Il Diario del Concilio di Padre Congar


Il Diario del Concilio di Padre Congar

Un testo autorevole di attualità sul Concilio 



Nel 2005 le Edizioni San Paolo pubblicarono in due volumi il Diario del Concilio del Padre Yves Congar, il quale prese nota quasi giorno per giorno, dal 1963 al 1966, degli avvenimenti e dei lavori o episodi attinenti, ai quali egli partecipò soprattutto personalmente. 

Anche se esprime ovviamente un punto di vista particolare, senza alcuna pretesa di esaustività, si tratta di un documento estremamente interessante e ricco di informazioni dettagliate, data l’eccezionale competenza dell’Autore, perito del Concilio, per sapere quale contributo ha dato, per capire che cosa è successo al Concilio, le reazioni nella Chiesa e nella società, quali erano i suoi intenti, quali erano i protagonisti principali dei lavori conciliari, quali i problemi che nascevano, quali le visioni nuove che sorgevano, in che termini si poneva lo scontro fra coloro che avrebbero voluto che si individuassero meglio gli errori e si fosse più severi nel condannarli  e che si ribadissero le posizioni tradizionali in pericolo, e coloro invece che, fedeli all’ispirazione di Papa Giovanni, volevano una Chiesa meno giuridista, meno trionfalista, più libera, più aperta alla misericordia e alla voce dello Spirito Santo, e una nuova evangelizzazione, che utilizzasse un linguaggio moderno e praticasse un dialogo col mondo moderno fondato sull’apprezzamento dei suoi valori.

Il lato debole di questo racconto, che testimonia di un lavoro intensissimo e quasi prodigioso, è dato dalla discutibilità per non dire erroneità di alcuni giudizi, - cosa del resto inevitabile anche per un grande uomo come Congar - che egli dà sulle innumerevoli persone, Cardinali, vescovi, sacerdoti, teologi, periti, laici e religiosi, uomini politici e diplomatici, che egli incontrò. 

Stupisce di quanta capacità di contatto umano egli fosse dotato, ricercatissimo per incarichi, consultazioni, conferenze, consigli e pareri da moltissimi ammiratori, colleghi di lavoro, Università, Seminari, associazioni, Ordini religiosi, istituzioni culturali, e dalle stesse autorità. 

Si nota però che il suo criterio per accogliere o escludere, approvare o disapprovare, contattare o evitare, ammirare o disprezzare gli altri, al di là di un’apertura di mente assai notevole e di un giudizio sostanzialmente saggio, non pare tanto essere l’onestà o disonestà, la competenza o l’incompetenza, la fedeltà o infedeltà al Magistero, lo zelo o la pigrizia nel servizio del Signore, ma l’essere progressista o conservatore, innovatore o tradizionalista, curiale o anticuriale, pro o contro il Sant’Ufficio. 

Dispiace anche il tono di sufficienza nei confronti degli Italiani o, come li chiama, i «Romani», che contavano diversi Cardinali conservatori, come Ottaviani, Felici, Ruffini, Bacci, Oddi, Siri, Samorè, Florit. Altri li nomina astenendosi da un giudizio, come Antoniutti, Cento, Cicognani, Ciriaci, Confalonieri, Dell’Acqua, Marella, Micara, Piazza, Staffa, Tardini e Urbani. Ma all’indirizzo del Card.Pizzardo, Prefetto della Congregazione dei Seminari e delle Università, lancia ripetutamente epiteti offensivi, arrivando al punto da chiamarlo più volte «cretino» e «imbecille».

Di sapore protestante è anche l’antitesi tra Chiesa e Curia Romana, più volte ripetuta, anche se intendeva riferirsi alle resistenze che da certi ambienti curiali venivano nei confronti delle riforme conciliari o venivano da zelanti teologi, come il Padre Tromp, Padre Lio, Mons.Piolanti, Padre Gillon o il Padre Ciappi, poi Cardinale, Teologo della Casa Pontificia. 

Ciò rivela, sia pur occasionalmente,  un animo volgare e astioso, e crea un ombra  di meschinità in un cuore peraltro estremamente grande, disponibile e generoso, in una mente superiore e di vastissime vedute, direi senz’altro profetica, per cui siamo pronti chiudere un occhio e a perdonarlo. 

Si avverte tuttavia, a mio parere, una certa arroganza e mancanza di umiltà, che lo avrebbe reso più rispettoso verso i conservatori, fra i quali vi erano sante persone e Maestri dell’Ordine, come il Padre Brown e il Padre Fernandez. Forse troppo cosciente di aver ragione, Congar si mostra troppo duro verso gli avversari, fino a sconfinare nell’arroganza e nella mancanza di carità.

Le qualità del Concilio

Una cosa che Congar mette in luce, anche se non lo dice esplicitamente, ma lo lascia intendere, è il sottile e ben mascherato  tentativo dei protestanti, attraverso i Padri conciliari del Nord e Centro Europa, di far accettare dal Concilio le loro idee col pretesto del dialogo ecumenico. Altri protestanti onesti e veramente religiosi suscitano in lui  l’ammirazione e addirittura la commozione, come Cullmann e la Comunità di Taizè. 

Congiuntamente a ciò Congar mostra come il S.Ufficio, capeggiato dal Card.Ottaviani con la collaborazione di Mons.Parente, insieme con Padri italiani e spagnoli, fiutarono la manovra protestante e modernista, ma facendo nel contempo resistenza all’accoglienza dei lati positivi del protestantesimo. 

Ciò pose il S.Ufficio in una posizione imbarazzante di minor sensibilità ai voleri di Papa Giovanni, il quale desiderava dal Concilio il superamento, per quanto possibile, del secolare conflitto con i protestanti. Congar cita quei Cardinali o Vescovi che si misero in luce in senso progressista, come Willebrands, Alfrink, Bea, Döpfner, Liénart, Léger, König, Suenens, Journet, Garrone, Montini, Ancel, Lercaro, Baldassarri, dei quali però alcuni successivamente saranno troppo indulgenti verso il rinato modernismo. Elogia il Card.Philips per il suo contributo all’ecclesiologia conciliare. Loda giustamente il Padre Chenu, ma mi pare troppo favorevole. Escono con onore diversi personaggi, come i Padri Daniélou,  Hamer, Cottier, Gagnebet e Féret.

Congar ricorda anche come fu affrontato il problema dell’ateismo marxista. Non dice invece pressoché nulla circa gli errori dell’idealismo, dell’esistenzialimo e dell’immanentismo, che erano stati condannati dall’enciclica Humani Generis di Pio XII del 1950. Il Concilio non pensò di tornarci su, quasi che si potesse credere che essi erano stati cancellati. De Lubac si era corretto e fu più tardi promosso Cardinale. Congar non si accorge che una lacuna del Concilio è la mancata condanna di Teilhard de Chardin. 

Invece i criptomodernisti, come per esempio Rahner e Schillebeeckx, mantennero segreti i loro errori, si guardarono bene dal proporli in Concilio, in attesa del momento opportuno, che venne subito dopo il Concilio. Per questo  il giudizio di Congar su quei due teologi, che riguarda solo i lavori del Concilio, è abbastanza positivo, anche se Congar riferisce di lati discutibili, come, per esempio, che Schillebeeckx non fu nominato perito per una sua tesi erronea riguardante l’autorità del Papa (vol.II, p.261).

Così, finito il Concilio, nel clima utopistico, euforico e di abbassamento della guardia, l’atmosfera emotiva del Concilio aveva generato nell’episcopato e nello stesso S.Paolo VI la convinzione di una Chiesa ormai unita e fraterna attorno allo stesso Concilio in dialogo col mondo. Ma ecco che Rahner e i neomodernisti, che si erano celati durante il Concilio, apportando peraltro utili contributi, forti del successo e del prestigio ottenuto, uscirono allo scoperto, certi dell’impunità, presentando i loro errori come interpretazione del Concilio.

Congar è giustamente entusiasta di Giovanni XXIII. Questi però lasciò entrare tra i periti teologi che successivamente si sarebbero rivelati pericolosi, soprattutto Küng, Häring e Rahner. Mi pare per questo che Congar sbagliò nel vedere in Paolo VI un freno al rinnovamento. In realtà Paolo VI, più avveduto di Papa Giovanni, aveva già subodorato il guaio che sarebbe sorto dopo il Concilio, per colpa di questi teologi,  senza peraltro riuscire a scongiurarlo del tutto, tanto che ancor oggi soffriamo di questo.

Durante i lavori del Concilio, invece, Congar rimase colpito dalle grandi qualità che Rahner seppe dispiegare, attirandosi la stima di molti Padri ed esercitando una notevole influenza sulla elaborazione dei documenti conciliari. Probabilmente Congar fu tra coloro che pensarono che egli si fosse corretto dai suoi errori. Ma egli si era illuso, perché già dagli anni dell’immediato postconcilio Rahner si rivelò apertamente, diffondendo una falsa interpretazione di S.Tommaso, che ne faceva un hegeliano, ed allontanandosi con ciò stesso dalla dottrina della fede.  

Un grande teologo giudica il Concilio

Pregio del Congar resta comunque l’esser riuscito, grazie alla sua mente poderosa,  a fare opera di mediazione fra progressisti e conservatori, prendendo le distanze dalle posizioni estreme, come quelle di Küng sul fronte filoprotestante e di Mons.Lefebvre, sul fronte tradizionalista. Sa muoversi molto bene nei confronti del Papa, obbedendo dove bisogna obbedire, criticando dov’è lecito criticare, da vero Domenicano. Sembra poco avveduto tuttavia nel distinguere le manovre moderniste da chi intendeva introdurre sane novità e riforme secondo la mente di S.Giovanni XXIII e S.Paolo VI. 

Congar si mostra poco sensibile e poco chiaro – stranamente egli così esperto in materia - riguardo alla questione del livello di autorità dottrinale del Concilio, questione che dopo il Concilio fino ad oggi avrebbe occasionato lo scontro fra chi dà  eccessivo valore ai documenti del Concilio e chi viceversa vorrebbe accusarli di aver ceduto al modernismo. Effettivamente solo sporadicamente al Concilio fu sollevata la questione. Congar cita al riguardo con aria di sufficienza la Nota Previa del Card.Felici, mentre ci saremmo aspettati un commento più attento, data l’importanza dell’argomento. 

È strano che non faccia la distinzione fra documenti dottrinali irreformabili  e documenti pastorali riformabili. Non si accorge neanche della possibile strumentalizzazione del Concilio a causa della poca chiarezza di linguaggio di certi passi. Ma anche questa è una questione che sarebbe scoppiata dopo. Congar sembra non  accorgersi che il moderno linguaggio corrente, assunto dal Concilio con l’intento della «pastoralità» al posto del tradizionale linguaggio tecnico della Chiesa, dà l’impressione di facilità e chiarezza, ma in realtà genera equivoci e confusione. 

Il linguaggio tradizionale della Chiesa certamente richiede uno sforzo di apprendimento, ma alla fine, per la sua onestà e precisione, si rivela più pastorale della pastoralità dei modernisti, anche se non si nega che anche il linguaggio della Chiesa si deve aggiornare. E il Concilio ne dà un esempio. Ci saremmo aspettati da Congar queste considerazioni e invece nulla.

Egli accoglie così senza obiettare giudizi sfavorevoli nei confronti della teologia scolastica, dimenticando che essa è una delle grandi glorie secolari di quell’Ordine Domenicano, al quale pure il Congar appartiene, gloria ancora elogiata da S.Pio X, Pio XII e dallo stesso Concilio col richiamo a S.Tommaso. La teologia scolastica va certamente tradotta nel linguaggio popolare; ma essa in se stessa conserva tutto il suo valore per i maestri della fede e per gli indagatori della Parola di Dio.

Certamente Congar è discepolo dell’Aquinate, ma non mostra attenzione al fatto che il Concilio lo abbia raccomandato. Cita con simpatia il Maritain, ma non mostra di essersi accorto di quanto il tomismo maritainiano, apprezzato da Paolo VI,  ha precorso il tomismo aperto e progressista promosso dal Concilio.

Per quanto riguarda l’ecumenismo, ne mostra una viva ed esemplare sensibilità; ma è lontano dal tener presente che lo stesso Decreto Unitatis Redintegratio -  passo, questo, che certamente non dipende da lui - auspica che i fratelli separati, abbandonando i loro errori, vogliano entrare nella piena comunione con la Chiesa cattolica. Per questo egli dice che i fratelli separati «non sono da convertire, ma da abbracciare» (vol. I, p.494; cf anche p.246).

Non seppe apprezzare l’ecumenismo di S.Paolo VI, mentre questi, alla scuola del Maritain, ne fu vero maestro, sensibile al rischio dell’indifferentismo ed alla penetrazione del protestantesimo fra i cattolici, fatto che si sarebbe verificato nei decenni successivi, per un ecumenismo cincischiante  e tergiversante.

Congar si ferma a lungo sulla questione della collegialità episcopale, ampiamente dibattuta e che suscitò un’aspra discussione fra conservatori e riformisti, i primi, timorosi che essa potesse recare pregiudizio all’autorità del Papa, i secondi desiderosi di valorizzare la comunione dei vescovi tra di loro nella loro collaborazione dell’episcopato col Papa. Nota come fu il Card.Parente a  proporre una soluzione ragionevole, che fu poi  accettata dal Concilio.

Congar si mostra poco interessato alla questione liturgica, che sarebbe scoppiata sin dall’immediato postconcilio, e per questo non ne parla. Probabilmente egli non si accorse delle nubi tempestose che si stavano addensando. Infatti lo stesso Mons.Lefebvre votò a favore della Sacrosanctum Concilium. La sua ribellione avvenne con la riforma di Paolo VI del 1969, che suscitò gravi difficoltà nell’ala conservatrice, e tra gli stessi Cardd.Ottaviani ed Oddi. In quel frangente Paolo VI si mostrò forse anche troppo severo nell’imporre la riforma, atteggiamento che poi, come sappiamo, fu mitigato da S.Giovanni Paolo II e ancor più da Benedetto XVI.

Congar mostra di aver colto il valore della libertà religiosa, definito nel Dignitatis Humanae. Ma nel contempo si scaglia in modo anacronistico contro il Beato Pio IX sostenitore dello Stato confessionale, accusandolo di temporalismo, senza capire che la cura che Pio IX aveva per la sua sovranità temporale era ai suoi occhi un  dovere religioso davanti alla Chiesa, che nulla aveva a che vedere col temporalismo di un Giulio II o un Alessandro VI. 

Peraltro è difficile trovare fra i Papi uno maggiormente preso dalla sua missione spirituale come Pio IX. La stessa proclamazione del dogma dell’infallibilità pontificia non va intesa, come alcuni stolti hanno interpretato, come volontà di autoaffermazione sulla Chiesa, ma come preziosissimo servizio alla Chiesa e ai fedeli, i quali vengono certificati del fatto che chi ascolta il Papa, ascolta Cristo.

I grandi meriti di Congar

Bisogna riconoscere che Padre Congar si è veramente prodigato al massimo delle forze nel suo incarico di perito del Concilio, affrontando immense fatiche, notti insonni, disagi, viaggi continui, contatti con innumerevoli persone di vari paesi, ceti e competenze, senza neanche l’aiuto di un segretario, assolvendo ad obblighi gravosi ed affrontando avversari accaniti, nonostante una misteriosa malattia neurologica, che gli ostacolava i movimenti e che, aggravandosi col tempo, lo condurrà alla morte. 

Diversi documenti del Concilio portano la sua impronta. Giustamente, al termine della sua vita, per i tanti meriti acquisiti, gli fu conferito l’onore della porpora. Al di là dei suoi difetti, ai quali ho accennato, egli fu certamente un uomo di Dio, un teologo dottissimo, fedele servitore della Chiesa e delle anime, profeta di una Chiesa rinnovata nello Spirito Santo, un vero ed eletto esempio di Domenicano.

Egli racconta come non siano mancati, ogni tanto, momenti di sosta, che interrompevanoono questo travolgente e vorticoso torrente di impegni massacranti per un uomo afflitto da quel un misterioso morbo, che spesso ne paralizzava i movimenti, provocando insonnie e disturbi vari. 

In quei momenti di stanchezza, di sconforto e di vuoto, Padre Congar ripensa la sua vita, alza lo sguardo a Dio, si confida con lui, si riconferma nel suo impegno spirituale, si mette nelle Sue mani con umiltà e fiducia. Qui si avverte che il successo umano non gli bastava, qui si sente il suo bisogno di Dio. Qui troviamo il fondo della sua anima, al di là delle polemiche e delle piccinerie di questo mondo.

P.Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 3 agosto 2019

3 commenti:

  1. Dall'albero si riconoscono i frutti, ci aspettavamo una primavera ed è venuto l'inverno... gli arroganti che parlavano di una nuova pentecoste non si sono accorti che La Pentecoste è già stata infusa una volta per tutte e in modo perfettissimo, Dio non si ripete, chi non riconosce questo si chiude a quel santo Soffio che spira costante da quella prima volta, per questo è blasfemo dire che la Chiesa aveva bisogno di una nuova pentecoste.

    Oggi vediamo le rovine che ha provocato l'arroganza di falsi maestri come congar.

    RispondiElimina
  2. Papa Giovanni con quella famosa espressione intendeva semplicemente un nuovo soffio dello Spirito Santo, non certo in contraddizione col primo del Giorno di Pentecoste, perché lo Spirito Santo non si contraddice mai, ma è in continuità con quello, come ha spiegato Benedetto XVI.
    Il fatto è che il Concilio avrebbe potuto produrre questo effetto, se i modernisti organizzatissimi, capeggiati dai rahneriani, con mossa repentina, potente ed astuta, prendendo in contropiede la gerarchia e S.Paolo VI, non si fossero sostituiti all’interpretazione del Concilio data dal Magistero, per cui sono riusciti a diffondere largamente nella Chiesa, senza che i Papi successivi fino all’attuale siano stati in grado di fermarli, la loro interpretazione modernista, tanto che molti sono rimasti ingannati e preferiscono l’interpretazione rahneriana a quella del Catechismo della Chiesa Cattolica.
    Conosco la teologia del Padre Congar, illustre e dottissimo mio Confratello. Egli ha meriti per quanto riguarda la teologia del laicato. Ha molto approfondito la questione dell’ecumenismo, specie con i luterani. Egli ha così messo in maggior luce certi aspetti positivi della riforma e della religiosità di Lutero.
    Ma nel contempo Congar purtroppo mostra una certa insofferenza per il giudizio che la Chiesa ha già dato su Lutero, e perde di vista il dovere della Chiesa, indicato dallo stesso decreto conciliare Unitatis redintegratio (n.3), di indicare ai fratelli separati le vie per abbandonare i loro errori ed arrivare alla piena comunione con la Chiesa cattolica.

    RispondiElimina
  3. Caro Padre Cavalcoli,
    sinceramente, senza mancare di rispetto a nessuno, si sta contraddicendo.
    Per quale sofisma dovrei dare una interpretazione bonaria all'espressione "nuova pentecoste", "nuovo soffio dello Spirito Santo"? E' la stessa cosa, le parole non si interpretano! Sono stanco di questa chiesa che parla, e poi ci deve essere l'interprete che ci spiega il modo giusto di intendere la frase, l'atteggiamento, l'intenzione del discorso. Sono stanco di questa ambiguità. Dov'è l'evangelico parlare con il SI! SI! NO! NO!?
    Il papa piuttosto di parlare di nuova pentecoste, (e lo ribadisco, concetto eretico, perchè Dio non fa due volte la stessa cosa) doveva parlare di conversione dei cuori e docilità all'azione dello Spirito Santo.
    Gli eretici ci sguazzano con le ambiguità, e un papa dovrebbe parlare senza ambiguità, invece spece con francesco viviamo nella costante ambiguità. Lei spesso mi sembra un funambolo, un acrobata, per quante contorsioni verbali e filosofiche deve fare per conciliare le parole e i gesti di bergoglio con la dottrina cattolica.

    E' quell'aggettivo NUOVO che è sbagliato, e lo dobbiamo riconoscere, altrimenti non se ne viene più fuori... non può dare la colpa a Rahner e ai suoi sgerri modernisti. Chi era il papa? Rahner o i vari Giovanni, Paolo, Giovanni Paolo o Benedetto?
    Come è potuto succedere che siano riusciti ad imporre alla chiesa la loro interpretazione del concilio, che pure Lei condanna?
    Ciò è potuto succedere per questi motivi, veda Lei quale è più plausibile:
    1- il concilio ha emanato documenti ambigui, dove ognuno ha letto ciò che più soddisfaceva i propri "pruriti". Possiamo dire, se ciò è vero, che i documenti del vaticano II non sono fatti come Dio comanda, quindi non sono da Lui ispirati.
    2- il papa stesso ha voluto l'interpretazione rahneriana del concilio per cui non è intervenuto a correggere la deriva modernista perchè la condivideva. Possiamo dire allora, se ciò è vero, che i papi del post concilio tacendo acconsentivano l'eresia, per cui essi stessi sono eretici. Non mi venga a dire che il papa non poteva scomunicare Rahner e la sua teologia con una "Bolla"... vedo che con i piccoli scattano le scomuniche senza tanti problemi, vedi Lefebvre.
    3- i papi non sono stati in grado di contrastare l'azione dei rahneriani eretici per viltà, rispetto umano, incapacità, ecc. ecc. Possiamo dire allora, se ciò è vero, che, vista questa debolezza, primo non sono santi, non hanno avuto il coraggio eroico di fermare l'eresia. Secondo, oggi che dilaga il modernismo siamo chiamati noi a denunciare, condannare, contrastare questa eresia, a costo di andare pure contro il papa, perché se un papa è eretico decade ipso facto.
    Il modernismo rahneriano ha attecchito la dottrina, e la prassi pastorale, e questo papa francesco conferma gli eretici di tutte le risme.
    In quanto a Congar illustre e dottissimo suo confratello dico che è da gettare nella spazzatura tutta la sua dotta e illustre sapienza umana. Chi si fa compagno degli eretici è eretico.
    Lui e i suoi compari volevano fare alla chiesa una cura di giovinezza, iniettando qua e là un po' di botox per toglierle qualche ruga... la stanno uccidendo... le ricordo che basta un miliardesimo di grammo per via endovenosa di tossina botulinica per ammazzare una persona.
    Questa teologia eretica sta ammazzando la chiesa e spedendo all'inferno molte anime come disse la nostra Regina a Fatima.
    Cari saluti.

    RispondiElimina

I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.