Rigidità e fedeltà - Due Papi a confronto - Prima Parte (1/2)

Rigidità e fedeltà

Due Papi a confronto

Prima Parte (1/2)

 

Dimentico del passato e proteso verso il futuro

Fil 3,13

Custodisci il deposito

Tm 6,20

Due modi di fare il Papa

Due Papi nel loro operato essenziale non possono che riflettere il volto del divino Maestro e Redentore, del quale sono vicari in terra, e però come creature umane ferite dal peccato originale e risanate dalla grazia non possono non presentare i segni dell’umana fragilità e grandezza, sempre diversi per ogni Papa.

Sia quindi Benedetto che Francesco, in quanto Sommi Pontefici Successori di Pietro e Vescovi di Roma, pastori universali della Chiesa, sono stati i sommi custodi del culto al vero ed unico Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, hanno mantenuto integro il deposito della fede basato sulla Tradizione e la Sacra Scrittura, respingendo gli errori, e quindi hanno insegnato la verità sulla Chiesa, la sacramentaria, l’etica evangelica, l’escatologia, l’angelologia e la mariologia.

Sul piano umano, in particolare delle loro idee e della loro condotta morale, hanno avuto i loro lati positivi e negativi, virtù e difetti, come tutti noi, hanno compiuto molti atti e molte scelte, circa i quali una valutazione non è sempre facile. Mi limiterò a esprimere le mie modeste opinioni.

Papa Benedetto ha lasciato questo mondo e Papa Francesco è giunto ormai al termine del suo pontificato. Possiamo quindi fare un bilancio dei due pontificati abbozzando un confronto, naturalmente con modestia, e mettendo in conto di poter sbagliare in alcuni giudizi[1].

Cominciamo subito col dire che il cliché giornalistico di Benedetto conservatore e Francesco progressista è sostanziante falso, ma non privo di una certa verità, come tutte le cose false, che non ingannerebbero, se non presentassero un certo aspetto di verità, che è lo specchietto per l’allodola, giacchè tutti cerchiamo naturalmente il vero e nessuno ama il falso per il falso. In realtà Benedetto è stato riformatore e meglio di Francesco, perché, con la sua calcolata prudenza e la sua moderazione e circospezione  ha ottenuto di più ed è stato più equilibrato, diversamente da Francesco, che ha suonato la gran cassa, è stato acclamato Papa della misericordia, della svolta epocale, del nuovo paradigma e della rivoluzione, ma la qualità dei risultati non raggiunge quella di Benedetto ed anzi si è verificato un aggravamento delle divisioni già esistenti nella Chiesa e abbassamento del livello morale medio del vivere cattolico, anche se sono da segnalare le importanti encicliche Lumen fidei del 2013, Laudato si’ del 2015 e la Fratelli tutti del 2020, le esortazioni apostoliche Amoris laetitia del 2016, la Gaudete et exsultate del 2018, ed alcuni atti indubbiamente importanti per non dire inauditi, come la convenzione di Abu-Dhabi, la condanna del pelagianesimo e dello gnosticismo e la catechesi sul diavolo, mentre ha avuto la felicissima idea di raccomandare San Tommaso Dottore Comune della Chiesa, riprendendo la tradizione di un’ottantina di Papi dei secoli scorsi, cosa che non avevano fatto neppure Benedetto e San Giovanni Paolo II.

Dispiace tuttavia che Papa Francesco non abbia mai trattato dell’importante tema della metafisica, come hanno fatto moltissimi Papi prima di Lui, fino ai suoi ultimi predecessori come San Paolo VI, San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Se l’umanità oggi corre il rischio di essere distrutta dall’immane conflagrazione atomica per lo scoppio della terza guerra mondiale, ciò è dovuto al fatto che essa è frustrata nella sua tensione verso la trascendenza, intimamente divisa in se stessa dalla conflittualità che nasce dalla mancanza di un ragionare comune e di una conoscenza universale, il che la porta all’autodistruzione e si è persa la via della concordia e della pace, che è assicurata dalla sapienza metafisica, massima e fondamentale espressione dell’universalità della ragione. E la fede cristiana come valore universale può edificarsi solo sull’universalità della ragione, principio dell’uguaglianza, della fratellanza e della libertà umane.

La metafisica dà il senso della realtà e dei gradi della realtà, fa capire il primato dell’essere sul pensiero, della verità sull’apparenza, della coscienza sulla scienza, del bene sul male, dell’amare sul sapere, dell’eterno sul temporale, dello spirito sulla materia, dell’uomo sulla natura, di Dio sull’uomo.

Per questo tanto più ci fa piacere sapere che Bergoglio, da giovane Padre ebbe modo in Germania, nel corso dei suoi studi, di vergare un breve ma denso scritto di metafisica, che La Civiltà Cattolica del 3/17 aprile dell’anno scorso ha avuto la felicissima idea di pubblicare: un breve manoscritto del 1987-88, dal titolo «Interpretare la realtà» (pp.3-12). Si tratta di una raccolta di pensieri sul valore della metafisica, sul suo metodo e sul rapporto dell’intelletto con la verità e con la realtà. Ho commentato questo articolo in questo blog col titolo Padre Bergoglio ci parla di metafisica.

Benedetto, un Papa conservatore?

Papa Benedetto conservatore? Sì, ma nel senso migliore della parola, senz’alcuna nota di biasimo, in quanto si sa come spetti innanzitutto al Papa conservare intatto il deposito della fede. Al riguardo, il magistero di Benedetto appare dottrinalmente molto più ricco di quello di Francesco, soprattutto se consideriamo, oltre alle tre encicliche da Papa, la Deus caritas est, la Spe salvi e la Caritas in veritate, anche i documenti pubblicati da Prefetto della CDF, tra i più famosi quelli sulla teologia della liberazione del 1984 e del 1986, quello sulla cura delle persone omosessuali del 1986, quello sul rispetto della vita umana nascente del 1987, l’istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo del 1990, su taluni aspetti della Chiesa intesa come comunione del 1992, la dichiarazione Dominus Iesus del 2000 circa l’unicità ed universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, la dichiarazione sull’impegno dei cattolici in politica del 2002 e sulla collaborazione fra uomo e donna nella Chiesa e nel mondo del 2004.

Papa Benedetto è stato un vero Papa riformatore, in tal senso un Papa progressista, se «progressista» vuol dire amante e fautore di progresso. Forse che progredire nel bene non è un preciso dovere? La carità che non progredisce non è carità, dice Sant’Agostino.

Il Concilio Vaticano II è stato un Concilio progressista, non dobbiamo temere di dirlo; ed è proprio questo il suo vanto e il suo valore, progressista naturalmente non nel senso in cui i modernisti intendono il progresso, ossia come rottura col passato, alla maniera hegeliana, anche se è vero che c’è un passato col quale si deve rompere, il passato del peccato, o un passato da dimenticare, il passato della miseria e della sofferenza.

Ma il progresso che spezza e infrange l’obbligo della fedeltà non è progresso, ma tradimento. Il progresso che cambia ciò che deve rimanere non è un progredire, ma è un deformare. La discontinuità laddove ci dev’essere continuità non è progresso, ma falsificazione. Per questo il grande programma di riforma che Benedetto si è proposto ed ha attuato è riassunto nella formula «progresso nella continuità»[2].

Benedetto ha mostrato più interesse per la filosofia e la teologia cristiane che non Francesco, ha ricordato più volte il valore della metafisica e dei valori universali e perenni della ragione sia nel campo speculativo che in quello morale, evidenziando il valore della cultura greco-romana e criticando diversi errori come il positivismo, il relativismo, l’idealismo, l’illuminismo, lo scientismo, la massoneria.

Per quanto riguarda il rapporto del cristianesimo con la cultura, Benedetto aveva chiaro il primato della cultura greco-romana sulle altre culture, benché sapesse benissimo che cosa è l’inculturazione. Egli conosceva bene l’universalità della ragione, pur nella molteplicità delle sue espressioni nelle varie culture.  Sapeva bene però che se esistono le culture è perché esiste la cultura, così come se esistono i singoli uomini è perché esiste la natura umana. A meno che non vogliamo cadere nello sciocco nominalismo che dice che l’universale è solo un nome.

L’ universalità dell’umano Francesco l’esprime nei concetti di fratellanza e di uguaglianza. Tuttavia in Francesco manca la percezione dei livelli della cultura, per cui a proposito del Sinodo sull’Amazzonia, il quale ha parlato della «sapienza ancestrale» del popolo amazzonico, occorrerebbe dire che nessuno dubita di tale sapienza, a patto però di non porre Pachamama al livello del Dio di Aristotele e di Platone.

Per questo, la Chiesa ha utilizzato la filosofia greca per la formulazione dei dogmi e, con tutto il rispetto per Pachamama, anche gli indigeni dell’Amazzonia potranno giungere alla comprensione della dottrina cattolica solo a patto che accettino le formule dogmatiche e gli articoli del Credo, che la Chiesa ha elaborato utilizzando e purificando la metafisica, l’antropologia e la cosmologia di Aristotele.

Il linguaggio di Papa Benedetto, per la sua precisione e chiarezza teologica, non ha mai creato problemi d’interpretazione, non si è mai prestato ad interpretazioni di tipo modernista, è sempre stato privo di ambiguità e doppi sensi, per cui non ha suscitato discussioni sul senso delle sue parole; semmai è quanto diceva che ha suscitato critiche e dissensi presso rahneriani e lefevriani, presso modernisti e passatisti.  

È vero che Francesco è sistematicamente frainteso da passatisti ostinati e impenitenti, che lo accusano falsamente, ma questo chiaramente è uno scandalo farisaico, del quale non si deve tenere nessun conto.  Tuttavia c’è stato anche scandalo dei semplici e qui credo che Francesco avrebbe dovuto dare una risposta e un chiarimento, cosa che non ha quasi mai fatta. Per esempio che cosa gli costava rassicurare i cinque Cardinali, i quali gli avevano esposto i famosi dubia circa l’Amoris laetitia?

Tuttavia dovremmo chiederci come mai nessuno ha mai pensato di accusare Papa Benedetto di eresia. Il motivo è semplice, perchè Benedetto ha sempre avuto un linguaggio così chiaro, appropriato ed inequivocabile, che non ha mai offerto alcun appiglio ad accuse del genere. Benedetto, come è noto, non è stato attaccato dai tradizionalisti, ma dai modernisti, i quali con le loro sciocche accuse non hanno fatto altro che patentarsi meglio nella loro malizia.

Benedetto aveva inoltre un cuore molto sensibile per l’unità e santità della Chiesa, capace di raccogliere aspetti positivi ovunque si trovassero, fossero lefevriani o rahneriani e perciò stesso atto a creare tra le opposte fazioni il contatto e l’avvicinamento, sì da favorire la reciproca integrazione e il dialogo, la conciliazione e la concordia, pur nella diversità delle posizioni e delle qualità proprie di ciascuna.

Da una parte percepiva i valori della fermezza, continuità, stabilità, sicurezza, saldezza, certezza, identità, coerenza, immutabilità, fedeltà, perseveranza, conservazione, obbedienza. Aveva ben presente che Cristo ci ha consegnato il suo Vangelo nel passato. Esso contiene una Parola immutabile, che non passa: «cielo e terra passeranno; le mie parole non passeranno». Da qui la percezione del valore della Tradizione, come conservazione e trasmissione orale della Parola di Dio per il tramite della successione apostolica alla guida della Chiesa.

Ma dall’altra aveva chiaro in cosa consiste il progresso teologico e morale del singolo cristiano e della Chiesa nella storia.  Sapeva bene che progredire vuol dire avanzare, far crescere, sviluppare, migliorare, rinnovare, aumentare, approfondire, esplicitare quello stesso che dobbiamo conservare fedelmente, cosi com’è, senza mutarlo, senza togliere nulla e senza aggiungere nulla.

Aveva ben chiaro, come è stato rilevato da Vittorio Possenti e Massimo Cacciari, l’invisceramento reciproco avvenuto sin dagli inizi del cristianesimo, del logos greco col Logos giovanneo, tale non solo da promuovere il progresso della tecnica e di tutte le scienze della natura, ma soprattutto da generare la singolarissima originalità della filosofia e della teologia cristiane, che hanno edificato la cultura, la Chiesa e la civiltà europea,  modello poi di cultura, di Chiesa e di  civiltà per tutto il resto del mondo.

I due Papi

La Chiesa ha dovuto affrontare l’inaudita prova dello sdoppiamento del Papato, che è parso essere ad alcuni un tradimento dell’istituzione di Cristo dell’unica guida della Chiesa. Invece si è chiarita la differente posizione di Benedetto e Francesco: entrambi fruenti del munus petrino, ma solo Francesco ha aggiunto al munus il ministerium, come a dire l’esser Papa (munus) è appartenuto ad entrambi; il fare il Papa (ministerium), ossia il governare effettivamente la Chiesa, è stata proprietà esclusiva di Francesco. Benedetto si è autonominato Papa «emerito», sul modello dei vescovi emeriti. Il che significa che, stanti queste spiegazioni, abbiamo avuto secondo la volontà di Cristo un solo Papa al governo della Chiesa.

Sul perché delle dimissioni di Benedetto infinite sono state le discussioni. Cosa saggia e doverosa è attenersi alle spiegazioni date ufficialmente da Benedetto. Tuttavia non è proibito esprimere ipotesi e più che ipotesi sui motivi profondi, che non smentiscono affatto quelli ufficiali, ma che appaiono ad uno sguardo attento alla situazione della Chiesa di oggi e cioè il fatto che Papa Benedetto ha incontrato un’opposizione fra i suoi stessi collaboratori, opposizione che ne ha talmente indebolito il potere, che Benedetto non si è sentito più in grado di continuare a governare la Chiesa.

Misericordia e severità

Papa Francesco è partito presentandosi come il Papa della misericordia, che rinuncia ad ogni condanna e ad ogni severità, il nemico della rigidità e dell’esclusivismo, il Papa dell’accoglienza, e dell’accompagnamento, il Papa dell’amore e della libertà e non della legge, dell’apertura al diverso, il costruttore di ponti e non di muri, il Papa della Chiesa in uscita e non della Chiesa autoreferenziale, della Chiesa poliedrica e non monolitica.

Senonchè però un pastore della Chiesa non può non incontrare forze ostili, che non possono essere oggetto di misericordia, per cui, se, come nel caso di Francesco, il pastore non ha regolato o normato la severità, pensando di non doverne fare mai uso, succede che quando non può fare a meno di usarla, non avendo fissato la regola del suo uso, essa diventa eccessiva, Purtroppo è ciò che è capitato a Francesco in certe infelici circostanze, nelle quali è intervenuto contro certe persone o certi istituti, come per esempio i Francescani dell’Immacolata o i Cavalieri di Malta o i Legionari di Cristo.

Se predichiamo solo la misericordia e non anche la giustizia, come invece ha fatto Papa Benedetto, otterremo risultati contrari a quelli che ci attendiamo, dimenticando qual è l’astuzia dei perversi, i quali, convintisi che non esistono persone malvage, ma solo persone fragili, in buona fede, che meritano compassione e comprensione, e che quindi tutti in fondo sono buoni, si salvano e sono perdonati, diranno soddisfatti: dunque continuiamo tranquillamente a fare i nostri affari, perché Dio è buono e ci salverà. Se la misericordia non è accompagnata dalla giustizia, diventa una falsa misericordia, un’ipocrisia, una vigliaccata, una beffa per gli infelici e un prendersi gioco di Dio.

Viceversa, Ratzinger si era abituato ad un’equilibrata alternanza di misericordia e severità, di clemenza e di rigore sin da quando era stato Prefetto della CDF, cosicchè, giunto al pontificato, senza tanti discorsi sulla misericordia, ha dimostrato di saper dosare meglio il momento della tolleranza e della comprensione con quello della giustizia e della giusta condanna.

Ma c’è un’altra grave questione che ha impegnato i due Pontefici conducendoli ad atteggiamenti simili. Oggi non sopportiamo di sentirci dei castigati da Dio. Lutero diceva di essere alla ricerca di un Dio misericordioso, intendendo con ciò un Dio che lo lasciasse fare e non lo rimproverasse. Oggi il peccato non sta nel disobbedire, ma nell’obbedire. Non si ammette che qualcuno, sia Dio o sia un uomo, ci comandi quello che dobbiamo fare e ci proibisca di fare certe cose sotto minaccia di punizione. La libertà è fare la nostra volontà, non quella di un altro, sia Dio o sia un altro uomo.

I castighi che Dio manda per mezzo delle calamità naturali non sortiscono alcun effetto di penitenza e conversione, perché non si vede in esse altro che fatti naturali, che non potrebbero dipendere dal Dio della tenerezza, col risultato che la natura appare come una specie di divinità contraria in modo quasi manicheo, una forza maligna e cieca, che agisce indipendentemente da un Dio tutto sommato incapace di tenerci al riparo dai suoi insulti, per cui sorge la domanda: dove sarebbe questo Dio misericordioso? Ma, come si è detto, questo Dio misericordioso non è altro che un Dio che chiude alle nostre malefatte non solo un occhio, ma tutti e due.

Benedetto non si è addentrato in questa tematica, che pertanto è rimasta scoperta, né si può dire che vi sia entrato Francesco, che ha maggiormente sviluppato la tematica ecologica, limitandosi però a evidenziare i nostri doveri verso la natura, senza affrontare il tema del perché la natura ci è così ostile, un problema al quale solo la fede cristiana sa dare una risposta soddisfacente e consolante, insegnandoci a volgere a vantaggio della nostra salvezza quelle sventure che altrimenti sarebbero per noi una pura perdita.

Papa Francesco in occasione dell’epidemia del covid ha molto insistito e giustamente sul dovere del soccorso e della solidarietà con i sofferenti e addirittura sulla necessità di vaccinarsi, cosa che indubbiamente ha manifestato la sua sensibilità umana; ma in fin dei conti, per avere questo buon cuore e questo senso dell’importanza della salute pubblica non è necessario aver studiato reologia morale. Invece Papa Francesco non si è fatto sentire circa il significato cristiano che si sarebbe potuto dare al dramma del covid, nel senso di saper vedere in esso un richiamo del Signore alla penitenza e alla conversione.

Nell’attuale clima buonistico che si è diffuso sotto il pontificato di Francesco indubbiamente si è accresciuta l’attenzione per i poveri e gli emarginati, ma nel contempo si è diffusa un’immagine di Dio che salva tutti, un Dio non come un Tu, che è Legislatore e un Giudice, al quale dobbiamo rispondere di quello che abbiamo fatto, ma un Tu, un Padre tenerissimo, che ci accoglie qualunque cosa abbiamo fatto. Semplicemente prenderà atto con piacere di quello che abbiamo fatto e ci accoglierà tutti, nessuno escluso, perché tutti sono buoni, nella braccia della sua tenerezza e misericordia.

Furbo e ingenuo

Sono stato amico un santo Gesuita morto due anni fa, redattore de La Civiltà Cattolica per una ventina d’anni. Egli conosceva personalmente Papa Francesco, col quale aveva avuto molti incontri, Mi raccontò che un giorno il Papa gli fece una sorprendente confessione, gli delineò in due dense espressioni il suo autoritratto dicendo: «io sono un po’ ingenuo e un po’ furbo». Un’ottima chiave di lettura del comportamento di Francesco che egli stesso ci ha offerto con grande umiltà e schiettezza. Ed è proprio ciò che sin dall’inizio del suo pontificato abbiamo notato noi che gli vogliamo bene.

La furbizia e l’ingenuità di Francesco si rivelano nella scelta degli amici e dei collaboratori occasionali e non tanto nei suoi rappresentanti ufficiali e nel suo magistero ufficiale, dove però non ci mancano le perplessità, ma soprattutto nelle uscite di quegli amici e collaboratori e nelle sue esternazioni improvvisate e discorsi a braccio, dove appare ora un certo opportunismo e una certa  l’ambiguità di linguaggio, ora la sua tendenza forse inconscia a farsi strumentalizzare da chi vuol farlo apparire un modernista.

Rigorismo e lassismo

È frequente in Papa Francesco la polemica contro la rigidità. Che cosa intende dire? Credo che si riferisca ad un atteggiamento di irrigidimento nella propria posizione o al giudicare o pretendere o comandare con durezza, senza dar spazio ad altre possibilità. È una forma di assolutizzazione del proprio parare e quindi di superbia. La rigidità ha la parvenza dell’austerità, della serietà, della severità, dell’intransigenza sui princìpi, di rigore logico o morale, ma in realtà è mancanza di comprensione, è intolleranza, è illiberalità, è mancanza di elasticità mentale  e di adattamento. La persona rigida non va incontro agli altri, ma vuole che siano gli altri ad accettare la sua posizione. Sembra dare una testimonianza a favore di un ideale morale, ma in realtà è attaccata a se stessa, alle proprie idee.

Non bisogna credere che sia rigidità la fermezza e saldezza delle proprie convinzioni di fede razionalmente fondata e il conseguente rifiuto assoluto di metterle in dubbio, di indebolirle, mutarle o abbandonarle, di giocare sull’equivoco, di ambiguità nel manifestarle, di discendere a patti con l’eresia, di assumere atteggiamenti opportunistici, col conseguente opporsi all’errore, all’eresia, all’apostasia, all’incredulità, all’empietà, all’infedeltà, al tradimento, all’ipocrisia, alla simulazione, all’opportunismo, all’incostanza, al trasformismo, al rispetto umano, con attitudine al coraggio, alla pazienza, alla speranza, alla parresìa, alla chiarezza,  alla resistenza, fino al martirio.

Papa Francesco ha più volte parlato dello sforzo ascetico con accenti che hanno fatto pensare a Lutero, nella sua tesi dell’inutilità delle opere, oltre al fatto che quando egli parla della grazia, non parla mai del merito, e anche qui fa pensare a Lutero, notoriamente nemico dei meriti. Naturalmente non potremo qui accusare il Papa  di eresia; si tratta solo di un modo di esprimersi inadeguato, il che non vuol dire che il difetto non sia grave: se Francesco fosse più chiaro, tutto andrebbe a vantaggio delle nostre anime.

Con la sua condanna della rigidità Papa Francesco non si riferisce tanto alla rigidità nelle proprie opinioni, quanto piuttosto al rigorismo morale, in particolare nel campo dell’etica sessuale. Qui oggi viviamo il grande problema dell’omosessualità e quello simile della pedofilia, che si aggiungono a quello delle convivenze e dei divorziati risposati, oltre a quelli più tradizionali del divorzio, dell’adulterio e dei rapporti sessuali prematrimoniali. Tutti disordini sessuali, che sono connessi con pratiche illegittime come la fecondazione artificiale, e sono alla radice della dissoluzione della famiglia, di delitti passionali e dell’immane tragedia dell’aborto.

I valori non negoziabili

Francesco nei suoi primi anni di pontificato suscitò scandalo per aver respinto un’espressione molto cara a Benedetto – i valori «non negoziabili»[3] - per significare l’obbligatorietà assoluta dei valori morali e dei divini comandamenti. La legge morale non ammette eccezioni, a differenza della legge positiva, che la si può osservare anche facendo delle eccezioni. Ma chi pretende la stessa cosa per il dovere morale, cade nel relativismo morale, semplicemente disobbedisce e pecca. Semmai, notava Benedetto, nel caso della legge naturale la sua osservanza può essere sospesa per dar spazio a un dover morale superiore. E al riguardo dichiarò lecito l’uso del preservativo per evitare il contagio dell’AIDS.

Ma ecco che nell’enciclica Fratelli tutti del 2020 il Pontefice recupera con totale chiarezza l’espressione di Benedetto:

 

«Accettare che ci sono alcuni valori permanenti, benché non sia sempre facile riconoscerli, conferisce solidità e stabilità a un’etica sociale. Anche quando li abbiamo riconosciuti e assunti grazie al dialogo e al consenso, vediamo che tali valori di base vanno al di là di ogni consenso, li riconosciamo come valori che trascendono i nostri contesti e mai negoziabili» (n.211). Poco dopo Papa Francesco parla di una «salda e stabile validità universale dei princìpi etici basilari e non negoziabili» (n.214). E poco prima mostra chiaramente a cosa si riferisce: «che ogni essere umano possiede una dignità inalienabile è una verità corrispondente alla natura umana al di là di qualsiasi cambiamento culturale» (n.213).

 

Renovabis faciem terrae

Una qualità della predicazione di Papa Francesco, in ciò superiore a Benedetto, è stata l’insistente esortazione a tenersi aperti al nuovo proveniente dallo Spirito Santo. È la prospettiva paolina dell’«uomo nuovo», nato dal battesimo, il quale sostituisce gradualmente nel corso della vita presente l’«uomo vecchio», infetto dal peccato originale.

Il nuovo non è necessariamente un valore. Esistono nuove disgrazie, nuove sventure, nuove sofferenze, nuovi delitti e così via. Tuttavia è bene considerare pregiudizialmente il nuovo come qualcosa positivo, di buono: l’apparire di un vero o di un bene che prima non c’era o non c’è mai stato. In tal senso il nuovo è l’effetto di un agente che fa crescere il bene, è connesso al progresso, al miglioramento, In tal senso, ben venga il nuovo. Sarebbe stolto opporsi al nuovo di questo tipo. In tal senso sia Benedetto che Francesco si sono opposti a quei cattolici che hanno rifiutato o falsificato le novità del Concilio.

Non necessariamente il nuovo sostituisce il vecchio. C’è un vecchio da buttare perché è finito, e non serve più, e c’è un vecchio che può essere ancora utilizzato con un opportuno rinnovamento. Benedetto e Francesco ci hanno insegnato che cosa il Concilio ha abolito o abbandonato perché superato o inservibile e divenuto addirittura dannoso, o comunque inadatto alle sane esigenze di oggi, e che cosa invece va mantenuto e conservato e che cosa il Concilio ha mutato e rinnovato lasciandolo integro nella sua sostanza.

Dalla presenza in noi del paolino uomo nuovo, animato dallo Spirito Santo, ci viene, come insiste spesso Papa Francesco, il pressante invito ad andare avanti, a non tornare indietro, una tendenza retrograda che il Papa chiama «indietrismo» ed io chiamo passatismo. Lo si può chiamare anche conservatorismo. Io eviterei invece il termine «tradizionalismo», giacchè si può dare anche un sano tradizionalismo. 

Francesco ci ha ricordato che è sbagliato anche restare fermi su posizioni superate. Non è questa vera fermezza, ma biasimevole attaccamento a un passato superato. Benedetto invece è stato abile nel ricordarci valori apprezzati in un passato e oggi dimenticati. Un conto è quindi raccogliere nel passato cose che non servono più, e un conto è andare a recuperare valori che servono ancora.

Nella nostra vita c’è un passato col quale bisogna rompere, e questo è il messaggio di Francesco; è il passato del peccato; e c’è un passato da riscoprire o da conservare o da rivalorizzare, un passato col quale occorre ritessere le fila ed essere in continuità, un passato da ricordare, da reinterpretare e da sviluppare, un passato semmai da purificare, e questo è il messaggio di Benedetto.

Il passato da abbandonare sono i nostri peccati e le nostre cattive abitudini. Il passato da conservare è invece il deposito della fede, che ci è stato trasmesso da trasmettere a nostra volta ai nostri posteri. Ecco la tradizione. Nella vita cristiana c’è qualcosa che deve passare per non più tornare; e queste sono le nostre miserie, questo è il peccato.

E c’è qualcosa che si corrompe, finisce, muore e passa, ma che deve tornare, deve rivivere, deve risuscitare e sono i beni di questa terra, i nostri cari defunti, compreso il nostro corpo. Benedetto ha saputo congiungere l’immutabile col divenire, l’Assoluto col relativo, la Parola di Dio che non passa col suo incarnarsi nel tempo che passa, ha saputo congiungere il tempo con l’Eterno. Il che del resto non è altro che il mistero dell’Incarnazione. Meno si sente, invece, in Francesco, la voce dell’immutabile, del perenne, dell’eterno.

Fine Prima Parte (1/2)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 13 gennaio 2023 

La Chiesa ha dovuto affrontare l’inaudita prova dello sdoppiamento del Papato, che è parso essere ad alcuni un tradimento dell’istituzione di Cristo dell’unica guida della Chiesa.

Si è chiarita la differente posizione di Benedetto e Francesco: entrambi fruenti del munus petrino, ma solo Francesco ha aggiunto al munus il ministerium, come a dire l’esser Papa (munus) è appartenuto ad entrambi; il fare il Papa (ministerium), ossia il governare effettivamente la Chiesa, è stata proprietà esclusiva di Francesco.

Benedetto si è autonominato Papa «emerito», sul modello dei vescovi emeriti. Il che significa che, stanti queste spiegazioni, abbiamo avuto secondo la volontà di Cristo un solo Papa al governo della Chiesa.

Immagini da Internet: https://www.vatican.va/content/francesco/it/events/event.dir.html/content/vaticanevents/it/2023/1/5/esequie-bxvi.html


[1] Pere una valutazione della situazione della Chiesa durante il pontificato di Benedetto XVI, vedi gli atti di due convegni dedicati all’argomento: Verità della fede. Che cosa credere e a chi, a cura di Gianni Battisti, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2013 e Una grandiosa forza per rinnovare la Chiesa a cura di Daniele Premoli, Youcanprint, Tricase (LE) 2013.

[2] È il titolo che ho voluto dare al mio libro in omaggio all’opera riformatrice di Benedetto XVI: Progresso nella continuità. La questione del Concilio Vaticano II e del post-concilio, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2011.

[3] Vedi il fatto narrato da Josè Antonio Ureta nel suo libro Il «cambio di paradigma» di Papa Francesco, Edizioni della Digital Team di Fano, (PU), 2018, p.21.

8 commenti:

  1. Caro padre Cavalcoli,
    sono felice ed entusiasta che l'anno 2023 sia iniziato con uno slancio tale che si riflette in questi suoi primi articoli, pieni di vigore teologico e di amore per la Chiesa e per il Papa.
    Il suo articolo è meraviglioso, mette in risalto il suo equilibrio e la sua acuta intuizione nel distinguere gli aspetti positivi e negativi di entrambi i pontificati a confronto.
    Condivido pienamente quanto espresso in questa sua prima parte, e attendo con ansia la seconda.

    Sono d'accordo anche con lei nel passaggio in cui dici: "Per esempio che cosa gli costava rassicurare i cinque Cardinali, i quali gli avevano esposto i famosi dubia circa l’Amoris laetitia?".
    Tuttavia, suppongo che tale affermazione non escluda in lei la convinzione che non fosse corretto l'atteggiamento dei quattro cardinali (mi sembra che non fossero cinque) nel mettere in discussione l'indefettibilità della fede di Pietro. Credo che i dubia non siano state domande umili da parte di un figlio a suo padre, ma un modo ipocrita di trattare il Santo Padre da eretico, o almeno di dubitare della sua fede, cosa inconcepibile in un cattolico.

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    1. Caro Ross,
      sono contento di trovarla d’accordo con me, soprattutto perché ricordo i suoi precedenti interventi sempre sostanziosi e stimolanti.
      Naturalmente gran parte di quello che dico sono mie semplici opinioni. Tuttavia mi sono impegnato al massimo nel desiderio di rendere un servizio ai Lettori per una loro migliore comunione con questi due successori di Pietro, che la Provvidenza nei suoi misteriosi piani ha voluto unire in una fraterna collaborazione per il bene della Chiesa.

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    2. Caro Padre Cavalcoli,
      penso di capire il tono alto della sua risposta al mio commento. Penso di aver capito. A volte il velo del pio silenzio è ciò che la prudenza richiede per perseguire la pace e l'unità della Chiesa.

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    3. Caro Ross,
      i Dubia mancavano di quella semplicità che deve caratterizzare la domanda di chi desidera essere istruito o con un sì o con un no.
      Invece avevano l’aspetto di voler fare quasi una verifica dell’ortodossia di Papa Francesco. A questo punto è comprensibile che il Papa si sia offeso.
      Secondo me, avrebbe potuto convocare i Cardinali e rimproverarli paternamente.

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  2. Caro Padre Cavalcoli,
    capisco che in questo articolo, cercando di valutare due pontificati, siamo piuttosto nel campo del discutibile. Pertanto, vi incoraggio, sempre con il rispetto che meritate, a sollevare un'opinione che vada contro uno dei passaggi di questo articolo.
    Sono d'accordo con lei sul fatto che Papa Benedetto sia stato per lo più attaccato dai neo-modernisti (che hanno persino cospirato per farlo dimettere). Questo è molto chiaro.
    Tuttavia, non posso essere d'accordo con te quando dici che:
    "Benedetto, come è noto, non è stato attaccato dai tradizionalisti, ma dai modernisti..."
    Nel mio caso personale, sono decenni che seguo la "bolla tradizionalista" (saremmo meglio dire: passatista). E posso assicurarvi che i passatisti sono stati feroci con Benedetto XVI, come lo erano stati con Paolo VI e Giovanni Paolo II. Mi riferisco ai lefebvriani e ai filo-lefebvriani.
    Anche alcuni tradizionalisti più cauti nei modi, salvaguardando le apparenze, come De Mattei, non hanno cessato di criticare ostinatamente il pontificato di Benedetto. De Mattei, ad esempio, ha criticato aspramente la decisione di Benedetto XVI di riconvocare l'incontro interreligioso di preghiera ad Assisi, così come ha criticato l'insistenza di Benedetto nel sottolineare gli aspetti dogmatici vincolanti del Concilio Vaticano II, o, infine, prosegue De Mattei, anche dopo la morte di Benedetto, rifiutando il magistero di Benedetto sul "emeritato pontificio" come lo ha espresso nella sua dichiarazione di dimissioni (vero atto magisteriale).
    Qui mi risparmio dal citare le critiche a Benedetto XVI da parte dei lefebvriani, che non conservano le forme più rispettose in cui sono state espresse da passatisti come De Mattei.
    In conclusione: secondo me Benedetto è stato criticato anche dai tradizionalisti.
    Salvo le distanze, è successa la stessa cosa a lei, visto che i suoi articoli sono criticati sia dai modernisti che dai passatisti.

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    1. Caro Silvano,
      la ringrazio per i ragguagli concernenti le critiche a Papa Benedetto fatte dai lefevriani e dai passatisti.
      Le sue puntualizzazioni mi obbligano a riconoscere l’esistenza di questa ostilità nei confronti di Papa Benedetto.
      L’essere attaccati dai due partiti estremi è segno che la nostra posizione è imparziale e costituisce un punto di equilibrio. Tuttavia il nostro desiderio e il nostro intento, proprio perché dobbiamo avere questa posizione super partes, è quello di fare tutto il possibile per avvicinare i due avversari, mettendo in luce gli aspetti positivi di entrambi, aspetti che di per sé sono fatti per completarsi a vicenda. È questo il voto più importante che vorrei esprimere per il prossimo Papato.
      E questo infatti il bisogno più urgente che ha oggi la Chiesa, chiamata più che mai ad essere un segno di pace per un mondo in pericolo di distruzione. Tuttavia solo una Chiesa che abbia superato questa conflittualità interna può svolgere in maniera credibile questa sua missione di portare al mondo la pace di Cristo.

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  3. Caro Padre Cavalcoli,
    Papa Benedetto ha lasciato questo mondo. Ma perché dici che Papa Francesco è giunto ormai al termine del suo pontificato?

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    1. Caro Alessandro,
      intendevo riferirmi al fatto della sua età avanzata e a quello che umanamente si può prevedere, augurandogli comunque ancora molti anni di vita e di governo della Chiesa.

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