Un giudizio su Papa Francesco - Seconda Parte (2/2)

 Un giudizio su Papa Francesco

Seconda Parte (2/2) 

Pregi e difetti della predicazione di Papa Francesco

Il Papa ha un modo di esprimersi del tutto insolito nei precedenti Papi; un modo estroso, scanzonato e a volte addirittura burlesco, che ricorda il Giullare di Dio. Se non fosse che a volte scherza, verrebbe voglia di dire che dice delle empietà. Quando non parla seriamente nei documenti ufficiali egli si abbandona a cose che sembrano eresie: non dobbiamo dar loro peso.

Un difetto della predicazione di Papa Francesco non riguarda ciò che dice, ma come lo dice. Capita che si esprima in modi inappropriati ed ambigui, senza che peraltro egli successivamente chiarisca che cosa intendeva dire. Magari il suo pensiero appare chiaramente espresso in altre occasioni. È opportuno in questi casi interpretare in bonam partem.

È vero che il pensiero di Papa Francesco ha spesso bisogno di essere interpretato. Ma Padre Lanzetta sembra spazientirsi di questo fatto, come a dire: ma come? Non sta al Papa chiarirci la Parola di Dio? Se a nostra volta dobbiamo interpretare che cosa dice il Papa, siamo daccapo! No, caro Padre Lanzetta. Può essere che nel caso di Papa Francesco ciò avvenga un po’ troppo spesso. Ma questa è cosa normale, succede per tutti i Papi: ci siamo noi teologi, ci sono i Vescovi, ci sono i parroci, ci sono i confessori che devono svolgere questa funzione di interpreti dell’Interprete.

Le interpretazioni sono contrastanti? Faccia ciascuno secondo coscienza. Ci vuole pazienza ed abituarsi alla discussione. Occorre certo evitare la furbizia e le scappatoie, ma ci sono casi di morale nei quali neppure un Papa sa con certezza, almeno per il momento, che cosa si deve fare. Non possiamo pretendere da un Papa sempre la risposta a gettone, come se dovessimo consultare un’enciclopedia dove la risposta è sempre pronta. Dobbiamo a volte anche saperci arrangiare da soli. Non abbiamo anche noi l’angelo custode?

La morale non è la matematica. L’essenziale è credere nella verità e cercare la verità. Non voler fare il doppio gioco. A volte bisogna accontentarsi del probabile. Ciò può accadere anche a un Papa. I Gesuiti non sono i maestri del probabilismo? Possiamo certo fare appello al Papa, ma poi sta a lui rispondere o non rispondere. Noi Domenicani siamo ancora in attesa della risposta che il Papa ci aveva promesso alla famosa controversia con i Gesuiti all’inizio del sec. XVII.  Certo a volte si ha l’impressione che il Papa voglia tergiversare. È possibile. In questo senso egli può mancare di prudenza o saggezza pastorale.

È strano come se da una parte il Papa ha le suddette ambiguità e improprietà di linguaggio dall’altra ha una capacità straordinaria di contatto con le folle e quindi di spiegarsi bene. Sa cogliere neologismi e rifugge da espressioni scolastiche. Ciò favorisce la comunicazione con le masse, ma può banalizzare il pensiero. Nutre antipatia per le astrazioni, e in ciò ha ragione contro l’idealismo, il razionalismo e lo gnosticismo; ma rischia di non favorire l’ampiezza del pensiero, che per sua natura vive nell’astrazione.

La sua polemica contro la rigidità sembra a volte colpire i valori assoluti; ma in realtà egli polemizza contro il rigorismo morale. D’altra parte la sua dichiarata antipatia per l’ascetica, sembra voler colpire l’albagia e il volontarismo di tipo pelagiano. Lamenta giustamente l’orrore della pedofilia; ma vorremmo sentire una parola più forte contro la sodomia.

Si nota la mentalità del Gesuita con il suo accento dinamico, attivistico e volontaristico. La sua pastorale trae ispirazione dal metodo ignaziano della direzione spirituale. Ma si sente anche una punta dell’affettivismo francescano. È lontano dall’intellettualismo e dallo spirito ragionatore e speculativo domenicano. Ma noi Domenicani non ci offendiamo. Ci ha fatto un immenso piacere che di recente abbia raccomandato San Tommaso come modello di teologo.

Spesso si esprime con formule assolute, che avrebbero bisogno di precisazioni, riserve, delimitazioni, sfumature, che egli però non fa. Famosi sono i suoi slogans arguti, spesso indovinati, facilmente memorizzabili, che tutti conoscono. In ciò ricorda la stringatezza di Sant’Agostino.

Insiste giustamente nel dovere degli adulti di ascoltare i giovani, ma forse dovrebbe esortare anche i giovani ad ascoltare i maestri e le vere guide spirituali. Bella l’attenzione agli anziani, ma forse dovrebbe metter maggiormente in luce il valore della sapienza dell’anziano. In fin dei conti, il presbys e i presbyteroi della Bibbia sono è esattamente gli anziani.

La cosa curiosa, che sembrerebbe dettata da opportunismo o rispetto umano,  è la reticenza su certi temi delicati come la questione del merito e del valore soddisfattorio del sacrificio di Cristo, il tema dei miracoli, dei castighi divini e dell’esistenza di dannati e della giusta guerra, la tematica apocalittica della lotta della Chiesa contro il Dragone o dei figli di Dio contro i figli del diavolo, il tema dell’anticristo o del giudizio universale, il pericolo che viene dalla massoneria o dal permanere del comunismo.

Un atto importante del Sommo Pontefice è stata la Dichiarazione di Abu Dhabi, in un accordo siglato il 4 febbraio 2019 da Papa Francesco e dal Grande Imam di al-Azhar Ahmad al-Tayyib. Mai era stato siglato fino ad allora un accordo simile tra un Papa e un alto dignitario dell’Islam. Esso mette in luce il valore della universale fratellanza umana sotto il governo di Dio creatore. Non era mai accaduto da parte dell’Islam simile riconoscimento, che viene ad includere anche i cristiani, non più quindi considerati come semplici «infedeli», ma fratelli.

Riguardo alla pratica del sacramento della penitenza, Papa Francesco ha giustamente messo in guardia i confessori a non trasformare il confessionale in una camera di tortura, anche se ciò era soprattutto un vizio di sessant’anni fa, mentre ha trascurato di segnalare il vizio del tutto opposto, oggi diffuso, dei fedeli che si confessano senza le dovute disposizioni e dei confessori che trasformano il confessionale in un posto dove chiacchierare. Il difetto dei confessori di oggi non è l’eccessiva severità ma l’eccessiva indulgenza. Quanto ai penitenti, non sempre sono quegli innocenti agnelli che vorrebbero mostrare al confessore, ma spesso sono furbi che vorrebbero comunque farla franca.

Per converso, stupisce la densissima predicazione del Papa concernente la lotta di ciascuno di noi contro il demonio, cosa, questa, che, con queste proporzioni, non si constata in nessuno dei Papi precedenti. Opportuna è l’insistenza nel dovere di aver rispetto per la natura, ma non si comprende come mai non tocchi mai l’ardua questione del perchè la natura è ostile nei nostri confronti.

Ciò gli darebbe occasione di parlare delle conseguenze del peccato originale, tema anche questo importante, purtroppo però anch’esso passato sotto silenzio. Anche sul tema del primato del cristianesimo sulle altre religioni sembra reticente. Nulla mai dice del dovere, pur citato dall’Unitatis redintegratio, dei fratelli separati di accostarsi alla piena comunione con la Chiesa cattolica.

Appare strana l’insistenza con la quale il Papa fa le lodi dell’«inquietudine», mentre con ancor più insistenza invoca la pace e fa le lodi del dono divino della pace. Anche qui, come in molti altri casi, s’impone la necessità di un’interpretazione benevola. C’è chi ha accostato l’espressione del Papa al famoso detto agostiniano cor nostrum inquietum, donec requiescat in Te. Ma mentre è chiara la prospettiva finale agostiniana della quiete in Dio, non così chiara è in Francesco questa finalizzazione dell’inquietudine alla quiete, ma la prima sembra emergere in modo eccessivo come fosse fine a se stessa.

Una forse troppo accentuata insistenza sull’opera dello Spirito Santo nella conversione dei peccatori, lo porta a sottovalutare l’attività apologetica per la promozione della fede. Non occorre invece turbarsi per il suo rifiuto del proselitismo, una volta che sappiamo che cosa intende con questa parola.

Un punto di Magistero del Papa dove è possibile constatare un consolante mutamento di rotta è la questione di quelli che Benedetto XVI chiamava «valori non negoziabili», riferendosi all’universalità ed immutabilità delle verità di fede e dei doveri morali.

I modernisti nei primi anni del pontificato di Francesco mediante un potente bombardamento mediatico riuscirono a convincere molti piacesse o non piacesse, che il Papa aveva sposato il relativismo morale, mentre lo stesso Papa Francesco si lasciò purtroppo sfuggire un’espressione infelice che colpiva proprio la formula tanto amata da Papa Benedetto circa i valori non negoziabili. In un’intervista rilasciata il 14 marzo 2014 al direttore del Corriere della sera ebbe a dire: «Non ho mai compreso l’espressione “valori non negoziabili”. I valori sono valori e basta, non posso dire che tra le dita di una mano ve ne sia una meno utile dell’altra»[1] .

Ma ecco che nel 2020 nell’enciclica Fratelli tutti il Papa faceva incondizionatamente sua la formula benedettiana:

«Accettare che ci sono alcuni valori permanenti, benché non sia sempre facile riconoscerli, conferisce solidità e stabilità a un’etica sociale. Anche quando li abbiamo riconosciuti e assunti grazie al dialogo e al consenso, li riconosciamo come valori di base che vanno al di là di ogni consenso, li riconosciamo come valori che trascendono i nostri contrasti e mai negoziabili. Potrà crescere la nostra comprensione del loro significato e della loro importanza – e in questo senso il consenso è una realtà dinamica – ma in se stessi sono apprezzati come stabili per il loro significato intrinseco» (n.211)[2].

«Agli agnostici, questo fondamento potrà sembrare sufficiente per conferire una solida e stabile validità universale ai princìpi etici basilari e non negoziabili, così da poter impedire nuove catastrofi. Per i credenti, la natura umana, fonte di princìpi etici, è stata creata da Dio, il quale, in ultima istanza, conferisce un fondamento solido a tali princìpi» (n.214) [3].

La questione dell’Amoris laetitia

Padre Lanzetta si è fermato a lungo sui problemi di ermeneutica sollevati dall’Amoris laetitia. Qui la faccenda è effettivamente seria. Non è però neanche qui il caso di accusare il Papa di eresia.

In questo documento il Papa non dà una risposta alla domanda che molti si ponevano se si può o non si può dare la Comunione ai divorziati risposati. Il Santo Padre risponde con un «si potrebbe in certi casi» (nota 351). Il che evidentemente non esprime un dover-essere, ma solo un poter-essere, non una norma attuale, ma solo una norma possibile. Una norma non si esprime al condizionale, ma all’imperativo.

Naturalmente i lassisti e i modernisti hanno forzato il senso a loro favore, ma ciò non toglie che le parole del Papa sono quello che sono. Padre Lanzetta si lascia impressionare e turbare dal chiasso che è stato fatto attorno alle parole del Papa, ma basta leggerle con animo sereno e si capisce cosa vogliono dire.

Bisogna subito dire che la questione se un Papa può o non può concedere la Comunione ai divorziati risposati non è una questione dottrinale, che possa toccare l’essenza del matrimonio o le condizioni interiori per ricevere la Comunione, ma è una questione pastorale nella quale un Papa può cambiare quello che ha stabilito un Papa precedente.

Ora il pronunciamento della nota 351 segnala indubbiamente un mutamento. Tuttavia non si tratta di una vera e propria norma contraria a quella stabilita da San Giovanni Paolo II al n.84 della Familiaris consortio, ma della dichiarazione della possibilità di una norma contraria, la quale pertanto non ha valore vincolante, come non ha valore una legge possibile, ma solo una legge promulgata, cosa che il Papa non fa. Chi pertanto desidera chiarezza e certezza su questo punto, non ha che da attenersi alla norma di San Giovanni Paolo II, questa sì che è norma in senso pienamente formale e vincolante.

È interessante notare su questa questione la differenza del punto di vista di San Giovanni Paolo II da quello di Papa Francesco che fa da giustificazione teorica del mutamento di prospettiva. Papa Wojtyla si basa sulla considerazione dell’aspetto esterno, oggettivo, legale, dello stato della coppia, ossia il fatto che si trovi pubblicamente in una situazione irregolare, non rispetta esteriormente la regola della fedeltà coniugale. Da qui deduce che la coppia si trovi in uno stato di peccato mortale che non le permette di accedere alla Comunione.

Papa Francesco, invece, nel dare una valutazione circa la situazione spirituale della coppia, preferisce pensare che si possa dare il caso di una coppia, la quale, nonostante il suo stato di irregolarità, possa essere in grazia. Dice egli infatti alla nota 301: «non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante».

Giovanni Paolo sembra dedurre lo stato di peccato dal semplice dato esterno ed oggettivo della situazione irregolare: sono due adulteri. Francesco ammette la possibilità che siano in grazia nonostante la situazione irregolare. Francesco sembra sottovalutare la situazione irregolare mettendola tra graffette e aggiungendo: la «cosiddetta». Wojtyla sembra sopravvalutarla: a lui basta la constatazione della situazione irregolare per dire che sono in peccato.

Le conseguenze pastorali sono logiche: per Wojtyla tutti cloro che si trovano in una situazione irregolare sono esclusi dalla Comunione. Per Bergoglio bisognerebbe poter distinguere tra le coppie che vivono in grazia e quelle che rifiutano la grazia. Ma come si fa? Chi giudica? Il confessore? La coppia stessa? Si può rinunciare qui a una regola, a una legge, a una norma generale che dispensi dal lavoro improbo ed aleatorio di esaminare dettagliatamente caso per caso nella sua complessità e complicazione?

In fin dei conti, dato il fatto che comunque Dio può far giungere la sua grazia anche al di fuori dei sacramenti, non dimostra forse maggior saggezza pastorale giuridica Giovanni Paolo rispetto al dettato della nota 351 di Papa Francesco, la quale, benché la casistica abbia in linea di principio una ragion d’essere, tuttavia  sembra risuscitare nella fattispecie quella inafferrabile e interminabile casistica che costituisce un difetto pastorale, che Papa Francesco ha detto esplicitamente di voler respingere?

Le norme giuridiche della Chiesa si basano sul fatto che noi non possiamo sapere se il prossimo è o non è in grazia di Dio, anche se possiamo essere mossi dalla presunzione che lo sia. Per questo non c’è nessuna mancanza di misericordia e nessun farisaismo quando la Chiesa proibisce a certi fedeli certe pratiche o certe opinioni al fine di mantenere un ordine comunitario esteriore, che non pretende affatto di sostituire l’ordine interiore degli spiriti e delle coscienze davanti a Dio, ma anzi lo presuppone, lo protegge e lo salvaguarda.

Certo, la proibizione wojtyliana della Comunione non ha l’assolutezza di una legge divina; sono sempre possibili delle eccezioni. Ma chi ha facoltà di individuarle o stabilirle? Con quali criteri? Con quale autorevolezza? Il Papa ha approvato la casistica propostagli dai Vescovi argentini circa i «casi» previsti dalla nota 351. Ma siamo sicuri che non ci siano altri casi? Non si rischia di nuovo nel cadere in quella casuistica che pretende di incasellare la varietà dell’agire umano in schemi semplicistici prefabbricati, proprio ciò che Francesco giustamente aborrisce quando parla di evitare la rigidità e gli schemi astratti?  E allora dov’è la sua coerenza?

Io posso lasciare la mia auto in divieto di sosta per soccorrere un ferito sulla strada. Ma in situazioni così complesse, diversificate, spesso intricate, oscure e indecifrabili,  come sono quelle delle coppie irregolari, magari con figli propri o del coniuge precedente, con dubbio se il matrimonio precedente era o non era valido, dove facilmente la menzogna si mescola con la sincerità, l’apparenza nasconde la realtà, dove gioca l’ignoranza della legge e la dinamica delle passioni, con situazioni economico-lavorative-sanitarie diverse caso per caso, con una precedente storia tutta da indagare e chiarire, non si rischia di trascurare qualche circostanza e di trovarsi in un  ginepraio dal quale non si riesce a venir fuori? Salvo a pronunciare giudizi drastici o perentori, semplicistici e forzati falsamente rassicuranti?

La nuova pastorale avviata da Papa Francesco assieme con asserzioni non sempre chiare sul valore e il modo di applicare la legge morale, nonché sull’autonomia decisionale della guida morale che deve condurre i fedeli ad applicarla e sulla necessità di evitare rigidezze e farisaismi per far uso di un discernimento duttile, comprensivo ed adatto alle circostanze, ha fatto sorgere, come è noto, difficoltà e perplessità in molti teologi e moralisti, tra i quali si sono distinti i famosi quattro Cardinali dei Dubia: Caffarra, Burke, Brandmüller e Meisner.

La formulazione dei Dubia era fatta in modo tale che sembrava gettare il sospetto che il Papa avesse mancato di rispetto per i sacramenti del matrimonio, dell’eucaristia e della penitenza, cosa che, riferendosi a dottrina dove il Papa non può sbagliare, non avrebbe dovuto esser detta.

Probabilmente il Papa si è offeso di questa larvata insinuazione, per la quale i Dubia mancavano del loro carattere legittimo di semplici richieste di chiarimento, ed apparivano come richiami dottrinali fatti al Papa. Per questo motivo, secondo me, il Papa non rispose, ed anzi nacque in lui un’irritazione nei confronti dei suddetti Cardinali.

So per certo questa cosa per quanto riguarda il Card. Caffarra, che ho conosciuto personalmente essendo stato Arcivescovo di Bologna dove io allora risiedevo. Il degnissimo Porporato, infatti, morì improvvisamente d’infarto nel 2017, probabilmente per il dolore per il suo dissapore col Papa[4].

La questione del Papa emerito

Padre Lanzetta non è riuscito a comprendere in una luce serena quanto è avvenuto con le dimissioni di Benedetto XVI. Certo, non è tra coloro che giudicano invalide le dimissioni di Benedetto e per conseguenza invalido il pontificato di Francesco. Quello che non riesce a capire è come Benedetto sia rimasto Papa, pur avendo abbandonato l’esercizio del ministerium.

Padre Serafino si trova in un impasse perché non vuol separare munus, cioè l’esser Papa, da ministerium, cioè fare il Papa, mentre il segreto per capire quanto è successo sta proprio nel fare questa separazione indicataci dallo stesso Benedetto quando disse che egli restava Papa «per sempre», quindi conservava il munus petrino, pur avendo lasciato il governo della Chiesa, ossia l’esercizio del ministerium a Francesco.

Padre Lanzetta è rimasto attaccato alla concezione del rapporto munus-ministerium che è invalsa fino a Benedetto ed è tuttora presente nel Diritto canonico e cioè il concetto che se un Papa dà le dimissioni non perde solo il ministerium, ma anche il munus: non più Papa e basta. Non si è accorto che Benedetto, separando munus, che egli ha conservato, da ministerium, che ha lasciato, ha mostrato alla Chiesa un aspetto del papato che finora era sconosciuto e del quale il Diritto canonico dovrà tener conto, e cioè che un Papa che dà le dimissioni diventa «Papa emerito», cioè conserva il munus e lascia il ministerium.

Fino ad ora, infatti, (e Padre Serafino resta di questa opinione) si è sempre pensato che un Papa che lascia il ministerium, lascia anche il munus. Benedetto, con la sua stessa scelta, il cui significato egli ci ha spiegato, ha fatto capire alla Chiesa che le cose non stanno così. Papa Francesco, confermando il titolo di papato emerito, ha confermato con la sua autorità pontificia la scoperta fatta da Benedetto. Questi ci ha fatto conoscere meglio che cosa è il papato.

Benedetto ci ha mostrato così il legame fra il sacramento dell’Ordine o meglio dell’Episcopato e il munus petrino. Come il sacramento imprime un carattere indelebile, così il munus petrino s’innesta nel carattere sacerdotale partecipando della sua eternità: tu es Papa in aeternum.

Nessun dubbio, quindi, nessuna perplessità, nessuna confusione: il Papa è e resta uno solo, ma il Papa in esercizio, perchè accanto a lui può esistere un Papa emerito che ricorda quella che è l’eternità del papato.

Vediamo qui il miracolo della successione apostolica: al di là di tutti gli intrighi, gli antipapi, le deposizioni, le prepotenze, le ambizioni, le competizioni, le intromissioni del potere politico, le simonie, le illegalità, gli inganni, gl’interessi meschini, le manovre astute, le infedeltà, lo Spirito di Cristo fa sì che da Pietro parta una catena o successione apostolica – tutti Papi validi, tutti veri Papi, tutti Vicari di Cristo - che arriva fino a Francesco.

Conseguenza notevole di ciò è il fatto che ogni Papa, a prescindere dal modo come è stato eletto, purchè sia riconosciuto valido dai suoi elettori, nonostante le mafie di San Gallo, è voluto dallo Spirito Santo per un ruolo speciale adatto al proprio tempo. Fondamentale è quindi capire per ogni Papa, qual è il compito che Dio gli assegna. Su questo punto l’analisi di Padre Lanzetta è gravemente manchevole, perché non ci dà una risposta in quanto non si pone neppure la domanda.

Conclusione

Ho un caro e grato ricordo di Padre Serafino, dei mirabili congressi teologici internazionali che egli, quando apparteneva all’Istituto dei Francescani dell’Immacolata, organizzò su temi di altissimo interesse ed estremamente coinvolgenti: uno su Karl Rahner nel 2007, un secondo sull’inferno nel 2008 e un terzo sul sacerdozio nel 2009. Iniziative di grande coraggio e di esemplare attenzione alle questioni della Chiesa di oggi.

Non si rese conto di quali violente reazioni simili iniziative avrebbero attirato su di lui e sul suo Istituto, quale terribile vendetta. La tempesta si sarebbe scatenata non appena dopo l’elezione di Papa Francesco col discusso commissariamento dell’Istituto, che tanto lo fece soffrire per l’alterazione che fu imposta al carisma dell’Istituto, almeno come lo vedeva Serafino, tanto che a un certo punto si decise a lasciare l’Istituto per entrare nel clero secolare in una città dell’Inghilterra.

Mi addolorò però la notizia, che venni ad apprendere solo dopo alcuni anni che frequentavo l’Istituto di Padre Serafino, di un esagerato attaccamento dell’Istituto al vetus ordo della Messa. Senza comprendere appieno la severità dell’intervento del Papa, capii tuttavia che Francesco aveva le sue ragioni.

Quale dolore! Dovetti allora prendere le distanze da queste posizioni. Ma il ricordo della profonda amicizia e della preziosa collaborazione con Padre Serafino mi è rimasto incancellabile. Tuttavia evidentemente, come si può comprendere dal quadro che faccio del suo libro, Padre Serafino non è riuscito a capire Papa Francesco. È caduto nella rete dei lefevriani.

Ho cercato in passato a più riprese di distoglierlo da questa cattiva scelta. Niente da fare. Tutti sanno quante difficoltà con Papa Francesco ho anch’io e non solo i lefevriani, ma tanti normali cattolici non venduti ai modernisti. Eppure su tutto ciò deve prevalere un amore di predilezione ed incondizionato per il Papa come «dolce Cristo in terra».

Se a volte ci sembra che invece di mostrarci Cristo, ce ne offuschi il volto, non perdiamoci d’animo, non scandalizziamoci, non sdegniamoci come ha fatto Lutero. Amare il Papa non vuol dire solo sopportarlo; vuol dire apprezzarlo, capirlo, seguirlo, collaborare con lui, aiutarlo, informarlo, consigliarlo, consolarlo, confortarlo, correggerlo laddove è possibile e lecito farlo.

Infatti il Papa, al di là delle sue miserie umane, è pur sempre il Papa, al quale dobbiamo obbedienza e col quale dobbiamo essere in comunione, perché anche lui, come ha detto Cristo, ci dice: «beato chi non troverà in me motivo di scandalo» (Mt 11,6).

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 3 agosto 2023

Padre Lanzetta non è riuscito a comprendere in una luce serena quanto è avvenuto con le dimissioni di Benedetto XVI. Certo, non è tra coloro che giudicano invalide le dimissioni di Benedetto e per conseguenza invalido il pontificato di Francesco. Quello che non riesce a capire è come Benedetto sia rimasto Papa, pur avendo abbandonato l’esercizio del ministerium.

Padre Serafino si trova in un impasse perché non vuol separare munus, cioè l’esser Papa, da ministerium, cioè fare il Papa, mentre il segreto per capire quanto è successo sta proprio nel fare questa separazione indicataci dallo stesso Benedetto quando disse che egli restava Papa «per sempre», quindi conservava il munus petrino, pur avendo lasciato il governo della Chiesa, ossia l’esercizio del ministerium a Francesco.

Padre Lanzetta è rimasto attaccato alla concezione del rapporto munus-ministerium che è invalsa fino a Benedetto ed è tuttora presente nel Diritto canonico e cioè il concetto che se un Papa dà le dimissioni non perde solo il ministerium, ma anche il munus: non più Papa e basta. 

Non si è accorto che Benedetto, separando munus, che egli ha conservato, da ministerium, che ha lasciato, ha mostrato alla Chiesa un aspetto del papato che finora era sconosciuto e del quale il Diritto canonico dovrà tener conto, e cioè che un Papa che dà le dimissioni diventa «Papa emerito», cioè conserva il munus e lascia il ministerium.


Immagini da Internet:
- Papa Benedetto XVI annunzia la sua decisione di diventare Papa emerito
- Padre Serafino Lanzetta

[1] Cit. da José Antonio Ureta, Il «cambio di paradigma» di Papa Francesco. Continuità o rottura nella missione della Chiesa? Istituto Plinio Corrêa de Oliveira, Fano 2018, p.21.

[2] Ibid., p.195.

[3] Ibid., p.197.

[4] Ne parla Don Ariel Levi di Gualdo nel suo libro Amoris tristitia. La morale cattolica è davvero sessuofobica? Edizioni L’Isola di Patmos, Roma 2022.

8 commenti:

  1. Caro Padre Giovanni,

    ci riferiamo a due grandi testimoni come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Essi si sono sacrificati totalmente per il bene dell'Intero Gregge del Signore, eppure hanno ricevuto e continuano a ricevere disprezzo e mancanza di fiducia, sia a destra che a sinistra.

    Ne approfitto per farle gli auguri di buon compleanno in ritardo e le regalo una piccola barzelletta di Silvio Berlusconi; oggi si ricorda il suo ritorno alla casa del Padre.

    https://youtu.be/pYDnTm2OUwk

    TOTUS TUUS!

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  2. Caro Dusko, come lei dovrebbe sapere bene, è già previsto da Nostro Signore che i suoi discepoli siano perseguitati come Egli è stato perseguitato.

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  3. "Appare strana l’insistenza con la quale il Papa fa le lodi dell’«inquietudine», mentre con ancor più insistenza invoca la pace e fa le lodi del dono divino della pace. Anche qui, come in molti altri casi, s’impone la necessità di un’interpretazione benevola. C’è chi ha accostato l’espressione del Papa al famoso detto agostiniano cor nostrum inquietum, donec requiescat in Te. Ma mentre è chiara la prospettiva finale agostiniana della quiete in Dio, non così chiara è in Francesco questa finalizzazione dell’inquietudine alla quiete, ma la prima sembra emergere in modo eccessivo come fosse fine a se stessa."

    Mi scusi, padre, ma non ho capito bene cosa intende con questo argomento.
    Sarà che papa Francesco si riferisca a ciò di cui parlava il cardinale Martini, ai dubbi tipici dell'ateo, che abitano, secondo Martini, l'anima del cristiano?

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    1. Caro Paolo,
      mi riferisco ad uno studio fatto da Massimo Borghesi sulla formazione intellettuale di Papa Francesco. Il libro si intitola “Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale” (Jaca Book, Milano, 2017).
      In questo libro, Borghesi cita alcune frasi di Bergoglio, prima di essere Papa, nelle quali frasi si ha l’impressione che a Bergoglio piaccia il pensiero conflittuale, quello che Borghesi chiama “pensiero antinomico”, che richiama in qualche modo la dialettica hegeliana.
      Ora, Bergoglio, quando studiò in Germania, fu discepolo di Romano Guardini, che è stato un grande teologo, famoso nella liturgia, e ammirato anche da Papa Ratzinger.
      Ora, Guardini cerca di utilizzare la dialettica hegeliana, evitando il principio di contraddizione, ma ammettendo nella realtà una polarità, che dovrebbe strutturare ogni cosa. Ora, questa idea andrebbe chiarita, perché non sembra del tutto libera dal principio di contraddizione.
      Ora, Bergoglio in Argentina si esprime in un modo simile a Guardini. Nella sua carica di provinciale egli fa in un qualche modo l’elogio dei conflitti, perché da essi dovrebbe sorgere, secondo Bergoglio, la concordia. Che cosa dire? È chiaro che il nostro dovere è quello di cercare di fare una interpretazione benevola. Si può dire che Bergoglio si esprime in un modo improprio.
      Sta di fatto comunque che, da quando è Papa, ha evitato quelle espressioni, però mantiene ancora un giudizio positivo sulla inquietudine e sulla conflittualità. Egli le considera inevitabili, però con la carità si riesce a superarle. Una cosa curiosa è che il Papa da una parte sostiene qui l’inevitabilità della conflittualità, mentre dall’altra, condannando in modo assoluto la guerra, sembrerebbe favorire una visione utopistica, per la quale fin da adesso sarebbe possibile abolire le guerre, quasi ad attenuare la differenza che esiste tra il presente stato di natura decaduta e la futura situazione escatologica, nella quale evidentemente non ci sarà più alcun conflitto.
      Per quanto riguarda un confronto con Martini, direi che è proprio il caso di non farlo, perché purtroppo Martini era ambiguo nel sostenere che in ogni credente è presente un ateo.
      Al contrario, Papa Francesco, con le sue ottime lezioni su come difendersi dal demonio, esprime con estrema chiarezza il fatto che, se noi apparteniamo a Cristo, non possiamo assolutamente cedere alle tentazioni del nemico di Cristo.

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    2. Grazie, caro Padre, per la sua ampia e generosa spiegazione.

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  4. Caro Padre Cavalcoli,
    nel paragrafo:

    "In fin dei conti, dato il fatto che comunque Dio può far giungere la sua grazia anche al di fuori dei sacramenti, non dimostra maggior saggezza pastorale giuridica Giovanni Paolo rispetto al dettato della nota 351 di Papa Francesco..."

    lei stai ponendo una domanda? Oppure afferma che Giovanni Paolo II NON dimostra maggiore sapienza pastorale-giuridica rispetto al dettato della nota 351?

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    1. Caro Paolo,
      la ringrazio per il suo intervento, che mi ha fatto prendere coscienza di avere trascurato di mettere il punto di domanda, perché si trattava effettivamente di una domanda retorica, per mezzo della quale esprimo, con tutto rispetto a Papa Francesco, la mia preferenza per la posizione di San Giovanni Paolo II rispetto alla posizione di Papa Francesco, nell’Amoris Laetitia, posizione del resto che manifesta una semplice possibilità e non una sua precisa volontà.
      Infatti San Giovanni Paolo II ricorda a tutti che anche i DR possono essere in grazia, ma sottolinea anche il fatto che la coppia dev’essere segno dell’unione di Cristo con la Chiesa.

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