Le radici ideologiche del genderismo - Seconda Parte (2/4)

 Le radici ideologiche del genderismo

Seconda Parte (2/4)

Quale pastorale per gli omosessuali?

Oggi i modernisti si vantano d’aver trovato il metodo giusto della pastorale per gli omosessuali. Ad essi non va neppure bene il termine «pastorale», perché, a loro dire, sa di paternalismo e pedanteria. Essi preferiscono i termini di accoglienza, ascolto, inclusività e accompagnamento, che sanno di parità e fratellanza e non insinuano l’idea, per loro inaccettabile, che dobbiamo dare agli omosessuali un indirizzo eterosessuale, diverso da quello che essi già perseguono.

Dobbiamo, invece, dice Padre Martin, rispettarli ed accoglierli nella loro diversità. La diversità, egli dice, è un bene, non è un male. Certo, questo è vero. Ma il problema è chiarire se l’omosessuale è solo un diverso o un soggetto con un orientamento anormale. Infatti, se risultasse essere anormale, noi, per il loro bene, dovremmo stimolarli ed aiutarli, per quanto loro è possibile, e tollerandoli nella loro fragilità, ad entrare nella norma. Ma il guaio è che idee come quelle di Martin suppongono la concezione rahneriana della natura umana, per la quale essa non è fissa, definita, universale ed immutabile, precedente e presupposta alla nostra libera scelta, ma è plasmabile e manipolabile anche tecnologicamente dalla nostra volontà a seconda di come intendiamo ciò che per noi è bene[1].

D’altra parte, bisogna certamente riconoscere che l’omofobìa esiste ed è condannabile. Ma che cosa si deve intendere con questo termine? Essa non consiste, come credono i genderisti, nel semplice avvertire che Dio ha voluto l’uomo maschio e femmina, perché questo è un avvertimento salutare.

Ma consiste in un atteggiamento, emotivo e tutto sommato irrazionale, vecchio di millenni e tuttora duro a morire, di rifiuto violento e rancoroso dell’omosessuale, con l’idea che il suo peccato sia il massimo di tutti i peccati, incorreggibile ed imperdonabile, sicchè egli va escluso dal consorzio civile; con lui non si devono avere rapporti e può essere soggetto anche alla pena di morte.

Alcuni, tuttavia, oggi, ben lontani dallo sposare simili orribili pregiudizi, ma consapevoli delle vere leggi dell’etica sessuale, abituati comunque ad una certa disistima nei confronti degli omosessuali, si chiedono con qualche timore e perplessità: che senso ha o se porta qualche frutto il fatto che la comunità ecclesiale, come oggi sta entrando nell’uso, frequenti abitualmente, accolga, benedica, approvi coppie omosessuali che desiderano una benedizione della loro unione, vogliono educare minori adottati  e sono disponibili a incarichi o servizi parrocchiali o diocesani?

Bisogna considerare che esistono coppie omosessuali, le quali non fondano la loro condotta su di un cosciente e volontario rifiuto della legge divina e sull’idea che essi sono liberi di decidere del loro sesso come a loro pare e piace, oppure ci sono quelli che, professandosi credenti, non sono dell’idea che la loro scelta sessuale sia permessa da Dio semplicemente come orientamento sessuale diverso da quello eterosessuale.

Altri lo sanno che Dio disapprova la loro unione, ma essa li attrae tanto, che non riescono a farne a meno e sono convinti che Dio, nella sua misericordia, li accetta come sono. Questi ultimi possono essere credenti convinti, pronti ad obbedire a Dio in tutto, salvo a sentirsi incapaci di obbedirgli sul punto della sodomia, per cui praticano il sacramento della penitenza, non si vantano del loro stato e pensano che Dio abbia pietà di loro e li perdoni. Disapprovano l’orgoglio gay e non vogliono avere niente a che fare con quel tipo di omosessuali empi e perversi.

Ebbene, costoro, come si può ben comprendere, sono i più disponibili ad avere contatti con la comunità cristiana, possono coltivare una vera e propria spiritualità, sono capaci di progresso morale e, anche se non riescono a progredire nel liberarsi dal loro vizio, tuttavia sono perseveranti nella pratica della penitenza, cosa che li rende già graditi a Dio e capaci di perseverare nella grazia.

La comunità ecclesiale accoglie le coppie gay disponibili al dialogo, per aver riconosciuto nel loro amore e nel loro legame, per quanto essi fanno e decidono in armonia con la volontà di Dio e la vita cristiana, anche se è chiaro che non può benedire ed approvare la loro unione in se stessa e come tale. Ci potremmo domandare: queste coppie sono in comunione con la Chiesa? Oggi la Chiesa più di un tempo distingue diversi gradi di appartenenza.

È il discorso che fa per i fratelli separati: un luterano, un ortodosso, un anglicano sono in comunione con la Chiesa; ma non lo sono in forma piena. Restano lacune, ostacoli e difetti, che occorre togliere affinchè vi possa essere la piena comunione. Gli scomunicati, gli scismatici e gli eretici, quindi, salvo casi di totale apostasia o feroce ostilità, mantengono qualche legame con la Chiesa e non sono del tutto esclusi.

D’altra parte, chi di noi, anche se cattolico convinto e fervente, può ritenersi in una tale comunione con la Chiesa, così da non presentare qualche difetto, magari inconscio? Cosa sappiamo di chi è nel suo intimo vicino a Dio? Noi vediamo l’esterno, l’aspetto visibile, giuridico, sociale; ma che ne sappiamo di tutti quei motivi validi nascosti ai nostri occhi, che scusano da un’appartenenza visibile; e viceversa,  può capitare che un teologo, un vescovo o un Papa, giuridicamente incensurati ed esteriormente in comunione con la Chiesa, si sottragga alla comunione ecclesiale in varie misure a causa della superbia, dell’orgoglio, dell’ipocrisia, del rancore, dell’invidia, della simonia, delle rivalità, dell’adulazione, delle ambizioni, del voler primeggiare, della crudeltà, della sete di dominio, dell’opportunismo.

Ad ogni modo molto seria è la questione se si può parlare e in che cosa può consistere un’etica della relazione gay. Come può una relazione di per sé peccaminosa, come la sodomia, basarsi su principi etici o essere regolata da princìpi etici? Non c’è problema a parlare del dovere della fedeltà coniugale fra due sposi, perché qui abbiamo un legame onesto ed è logico che esista il dovere e il modo di proteggerlo e di consolidarlo. Ma ha senso parlare di fedeltà coniugale fra due omosessuali, quando la sodomia per sua natura è estranea ed anzi contraria all’ordine morale? Può un peccato essere soggetto ad una regolamentazione o disciplina etica?

Sta di fatto che il genderista è in fin dei conti uno schiavo della concupiscenza. La sodomia non è altro che una delle tante specie di lussuria, per la quale la regola dell’atto non è la retta ragione, ma la ricerca del piacere, per cui l’uomo invece di sottomettere la carne allo spirito, assoggetta lo spirito alla carne. Egli tenta disonestamente di coprire l’attrattiva omosessuale con termini innocenti ed elevati come quello di «amore» o di «amicizia» e di definire l’unione omosessuale col termine di «matrimonio», mentre la convivenza con minori adottati costituirebbe una «famiglia».

Gli omosessuali conviventi vorrebbero considerarsi «sposi», anche se non giungono – salvo la manipolazione del termine - a denominarsi genitori, ma semplicemente educatori o tutori dei soggetti minori adottati od ottenuti per fecondazione artificiale. E del resto, come denominare «figli» i minori adottati, anche se non si può escludere che essi possano svolgere un’opera educativa?

È chiaro che in questo tipo di unione ci si può chiedere se si può dare una vera e propria fedeltà coniugale. Non si può escludere affatto che fra i due possa esistere un’autentica reciprocità umana e spirituale, che giustifica in questo senso la parola amore. Non si sa però su cosa potrebbe basarsi una fedeltà in una coppia di convinti genderisti sciolti da qualunque legge divina e alle dipendenze del solo loro arbitrio personale. Possiamo invece immaginare la possibilità di una vera fedeltà in una coppia cattolica o comunque credente in Dio.

Il genderismo accetta il principio dell’accoppiamento su base sessuale, ma, come è noto, senza escludere l’accoppiamento maschio-femmina, sostiene la liceità anche dell’accoppiamento omosessuale. Ognuno di noi, quindi, secondo il genderismo, a seconda di come si sente inclinato e di dove trova piacere sessuale, è libero di scegliere fra i due tipi di accoppiamento.

Per il genderismo l’omosessualità è naturale e normale alla pari dell’eterosessualità, perché la natura umana non è un dato oggettivo presupposto alla libera scelta del soggetto, e da esso indipendente, un’entità determinata, fissa ed immutabile (tra cui l’esser maschio e l’esser femmina) con propri fini e leggi, ai quali il soggetto sarebbe tenuto, sotto pena di peccato, attenendosi ad essi nella prassi per raggiungere la propria perfezione e felicità.

Per il genderismo il peccato, se esiste, sta invece nel non usare della propria libertà, nel lasciarsi imbrigliare e frustrare da precetti e divieti, o da prospettive ascetiche o sacrificali, che discendono dalla falsa concezione del sesso come dualità psicofisica uomo-donna, creata da Dio, componente ontologica della persona, principio di una condotta morale che propone l’ideale della riproduzione naturale della specie o l’astinenza sessuale extraconiugale.

Occorre invece ricordare che tra uomo e donna esiste una meravigliosa e ricca reciprocità fisica, psicologica e spirituale. Lo studio di questi caratteri ci consente di vedere in essi l’impronta di una mente ordinatrice, che ha fatto in modo che i due soggetti si completino a vicenda con organi e funzioni tali che gli uni siano fatti per gli altri, si compenetrino a vicenda e collaborino vicendevolmente in vista della generazione della vita.

Occorre far scoprire all’omosessuale la bellezza e l’attrattiva dell’unione sessuale normale. È solo questa che dà il vero piacere sessuale. Anche l’omosessuale è radicalmente ed originariamente orientato da Dio all’altro sesso e poiché il piacere nasce dal compimento di un atto naturale, anche l’omosessuale è in grado di trovare il suo vero piacere nell’unione eterosessuale.

Il piacere omosessuale è un piacere morboso e alla fine falso. Occorre aiutare l’omosessuale a rendersene consapevole. Anche lui come ogni persona umana, è stato creato da Dio o maschio o femmina. Dio non crea omosessuali. L’essere omosessuale è una conseguenza del peccato originale. Il sostanziale nell’omosessuale in lui è la sua condizione di creatura maschile o femminile, anche se ciò non appare all’esperienza immediata. Eppure, è il dato di fondo, che occorre far emergere e del quale l’omosessuale può e deve rendersi conto.

La tendenza omosessuale è aggiunta, è sovrapposta, è accidentale, è parassitaria. E per questo si tratta di togliere l’accidentale salvando la bontà della sostanza. L’accidente non esiste da sé, ma solo nella sostanza. Il genderismo confonde l’accidentale col sostanziale, l’innaturale col naturale. Un male esiste perché soggettato nel bene. La felicità non sta nel togliere il bene sostanziale, ma il male, che è un accidente.

Il rapporto sessuale umano esprime non soltanto la funzione procreativa, ma anche l’amore, come appare evidente dalla posizione dei corpi, dalla gestualità e dall’esercizio dei sensi, soprattutto la vista, il tatto e il gusto.  A questo punto uomo e donna, uniti dall’amore, non sono più due ma una cosa sola. In questo momento i due raggiungono il massimo dell’attuazione dell’intuizione intellettuale, dell’emozione e della sensibilità per la fruizione di quello che è il sommo bene nel campo del rapporto interumano. Al di sopra di questo vertice non c’è che l’unione mistica con Dio.

Stando così le cose, ci riempie di compassione il pensiero dell’unione omosessuale e una persona sessualmente normale si chiede come sia possibile trovare gusto in una unione omosessuale. 

O tesori sacri del nostro corpo! Come è possibile ignorarvi? Come è possibile non venerarvi e non ringraziare in eterno il creatore che li ha donati? Cari fratelli omosessuali, il nostro cuore è pieno di compassione e di sconcerto. Diteci di tutto ma non diteci che siete felici e che sapete godere la vita! Quel nome gay è una tragica ironia e una menzogna, che vanamente cercherebbe di riempire un vuoto abissale fatto di disperazione e di amarezza. Eppure vi vogliamo bene, vi comprendiamo, siamo a vostra disposizione per tutto ciò in cui possiamo esservi utili. State con noi. Vi accogliamo. Lavorate con noi, gioite con noi, soffrite con noi, convertitevi con noi!

Un falso concetto della misericordia

Il genderismo, come vedremo, ha radici profonde gnoseologiche ed antropologiche; ma ciò che lo genera immediatamente ed è quindi più noto alla gente comune, che non va ad indagare le radici profonde delle cose, la sua causa immediata, è un odierno diffuso concetto della misericordia, che non corrisponde al vero concetto della misericordia, ed anzi finisce nella crudeltà. Esso suppone la negazione dell’esistenza della malizia, per cui la malizia viene ridotta alla fragilità.  Il male di colpa è confuso col male di pena. Il peccato è confuso con la sofferenza. Il peccato, quindi, non esiste.

L’unico problema è quello della sofferenza. Quindi non come togliere il peccato, ma come togliere la sofferenza. Tutti sono buoni, ma tutti soffrono, sono deboli, sono feriti, sono fragili, bisognosi. Ora è chiaro che per la fragilità occorre aver misericordia. L’unico dovere morale diventa quello della misericordia: sollevare gli altri dalla sofferenza. Non c’è da correggere, non c’è da castigare, non c’è da condannare, non c’è da giudicare, non c’è da convertire. Ma solo accompagnare, ascoltare, comprendere, soccorrere, scusare.

Senonchè però la malizia esiste. Ma se la si confonde con la fragilità, si rischia di aver misericordia per la malizia. Ora però questo atteggiamento trasforma la misericordia in crudeltà. «Il medico pietoso, come dice il proverbio, incancrenisce la piaga». La pietà fuori luogo o malintesa si trasforma in crudeltà. Coloro che vorrebbero abolire la severità, perché la confondono con la crudeltà, lasciano sussistere proprio quella crudeltà che vorrebbero evitare. Infatti la mancata punizione dei malfattori li incoraggia ad infierire ancora di più sugli oppressi. E quindi dove va a finire la pietà per gi oppressi? È inutile che essi chiedano giustizia, perchè tanto gli oppressori sono perdonati.

La confusione fra la sofferenza e il peccato genera un grave fraintendimento del valore cristiano della sofferenza. Come sappiamo dalla fede, nella visione cristiana, la sofferenza patita con Cristo ha come effetto ultraterreno quello di eliminare per sempre la sofferenza. Ma se si assimila il peccato alla sofferenza, ne viene, come nella visione di Lutero, che il peccato vissuto nella fede in Cristo, toglie il peccato. Il peccato diventa quindi oggetto di un comando, perché peccando, il peccato viene tolto: «pecca fortiter, et crede firmius».

Gioca qui la confusione luterana fra il peccato e la concupiscenza: siccome la concupiscenza è permanente, per Lutero anche il peccato è permanente: l’uomo pecca in ogni sua azione. Il peccato, allora, non è più accidentale, ma diventa la sostanza dell’agire dell’uomo. Ma se le cose stanno così, viene meno il criterio di riferimento per giudicare del peccato, criterio che ovviamente dev’essere il principio e la norma della giustizia.

Se l’accidentale diventa sostanziale e il sostanziale è buono, la situazione si capovolge: il peccare ininterrotto si trasforma nel non peccare mai. Il peccato non è più un’infrazione saltuaria o accidentale alla norma, ma diventa la norma, diventa strutturale, il peccatum permanens di Lutero. Ma la norma è il principio del bene. E dunque il peccato scompare. Il peccato può esistere solo se interrompe un percorso in se stesso buono. Si può parlare di natura ferita, se resta parzialmente buona; ma se, come credeva Lutero, è totalmente corrotta, allora diventa totalmente sana, ed ecco scomparse quelle conseguenze negative del peccato originale, che Lutero esagerando pretendeva avessero distrutto la natura nella sua totalità.

Ma siamo daccapo: se la natura è intrinsecamente cattiva, allora essa è buona, perché il male lascia sussistere il bene sostanziale che ne costituisce il soggetto. Ma nel momento in cui il male si estende all’intero soggetto, il male scompare. Il male non è una sostanza ma una carenza in una sostanza. In mezzo ad azioni cattive restano azioni buone.

Così il peccato corrompe sì la giustizia ma non del tutto, altrimenti, se il peccato corrompesse totalmente la sostanza, ossia la giustizia, diventerebbe esso stesso sostanza, ossia giustizia. La sostanza resta giusta; ma, se il peccato diventa la sostanza, il peccato diventa giustizia. Ad esagerare la portata del peccato, come fa Lutero, succede che al peccato non si dà più peso e diventa cosa normale. Il cattivismo luterano non è che la premessa del buonismo di Rousseau.

Altro errore luterano riguardante il peccato: la misericordia divina non lo cancella ma lo copre. Ma se il peccato resta, dov’è la giustificazione? Appunto, risponde, come si sa, Lutero: il peccato resta insieme con la giustizia. E siamo daccapo con la coonestazione del peccato, che pertanto non è più peccato. Il peccatore continua a farlo, ma sa che adesso è perdonato; non è perdonato benché pecchi, ma è peccando che è perdonato. Dunque non occorre nessuna penitenza e nessuna ascesi, perché è lo stesso peccato, che adesso è giustizia, a cacciare il peccato, che comunque resta, perché è coperto e non cancellato.

Questa tendenza misericordista si accompagna con altri fraintendimenti, cioè la confusione del peccaminoso col diverso. Padre James Martin dice: l’omosessualità non è un orientamento sessuale anormale, ma semplicemente diverso. L’anormalità è confusa con l’alterità. Non c’è da scegliere fra eterosessualità e l’omosessualità, come tra il sano e il morboso, il buono e il cattivo, ma come tra due cose buone e sane semplicemente diverse: tanto l’eterosessualità quanto l’omosessualità sono cose buone e sane.

Un’ultima osservazione: il misericordismo sessuale può trovare, oltre che in Rousseau e in Lutero, un padre in Freud, in quanto nell’etica freudiana non esiste il concetto della colpa sessuale come disobbedienza volontaria e responsabile alla legge morale, colpa da togliere mediante pentimento e conversione, ma le trasgressioni morali vanno sempre spiegate in base a condizionanti psicologici inconsci, che determinano il soggetto ad agire in quel modo e non in un altro, esattamente a come avviene negli animali.

Per Freud la colpa non è uno stato della volontà priva della grazia divina, ma è un disturbo mentale che va tolto con la psicanalisi. Per questo, se l’omosessuale ha quel suo caratteristico comportamento, non lo si deve rimproverare o correggere, ma lo si deve comprendere, scusare e lasciarlo libero di fare come crede.

Il misericordismo, come abbiamo visto, si volge in crudeltà. Un malinteso sollievo dalla sofferenza aumenta la sofferenza. Voler scusare uno che è in colpa gli dà una pace illusoria, ma in realtà aumenta in lui il senso di colpa. Il misericordismo non irrobustisce ma indebolisce. Non corregge ma lascia nel difetto tentando di giustificarlo. Non si può compassionare chi ha bisogno di essere scosso.

Occorre recuperare l’aspetto ascetico della morale, senza ricadere nel dualismo e nel rigorismo del passato. Occorre dare ai giovani il gusto di vincere o di correggere le proprie cattive tendenze, il gusto della rinuncia per salvare un valore superiore, il gusto di combattere le forze nemiche della sua salute morale, il piacere di sforzarsi, di faticare e di soffrire per la conquista dell’ideale, il gusto di lasciare tutto per Dio.

Fine Seconda Parte (2/4)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 7 luglio 2022   

 

Occorre recuperare l’aspetto ascetico della morale, senza ricadere nel dualismo e nel rigorismo del passato. 

Occorre dare ai giovani il gusto di vincere o di correggere le proprie cattive tendenze, il gusto della rinuncia per salvare un valore superiore, il gusto di combattere le forze nemiche della sua salute morale, il piacere di sforzarsi, di faticare e di soffrire per la conquista dell’ideale, il gusto di lasciare tutto per Dio.

Klimt, Adamo ed Eva

 

La visione freudiana dell’uomo è concentrata solo sull’attuale situazione di natura decaduta ed ignora completamente la prospettiva biblica protologica ed escatologica, in particolare nel rapporto uomo-donna.

È la stessa visione di Cartesio e di Lutero.

La scoperta fondamentale di Freud è stata quella di capire che il sesso influisce sullo spirito e lo spirito influisce sul sesso. L’errore è stato quello di non capire che lo spirito è più importante del sesso e che l’uomo non è fatto anzitutto per il piacere sessuale, ma per quello spirituale. Il piacere sessuale non va escluso, anche se non è finalizzato alla procreazione; deve semplicemente stare al suo posto al di sotto e al servizio dello spirito.

Immagini da Internet


[1] Vedi il mio libro Karl Rahner. Il Concilio tradito, Edizioni Fede&Cultura, Verona  2009, pp.149-163; 331-339.

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