18 marzo, 2024

La falsità come principio della violenza - Prima Parte (1/2)

 

La falsità come principio della violenza

Prima Parte (1/2)

                                                                                         Il diavolo è menzognero e padre della menzogna

Gv 8,44     

 

Il rispetto della verità è un dovere morale

 

Nessuno inganni in questa materia il proprio fratello

I Ts 4,6

Dio ci ha creati con un’inclinazione spontanea del nostro intelletto alla conoscenza e all’amore per la verità, ossia a riconoscere le cose come sono e ad adeguare i nostri giudizi alla realtà delle cose. Se permettiamo alla nostra ragione di percorrere fino alla fine il suo percorso naturale, sentiamo il bisogno e il desiderio di conoscere la verità prima, suprema ed ultima, la verità assoluta, sussistente ed eterna, che è Dio, sorgente, principio, criterio e causa di ogni altra verità, trovando nella visione di questa verità la nostra beatitudine.

Ma, a causa del peccato originale, per il quale l’uomo si è lasciato sedurre dal demonio, padre della menzogna, c’è in tutti noi anche una tendenza contraria, una ripugnanza per la verità, c’è la voglia di non adeguare il nostro intelletto alle cose come sono, c’è la tendenza a seguire la nostra inclinazione al peccato e, per dare una parvenza di giustificazione al peccato che vogliamo fare, abbiamo la tendenza a inventare false ragioni. 

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La misura della verità del pensiero o del giudizio o del sapere sono le cose o gli enti che ci stanno davanti o attorno, la realtà visibile e invisibile che ci circonda, ci sta sotto, è alla pari di noi – le altre persone - e ci sovrasta – Dio e gli angeli - compresa la realtà della nostra stessa persona, gli «oggetti», da ob-jectum: posto-davanti.

La carità non è mai impositiva ed autoritaria. Nulla è di più contrario alla carità della violenza. In ciò Vattimo ha ragione. Quello che gli sfugge è che la carità non dice sempre e solo mitezza e tenerezza, ma anche fortezza, coraggio, attitudine al combattimento, lotta fino alla vittoria sul nemico. Infatti, se la carità impone di amare gli uomini nostri nemici, ci impone di odiare il peccato, la violenza, la falsità.

Pensiero forte non vuol dire necessariamente pensiero violento. Pensiero forte e pensiero debole devono stare assieme, così come la scienza convive con l’opinione, il sapere certo con la dialettica. Lo sbaglio di Vattimo è quello di voler sostituire il pensiero forte con quello debole credendo di poter fondare una metafisica che «indebolisce» l’essere e lo riduce a «evento».

Vattimo attacca la metafisica che per lui sarebbe quel pensiero forte che genera i dittatori e i tiranni. Niente di più falso. Vediamo brevemente che cosa è in realtà la metafisica. Essa è la scienza che ha per oggetto primario la questione della verità. E per conseguenza ha per oggetto la falsità, che è l’opposto della verità. Chi disprezza la metafisica dà prova di non amare la verità. Infatti Aristotele dimostra nella sua Metafisica che essa è la scienza delle verità primarie della ragione, i punti di partenza e le basi di tutto il sapere umano.

Immagine da Internet: Giani Vattimo

17 marzo, 2024

L’avventura della metafisica - Parte Sesta (6/6)

 

L’avventura della metafisica

Parte Sesta (6/6) 

 

L’uomo-essere e l’essere-uomo

Con questa concezione della metafisica si può immaginare che cosa diventa la metafisica e che cosa diventa l’uomo: la metafisica si immiserisce e restringe, si chiude nei limiti della storia, del corruttibile e del contingente, e lo sguardo diventa incapace di riflettere, di penetrare, di approfondire, di distinguere, di unire, di intuire, di astrarre, di spaziare, di sintetizzare nell’ordine dell’essere,  nonchè di purificarsi ed elevarsi al mondo del puro spirito, e dell’orizzonte infinito dell’intelligenza, della conoscenza, della coscienza, della logica, dell’anima, degli angeli, della verità, della libertà, della vita, del sacro, del mistero, del divino, della trascendenza, dell’infinito, dell’assoluto, dell’eterno.

L’uomo, per Rahner, è «l’assoluta apertura all’essere in genere». Questa maniera metafisica di definire l’uomo è certamente suggestiva, perchè effettivamente l’uomo, come osserva anche San Tommaso, in quanto possiede un’anima spirituale, è un ente è «atto a convenire con ogni ente» (natum convenire cum omni ente).

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Fontanellato, 7 marzo 2024


Il concetto rahneriano di «apertura», desunto da Heidegger (Offenheit) è bello ed oggi usatissimo, ma ha un doppio senso: un conto è l’essere aperto nel senso di potersi aprire e un conto è l’essere effettivamente aperto.

L’uomo è essenzialmente aperto con l’intelligenza all’essere in quanto vero, ma non con la volontà. Sta a lui in tal senso, sta alla scelta di ciascuno di noi, aprirsi o chiudersi all’essere in quanto bene e Dio, sommo essere e sommo bene.

Quanto poi alla natura umana, è importante tener presente che, come sappiamo anche dal dogma cattolico, essa non è, come crede Rahner, una semplice possibilità astratta, un qualcosa di indeterminato e di indefinibile, un materiale informe che può assumere infinite forme, quante ognuno vuol imprimere in essa, no: la natura umana è un’entità ben precisa ed immutabile, creata da Dio, comune a tutti gli individui, base quindi dell’uguaglianza e fratellanza umane, entità sostanziale vivente, dotata di accidenti propri, composta di anima e corpo, corruttibile nel corpo, immortale nell’anima, composta di materia e forma, dualità di maschio e femmina, delimitata e definita quindi per genere e differenza, sì che l’agire umano deve lasciarsi regolare, moderare e misurare da ben precise leggi  poste da Dio stesso nella natura maschile e femminile, affinchè l’uomo possa raggiungere il fine per il quale è stato creato.

È in linea con questa prassi educativa secolare della Chiesa che Papa Francesco, nel solco delle indicazioni conciliari, ripropone il pensiero dell’Aquinate come stimolo di progresso e come soccorso ai bisogni intellettuali e spirituali del nostro tempo e come metodo critico per il vaglio delle proposte teoretiche che ci vengono dalla modernità.

Immagini da Internet: Karl Rahner, Papa Benedetto XVI e Papa Francesco

16 marzo, 2024

L’avventura della metafisica - Parte Quinta (5/6)

 

L’avventura della metafisica

Parte Quinta (5/6) 

 

Martin Heidegger

L’ontologia oltre la metafisica

Heidegger, che evidentemente ignora la metafisica di San Tommaso e conosce solo quella di Duns Scoto, di Suarez e di Wolff, ha creduto di poter riscoprire l’essere, dopo 2600 anni dall’avvento di Parmenide. La stessa cosa avrebbe fatto Severino qualche decennio dopo, stimolato da Bontadini, al seguito di Heidegger.  In realtà è dal tempo di San Tommaso che tutti i metafisici seri sanno benissimo che è stato Tommaso a evidenziare al di là di Aristotele, l’importanza dell’esse in metafisica, sicché, se Tommaso continua a dire con Aristotele che oggetto della metafisica è l’ente in quanto ente, è chiaro che Tommaso, quando dice ens, pensa all’esse come atto, forma, compiutezza, ultimità e perfezione dell’ente.

E si badi bene: come ha sottolineato opportunamente il Padre Fabro, non si tratta semplicemente dell’esistere o dell’esistenza (esse in actu), come semplice attuazione del possibile, perchè anche l’immaginario, il contradditorio, il nulla, il negativo, il vuoto e il male esistono, eppure non hanno essere, non sono realtà; anche il pensiero esiste, eppure è un semplice essere ideale o intenzionale.

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Edith era adattissima a richiamare Heidegger alla verità. Proprio perché comprendeva l’istanza heideggeriana desunta da Husserl di pensare l’essere, era in grado di fare una critica dall’interno dello stesso pensiero heideggeriano-husserliano mostrando che quell’istanza poteva essere soddisfatta solo con la metafisica tomista, da lei recentemente scoperta dopo l’incontro con Santa Teresa d’Avila, che le aveva aperto la strada.

La Stein si era accorta che la vera interiorità, il vero sguardo al proprio io, al proprio essere, alla propria coscienza e al mondo in essa presente, suppone l’apertura dei sensi e della mente alla realtà esterna, sensibile e spirituale, umile e sublime, a quell’essere extramentale, e quindi all’ipsum Esse divino, che invece Husserl aveva messo con alterigia e somma imprudenza tra parentesi, imprigionandosi nei limiti del proprio io, come era successo a Cartesio.


Heidegger sbaglia nel definire lo stato d’animo del metafisico, che non è quello dell’angoscia (Angst), ma, come osserva Aristotele, è la meraviglia, il che implica la gioia della percezione dell’ente e il desiderio di conoscerne la causa.

Come ad Heidegger vengono in mente idee così angoscianti e sconfortanti? Dal fatto, mi sembra, che egli prende per saggia la domanda che si fa Leibniz, il quale, dando prova di scarso senso dell’essere, si chiede perché c’è l’essere e non piuttosto il nulla.  

Chi si fa una domanda come quella di Leibniz forse identifica l’essere con l’essere contingente. Infatti non ha senso chiedersi perché esiste l’essere necessario ed assoluto. Eppure, chi si pone una simile domanda, ipotizza la possibilità della non esistenza dell’essere assoluto e della necessità di essere spiegato, se esiste è un’ipotesi evidentemente assurda, perché supporrebbe che l’essere necessario non sia necessario. Dunque l’ipotesi assurda dell’esistenza del nulla assoluto, al quale Leopardi credeva seriamente.


Immagini da Internet:
- Edith Stein
- Martin Heidegger

15 marzo, 2024

Lo gnosticismo secondo Luigino Bruni - Seconda Parte (2/2)

 

Lo gnosticismo secondo Luigino Bruni

Seconda Parte (2/2) 

 Fraintendimenti di Bruni

Bruni non tiene conto del fatto che dualismo non è il semplice distinguere corpo e anima. Distinguere corpo e anima non vuol dire necessariamente separarli e contrapporli. Questa è l’operazione di Cartesio, certo sbagliata e riprovevole, anche se di fatto è vero, come osserva San Paolo, che nel presente stato di natura decaduta esiste un doloroso conflitto fra la carne e lo spirito, conflitto che però può e deve essere risolto grazie all’esercizio ascetico della vita cristiana.   

Ma opporre anima e corpo come si oppone realtà ad apparenza alla maniera di Platone o dell’induismo è pure sbagliato e sorgente di nefaste frustrazioni e pericolose illusioni. Ma è dogma di fede e verità dimostrata da Aristotele la distinzione dell’anima spirituale dal corpo così come si distingue nella sostanza materiale la forma sostanziale dalla materia prima.

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È strano che Bruni non citi le parole autorevoli di condanna dello gnosticismo che il Santo Padre ha pronunciato nell’Esortazione Apostolica Gaudete et exsultate del 2018. Il documento è di enorme interesse e importanza, perché non era mai successo che un Papa condannasse lo gnosticismo.

Come intende il Papa lo gnosticismo? Egli definisce lo gnosticismo «una fede rinchiusa nel soggettivismo». È detto tutto. Inoltre il Papa denuncia ripetutamente l’errore di chi vagheggia un «Dio senza carne» (n.37). 

Come se l’essere fosse solo il pensare e il materiale ripugnasse all’essere. Il vero spiritualismo è quello di Aristotele e di San Tommaso, che riconosce la dignità dell’essere materiale e la sua conoscibilità da parte della mente divina che lo ha progettato e creato: «nemmeno le tenebre per te sono oscure» (Sal 139,12).

Con questo documento sorprendente e geniale, che tutti gli studiosi onesti dello gnosticismo, preoccupati della salute mentale dell’uomo moderno, si attendevano da due secoli, Papa Francesco ha schiacciato la testa del serpente. Essa infatti – non sembri inopportuno il paragone – è la Pascendi di Papa Francesco. La differenza è data dal fatto che se Pio X nella Pascendi assomiglia al terribile Cavaliere dell’Apocalisse che sbaraglia tutti i suoi nemici, Francesco assomiglia a Davide che con cinque sassi uccide il gigante Golìa.

Immagine da Internet:
- Pantocrator, codice di Girona.

14 marzo, 2024

Lo gnosticismo secondo Luigino Bruni - Prima Parte (1/2)

 

Lo gnosticismo secondo Luigino Bruni

Prima parte (1/2)

Alcune notazioni giuste

In Avvenire del 17 febbraio scorso è apparso un articolo di Luigino Bruni dal titolo «dimenticare l’amore, la trappola della gnosi». L’articolo è piuttosto denso ed impegnativo con osservazioni giuste ed utili. Vorrei comunque fare alcune osservazioni.

L’intuizione fondamentale Bruni è che si è accorto che lo gnosticismo è una forma di superbia e di presunzione per la quale lo gnostico ha una pretesa esorbitante di una conoscenza di Dio al di sopra della rivelazione cristiana e del magistero della Chiesa, tale da pareggiare la stessa scienza divina, una pretesa di autoglorificazione che lo chiude nel suo splendido isolamento e lo porta a disprezzare i doveri dell’amore di Dio e del prossimo. 

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Il pensiero per lo gnostico s’identifica con l’essere e con l’agire. Tutto è pensiero. L’essere è l’essere pensato e l’amore è l’amore pensato. Qui Bruni ha visto giusto.

Principio fondamentale dello gnosticismo è la convinzione dello gnostico di possedere la scienza divina e quindi di essere, come tale, Dio. Egli ritiene che il suo pensiero non si distingua dall’essere, ma che il suo pensiero s’identifichi con l’essere, sicchè per lui l’essere non è altro che l’essere pensato da lui.

 A Bruni è sfuggito un errore dello gnosticismo consistente nel suo pensiero conflittuale e circolare, oggi diremmo «dialettico». 

Si tratta del principio metafisico del moto dell’essere. Il cerchio rappresenta la coincidenza dell’uscita col ritorno, dell’inizio con la fine, l’attrattiva che la causa finale esercita sulla causa efficiente. Primum in intentione est ultimum in executione. L’ente in movimento va là da dove è partito. Ora ciò è verissimo se si tratta della creatura che, causata dal creatore, è mossa da Lui verso Lui stesso come suo fine.

Immagine da Internet

12 marzo, 2024

L’avventura della metafisica - Parte Quarta (4/6)

 

L’avventura della metafisica

Parte Quarta (4/6) 

 

Edmund Husserl

La fenomenologia è il fondamento della metafisica

Nei primi decenni del secolo scorso Edmund Husserl proclamò al mondo scientifico di avere fondato una nuova scienza, la fenomenologia, la quale, a differenza delle precedenti filosofie, forniva finalmente una giustificazione radicale e incontrovertibile, con perfetto metodo e rigore logico, a tutte le scienze, come se fino al suo tempo nulla fosse esistito di simile sin dai tempi di Aristotele con la metafisica.

Husserl prometteva di soddisfare tutti coloro che in filosofia desideravano la verità e cogliere l’essere e le cose stesse così come esse sono in se stesse, un metodo ad un tempo intuitivo, sperimentale e dimostrativo, un sapere oggettivo, necessario, immutabile e ed universale.

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Husserl pensò con la sua filosofia di rimediare a diversi errori delle filosofie del suo tempo: lo psicologismo; l’idealismo; il realismo tomista, da lui giudicato ingenuo e superato dalla critica kantiana.

Il progetto di Husserl si pone nella linea dell’idealismo nato da Cartesio, che intende la metafisica non come scienza dell’ente, ma come scienza dei dati trascendentali della coscienza. 

L’intento iniziale di Husserl di intenzionare le cose stesse intese come correlati di coscienza parte già con la pregiudiziale idealista della relazione dell’essere al pensiero anziché della relazione del pensiero all’essere.

 


Karl Jaspers avrebbe l’intenzione di valorizzare e riabilitare la metafisica come ricerca dell’essere e come filosofia o chiarificazione razionale dell’esistenza.

Pretende di insegnare metafisica, ma cade in spaventose contraddizioni. Del resto, per lui l’«esistenza» non è atto dell’ente, ma è l’uomo stesso, da cui discende che solo l’uomo esiste.

In secondo luogo, ammette la possibilità della comunicazione umana mediante il linguaggio e i concetti; ma dall’altra parte dichiara egli stesso che la comunicazione è impossibile, perchè, dato che non esiste una verità oggettiva, universale, una per tutti, ma ognuno ha la sua verità diversa da quella dell’altro, è impossibile trasmettere un messaggio da una persona all’altra in modo tale che possa verificarsi l’adesione e l’accordo di tutti attorno alla medesima comune verità o la condivisione di una universale e comune verità  da parte di più persone.

Immagini da Internet: Edmund Husserl e Karl Jaspers

11 marzo, 2024

Come Sequeri è cascato nella trappola di Bontadini

 

Come Sequeri è cascato nella trappola di Bontadini

                                                                          Non est affirmare et negare simul idem

                                                          de eodem sub eodem respectu

 

 Esiste l’essere che non può non essere e l’essere che può non essere

Su Avvenire del 27 febbraio scorso è apparso un articolo di Pierangelo Sequeri dal titolo «Gustavo Bontadini e la metafisica del ’900, un genio da riscoprire»[1].

Sequeri esordisce con un’osservazione senz’altro giusta:

«Il termine “metafisica”, la parola «davanti alla quale ognuno, più o meno, si affretta a fuggire come davanti a un appestato» (Hegel), ritorna nella forma di un appello alla serietà “politica” – nientemeno – del pensiero (Cacciari). Ritorna come paradosso del mondo, prima che come domanda su Dio. Ma infine, l’uomo non potrà separare ciò che Dio ha congiunto». ...

Alludendo a Bontadini Sequeri sembra dargli ragione nella sua idea che Dio trascenda il mondo stando nel mondo senza essere fuori del mondo, perché, se fosse fuori sarebbe un’astrazione. Si può dire che Dio come Verbo incarnato è stato nel mondo, ma ciò non esclude affatto che il Padre celeste sia fuori e al di sopra del mondo senza essere affatto per questo un «Dio astratto», come diceva Hegel.

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Sequeri sembra far proprio qui l’errore bontadiniano di respingere il concetto del nulla con la conseguenza di non intendere il dettato del dogma della creatio ex nihilo.

Per avere un concetto del nulla occorre distinguere l’essere dall’esistere.

Contradditorio è dire che l’essere è il non-essere. Questo lo diciamo in base al principio di non-contraddizione scoperto da Parmenide. Qui Bontadini, seguendo Parmenide, che fu del resto seguìto anche da Aristotele, ha perfettamente ragione. Nessun teorema sulla creazione potrà mai contravvenire a questo principio, se non vuole essere un’assurdità. Severino accusa il dogma di essere un’assurdità e per conseguenza accusa il cristianesimo di follia e di nichilismo, perché non distingue l’esistere dall’essere, il possibile dall’attuale, l’atto dalla potenza, l’essenza dall’essere.

La rigorizzazione del discorso tomista su questi temi comporta a mio avviso da una parte la maggior messa in luce, conformemente all’insegnamento biblico, del fatto che la dimostrazione dell’esistenza di Dio è sostanzialmente un passaggio della ragione mediante il principio induttivo di causalità, dall’ente temporale, ente per partecipazione o contingente, all’essere sussistente, «Colui Che È».

Quindi si tratta di scoprire sì un Dio causa prima, motore immobile, essere necessario, ente supremo, fine ultimo e sommo bene, ma soprattutto un Dio personale, un «artefice», del quale l’artefice umano è un’immagine, insomma un soggetto personale dotato d’intelletto e di volontà, che ha ideato l’opera e la mette in esecuzione. Questo è il concetto giusto di creazione.

Immagine da Internet:
- Gustavo Bontadini

10 marzo, 2024

L’avventura della metafisica - Parte Terza (3/6)

 

L’avventura della metafisica

Parte Terza (3/6) 
 

Seconda parte

L’abuso del termine «metafisica» e i concetti errati di metafisica

 

 Guglielmo di Ockham

Il singolo al posto dell’universale

Dopo San Tommaso, iniziatore di quella sana metafisica, che è raccomandata dalla Chiesa e coltivata dai suoi discepoli, soprattutto domenicani fino ai nostri giorni, la metafisica cominciò a decadere in altri ambienti della Chiesa perdendo la sua perfezione e consentendo il verificarsi di difetti ed antinomie che Tommaso aveva saputo evitare.

Essa continua a definirsi come scienza dell’ente, ma non si tratta più dell’ente analogico del quale tratta Tommaso, bensì dell’ente univoco del Beato Duns Scoto e dell’ente univoco-equivoco di Guglielmo di Ockham. Il concetto dell’ente comincia ad interessare più dell’ente stesso. Si comincia a dare più importanza all’esperienza sensibile che all’intelletto.

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La metafisica decade dalla sua nobiltà e dalla sua fondatezza, diventa incerta e scende al livello della logica, della matematica o della fisica o addirittura, come avviene in Ockham, della grammatica e del linguaggio. 

Non si tratta più di vedere l’ordine dell’essere, ma di rispettare le regole della grammatica, dell’analisi logica e della sintassi.

Per parlare di metafisica ci si accontenta di poco: basta entrare nel mondo del metasensibile della matematica, degli enti di ragione, della logica e della sintassi delle proposizioni, non certo nel mondo dello spirito, terreno proprio della metafisica, per credere di aver raggiunto il vertice e il culmine invalicabile della filosofia teoretica.

Ockham, con l’orientare la metafisica verso l’individuo anziché vero l’ente, conferisce alla metafisica una svolta individualistica, che le fa dimenticare l’universale. L’io comincia e ripiegarsi su se stesso. L’impostazione empiristica e l’eccessiva cura utilitaristica per il concreto esistente, lo spinge a restringere e ad abbassare l’orizzonte del pensiero, il quale per la verità può formare una scienza dimostrativa solo basandosi sull’essenza universale, e superando la sensibilità per elevarsi dimostrativamente al grado supremo dell’ente e dell’essenza, che è Dio, singolare sì, ma nel contempo universale e spirituale principio di tutto il reale.

Immagine da Internet:
- Guglielmo d'Ockham

09 marzo, 2024

L’avventura della metafisica - Parte Seconda (2/6)

 

L’avventura della metafisica

Parte Seconda (2/6) 
 

Gli apporti di San Tommaso alla metafisica di Aristotele

Nell’affrontare Aristotele, poi, Tommaso non si limita a riprendere quanto di buono trova nella sua Metafisica, ma la fa progredire, migliorandola con l’apporto che proviene dalla Rivelazione cristiana, che comporta il concetto dell’essere (esse, einai) al di là dell’ente (ens, on), al quale si fermava Aristotele, e quindi la distinzione fra l’essenza (essentia, usìa) e l’essere come atto dell’essenza (esse, einai), mentre Aristotele si fermava alla considerazione dell’essenza.

Tommaso accetta la definizione aristotelica della metafisica come scienza dell’ente in quanto ente e delle sue proprietà. Riconosce infatti che la nozione dell’ente è la prima ad essere concepita e la più universale di tutte le nozioni (ens commune) e quella nella quale si risolvono tutte le altre. 

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La metafisica, ci spiega sempre San Tommaso al seguito di Aristotele, è altresì un sapere sommamente libero ed espressione di libertà.

È un sapere divino, degno di Dio, per cui, se essa è il supremo sapere della ragione, appare anche come sapere superiore all’umano, dato che Dio trascende l’uomo. Per dirla con Jaspers, la ragione «naufraga» davanti a Dio, ma per dirla con Leopardi, è «dolce naufragar in questo mare».

Nessuno ha mai pensato a Cristo come metafisico: lo ha scoperto Tommaso e io non ho fatto altro che mettere in luce le nozioni metafisiche di Cristo alle quali si è ispirato l’Aquinate e che gli sono servite per vedere che cosa nella metafisica di Aristotele si poteva raccogliere. Ho pensato io col mio libro a far capire questa operazione di Tommaso, libro che avrei voluto intitolare La metafisica di Gesù, se l’Editore, forse per il timore che il libro apparisse strano e poco vendibile, non lo avesse intitolato Gesù Cristo fondamento del mondo, Edizioni L’Isola di Patmos, Roma 2019.

Importante è intendere l’essere come atto, seguendo San Tommaso, e non confonderlo col pensiero. Solo a questa condizione infatti si capisce il senso di Es 3,14 e l’espressione «Io Sono» usata da Gesù.

Dio in Tommaso non è solo Autocoscienza assoluta (nòesis noèseos), ma ipsum Esse per se subsistens. Dio è causa creatrice, causa l’essere delle cose, le fa essere, le fa passare dal non-essere all’essere.

Immaginde da Internet:
- Gesù Cristo, Catacomba di Commodilla

08 marzo, 2024

L’avventura della metafisica - Parte Prima (1/6)

 

L’avventura della metafisica

Parte Prima (1/6)

Prima che Abramo fosse, Io Sono

Gv 8,5

Prima parte - la posizione del problema

La guerra attorno alla metafisica

 

Sulla metafisica sentiamo da secoli e millenni le posizioni più diverse e contradditorie. Alcuni sostengono che è un affastellamento di astrazioni, altri che è un sapere illusorio, altri che è una forma mentale primitiva ed ingenua ormai superata dalla scienza e dalla critica, altri che è nemica della fede, altri che è una forma di dogmatismo, presunzione e pretesa di imporre agli altri le proprie idee, altri che è un discorso astruso ed insipido, altri che vanta certezze che in realtà non si danno, altri che non ci dà la realtà ma le idee del metafisico, altri che non è una scienza ma una creazione immaginaria, altri che non serve a nulla ed è una perdita di tempo, altri che ha delle pretese esagerate, altri che manca di metodo scientifico, non ha basi certe e non dà risultati certi, altri che è un discorso che non ha senso; altri si dicono non persuasi dei suoi princìpi e delle sue conclusioni. Per questo non usano mai il termine o se lo usano è per mostrare disprezzo per la metafisica.

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https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/lavventura-della-metafisica-parte-prima.html 

Nella questione della metafisica s’inserisce la Chiesa Cattolica, la quale in numerosi documenti pontifici soprattutto a partire dal sec. XIX usa il termine metafisica e parla di metafisica in un senso altamente positivo e apprezzativo, ne definisce la natura e i fini con riferimento soprattutto all’uso del termine fatti da San Tommaso e al concetto tomistico di metafisica che Tommaso desume  da Aristotele ...

Chi introdusse il termine metafisica nella filosofia medioevale spiegandone il significato e definendone con chiarezza il concetto, la natura, il metodo e lo scopo è stato San Tommaso d’Aquino, definendo con Aristotele la metafisica come scienza dell’ente in quanto ente e delle proprietà dell’ente.

Il termine «metafisica» non si trova nella Scrittura, ma ad esso corrisponde la parola «sapienza» (gr.sofìa, eb.hokmàh). Infatti, da come la Bibbia parla della sapienza e del sapiente, si capisce benissimo che si riferisce alla metafisica.

Immagine:
- Allegoria della divina Sapienza, Andrea Sacchi

06 marzo, 2024

Trattato sugli Atti umani - P. Tomas Tyn - Lezione 8 (2/2)

 

 Trattato sugli Atti umani

P. Tomas Tyn

Lezione 8 (Parte 2/2)

P.Tomas Tyn, OP - Corso “Atti Umani” - AA.1986-1987 - Lezione n. 16 (A-B)

Bologna, 17 marzo 1987

http://www.arpato.org/corso_attiumani.htm

             C’è ancora una questione riguardante l’influsso dell’intenzione sulla bontà della volontà, che dipende dalla intenzione medesima: cioè se la bontà della volontà dei mezzi dipende dall’intenzione del fine. E l’altra questione è questa: qual è la quantità dell’influsso dell’intenzione del fine sulla volontà di volere i mezzi.

Anzitutto il principio. Ci chiediamo se l’intenzione influisce sulla volontà, che vuole i mezzi. C’è una distinzione da fare, che è facilmente intuibile, e cioè l’intenzione può precedere la volontà o seguirla. Per esempio, siamo in Quaresima, facciamo un esempio riguardante una pratica oggi rara, e cioè il digiuno. Il digiuno. Un buon cristiano in Quaresima digiuna. Perché? Per dare lode e onore a Dio, e per mortificare se stesso. 

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https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/trattato-sugli-atti-umani-p-tomas-tyn_61.html

Padre Tomas Tyn, OP

Non si merita con le sole pie intenzioni, seppure anch’esse intenzioni abbiano qualche merito. Davanti al Signore nulla rimane senza il merito. Però non è possibile dire a noi stessi: io merito tanto quanto voglio meritare. No! Per meritare, bisogna proprio agire in vista del bene. Quindi non sempre, se io voglio, cioè se io intendo agire intensamente, poi di fatto agisco con quell’intensità che mi sono proposto nell’intenzione.  

La bontà della volontà dipende dalla sua conformità alla volontà divina. Non direttamente dalla legge eterna, che è Dio in Se stesso, ma alla volontà divina. Cioè la mia volontà per essere buona, non solo deve voler Dio, ma deve volere ciò che Dio vuole.

E qui non poteva mancare nel sed contra, - questo è importante -, il riferimento all’agonia di Gesù nell’orto, Mt 26: “Non come voglio io, ma come vuoi Tu”. Il Salvatore, anche in ciò che in fondo ci dispiace, ci insegna come dobbiamo sempre adeguare il nostro volere al volere di Dio. Fiat voluntas tua è veramente una richiesta fondamentale del Padre Nostro, ossia l’acconsentire sempre a che si faccia la volontà divina, non la nostra. Quindi sottomettere la nostra volontà a quella di Dio.

Quindi, è necessario che ci sia una conformità della volontà umana alla volontà divina. E’ necessario che la volontà umana si conformi a quella di Dio e quindi che ci sia questo fiat voluntas tua, che si compia la Tua volontà. Vedete come subentra una analogia di proporzionalità. E’ molto bello questo, metafisicamente parlando, perché c’è una duplice analogia di proporzione, ex parte obiecti e ex parte subiecti.

05 marzo, 2024

Trattato sugli Atti umani - P. Tomas Tyn - Lezione 8 (1/2)

 

 Trattato sugli Atti umani

P. Tomas Tyn

Lezione 8 (Parte 1/2)

P.Tomas Tyn, OP - Corso “Atti Umani” - AA.1986-1987 - Lezione n. 16 (A-B)

Bologna, 17 marzo 1987

http://www.arpato.org/corso_attiumani.htm

Vi ricordate, che l’altra volta abbiamo cominciato con la vexata quaestio della della coscienza erronea, cioè se è possibile che la coscienza presenti all’uomo l’oggetto moralmente specificante, in maniera errata, sbagliata. La domanda allora è questa: nel caso di un errore della coscienza la volontà, che discorda, cioè che in qualche modo si scosta dalla coscienza errante, è buona o cattiva? E viceversa la volontà che si conforma, cioè che agisce secondo la coscienza erronea è una volontà buona o cattiva?

Queste due domande coincidono con il chiedersi se la coscienza erronea obblighi, cioè se ha il diritto di obbligare l’uomo, quindi se ha il diritto ad essere obbedita, e viceversa, se la coscienza erronea scusi dal peccato, nel caso in cui l’uomo seguendo tale coscienza si renda obiettivamente colpevole di una azione non buona. 

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Padre Tomas Tyn, OP

S.Tommaso insiste molto sul dovere del soggetto, dovere metafisico prima che etico, di sottostare alla realtà dell’oggetto. La coscienza, prima di costituirsi regola prossima dell’atto umano, deve a sua volta sottostare alla regola della realtà del bene e del male.

S.Tommaso ci insegna che non è vero che l’azione è sempre meglio del non agire. Anche se è giusto che non bisogna mai assumere nemmeno questo principio: è sempre meglio non agire, perché così non sbaglio. Questo è contro la prudenza. Quel tale ovviamente non ha l’imperium, che è appunto questo comando che è l’ultimo atto della ragione pratico-pratica e dell’atto specificante la prudenza.

Quindi, bisogna agire, però dopo essersi consigliati. Prima che la ragione abbia una chiarezza pratica, l’azione sarebbe illecita e quindi in nessun modo doverosa. ... Notate che qui ci sono problemi notevolissimi. Anch’io in alcuni casi, astrattamente proposti, non saprei che pesci pigliare. Consideriamo per esempio, la questione del cosiddetto “male minore”. È un caso che spesso mi viene ipotizzato: quante vite devo sacrificare per salvarne altre?

Al giorno di oggi, anche una persona cristiana, dati i catechismi che ci ritroviamo, può effettivamente errare invincibilmente in alcune norme della legge naturale. Per il confessore, al limite, c’è sempre la difficoltà di come istruire la coscienza e se istruirla. Il confessore può istruire il fedele solo sullo stato obiettivo della sua coscienza, non sullo stato soggettivo. Egli può dire: questo è peccato o non è peccato, obiettivamente parlando; è o non è una trasgressione della legge di Dio, ma non può dire qual era la coscienza del penitente in quel momento in cui agiva.

02 marzo, 2024

Perché Dio non è stato misericordioso col ricco epulone?

 

Perché Dio non è stato misericordioso col ricco epulone?

Una pastorale apparentemente contradditoria

Nella predicazione di Papa Francesco tutti ormai notiamo l’esistenza di alcuni temi ricorrenti, circa i quali, così come sembrano suonare, molti si domandano come possano conciliarsi fra di loro, mentre ad altri queste apparenti contraddizioni sono gradite perché danno una parvenza di giustificazione alla loro condotta mondana e falsamente cattolica.

Di che si tratta? Abbiamo da una parte il grande tema della misericordia e della tenerezza di Dio per tutti:

Dio perdona a tutti, la Chiesa accoglie tutti, tutti sono salvati gratuitamente. Non parla dell’importanza decisiva dei meriti in ordine alla salvezza. Sembra che Dio salvi tutti incondizionatamente. Il paradiso non è guadagnato, ma semplicemente ricevuto come dono immeritato. Le opere non occorrono; basta la grazia. 

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Come il Papa dunque mette d’accordo i Lazzaro che sono misericordiati con la condanna dei ricchi epuloni? Come può affermare che Dio fa misericordia a tutti, pur riconoscendo implicitamente attraverso la parabola del ricco epulone che esistono dei dannati?

Il Papa scioglie la sua apparente contraddizione fra la salvezza di Lazzaro e la condanna del ricco epulone rimandandoci implicitamente al significato della stessa parabola, la quale ci fa capire come la giustizia divina si concilia con la misericordia, ci fa cioè capire che, benché Dio ci abbia creati per Lui, e voglia tutti salvi, non tutti, per il loro egoismo, per la loro malizia e superbia, cercano e amano Dio, non tutti per colpa loro accettano il piano della divina misericordia, ma preferiscono far Dio di se stessi, lontano dal suo volto con le conseguenze che necessariamente ne seguono.

Immagini da Internet:
- Lazzaro e il ricco Epulone, Abbazia di Novacella

01 marzo, 2024

La complementarità reciproca tra uomo e donna

 

La complementarità reciproca tra uomo e donna

 Ritengo utile ai Lettori riproporre questo testo di un mio articolo, pubblicato nel libro “La verità della fede”, a cura di Gianni Battisti, nel 2012.

Lo propongo a commento delle parole del Santo Padre, che ha pronunciato questa mattina ricevendo i partecipanti al convegno “Uomo-donna immagine di Dio. Per un’antropologia delle vocazioni”, promosso dal Centro di Ricerca e Antropologia delle Vocazioni*, ha detto:

 «Vorrei sottolineare una cosa: è molto importante che ci sia questo incontro, questo incontro fra uomini e donne, perché oggi il pericolo più brutto è l’ideologia del gender, che annulla le differenze. Ho chiesto di fare studi a proposito di questa brutta ideologia del nostro tempo, che cancella le differenze e rende tutto uguale; cancellare la differenza è cancellare l’umanità. Uomo e donna, invece, stanno in una feconda “tensione”.»

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"Già nel giugno 2019, l’allora Congregazione per l’Educazione cattolica aveva pubblicato un documento dal titolo Maschio e femmina li creò. Per una via di dialogo sulla questione del gender nell'educazione, uno strumento utile ad affrontare il dibattito sulla sessualità umana e le sfide che emergono nell’attuale tempo di emergenza educativa. Oggi Francesco spiega che la riflessione su tale tematica prosegue."

Da: https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2024-03/papa-francesco-ideologia-gender-convegno-uomo-donna-antropologia.html

28 febbraio, 2024

Dio ha dato la Palestina agli Ebrei o ai Musulmani?

 

Dio ha dato la Palestina agli Ebrei o ai Musulmani?

Il conflitto ebraico-palestinese per il possesso della Palestina porta più che mai alla ribalta l’interrogativo a quale popolo appartiene il territorio palestinese, se al popolo palestinese o al popolo ebraico. È chiaro che la millenaria difficile questione non può essere risolta con la violenza o la forza delle armi, ma dev’essere risolta con la forza del diritto e della ragione. Occorre discutere e cercare insieme la verità.

Ma oltre a ciò anche la Sacra Scrittura e il Corano offrono una risposta, per quanto i due testi siano in ciò in contrasto fra di loro pur mettendo in campo nei due casi la volontà di Dio. Ma non è possibile che Dio si contraddica. Dunque, attraverso un paziente dialogo, occorre capire quale è veramente la volontà di Dio. È stata rivelata a Mosè o a Maometto? Le due religioni si accordano nel riconoscere che essa si è rivelata ad Abramo. Ma i dissensi sorgono, come è noto, quando si tratta di sapere qual è la posterità autorizzata di Abramo.

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E' da notare che il chiarimento di quali popolazioni preesistevano all’ingresso di Israele in Palestina narrato dalla Scrittura, non fonda giuridicamente in modo sufficiente la pretesa islamica al possesso della Palestina al posto degli Ebrei, giacchè non è affatto dimostrata la continuità etnica di quei popoli a suo tempo decimati o cacciati o assorbiti da Israele col popolo arabo nel seno del quale è sorta la religione islamica con le sue pretese sulla Palestina.

Come è noto dalla Scrittura, gli Ebrei, dopo aver occupato la Palestina sotto la guida di Giosuè, instaurarono successivamente un regno sotto la guida di Davide con capitale a Gerusalemme, regno durato per secoli fino alla sua fine con la caduta di Gerusalemme e della Palestina nel 70 d.C. sotto il dominio romano e il successivo assorbimento della Palestina nell’Impero Romano.

In questa intricata situazione è chiaro che una parola risolutiva per raggiungere la pace e la concordia fra i due popoli non può che venire dai cristiani. È Cristo che offre la visione dei punti in comune da mettere in evidenza e da cui partire.


Immagine da Internet:
- Arco di trionfo di Tito, Roma