sabato 25 marzo 2023

Perché la natura ci è ostile?

 Perché la natura ci è ostile?

Spine e cardi produrrà per te

Gen 3,18

 

O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor?

Perché di tanto
inganni i figli tuoi?

A Silvia

Tutti sperimentiamo la natura come cosa meravigliosa e crudele ad un tempo. madre e assassina. Lo testimoniano le varie religioni: Pachamama ad Occidente e Sciva ad Oriente. Eppure essa appare come una divinità. Non c’è da opporsi alla natura, non si deve protestare o imprecare. Va presa così com’è ed adorata. Ci reca danno? Va bene così. È quello che Nietzsche chiamava amor Fati. Anche gli stoici la pensavano a questo modo.

Secondo Lucrezio la religione è l’invenzione di uomini vili, che, non sopportando i mali che vengono dalla natura, inventano divinità che li proteggano. Qualcosa del genere avviene ancora oggi: chi ha pregato per la cessazione della pandemia di covid? Pochissimi. Un tempo esistevano le cosiddette «rogazioni». Dove ci sono state questa volta?

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Il problema del rapporto dell’uomo con la natura non è solo quello di normare il comportamento dell’uomo nei confronti della natura o del proprio corpo. Il problema, ben più serio, è quello di spiegare il perchè di certe attività ostili della natura e delle nostre stesse forze psicofisiche nei confronti del nostro io, nei confronti dell’uomo e del suo spirito. 

È qui che le risposte e le indicazioni della ragione, della scienza e della filosofia non bastano più e l’uomo riflessivo e responsabile, che desidera comprendere, si trova davanti a un mistero sconcertante, che è causa di sofferenza e di morte, e vorrebbe poter far luce, per sapere qual è il senso di quanto accade e quali potrebbero essere i mezzi per venirne fuori, e se ciò è possibile. 

 

La Sacra Scrittura ci dona la luce, il conforto, la consolazione, la serenità, la speranza, la gioia che cerchiamo, ci offre la via per venirne fuori, la via della salvezza e della liberazione.

Secondo la rivelazione cristiana la natura da matrigna tornerà ad essere madre. Da ribelle tornerà ad essere docile. Mentre l’uomo è destinato ad una piena riconciliazione con la natura, tra uomo e ambiente, tra uomo e beni materiali, tra uomo e viventi inferiori, tra l’uomo e lo spazio cosmico, tra pneuma e psiche, tra anima e corpo, tra uomo e donna, spirito e sesso.

Questa riconciliazione inizia adesso mediante la partecipazione al mistero della Redenzione

Immagini da Internet:
- L'urlo, Munch
- La notte stellata, Van Gogh

venerdì 24 marzo 2023

O Tommaso o la fine

 O Tommaso o la fine

Bisogna urgentemente che l’Ordine domenicano riassuma in pienezza il suo compito essenziale nella promozione avanzata della teologia, se non vuol tradire il mandato della Chiesa e subordinarsi agli attuali piani mondiali dei nemici di Cristo e dissolversi nella babele ideologica del mondo contemporaneo

Il difficile rinnovamento dell’Ordine

 tentato dal modello rahneriano

Il discorso su San Tommaso del Santo Padre al recente convegno tomistico internazionale all’Angelicum di Roma costituisce un richiamo di estrema importanza fatto a tutta la Chiesa, ma con particolare riferimento all’Ordine Domenicano a riprendere il suo ruolo guida nel campo del progresso della teologia.

È interessante che la pressante esortazione sia venuta da un Papa Gesuita, quasi riconoscimento da parte dei figli di Sant’Ignazio ai figli di San Domenico che spetta a costoro e non ai primi di essere nella Chiesa all’avanguardia nelle ricerche e nelle proposte più avanzate del sapere teologico sia di tipo teoretico che nella sua applicazione  nel campo della formazione sacerdotale.

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Un teologo che, pur non essendo domenicano, era un eminente discepolo della sapienza tomistica, il Maritain, già prima del Concilio per decine d’anni dette prova di aver trovato l’equilibrio intellettuale auspicato dal Concilio, per il quale la certezza della verità dogmatica si sposava perfettamente con un’apertura misericordiosa nei confronti della modernità.

Ancor oggi noi Domenicani possiamo trovare in Maritain i criteri e l’esempio di quel rinnovamento intellettuale che il Concilio ci chiese, improntato a quella carità che sa congiungere sapientemente e fruttuosamente, secondo le circostanze, il momento della misericordia con quello della severità. Così ritroveremo in pienezza la peculiarità del nostro carisma.



 

Il Santo Padre, da vero e fedele Gesuita, con la sua autorità di Successore di Pietro, ci indica la strada per mettere le cose a posto: non Rahner, ma San Tommaso è il Doctor communis Ecclesiae.

È pertanto urgente che Domenicani e Gesuiti si stringano fra loro, nella reciproca complementarità dei loro carismi, in un patto solido e fraterno di azione energica per il bene della Chiesa lacerata fra il lassismo e il rigorismo, fra il lefevrismo e il modernismo. 

Immagini da Internet

mercoledì 22 marzo 2023

La mia storia con Ottone - Aristotele o Cartesio? - Seconda Parte (2/2)

 La mia storia con Ottone

Aristotele o Cartesio?

 
Seconda Parte (2/2) 

Un duello fra giganti

Come confrontare Aristotele con Cartesio? Tanto l’uno che l’altro ha voluto dare un fondamento primo e sicuro al sapere. Aristotele, nel IV libro della Metafisica mette alla prova col dubbio la fermezza del primo principio, il principio d’identità[1] e non-contraddizione[2], lo scuote col dubbio ma constata che esso, lasciato agire da solo, sta fermo e che il tentativo di infirmarlo non è possibile se non facendo uso del medesimo principio, per cui tanto vale non toccarlo e Aristotele lo disse giustamente indubitabile, inconfutabile ed indimostrabile, perché non occorre dimostrarlo, essendo di per sé evidente e principio di ogni altra dimostrazione.  

Cartesio, invece, col suo forzato dubbio universale, ha volontariamente fatto oscillare il primo principio fra il sì e il no, e invece di evitare di scuoterlo, lo mantiene volontariamente oscillante, elevando il dubbio e la doppiezza a principio e metodo del pensare.  Mentre dunque la logica aristotelica si fissa sul sì e si oppone al no, per cui ha una fermezza indistruttibile a causa della fermezza del primo principio, ossia il principio di identità, quella di Cartesio oscilla fra il sì e il no, eleva il dubbio e la doppiezza a sistema e metodo del pensare. Per usare il linguaggio di Cristo, è una logica che serve a due padroni.

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Dobbiamo essere grati ad Aristotele perché egli, basandosi sui princìpi della metafisica, in base a una vasta, metodica e molteplice esperienza, ha fondato tutte le scienze razionali basandole su di un fondamento comune di inviolabile certezza, contro il quale invano nei secoli e millenni i nemici della verità e i sofisti di ogni tipo e sotto ogni bandiera, religiosa, mistica, filosofica, scientifica, esoterica, occultistica si sono accaniti sempre restando scornati.

Infatti Aristotele constata tranquillamente ed inoppugnabilmente che ogni uomo, volgendosi alla conoscenza delle cose e di se stesso, sente il bisogno di conoscere la verità, ossia di scoprire le cause prime ed universali delle cose, oltre a quelle proprie, e questa è la filosofia. 

 

La res in anima di Tommaso non è altro che la realtà in quanto pensata, quella verità interiore, della quale parla Agostino. Dio-Verità è presente nell’anima e la illumina. E d’altra parte, la res extra animam è tutta la realtà esterna delle cose, dell’universo, di Dio, degli angeli, degli uomini, del proprio corpo, della Chiesa terrena e celeste, della storia, del Paradiso e dell’Inferno.

Cartesio ha gettato nella storia della filosofia dei germi patogeni abilmente mascherati sotto un apparente bisogno di certezza prima e di verità fondante, facendo credere a molti che il realismo aristotelico era finito nelle secche del dubbio e dell’incertezza. Invece fu proprio Cartesio, respingendo Aristotele, a condurre la filosofia nell’illusione del panteismo e nella disperazione del nichilismo, con gli orrori morali che sono la conseguenza pratica dell’idealismo, come hanno dimostrato le due guerre mondiali del secolo scorso.

La mia storia con Ottone, vissuta da due ragazzi liceali di tanti anni fa, è la storia simbolica di come nella nostra cultura e nella nostra vita si impone una scelta e un aut-aut.


Immagini da Internet: Picasso

martedì 21 marzo 2023

La mia storia con Ottone - Aristotele o Cartesio? - Prima Parte (1/2)

 La mia storia con Ottone

Aristotele o Cartesio?

Prima Parte (1/2)

Due amici tormentati

Ottone fu a partire dal lontano 1947 mio compagno di scuola alle Elementari di Ravenna, un ex-convento domenicano adattato, accanto alla bella e grande chiesa di San Domenico, tuttora officiabile, quasi presagio per me frate domenicano.  Ci ritrovammo assieme poi nel 1957 compagni di scuola al Liceo classico Dante Alighieri di Ravenna.

Nel 1958, al secondo anno di Liceo, come è d’uso, c’imbattemmo in filosofia con la conturbante gigantesca figura di Cartesio. La nostra intelligenza ne rimase traumatizzata, perché fummo subito travolti da una scossa spirituale devastante. Al contrario di uno Scalfari, che raccontò gioioso e spavaldo a Papa Francesco nel primo dei suoi scellerati colloqui con lui, quanto Cartesio gli aveva comunicato un senso di libertà spirituale nel renderlo cosciente del suo io assoluto, io e Ottone cominciammo a discutere angosciati come rispondere e cosa dire circa la convinzione preoccupata, dalla quale Ottone era stato preso, che – come diceva -  «i sensi ingannano», con riferimento al famoso esempio cartesiano del bastone nell’acqua, che appare spezzato.

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Prendemmo estremamente sul serio quanto diceva Cartesio, a differenza dei nostri compagni di scuola, per i quali Cartesio non era altro che un noioso tizio come molti altri

Esiste l’essere? Questo era il mio problema. Io penso? Ma sono certo di pensare? E che vuol dire pensare? Esiste il mio corpo? 

Oppure esisto solo io, come sosteneva Cartesio? L’essere sono io? 

Si trattava, sostanzialmente, del problema dell’esistenza di Dio celato sotto il problema dell’essere. 




 

È stato San Tommaso a dare a me come a tutti i cercatori della verità il criterio razionale della verità, Tommaso come interprete della confutazione aristotelica degli scettici nel IV libro della Metafisica, come interprete di Aristotele, fondatore della stessa metafisica come «scienza della verità», come si esprime San Tommaso.

 

Immagini da Internet: Autoritratti, Egon Schiele 
 


lunedì 20 marzo 2023

Da sempre Tu sei

 Da sempre Tu sei

Il problema di come parlare con Dio

 

Da sempre Tu sei

          Salmo 93,2

Occorre saper fare buon uso della parola «essere»

Un mio confratello panteista, del quale non faccio il nome, convinto di essere Dio o quanto meno un’apparizione empirica del Pensiero assoluto, contesta il significato della preghiera dicendo: se io sono Dio, che senso ha la preghiera? Dovrei pregare me stesso? E similmente per l’ateo la preghiera non ha senso: posso pregare una persona che non esiste? Ma esistono anche forme di teismo spurio che col pretesto di sottolineare il mistero di Dio si rifiutano di concepirlo come una persona alla quale noi possiamo essere simili, per cui non sappiamo più come parlare con Lui o come possiamo capire quello che ci dice.

Altri pensano che Dio non sia un ente personale distinto dal mondo e trascendente il mondo, ma semplicemente la Mente ordinatrice dell’universo, immanente allo stesso universo, che ne è la manifestazione fenomenica ed empirica.  Altri pensano che Dio non si può concepire come puro Spirito separato dalla materia, ma come spirito materializzato o materia spiritualizzata. 

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Solo Dio può dire di Sé Io sono in un modo così assoluto, senza predicato nominale. Io posso dire di me stesso: io esisto, ma non io sono. Invece Dio è tutto, è tutte le perfezioni.

Nulla dell’essere è escluso dall’essere divino. 

Senza identificarsi con le cose, ciascuna delle quali Egli trascende infinitamente, e dalle quali è assolutamente distinto, altrimenti cadremmo nel panteismo, tutto l’essere che si trova in ogni cosa Egli lo contiene e precontiene idealmente e realmente, virtualmente ed eminentemente nella sua essenza divina per poterne essere causa.


Dio ha creato anche gli angeli e crea continuante sempre nuovi uomini e donne, che accrescono continuamente il numero degli individui umani

Il rapporto dell’uomo con Dio comincia con l’esercizio della ragione, la quale si interroga sulle cause delle cose e giunge alla conclusione che esiste una causa prima, che è Dio. La conclusione è che Dio è l’ipsum Esse per Se subsistens.

Ma a questo punto l’intelletto desidera vedere l’essenza della causa prima.

Nella Sacra Scrittura troviamo molteplici forme di dialogo fra Dio e l’uomo, che culminano nel dialogo fra Cristo e il Padre nello Spirito Santo e una concezione dell’uomo e di Dio di una tale perfezione, che non si riscontra in nessun’altra letteratura religiosa dell’umanità.

Il dialogo fra Dio e l’uomo presenta una forma che lascia attonita la nostra ragione, la quale a tutta prima non riesce a capire come esso sia possibile, data l’immensa differenza fra l’essere umano e l’essere divino, fra il pensare umano e il pensare divino, fra il parlare umano e il parlare divino, l’agire umano e l’agire divino. 

Il dialogo fra Dio e l’uomo deve costituire la trama di fondo, l’alimento e lo scopo del dialogo fra gli uomini.

Immahini da Internet:
- Fanciulla in preghiera, pittore del sec. XIX
- Ragazza in preghiera, Vincenzo Irolli
- L’Angelus, Jean-François Millet

domenica 19 marzo 2023

Via da me maledetti - Seconda Parte (2/2)

 Via da me maledetti

Seconda Parte (2/2) 

La sofferenza può essere un bene prezioso

Che cosa è infatti la sofferenza? È il sentire che ci manca qualcosa di fisico o di spirituale che desideriamo o di cui abbiamo bisogno.  La sofferenza più grave ed odiosa è quella spirituale. Essa può essere motivata o dalla visione delle colpe nostre o di quelle altrui, e questa sofferenza è salutare; oppure può essere l’irritazione del nostro orgoglio, e questa è una sofferenza che ci conduce all’eterna dannazione.

In generale, il patimento spirituale è lo stato turbato e contrariato della volontà soggetta all’azione di una forza o volontà contraria ed ostile, conosciuta o pensata dall’intelletto, la quale frustra la volontà del paziente nella sua inclinazione naturale o elicita. Si tratta di un conflitto spirituale tra due volontà: una volontà tormentata, che subisce la pena e una volontà tormentatrice che la irroga. 

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Il problema di fondo è oggi in teologia la natura e l’agire di Dio: è sorta l’idea che Dio non è misericordioso e giusto, come era cosa pacifica fino al Concilio, ma è solo e sempre misericordioso e non castiga più.

Naturalmente occorre distinguere la severità propria della giustizia divina da quella dei costumi barbarici veterotestamentari. Lo herem, la lapidazione delle adultere, l’uccisione immediata di un nemico senza processo, il vendicare sette volte (Gen 4,24) l’offesa subìta, il fuoco dal cielo che distrugge un’intera città, il mare che sommerge fino all’ultimo uomo un esercito nemico, non hanno nulla a che vedere con la giustizia divina, i chicchi di grandine del peso di mezzo quintale (Ap 16,21), che si abbattono sui peccatori sono immaginarie crudeltà barbariche che Israele pensava essere in buona fede volontà divina. 

 

Ma sarebbe perfetta e odiosa ipocrisia, come fanno i buonisti, rifiutare tout court la severità divina così come è rivelata dalla Parola di Dio o di Cristo, col pretesto di superare le severità veterotestamentarie e mostrare il volto misericordioso di Gesù Cristo. 

Messi da parte invece gli elementi barbarici, se vogliamo essere veramente cristiani, occorre assolutamente recuperare ciò che è effettivamente il dato rivelato, soprattutto quello del Vangelo, di San Paolo e di San Giovanni.

Immagini da Internet:
- Luca Giordano, Cristo scaccia i mercanti dal tempio
- Giovanni Serodine, Gesù e il tributo della moneta
- Rubens, Gesù e l'adutera

venerdì 17 marzo 2023

Via da me maledetti - Prima Parte (1/2)

 Via da me maledetti

Prima Parte (1/2)

Maledetto l’uomo che confida nell’uomo

Ger 17,5

Delle parole di Cristo non bisogna accettare solo una parte

Che significano queste parole di Cristo? Colui che è venuto a chiamare tutti alla salvezza, quel Cristo che a tutti predica il Vangelo, che va verso tutti e tutti avvicina per sanare le loro piaghe e sollevare dalle loro miserie, come può allontanare qualcuno? Eppure il Concilio di Quierzy dell’853 (Denz.623), confermato dal Concilio di Trento (Denz.1523), insegna che non tutti si salvano[1].

E come è possibile quel «via da me»? L’amore – ecco l’obiezione - significa vicinanza, unione, stare assieme. L’amante accoglie, avvicina e si avvicina, non separa, non respinge, non rifiuta, non allontana da sè, non si allontana dall’amato. Se non fa così vuol dire che non ama, ma odia. Dunque Cristo odia qualcuno?

No. Egli offre a tutti il suo amore. Ma non tutti ricambiano questo amore.  L’amore di Cristo per l’uomo non è un amore che lasci all’uomo decidere che cosa è bene e che cosa è male; ma questo ufficio è solo il suo, in quanto Dio nostro creatore. Sta quindi a Cristo e non all’uomo, stabilire le condizioni dell’amore. E queste sono l’osservanza della legge divina. 

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 https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/via-da-me-maledetti-prima-parte-12.html

Diciamo in linea di principio che la cosa fondamentale da tenere presente per capire la dottrina e la condotta di Cristo, il quale al giudizio universale accoglie alcuni ed allontana da sé altri, è l’esistenza del libero arbitrio, per il quale, benché ogni uomo sia creato da Dio con una spontanea tendenza della volontà all’amore per il sommo bene, di fatto, a causa del peccato originale, esiste in ciascuno di noi anche una tendenza a peccare, per cui non abbiamo solo il gusto del bene, ma anche quello del male. Certi peccati ci attirano e ci piacciono.  

Noi, se vogliamo salvarci, scegliamo come vogliamo salvarci, ma anche Dio sceglie chi salvare. Il primo punto oggi non fa difficoltà. Fa difficoltà il secondo. Nessuno oggi parla di predestinazione e di elezione divina, che pure sono verità di fede tradizionali insegnate dal Concilio di Trento su chiara base scritturistica. Eppure, proprio al fine di salvarci, occorre assolutamente che noi capiamo il significato di quei concetti.


Dio dà a tutti i mezzi per salvarsi. Se la salvezza dipendesse solo da Lui, tutti sarebbero salvi. Se quindi ci sono dei dannati, questo fatto è esclusivamente colpa loro. Sono stati cacciati da Cristo, perché essi stessi di loro iniziativa si sono esclusi. Cristo non fa che avallare la decisione che essi stessi hanno presa. Dà loro un’intimazione che corrisponde esattamente a quanto essi vogliono: star lontano da Dio perché lo odiano. Cacciando gli empi, Cristo non dà prova di esclusivismo, non smentisce la sua disponibilità a salvare tutti, ma semplicemente non fa che lasciare libero l’empio di fare quello che egli stesso vuole.




Inoltre, per capire le parole di Cristo, bisogna tener conto della circostanza nelle quali le pronuncia: si tratta del giudizio universale, ossia del giudizio divino definitivo circa le sorti dell’umanità e della conferma del destino dei singoli in relazione alla comunità umana e alla Chiesa.



Immagini da Internet:
- Giudizio universale, Beato Angelico
- Giudizio universale, Giotto
- Giudizio universale, Michelangelo


mercoledì 15 marzo 2023

PSICASTENIA - OCTAVIO NICOLA DERISI - Seconda Parte (2/2)

 PSICASTENIA

Octavio  Nicola Derisi

Seconda Parte (2/2)

 Prima Parte:

https://padrecavalcoli.blogspot.com/2023/03/psicastenia-octavio-nicola-derisi-prima.html

 

Capitolo III
La teoria psicastenica

 

            Dopo aver analizzato e descritto nelle pagine precedenti i fatti caratteristici dell' ossessione, cercheremo ora di raggrupparli in una teoria che li organizzi in una spiegazione psicologica accettabile. Dei vari che vengono presentati, quello che sembra adattarsi meglio ai fatti della malattia è la cosiddetta teoria psicastenica. Formulata dapprima dall'eminente psicologo francese Pierre Janet, è stato successivamente adottata e precisata dai PP. Agostino Gemelli e Antonino Eymieu nelle rispettive...

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 https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/psicastenia-octavio-nicola-derisi.html

 Immagini da Internet: Mons. Derisi

lunedì 13 marzo 2023

PSICASTENIA - OCTAVIO NICOLA DERISI - Prima Parte (1/2)

 PSICASTENIA

Octavio  Nicola Derisi

Prima Parte (1/2)

Cf. : Lo scrupolo:

https://padrecavalcoli.blogspot.com/2023/03/dibattito-sul-problema-dello-scrupolo.html

...

       Qualche anno fa, a puntate successive della "Rivista Ecclesiastica" di La Plata, ho pubblicato il presente lavoro, che è subito apparso in forma di libro. La mia intenzione era quella di mettere nelle mani dei confessori e dei direttori di coscienza uno strumento per la guarigione delle anime scrupolose e proporre loro la via del proprio rimedio.

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https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/psicastenia-octavio-nicola-derisi-prima.html


 

domenica 12 marzo 2023

Dibattito sul problema dello scrupolo

 Dibattito sul problema dello scrupolo

Ho il piacere di pubblicare una conversazione sul delicato problema dello scrupolo, che ho avuta con un Lettore, nella fiducia che la trattazione di questo argomento possa aiutare e dare serenità a quelle coscienze che soffrono per un disagio che proviene da una coscienza eccessivamente esigente.

In seguito pubblicherò lo studio di uno specialista sull’argomento, Monsignor OCTAVIO NICOLA DERISI, tradotto dal Lettore.

....

Apprezzo positivamente il suo articolo, ampio e ricco di suggerimenti per un orientamento spirituale, retto da principi morali fermi e precisi, per queste anime tormentate che soffrono della malattia dello scrupolo (il vero e sano scrupolo, come lei distingui dal falso e peccaminoso).

Tuttavia, per quanto mi piacerebbe, non posso essere d’accordo al 100% con tutte le loro affermazioni. Qui dico solo il motivo.

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https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/dibattito-sul-problema-dello-scrupolo.html


Nel caso del dubbio, se il dubbio è sincero, cioè insolubile, bisogna stare tranquilli e non farsi scrupoli. Cioè non bisogna avere la pretesa di chiarire ciò che non può essere chiarito.

Il dubbio volontario invece è segno di ipocrisia o di cattiva intenzione e quindi è una colpa morale, che si può e si deve togliere semplicemente con un atto di buona volontà.

Ricordiamo peraltro che in caso di dubbio circa il criterio di una scelta, è meglio sospendere la scelta.

Immagine da Internet: Consigliare i dubbiosi, Arzuffi Luigi

giovedì 9 marzo 2023

Giustizia e crudeltà - Seconda Parte (2/2)

 Giustizia e crudeltà

Seconda Parte (2/2)

La polemica contro Sant’Anselmo

Da alcuni decenni è diventato quasi un luogo comune tra i modernisti, quando si tratta del perché della morte di Cristo, prendersela con Sant’Anselmo accusandolo non solo di rigidezza nella determinazione di motivazioni razionali della Redenzione, il che andrebbe anche bene, ma arrivando al punto da respingere il fine soddisfattorio della morte di Cristo, così da andare contro il dogma del Concilio di Trento[1].

Non si capisce peraltro perché prendersela proprio con Sant’Anselmo, il quale non ha fatto altro che riprendere la tematica del sacrificio del Servo di Jahvè di Is 53, la quale arriva alla dottrina della Redenzione del Nuovo Testamento, di Cristo stesso, nonchè di San Paolo e San Giovanni, ed inaugura un’ermeneutica del Mistero della Croce che troverà la sua consacrazione dogmatica nel Concilio di Trento. Inoltre Anselmo non usa mai l’espressione pur biblica del «placare l’ira divina», ma parla sempre di «soluzione del debito verso Dio» e di «restituzione dell’onore che Gli è dovuto».

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Il buonismo non fa altro che causare questa totale mancanza di responsabilità nei confronti di Dio, mantenendoci in un’atmosfera ovattata di falsa sicurezza, che è proprio il modo di farci correre il pericolo della dannazione.

Un esponente illustre di questo atteggiamento polemico è Joseph Ratzinger, non il Ratzinger Prefetto della CDF, coautore del Catechismo della Chiesa Cattolica e tanto meno Papa in esercizio, ma il Ratzinger semplice teologo dell’Introduzione al cristianesimo del 1967 e Benedetto XVI Papa Emerito.

Al riguardo addolora leggere il tono calunnioso della domanda su Sant’Anselmo che l’intervistatore rivolge a Benedetto:

«Quando Anselmo dice che il Cristo doveva morire in croce per riparare l’offesa infinita che era stata fatta a Dio e così restaurare l’ordine infranto, egli usa un linguaggio difficilmente accettabile dall’uomo moderno. … ».

La cosa che qui sorprende è come Benedetto, anziché correggere il tono calunnioso della domanda, la prende per buona e parte a sua volta rincarando la dose ed affermando, senza fare alcuna distinzione o precisazione, che «le categorie concettuali di Sant’Anselmo sono diventate oggi per noi di certo incomprensibili» (p.89). E prosegue:

«La contrapposizione tra il Padre, che insiste in modo assoluto sulla giustizia e il Figlio che ubbidisce al Padre e obbedendo accetta la crudele esigenza della giustizia non è solo incomprensibile oggi, ma, a partire dalla teologia trinitaria, è in sé del tutto errata» (p.90).

Occorre dire d’altra parte, che questo spiacevole incidente occorso all’Emerito è una prova di come un Papa emerito, per quanto possa restare Papa, non esercitando più il munus petrino, decade al livello della fallibilità dottrinale comune dei fedeli dalla quale è immune solo il Papa in esercizio.

Immagini da Internet:
- Sant'Alselmo
- Papa emerito Benedetto XVI

martedì 7 marzo 2023

Giustizia e crudeltà - Prima Parte (1/2)

Giustizia e crudeltà

Prima Parte (1/2)


Egli castiga e usa misericordia

Tb 13,1

 

Come è possibile confondere la giustizia con la crudeltà?

Oggi molti si domandano: è crudele un Dio che castiga il peccato? È crudele che Dio ci chieda di espiare le nostre colpe? È crudele un Dio, offeso per il nostro peccato, che chiede riparazione? È crudele un Dio creditore che esige che gli si paghi il debito? È crudele un Dio che esige la morte del Figlio perché gli si dia soddisfazione per i nostri peccati?

 

E sono portati a rispondere di sì. Un Dio così, dicono, non è più accettabile dall’«uomo moderno». Da qui la necessità che sentono di cambiare l’interpretazione tradizionale della condotta del Dio biblico nei confronti di noi per formare un nuovo concetto di Dio tutto misericordia, tutto dolcezza, tutto comprensivo, tutto accondiscendente, tutto permissivo, tutto e solo perdonante, che tutti porta in paradiso 

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Ma sanno, costoro, che cosa è la vera crudeltà? Conoscono le esigenze della giustizia? Fondamentale è la definizione della crudeltà data da Seneca e riportata da San Tommaso:

«opponitur clementiae crudelitas, quae nihil aliud est quam atrocitas animi in exigendis poenis».

Il semplice punire non è crudeltà; è crudeltà l’eccedere nella pena. L’amore, tuttavia, come osserva San Tommaso, induce alla mitigazione della pena, questa è la clemenza. La stessa passione dell’ira, dovutamente moderata dalla ragione, come ne danno esempio i Santi Pastori, costituisce la modalità della giusta pena, sicchè esiste anche una giusta ira, un’ira doverosa, come vediamo nei Santi e nei profeti, da dosare con molta prudenza in quelle circostanze nelle quali essa può servire a mostrare un giusto sdegno, a richiamare salutarmente, a spaventare i peccatori, a correggere i costumi, a denunciare le ingiustizie, o a far fuggire il peccato, come fa osservare San Tommaso riportando una sentenza di San Gregorio Magno: 

«bisogna sommamente fare in modo che l’ira, assunta come strumento della virtù, non domini la mente, affinchè non prevalga quasi come padrona, ma come ancella pronta all’ossequio, non si allontani mai dal seguire la ragione».


Immagini da Internet:
- Seneca, P.P. Rubens
- San Gregorio Magno