Il ministero del Confessore - Quarta Parte (4/4)

 

 Il ministero del Confessore

Quarta Parte (4/4) 

Lutero non nega la storicità dei dodici apostoli con a capo Pietro. Solo che tutto è finito lì. Secondo Lutero si è presa sì l’abitudine di dare a Pietro e agli apostoli dei successori, ma l’essenziale della volontà di Cristo non era questo. L’importante era che ci fosse la fedeltà al Vangelo; ma questa si poteva realizzare anche senza che fosse necessaria una catena di successori degli apostoli lungo tutto il corso della storia.

Anzi questo fatto, secondo Lutero, ha provocato nei Papi un progressivo aumento della propria considerazione e del proprio potere, fino ai suoi tempi, nei quali tale esorbitante pretesa nel Papa era diventata scandalosa, inaccettabile e antievangelica.

Da qui – secondo Lutero – la necessità non tanto dell’abolizione dell’istituto del papato, quanto piuttosto l’abbassamento del Papa al livello di tutti gli altri fratelli, ognuno in grado di conoscere quanto il Papa la Parola di Dio ed anzi di correggerlo quando sbaglia. Per questo Lutero diceva che «ogni cristiano è Papa».

I lefevriani, che pretendono di correggere il Papa in fatto di dottrina o di tradizione, non si accorgono qui di avere la stessa presunzione di Lutero. Questa tesi si sposa bene con l’altra famosissima del justus et peccator, in quanto tutti appaiono empiricamente peccatori, ma i credenti sono santi, benché ciò non si veda: un buon espediente per poter esser considerati santi senza penitenza dei propri peccati.

Così pure Lutero mantiene le note della Chiesa: unità, cattolicità, apostolicità e santità, ma dà ad esse un’interpretazione occamistica: l’unità non è una sola fede, ma l’insieme di fedi simili e diverse; la cattolicità non significa che la Chiesa possegga una reale universalità, giacchè per Ockham, l’universale non è una realtà, ma una fictio mentis; universale significa che la Chiesa è dappertutto come insieme di comunità simili tra di loro; santità  non vuol dire un fatto osservabile, perché secondo Ockham solo i fatti empirici sono constatabili. Ora la Chiesa è spirituale. Pertanto la santità della Chiesa non è cosa visibile, ma puro oggetto di fede e quindi invisibile all’esperienza.

Altra cosa da chiarire è se e che cosa c’è stato di buono nella sua riforma. Papa Francesco ha detto che Lutero ci ha offerto una «medicina». Questa è esattamente la missione del sacerdote, del Papa, del Vescovo, dell’Apostolo. Cristo è medico, venuto per i malati e non per i sani. Considerando gli atti del Concilio Vaticano II non si può negare che esso ha assunto alcune proposte di riforma a suo tempo avanzate da Lutero, come il concetto del sacerdozio comune dei fedeli, la necessità di basare la teologia sulla Sacra Scrittura, l’azione dello Spirito Santo nel popolo di Dio, la Messa come memoria della Pasqua e pregustazione della risurrezione, i ministeri laicali maschili e femminili, il dovere di tutti di predicare il Vangelo, l’uso della lingua volgare nella liturgia.

 La cosa che va a merito di Lutero è quella, come ha rilevato Papa Francesco, di «aver capito che senza Dio siamo nulla e che il problema fondamentale della nostra vita è il nostro giusto rapporto con Dio»[1] e nel contempo – possiamo aggiungere - è stato quello di non essersi mai separato dal contatto con la Scrittura, e in special modo dalla fede in Cristo Verbo Incarnato, morto e risorto nostro Redentore e Salvatore che ci dona il suo Spirito per la nostra santificazione.

Ciò dimostra che Lutero ha sempre visto la Scrittura come mezzo per stare in rapporto con Cristo. Tuttavia il rifiuto che fece dell’aiuto nell’interpretarla che viene da parte del Magistero della Chiesa e dei dottori cattolici, gli nocque, in quanto, se da una parte rimase in lui la convinzione che la salvezza è assicurata dalla fede in Cristo, dall’ascolto della sua Parola, dalla grazia del perdono dei peccati, dall’altra, sordo e cieco alla dottrina della Chiesa, trascurò quei chiarimenti e quelle esplicitazioni del Vangelo, che Cristo stesso aveva ispirato al Magistero della Chiesa, tra le quali l’argomento che ci interessa, ossia il ministero della Confessione.

È certo che le domande, le preoccupazioni, i dubbi, le angosce, i terrori e gli spaventi che agitarono l’animo del giovane Lutero sono gli stessi del credente: sono certo di essermi pentito? Mi sono confessato bene? Ho fatto bene la penitenza? Sono sincero nel mio amore per Dio? Nascondo al Confessore qualche peccato? Dio mi ha perdonato? Provo sdegno nei confronti di Dio? Mi ripugna la sua volontà?

Si è tormentato laddove avrebbe dovuto trovare la pace. Si è troppo spaventato delle ricadute. Confondeva la tentazione al peccato col peccato. Credeva che Dio fosse adirato con lui nonostante la sua buona volontà. Sentiva Dio adirato benché non riuscisse a capire che male aveva fatto. Temeva che Dio lo mandasse all’inferno nonostante la sua innocenza. O viceversa si sentiva sempre in colpa nonostante gli sforzi in contrario. Non accettava di non poter evitare il peccato.[H1] 

Tutto ciò nel giovane Lutero denota un fortissimo interesse per la propria salvezza, ma in una forma ossessiva. Da che cosa dipendeva? Probabilmente dal trauma dell’educazione ricevuta, da un temperamento eccessivamente impressionabile e da un ragionare cavilloso derivato da Ockham.

Certo, uno che disprezzi Dio, l’ateo, l’agnostico, il panteista è le mille miglia lontano dal lasciarsi prendere da simili pensieri. Lo sdegno contro Dio, che prendeva Lutero al pensiero del Dio punitore, denota invece un animo ribelle, ma si tratta pur sempre di relazionarsi a Dio. Il rapporto con Dio esiste, esiste la ricerca della salvezza, dell’innocenza, della purificazione, della giustificazione, della grazia e della pace, esiste l’ascetismo e l’autodisciplina, ma in un clima psicologico agitato, aggrovigliato e confusionario e in uno stato di spirito profondamente inquieto e polemico, con punte di amarezza e disperazione.

Nel Lutero riformatore, dopo la Turmerlebnis, abbondano, invece, come è noto, le espressioni della confidenza in Dio e di fiducia nella sua misericordia, Lutero esprime anzi la sua volontà di obbedire a Dio in una forma paradossale, di marca prettamente occamistica, come la disponibilità ad andare anche all’inferno, se questa dovesse essere la volontà di Dio.

Del resto Lutero è convinto che Dio sia sempre con lui e di parlare sempre a suo nome: per questo non tollera di essere contraddetto nell’interpretazione della Scrittura. Non risulta che egli abbia ma ascoltato l’avvertimento di qualche teologo cattolico e tanto meno del Papa, che gli facevano notare le sue eresie.

È molto facile trovare in Lutero questi stessi sentimenti del Salmista: «Le tue frecce mi hanno trafitto, su di me è scesa la tua mano. Per il tuo sdegno non c’è in me nulla di sano» (Sal 38, 3-4); «Mi hai castigato e io ho subìto il castigo» (Gr 31,18); «Sono oppresso dai tuoi terrori. Sopra di me è passata la tua ira, i tuoi spaventi mi hanno annientato» (Sal 88,16-17); «Nel giorno dell’angoscia alzo a te il mio grido» (Sal 86,7); «Al mattino fammi sentire la tua grazia, poiché in te confido» (Sal 143,8).

«Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe» (Sal 51,11); «Nella tua grande bontà cancella il mio peccato» (Sal 51,3); «Tu hai rimesso la malizia del mio peccato» (Sal 32,5); «Quando ero oppresso dall’angoscia, il tuo conforto mi ha consolato» (sal 94,19); «Mi hai fatto provare molte angosce e sventure; mi darai ancora vita» (71,20). «Signore, secondo la tua misericordia, si plachi la tua ira» (Dn 9,16). Egli sa bene che «Misericordia e ira sono in Dio» (Sir 6,12).

Si direbbe che in Lutero anche nel periodo della sua vita monastica, manchi una vera carità verso Dio, un bisogno di contemplazione e di unione con lui; tutta la sua spiritualità si risolve in un bisogno di salvezza, di sentire la tenerezza di Dio, un Dio tutto per lui. Non pare sensibile all’invito del Salmista «Gustate e vedete quanto è buono il Signore» (Sal 34,9): egli sembra piuttosto voler gustare il proprio stato interiore di sicurezza e di pace, sia pur assicuratogli da Cristo. Quando il Garcia-Villoslada lo definisce «frate assetato di Dio»[2] non mi sembra che colga nel segno.

Lutero non fu un mistico ed egli stesso disprezza i mistici considerandoli infetti di platonismo. Egli non si sarebbe riconosciuto in queste parole del Salmo «Come la cerva anela ai corsi d’acqua, così la mia anima anela a te, o Dio» (Sal 42-43,2). Neppure gl’interessava lodare la tenerezza di Dio per il creato: «la tenerezza del Signore si espande su tutte le creature» (Sal 145,9). Tutta la sua aspirazione era la giustificazione «Beato l’uomo al quale Dio non mette in conto il peccato» (Rm 4,8).

Coscientissimo del prezzo che Cristo ha pagato per salarci, sapeva bene che «Senza spargimento di sangue non esiste perdono» (Eb 9,22). Non disdegnava il precetto di Giacomo «Confessate i vostri peccati gli uni agli altri» (Gc 5,16) e sapeva bene che è Dio che toglie i peccati: «Qual dio è come te, che toglie l’iniquità?» (Mi 7,18) e che «Chi confessa le proprie colpe troverà indulgenza» (Pr 28,13); «Il figlio dell’uomo ha il potere di rimettere i peccati» (Mt 9,6). Sapeva che «a chi si pente Dio offre il ritorno» (Sir 17,19); per questo chiedeva al Padre «rimetti a noi i nostri debiti» (Mt 6,12). Ma è rimasto cieco sulle parole di Cristo «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi  e a chi non li rimetterete  resteranno non rimessi» (Gv 20,22-23).

Non ha capito il sacerdozio di Cristo, nonostante il chiarissimo insegnamento della Lettera agli Ebrei e per conseguenza non ha capito il sacerdozio cristiano credendo che il sacerdozio fosse un’istituzione dell’Antico Testamento abolita da Cristo e sostituita con la figura del buon pastore. Non ha capito quindi la funzione e il valore specifico del ministero del Confessore, ma l’ha scambiato per una volontà puntigliosa e inesorabile – anche qui emerge il farisaismo occamista – di dominio e controllo sulle anime. Tuttavia ha conservato la coscienza della propria responsabilità di pastore, di apostolo, di dottore in teologia, di predicatore del Vangelo, di commentatore della Scrittura, di suscitare di discepoli di Cristo, di servitore dei poveri per amore di Cristo.

Le qualità del Confessore

Abbiamo visto come Lutero ha impostato il problema del ministero nella Chiesa e quindi la questione del sacerdozio col suo ufficio di dir Messa e confessare, e quindi la questione dell’Episcopato e del Papato. Abbiamo visto altresì la problematica del fedele che deve confessarsi, partecipare alla Messa, ascoltare il Magistero della Chiesa, obbedire ai pastori, vivere la vita della Comunità.

Chiediamoci adesso: ma Cristo come esattamente ha voluto il suo ministro di salvezza? In particolar modo, secondo il tema di questo articolo, come ha voluto il Confessore? Qual è l’ideale di Confessore che propone? Come delinearlo? Quali i suoi doveri? Quali i suoi poteri? Quale la sua utilità per il bene delle anime? Quale dev’essere il metodo del suo lavoro di operaio del Vangelo? Quali i rischi del suo ministero? Quali gli errori da evitare? Quali sono gli errori concernenti la funzione del Confessore? Come deve regolarsi nel discernere e giudicare?

È chiaro che per trattare una simile delicata e complessa materia occorrerebbe ben più spazio di quanto mi è concesso in questo articolo. Tuttavia è possibile presentare una sintesi delle cose da dire, avendo già parlato del modo sbagliato col quale Lutero intende il sacramento della Penitenza e il modo sbagliato col quale si confessava.

Mi rifaccio a un grande moralista domenicano tedesco del secolo scorso, il Padre Benedetto Enrico Merkelbach, autore di un ponderoso trattato di teologia morale[3], aggiungendo le indicazioni pastorali che in materia provengono dalla riforma della pratica del confessionale promossa dal Concilio Vaticano II, che tiene conto delle difficoltà opposte da Lutero e le risolve.

Il Merkelbach dice che il Confessore dev’essere padre, maestro, giudice e medico. La riforma conciliare, raccogliendo alcune istanze di Lutero, aggiunge: dev’esser amico e fratello. L’anima del confessare dev’essere la carità, il che implica uguaglianza fraterna davanti a Cristo Signore, nostro fratello, maestro, servitore, medico e giudice amorevole misericordioso.

Che dev’essere padre, è più che evidente. Il Papa lo ha illustrato mille volte con la parabola del figliol prodigo. Non insisto su questo, anche se c’è sempre bisogno di ricordarlo, perché sempre risorgono le tentazioni all’impazienza, all’impulsività, alla precipitazione, alla vendetta, al rigorismo, alla durezza, alla freddezza, alla spietatezza, al menefreghismo.

Il Confessore è maestro. Il Confessionale è ottima occasione per impartire una formazione dottrinale accurata, mirata, sistematica, personalizzata, ad hoc, circostanziata, graduale, soprattutto per quanto riguarda la Confessione, la morale, l’ascetica, la vita ecclesiale, il cammino di santificazione, la correzione dei vizi, l’acquisto delle virtù.

Il Confessore deve sapere quando assolvere e quando non assolvere. Oggi molti fedeli non sanno che cosa è la Confessione e come ci si confessa perché i sacerdoti a loro non lo insegnano o perché li confessano male. Molti fedeli non possono essere assolti non perché il Confessore li scopre in stato di peccato mortale, il che sarebbe un giudizio temerario, salvo possedere doni specialissimi come li aveva San Pio da Pietrelcina, ma perché entrano in confessionale senza le dovute disposizioni per essere assolti. In tal modo. invece di confessarli, conviene istruirli sul come si devono confessare, esortandoli a mettere in pratica le istruzioni ricevute.

Una cosa da notare riguardo a questa funzione giudiziaria del Confessore è che in particolare la riforma conciliare attenua l’aspetto giudiziario del sacramento a favore di quello pacificante come effetto della riconciliazione con Dio e con i fratelli. In passato si usava parlare del «tribunale» della Penitenza. Oggi si preferisce parlare di sacramento della riconciliazione. Naturalmente il sacramento mantiene la sua essenziale forma giuridica, rifiutata da Lutero, forma per la quale la liceità coincide con la validità. Infatti, mentre una Messa può essere valida ma non lecita, se il Confessore non ha la giurisdizione, salvo casi in articulo mortis del penitente, il suo atto non è valido.

Altra cosa da notare è che la pratica del passato, col suo esagerato, minuzioso e puntiglioso legalismo e giuridismo, faceva nascere e coltivava facilmente degli scrupolosi. Lutero in fondo non è altro che il caso di uno scrupoloso guidato da Confessori occamistici, i quali con la loro puntigliosità e severità lo hanno fatto scoppiare, anche se egli, da parte sua, come è stato da sempre notato, possedeva a sua volta una morbosa simpatia per Ockham, occasionata dal trauma della fanciullezza e da un temperamento religioso eccessivamente emotivo.

La riforma nata dal Concilio ha rimediato a questo guaio. Oggi gli scrupolosi non esistono più, ma siamo caduti nell’eccesso opposto: nessuno più si sente in colpa, perché la considera una neurosi di competenza dello psicoanalista. Anzi si è perduto il concetto di guida spirituale e di cura dell’anima come prerogative del Confessore. Quello che interessa è il benessere psichico, per cui lo psicologo tende a sostituirsi al Confessore con la pretesa di dare al paziente direttive e consigli che sarebbero di spettanza del Confessore.

Tuttavia bisogna ammettere che un aspetto buono della moderna prassi del Confessionale è dato dal fatto che i Confessori aggiornati sanno tener conto delle conoscenze della psicologia moderna, la quale meglio di quella del passato, di tendenza volontarista e rigorista, ci rivela quanto è oscuro il fondo della psiche umana e quanto forti sono i condizionamenti psichici, consci ed inconsci, nel bene come nel male, della nostra condotta morale. Ecco perché oggi c’è più misericordia che per il passato. Ma anche qui il freudismo ha provocato una forma di lassismo, per cui, col pretesto della misericordia certi Confessori, nonostante lo sbandierato progressismo, non sanno più purificare le anime e farle progredire, ma le lasciano ristagnare nel vizio illudendole col famoso pecca fortiter et crede firmius di luterana memoria.

L’imparzialità del giudizio può essere messa ad ulteriore prova quando si tratta di confessare la donna. Infatti nella Confessione si danno una speciale apertura d’anima, profonda comunione spirituale, confidenza, fiducia e stima reciproche, un comprendersi l’un l’altro a fondo, un manifestare ciò che ad altri non si direbbe. Ora tutto ciò nell’incontro fra uomo e donna sveglia naturalmente l’emotività e la reciproca attrazione sessuale. Se tutto si fermasse qui, non ci sarebbe niente di male; anzi questa reciprocità stimola la comunione spirituale.

Ma il fatto è che ciò avviene in due creature infette dal peccato originale quindi dalla concupiscenza, che spinge al peccato, mentre è evidente che in confessionale questa spinta dev’essere totalmente assente. Da qui la necessità nel Confessore di un supplemento di castità, che lo tenga al riparo da quel pericolo. Oggi non si usa più la grata ed è cosa saggia, perché così si comunica meglio. Oggi si è capito meglio che se certe condizioni esterne sono sempre utili all’acquisto e alla difesa della virtù, ciò che è decisivo è l’energia interiore della volontà sostenuta dalla grazia.

Il difetto della disciplina di prima del Concilio era connesso con un atteggiamento di sottovalutazione della donna e ostilità nei confronti del sesso visto solo nello stato di natura decaduta e non in quello protologico ed escatologico[4].

Il risultato e il presupposto era la diffidenza e la disistima nei confronti della donna, considerata come tentatrice meno intelligente del maschio, da trattare con durezza e con un atteggiamento scostante, come si farebbe con un fanciullo discolo, con la pretesa di comandarla a bacchetta e che dovesse dire tutto al Confessore, come se egli tenesse la parte di Dio, al Quale tutto si deve dire, così che il Direttore sacerdote o superiore ha la possibilità di controllare la sua condotta nei minimi dettagli.

Non si concepiva una virtù femminile distinta da quella maschile, ma la donna era considerata virtuosa nella misura in cui imitava il maschio. Ciò non ha impedito il sorgere di sante donne ed anche Fondatrici di Istituti femminili, i quali però dovevano dipendere rigorosamente in tutto dal ramo maschile.

In tutte le religioni il sacerdote è anche medico o quanto meno si paragona a un medico. La salute fisica è presa come simbolo della salute spirituale. Gesù stesso si è paragonato a un medico. La vita presente è una specie di degenza ospedaliera - Papa Francesco ha parlato di «ospedale da campo» -, dove il malato guarisce progressivamente pur restando malato, mentre l’uscita dall’ospedale, a completa guarigione avvenuta, coincide col momento in cui lasciamo questo mondo. Così il Confessore è un medico dello spirito, che deve curare quel malato spirituale che è il penitente ed ottenere che egli cammini e progredisca nel bene, abbandonando progressivamente il male. Chi è il buon samaritano, oggi tante volte evocato, se non il buon Confessore medico delle anime?

Ora l’idea luterana della corruzione totale della natura non favorisce questa visione terapeutica, pur così genuinamente evangelica, giacchè un processo di guarigione suppone una natura che abbia conservato una certa misura di salute e di normalità da cui partire: ma tutto è distrutto, che cosa c’è da fare se non gettare tutto nell’immondezzaio? Il Vangelo parla di servi che possiedono dei talenti da trafficare. Se col peccato abbiamo perso tutto, che cosa traffichiamo?

Lutero ha trascurato questo progressivo abbandono del peccato e acquisto della giustizia, questa progressiva diminuzione del male e aumento del bene, questo passaggio, come dice San Paolo, dall’uomo vecchio all’uomo nuovo, dall’uomo carnale all’uomo spirituale. L’uomo luterano, nonostante il Battesimo e l’influsso dello Spirito Santo, non sembra crescere nelle virtù naturali e soprannaturali: sembra che non progredisca verso la perfezione e il regno di Dio.

La mortificazione della carne in nome dello spirito gli sembra pelagianismo platonico, dal che il rifiuto dei voti religiosi e le pratiche ascetiche da lui considerate farisaismo. Crede di essere lui il paladino della libertà cristiana contro il supposto legalismo della morale cattolica.

Conclusione

Ho preso in considerazione la questione della Confessione in chiave ecumenica. Essa dovrebbe esser messa a tema dei dialoghi ecumenici, ma ho l’impressione che non lo si faccia. Indubbiamente è un tema nel quale i nostri fratelli luterani dovrebbero recuperare i valori che Lutero respinse, ma nel contempo ho cercato di evidenziare che su questo punto Lutero avanzò anche istanze giuste, che sono state accolte dalla riforma della prassi promossa dal Concilio Vaticano II. Il problema è che oggi spesso si fa un ecumenismo che non corrisponde in pieno a quanto è chiesto dal Decreto Unitatis redintegratio. Esso infatti si muove su due linee: quella della verità e quella della carità.

Molto si parla della seconda, poco della prima; eppure è quella caratterizzante l’ecumenismo come tale. Infatti, la pratica della carità vale in tutti gli aspetti della vita cristiana e non solo nei nostri rapporti con i luterani.  Ciò che invece qualifica e caratterizza l’attività ecumenica è la questione della verità, ossia il fatto, come dice il Decreto, della permanente esistenza, nella dottrina dei nostri fratelli, di «impedimenti che si oppongono alla piena comunione ecclesiastica» (n.3) e di «carenze» (ibid.). E il Concilio logicamente prosegue affermando che «tutti quelli che già in qualche modo appartengono al popolo di Dio» - quindi anche i fratelli luterani - «bisogna che siano pienamente incorporati» (ibid.). E come questo si potrà ottenere? Nella carità reciproca e nel comune amore per la verità.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 10 agosto 2023

Bisogna ammettere che un aspetto buono della moderna prassi del Confessionale è dato dal fatto che i Confessori aggiornati sanno tener conto delle conoscenze della psicologia moderna, la quale meglio di quella del passato, di tendenza volontarista e rigorista, ci rivela quanto è oscuro il fondo della psiche umana e quanto forti sono i condizionamenti psichici, consci ed inconsci, nel bene come nel male, della nostra condotta morale. Ecco perché oggi c’è più misericordia che per il passato.

Ho preso in considerazione la questione della Confessione in chiave ecumenica. Essa dovrebbe esser messa a tema dei dialoghi ecumenici, ma ho l’impressione che non lo si faccia. Indubbiamente è un tema nel quale i nostri fratelli luterani dovrebbero recuperare i valori che Lutero respinse, ma nel contempo ho cercato di evidenziare che su questo punto Lutero avanzò anche istanze giuste, che sono state accolte dalla riforma della prassi promossa dal Concilio Vaticano II. Il problema è che oggi spesso si fa un ecumenismo che non corrisponde in pieno a quanto è chiesto dal Decreto Unitatis redintegratio. Esso infatti si muove su due linee: quella della verità e quella della carità.

La pratica della carità vale in tutti gli aspetti della vita cristiana e non solo nei nostri rapporti con i luterani. Ciò che invece qualifica e caratterizza l’attività ecumenica è la questione della verità, ossia il fatto, come dice il Decreto, della permanente esistenza, nella dottrina dei nostri fratelli, di «impedimenti che si oppongono alla piena comunione ecclesiastica» (n.3) e di «carenze» (ibid.). E il Concilio logicamente prosegue affermando che «tutti quelli che già in qualche modo appartengono al popolo di Dio» - quindi anche i fratelli luterani - «bisogna che siano pienamente incorporati» (ibid.). E come questo si potrà ottenere? Nella carità reciproca e nel comune amore per la verità.

Immagini da Internet


[1] Dal discorso del Papa del 31 ottobre 2016 nella chiesa luterana di Lund in occasione della commemorazione del 500° anniversario della Riforma di Lutero. Vedi anche l'Udienza del 31 marzo 2017 ai partecipanti al convegno del Pontificio Comitato di scienze storiche su Lutero; il discorso del 7 dicembre 2017 alla Presidenza della Federazione luterana mondiale; l’omelia del Papa del 15 novembre 2015 nella chiesa evangelica luterana di Roma.

[2] Martin Lutero. Il frate assetato di Dio, Istituto Propaganda Libraria,Milano 1985, 2 voll.

[3] Summa theologiae moralis ad mentem divi Thomae, Desclée deBrouwer, Bruges 1938-39, 3 voll.

[4] L’insegnamento di San Giovanni Paolo II sull’etica sessuale ha ampliato lo sguardo dal presente stato di natura decaduta allo stato edenico e a quello escatologico della futura risurrezione. Oggi i giudizi adeguati sulla deontologia sessuale devono esser presi alla luce di questo orizzonte antropologico più ampio, che risulta dalla Rivelazione. Ho illustrato questo nuovo concetto della castità e dell’unione-reciprocità uomo-donna nel mio libro La coppia consacrata, Edizioni Viverein, Monopoli (BA) 2008.


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