La mente e il cervello (Lezione tenuta all’Università di Parma il 26 ottobre 2010) - Seconda Parte (2/3)

 La mente e il cervello 

Seconda Parte (2/3)

(Lezione tenuta all’Università di Parma il 26 ottobre 2010)*

 

http://www.arpato.org/ 

http://www.arpato.org/studi.htm (P. Giovanni Cavalcoli, n. 59)

 

II. Princìpi metodologici

1.Metodo sperimentale e metodo filosofico

          Lo studio del cervello viene condotto con un metodo diverso da quello usato per l’indagine sulla mente. Il primo è il metodo scientifico-sperimentale; il secondo è il metodo razionale-filosofico. 

 

          Tanto la scienza sperimentale quanto la filosofia partono dai sensi applicando il metodo induttivo o a posteriori (dall’effetto alla causa). Il metodo sperimentale si applica esclusivamente ad una realtà materiale-sensibile. Il metodo filosofico invece, pur partendo dall’esperienza sensibile, mediante l’applicazione del principio di causalità giunge ad affermare una causa immateriale, oggetto della pura ragione.

 

          E una volta che si manifesta questo oggetto alla ragione, la filosofia può continuare la sua indagine da sé, deduttivamente o, come si dice, a priori, senza che più le occorra far ricorso a verifiche sperimentali, perché l’oggetto è metempirico o sovrasensibile, ovverosia immateriale. In questa indagine la ragione può continuare ad applicare il principio di causalità e quindi può giungere a nuove scoperte.

 

          La ragione scientifica, applicando il principio di causalità, resta nel campo dei fenomeni, mentre la ragione filosofica, partendo dai fenomeni, scopre se stessa come pura ragione e può indagare se stessa con un metodo puramente razionale (a priori) senza far uso del senso. E’ a questo punto che appare la mente. A questo punto il metodo kantiano coincide con quello tomista, ance se i risultati sono diversi.

 

          La verità scientifica deve poter essere sperimentalmente verificabile, mentre la verità filosofica è verificabile mediante l’esercizio logico della pura ragione. Una tesi scientifica falsa è smentita dalla semplice esperienza, mentre una falsa teoria filosofica appare tale in quanto è contradditoria, oltre che contraria all’esperienza.  

 

          Il principio di causalità si usa tanto in scienza quanto in filosofia, con la differenza che nella scienza la ragione resta sempre nel campo dell’empirico (nella fattispecie il cervello), mentre in filosofia la ragione supera l’empirico ed entra nel mondo dell’immateriale o dello spirituale (la mente).

 

2.Le forme della causalità

 

          I generi principali di causalità sono stati scoperti da Aristotele e sono i seguenti: causa materiale, causa formale, causa efficiente, causa finale. Platone aveva già scoperto la causa ideale o esemplare. Ma tutte le cause interessano tanto la scienza che la filosofia, con ll differenza che mentre la scienza sperimentale non può mai fare a meno della causa materiale, la filosofia può ergersi ad un livello di realtà - appunto quello mentale - dove la casualità materiale non esiste o non gioca.

 

          Nell’oggetto della scienza la forma si trova sempre in una materia. Il cervello è materiale, ma ha una forma, ha una struttura e una funzionalità intellegibili indagabili e spiegabili dalla ragione e dalla scienza, le quali formulano descrittivamente o matematicamente le leggi di detto funzionamento.

 

          Forma e materia sono principio di strutturazione e di esistenza per le realtà materiali e quindi anche per il corpo umano e per il suo cervello. In tal senso, come ha scoperto Aristotele, sono vere e proprie cause, intendendo per “causa” un qualcosa che in qualunque modo influisce su altro o determina un altro, sì da spiegare l’esistenza di questo altro, denominato “effetto”.

 

          La materia del cervello di un dato individuo possiede una forma in un duplice senso: in un senso ontologico, in quanto è la forma del cervello di quel dato individuo; questa ha una sua identità che caratterizza l’identità di quel dato individuo, per cui non muta; ed una forma o struttura empirica in evoluzione. Questa muta dal momento in cui comincia a formarsi il cervello del feto, fino all’istante della morte.

 

          La materia dalla quale si forma il cervello nel feto diventa la materia del cervello formato, mentre al momento della morte questa materia lascia la forma del cervello ed assume, nel processo della decomposizione del cadavere, le forme e i dinamismi chimici propri degli elementi dei quali si componeva il cervello vivente.

 

          Indubbiamente nel corso della vita il cervello assume apporti di materia, come per esempio l’ossigeno e l’irrorazione sanguigna; ma questa materia viene selezionata e misurata dall’attività del cervello, il quale la subordina alla propria forma, ai propri interessi e alla propria funzionalità.

 

          Invece la mente è una pura forma sussistente, in quanto priva di materia, benchè di fatto nell’uomo essa sia soggettata nel cervello e diriga le attività cerebrali, le quali peraltro hanno anche un’attività loro propria, fisiologica, la quale dipende dalla vita vegetativa e non dalla volontà del soggetto, volontà che emana dalla mente mediante l’intelletto  o il pensiero.

 

          I centri cerebrali sono certamente cause efficienti delle attività cerebrali e nervose, ma a loro volta alcuni centri sono guidati dalla volontà, per cui l’attività di questi centri è a sua volta causata efficientemente dagli atti del libero volere dell’uomo. Le attività cerebrali a loro volta muovono i muscoli involontari e quelli volontari. Esse causano quindi movimenti degli organi interni ed esterni del corpo umano.

 

          Empiricamente sono constatabili, i primi dall’indagine endoscopica, i secondi dall’esperienza sensibile esterna. In base all’esperienza esterna si distinguono poi i moti corporei volontari da quelli involontari, mentre il soggetto agente distingue questi moti in base alla sua stessa esperienza interiore, ossia distinguendo i moti da lui voluti da quelli che non ha voluto o che non vuole o che comunque non sono oggetto del suo volere.

 

          La causalità finale è presente anche nei processi neurobiologici del cervello. Consideriamo per esempio l’attività visiva del soggetto: l’immagine retinica, sede della sensazione visiva, tradotta in impulsi nervosi, viene trasmessa per mezzo del nervo ottico al corrispondente centro cerebrale, dove il cervello presiede al suo coordinamento con gli impulsi provenienti dagli altri sensi, in modo tale che il soggetto, sin dalla più tenera infanzia, impara istintivamente, grazie all’attività cerebrale, che però comincia ad essere a sua volta governata dalla volontà, a coordinare la percezione visiva con quella degli altri sensi e dei moti corporei, al fine di cogliere ed utilizzare l’oggetto nella sua unità di colorato, sonoro, pesante, saporito, odorabile, tangibile, posto nello spazio e nel tempo.

 

          Da queste considerazioni circa il funzionamento dell’apparato visivo dal punto di vista neurobiologico e sensitivo, si comprende quella che è la finalità del suddetto apparato: consentire al soggetto di vedere gli oggetti e di assumere nei loro confronti un atteggiamento adeguato, istintivo o volontario che sia. 

 

          Bisogna distinguere la finalità neurobiologica da quella sensitiva e da quella mentale. Restiamo sempre nel campo della vista. La scienza sperimentale constata sia la finalità del primo tipo che quella del secondo tipo. Nella prima si constata come l’apparato neurobiologico (livello della vita vegetativa) sia fatto in modo che la sensazione visiva, tradotta in impulsi nervosi, giunga al cervello. Nella seconda lo psicologo sperimentale constata come l’apparato nervoso serve alla formazione della sensazione visiva, ossia alla formazione dell’immagine intenzionale, ovvero la rappresentazione immateriale dell’oggetto esterno (livello della vita sensitiva). 

 

          Questo processo a sua volta prepara l’atto mentale della conoscenza concettuale astratta dell’oggetto. Qui entra in scena la psicologia filosofica, la quale, in quella disciplina che è chiamata “gnoseologia”, stabilisce che la mente coglie l’“essenza” dell’oggetto, la esprime interiormente in un concetto (verbum interius), il quale a sua volta viene espresso esternamente (verbum exterius) nel linguaggio (livello della vita razionale).

 

          L’analisi scientifico-filosofica di questi tre momenti nel loro succedersi mette in luce un processo evolutivo o dinamico finalizzato, in ultima analisi, alla produzione del pensiero e della coscienza ad opera della mente, nella sue due facoltà dell’intelletto e della volontà.

 

          La causa ideale-esemplare è immediatamente connessa con quella finale, la quale a sua volta mette in moto la causa efficiente. Spieghiamo questo processo per quanto riguarda il cervello. Come constano l’anatomista, il neurologo e il fisiologo del cervello, i meccanismi cerebrali, al di là di quanto resta tuttora misterioso registrano in questi dinamismi meravigliosi ed estremamente complessi, l’esecuzione di un disegno, trovano una razionalità che corrisponde in qualche modo alla nostra ragione, una razionalità immanente alla materia cerebrale, per la quale ci è appunto possibile comprendere e descrivere razionalmente, mediante leggi e formule matematiche, la struttura e il funzionamento del cervello nei suoi orientamenti finalistici.

 

          La materia cerebrale si genera, si forma, si muove e diremmo anche si corrompe, nella malattia e nella vecchiaia secondo un progetto intelligente, immanente alla stessa materia cerebrale: lo stesso morbo di Allzeimer, che, in quanto morbo, dovremmo dirlo un qualcosa di irrazionale, possiede tuttavia un suo decorso che è conosciuto dalla scienza medica, il che vuol dire che in certo modo si lascia descrivere dall’analisi della mente umana.

 

          Ma se, come ci dice l’esperienza, la materia si lascia plasmare, trasformare, formare o mutare dall’intervento di attività sia della natura che dell’uomo, assumendo forme che sorgono  dalla stessa materia, questo significa che il modello o pattern di comportamento della materia, il progetto razionale (causa esemplare-ideale), che noi constatiamo presente nella materia cerebrale non viene da sé dalla stessa materia, ma dalla forma, la quale a sua volta, come abbiamo detto e come constatiamo empiricamente  e razionalmente, corrisponde ad un orientamenti finalistico ed intenzionale. Insomma ciò che avviene nel cervello è in qualche modo la realizzazione di un’idea che guida il cervello nella sua attività ed al raggiungimento dei suoi fini.

 

          Dunque queste finalità razionalmente codificabili dal nostro sapere scientifico sono quegli obbiettivi intenzionali che mettono in moto la stessa attività del cervello e quindi la causalità efficiente degli stessi dinamismi e movimenti dello stesso cervello. 

 

          Certamente a questo punto sorge la domanda: ma se la materia cerebrale da sé, come materia, non mette in moto se stessa e se scopriamo in questa materia un disegno razionale ed intelligente (intelligent design), scopriamo una forma, un’idea, un fine, uno scopo, un’intenzione, da dove vengono tutti questi valori che presiedono alla vita ed alla salute dello stesso cervello e in fin dei conti, alla vita del soggetto umano? Vedremo più avanti la risposta. Qui ci limitiamo a queste premesse di carattere metodologico ed assiomatico.

 

3.Il metodo dell’analogia

 

          Un ultimo tema riguardante questo capitolo: il principio di analogia. Esso è fondamentale per collegare la scienza del cervello con la dottrina filosofica della mente. Già Platone, benchè ovviamente non sapesse nulla delle attività del cervello, scoprì una somiglianza tra il vedere fisico e il “vedere” della mente. La vista fisica ha per oggetto il sensibile (aisthetòn) mentre la vista spirituale o intellettuale ha per oggetto l’intellegibile, il pensabile (noetòn), il “noumeno” direbbe Kant. Il primo è materiale, il secondo è immateriale o, come diceva Platone, “ideale”.

 

          La scoperta delle attività cerebrali, come vedremo, non ha compromesso per nulla la scoperta platonica dell’analogia fra senso (àisthesis) ed intelletto (nòesis) o tra esperienza e ragione, anche se la divisione platonica tende ad una separazione o contrapposizione, alla quale rimediò la gnoseologia di Aristotele senza per questo togliere la distinzione.

 

          Infatti il vero scopritore dell’analogia non è Platone ma Aristotele, benchè Platone si avvicini all’analogia col principio della partecipazione (metessi). Il vedere fisico “partecipa” del vedere intellettuale. Ma il dualismo platonico ci fa capire che Platone non intese bene il senso dell’analogia, perché questa non contrappone ma armonizza e concilia, pur distinguendo.        

 

          Come si giustifica la distinzione fra il vedere fisico e il vedere mentale? Come e perché si paragona l’attività del senso a quella della mente? Esiste una “mente” distinta dal senso? Risponderemo più avanti a queste domande. Per adesso limitiamoci ad esporre brevemente il metodo dell’analogia come metodo euristico e per collegare i piani della realtà.

 

          Diciamo intanto che analogia significa “somiglianza”. Esprime unità nella diversità. Collega l’uno col molteplice. L’analogia può riguardare le cose come può riguardare il pensiero, il ragionare, il concettualizzare. Qui per principio di analogia intendo il ragionare analogico o per analogia. Esso reca grandi vantaggi all’ampliamento del sapere ed al vigore dell’intelligenza, benchè indubbiamente la nozione analogica manchi della chiarezza e della precisione della nozione univoca.

 

          Concetto eminentemente analogico per esempio è quello della vita. La vita è  autoconservazione, automovimento perfettivo e produttivo. Il concetto di “vita” ha quindi una certa unità di significato, ma al contempo esistono forme o livelli di vita molto diversi tra di loro: un conto è la vita vegetativa delle piante, un conto quella sensitiva degli animali, un conto è quella razionale dell’uomo, un conto è la vita del puro spirito, si tratti dello spirito finito, ossia dell’angelo o dello spirito infinito, lo Spirito divino.

 

          Il principio di analogia si rivela quindi indispensabile per comprendere il rapporto del cervello con la mente, perché qui entrano in gioco, come abbiamo visto, tre differenti livelli di vita: quella vegetativa (cervello e sistema nervoso), quella sensitiva (sensibilità ed affettività sensibile) e quella razionale (la mente).

 

III. Temi contenutistici.

1.Vita vegetativa, vita sensitiva, vita razionale

          La vita vegetativa assicura al vivente l’automovimento, l’autoconservazione mediante l’autoalimentazione, l’autosviluppo, l’autodifesa e la riproduzione della specie. L’azione vitale è di tipo riflesso, anche se nei livelli bassi resta fisico-transitiva. E’ tutta basata sull’autòs: il se stesso. La perfetta riflessione avviene nella mente, con la coscienza, con la perfetta azione cosiddetta “immanente”, ossia che si risolve nel soggetto.

 

          La vita vegetativa negli animali, a differenza delle piante, comporta la presenza del cervello e del sistema nervoso, inquantochè questo apparato è ordinato all’esercizio della conoscenza e dell’appetitività, che non esistono nelle piante.

 

          La vita sensitiva comporta la facoltà di conoscere, ossia assumere intenzionalmente o rappresentativamente, quindi in modo immateriale, la forma degli oggetti esterni: forme materiali, nel caso della conoscenza sensitiva o animale; forme intellegibili, astratte dall’individualità materiale, nel caso della conoscenza razionale o intellettuale propria dell’uomo, conoscenza che tuttavia parte dall’esperienza sensibile del singolo oggetto materiale, ottiene la sua immagine mediante il senso esterno ed interno, ed astrae da tale immagine la specie universale del singolo oggetto, formandone il concetto.

 

          Considerando, per esempio, alcuni singoli cani, mi formo il concetto universale ed astratto di “cane”, che non rappresenta quel dato cane, ma ogni possibile cane che risponda alla definizione di “cane”, per esempio “mammifero a quattro zampe capace di abbaiare”.  Il concetto viene espresso nel linguaggio parlato, scritto o gestuale.

 

          La capacità della mente di formare concetti denota in essa un certo potere infinito, in quanto, mentre il singolo cane è finito nella sua limitatezza materiale, il concetto abbraccia in sé virtualmente un’infinità di cani reali o possibili.

 

          Inoltre il concetto denota l’esistenza di un mondo soprafisico, sovrasensibile e immateriale: mentre il cane, questo cane ha una sagoma, un peso, un’estensione spaziale, un colore, un odore, si muove, nasce e muore - tutte proprietà, questa della materia -, il concetto del cane non ha una sagoma, non ha peso, non ha estensione spaziale, non ha colore, non muta, non nasce e non muore.

 

          Eppure il concetto esiste, è una certa entità e molto importante per la vita e la coesistenza umane. Ecco qui la testimonianza di una realtà immateriale dalla quale si deduce l’esistenza della mente come realtà immateriale distinta dal cervello, come entità fisica. Il concetto si esprime nel linguaggio.

 

2.Il linguaggio

          Il linguaggio umano (esiste anche un linguaggio animale) è un sistema di segni orali, gestuali o scritti di tipo convenzionale, in parte inventato dall’uomo ed in parte naturale, esprimente le nozioni universali e i giudizi che egli forma nella sua mente. Caratteristica del linguaggio umano rispetto a quello animale è il fatto che esprime concezioni del reale completamente astratte dall’individuo materiale, benchè anche l’uomo abbia bisogno, per pensare, di rifarsi ad un’immagine sensibile.

 

          L’immaginazione o conoscenza animale coglie bensì la specie al di là dell’individuo (il lupo conosce non solo questo agnello, ma l’agnello). Tuttavia l’animale non è capace di un’astrazione completa dall’individuo, che resta comunque implicato nella rappresentazione sensibile. Per questo l’animale non è capace di nominare un’essenza o una specie (eidos). Non è capace di assegnare un nome a una specie. Non sa cogliere l’uno a prescindere dai molti. Non sa cogliere ciò che a partire dai molti,  è versus unum, ossia l’uni-versale, ma coglie solo l’uno con i molti e non senza i molti.           

 

            Non riesce trascenderli, per cogliere l’essenza (usìa) universale. Non sa prescindere dalla molteplicità degli individui. Da qui la sua incapacità di concettualizzare e quindi di nominare. Da qui l’incapacità di formulare giudizi e ragionamenti e quindi di parlare e comunicare il pensiero proprio e comprendere quello altrui.

 

          Il linguaggio animale è certamente espressivo e comunicativo ad altro animale ed anche allo stesso uomo, l’animale capisce messaggi derivanti da altri animali o dall’uomo, ma solamente relativamente stati emotivi (affetto, ira, paura, attesa, piacere, dolore) o intenzioni o aspirazioni materiali (accoppiamento, autodifesa, desiderio del cibo o volontà di nutrirsi, competizione, ricerca di migliori condizioni di vita); non sa assolutamente comunicare concetti, né esprimere giudizi o formare ragionamenti. Non possiede quindi una vera e propria libera volontà, in quanto diretta verso un bene intellegibile e concettualizzabile.

 

          Il linguaggio manifesta dunque la capacità propria dell’uomo di cogliere contenuti conoscitivi immateriali. Questo agnello certamente è materiale; ma l’agnello, come essenza pensata o concepita, non è materiale, prescinde dallo spazio e dal tempo, non muta e vale sempre dovunque per ogni pensante. Il che dà peraltro la possibilità di comunicare tra gli uomini nel linguaggio, perché tutti pensano la stessa cosa, che vale per tutti, per cui uno stesso pensiero mediante il linguaggio passa da una mente all’altra senza allontanarsi dalla mente di chi parla. Così possiamo sapere che cosa ha cantato Omero o che cosa insegna la cultura cinese. Così il fedele può pregare S.Antonio o S.Francesco.

 

          E’ noto il rapporto del linguaggio col cervello. Il linguaggio ha una base cerebrale nella memoria delle parole, memoria che a sua volta è garantita dalla funzionalità dei centri cerebrali della memoria, la quale funzionalità, se compromessa, come sappiamo bene, impedisce al soggetto in modo più o meno grave l’uso del linguaggio.

 

          Naturalmente non esiste solo il linguaggio verbale, ma anche quello poetico o artistico. Pertanto si devono ammettere centri cerebrali che consentono l’esercizio anche di questo tipo di linguaggio e la scienza li ha effettivamente scoperti.

 

Fine Seconda Parte (2/3)

 

 

Il linguaggio manifesta la capacità propria dell’uomo di cogliere contenuti conoscitivi immateriali

 

Questo agnello certamente è materiale; ma l’agnello, come essenza pensata o concepita, non è materiale, prescinde dallo spazio e dal tempo, non muta e vale sempre dovunque per ogni pensante. 

 

Il che dà peraltro la possibilità di comunicare tra gli uomini nel linguaggio, perché tutti pensano la stessa cosa, che vale per tutti,

 

per cui uno stesso pensiero mediante il linguaggio passa da una mente all’altra senza allontanarsi dalla mente di chi parla.

 

 

Struttura del cervello

E’ noto il rapporto del linguaggio col cervello. 

Il linguaggio ha una base cerebrale nella memoria delle parole, memoria che a sua volta è garantita dalla funzionalità dei centri cerebrali della memoria, la quale funzionalità, se compromessa, come sappiamo bene, impedisce al soggetto in modo più o meno grave l’uso del linguaggio.

 

Naturalmente non esiste solo il linguaggio verbale, ma anche quello poetico o artistico. Pertanto si devono ammettere centri cerebrali che consentono l’esercizio anche di questo tipo di linguaggio e la scienza li ha effettivamente scoperti.


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