l’essere. La Persona invece è spirito non sostanziale ma relazionale, originato, il Figlio e lo Spirito, ed originante, il Padre e il Figlio.

Il Padre è spirito principiale, generante ed originario. Il Figlio è la Parola di Dio, Il Verbo divino, Idea del Padre, spirito generato, concepito, pensato e proferito, è il Sapere del Padre, per Quem omnia facta sunt. Lo Spirito Santo è spirito d’amore che connette il Padre col Figlio ed è il distributore dei doni, principio di ogni purificazione, illuminazione, perfezione, diversificazione, armonizzazione, conciliazione e santificazione.

Le tre Persone sono spirito, ma non spirito sostanziale. Questa è la natura divina. Solo essa è sostanza spirituale. In ciò essa assomiglia alla sostanza spirituale creata. Laddove però questa si relaziona o ha una relazione, la sostanza divina non si relaziona, ma s’identifica con le Persone, che sono spiriti relazionali sussistenti. Questo è Dio. Questo, per il cristianesimo, è lo spirito.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 25 luglio 2022

 

Come guardare in faccia lo spirito? Come porlo davanti agli occhi della nostra mente? Un atto molto semplice è quello della riflessione sugli atti del nostro spirito: il pensare, il concepire, il giudicare, lo stesso riflettere, il ragionare, l’intuire, il contemplare, il ricordare, il volere, il desiderare, lo sperare, l’amare, il temere, il calcolare, il misurare.

Se riflettiamo su questi stati e questi atti, ci troviamo subito nel mondo dell’immateriale, del sovrasensibile, del sovratemporale e sovraspaziale, nel mondo dello spirito, dove tacciono i sensi e l’immaginazione e parla nel silenzio e nella solitudine il nostro spirito o ascoltiamo messaggi spirituali, parole interiori, emergenti dall’inconscio o dalla memoria o forse provenienti da qualche altro spirito o da Dio, o avvertiamo stimoli ed impulsi spirituali all’azione, all’amore o all’odio, alla speranza o al timore, alla pazienza o al coraggio, alla mitezza o alla severità, alla carità o alla giustizia o alla misericordia, al sacrificio, alla preghiera o all’adorazione.

Percepiamo qui lo spirituale non nel concetto ma per esperienza, certo non un’esperienza sensibile, ma interiore, non meno certa e chiara di quella esterna. E nel contempo ci accorgiamo e sperimentiamo di avere un’anima che forma tutti questi atti. Sono io che penso, che so, che voglio, che rifletto, che decido, che scelgo, che considero questi contenuti invisibili al senso ma non al mio intelletto, non alla mia coscienza. Eccomi immerso nel mondo dello spirito.

Immagini da Internet:
- Raffaello Sanzio, Madonna Sistina, Dettaglio
- Rosso Fiorentino, Putto che suona

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