La presenza dello Spirito Santo - Stiamo vivendo l’età dello Spirito Santo inaugurata a Pentecoste - Prima Parte (1/5)

La presenza dello Spirito Santo

Stiamo vivendo l’età dello Spirito Santo inaugurata a Pentecoste

Prima Parte (1/5)

Nessun testo religioso dell’umanità come la Bibbia

mostra tanta stima e attenzione allo spirito

senza per questo disprezzare la materia

 

Angelis suis mandavit de te,

ut custodiant te in omnibus viis tuis

Lc 4,10

 

Difficoltà nella conoscenza della realtà spirituale

Sappiamo come oggi siano diffusi, anche in ambiente cattolico, l’ignoranza, l’equivoco, il disinteresse, lo scetticismo, la freddezza, l’indifferenza, l’insensibilità, la negligenza, l’incuria o addirittura la derisione, l’irritazione e la ripugnanza per i valori dello spirito, soprattutto per quelli ontologici e più elevati, nei quali la materia, il concreto, la quantità, il tempo o lo spazio non hanno parte.

Oggi spesso, se si accetta la realtà dello spirito, si stenta ad ammetterlo esistente separatamente dal corpo, benché la dottrina della sopravvivenza dell’anima dopo la morte sia dogma di fede definita. Altrettante se non più gravi sono la difficoltà o la ritrosia, presso molti nostri contemporanei, ad ammettere l’esistenza degli angeli, anche se tali estimatori apprezzano la vita dello spirito e sono ben consapevoli delle sue attività.

La realtà materiale, dal canto suo, ci riserva un margine insuperabile di mistero e di ignoto per noi invalicabile. Tuttavia molti faticano a cercare diletti o soddisfazioni che superino quelli offerti dai beni materiali. Anche i filosofi e gli intellettuali che sono tutti intenti a parlare dell’essere, del pensiero, dell’eterno, dell’assoluto, dell’autocoscienza, quando poi si tratta di scendere al concreto, hanno la massima cura della propria immagine, del lancio pubblicitario, del successo del pubblico e di farsi ben pagare le loro conferenze, ottenendo che siano messe a tacere tutte le voci che potrebbero smascherare le loro imposture.

Ma ancor più ci appare misteriosa la realtà spirituale. Se infatti sappiamo che la materia prima esiste, diversamente non si potrebbero spiegare le trasformazioni sostanziali, il nostro intelletto non riesce a coglierla in se stessa ma solo mediante la forma e in quanto attuata dalla forma, dato il suo grado troppo basso per noi di intellegibilità, mentre la sua essenza è nota solo a Dio che l’ha creata.

Comunque, la realtà fisica o materiale è ben proporzionata alla nostra conoscenza razionale, per il fatto che si tratta di una realtà sensibile, immaginabile, figurabile, descrivibile, quantificabile, misurabile e collocabile nel tempo e nello spazio.

Viceversa il mistero dello spirito è dato per noi dal fatto che è troppo intellegibile per noi. La nostra ragione certo può farsi un concetto analogico proprio dello spirito, di Dio, dell’anima umana, degli angeli.  Ma poi i nostri concetti, in fin dei conti, anche dogmatici, che cosa colgono, che cosa definiscono, che cosa capiscono, che cosa comprendono? Quello che entra nella nostra ragione, nella nostra mente, nel nostro spirito, nel nostro io, nella nostra coscienza.

Non neghiamo che il nostro pensato corrisponda al pensabile e che quindi possiamo conoscere in questa nobilissima materia la verità.   Ma fin dove arriva ciò che è pensabile da noi? Fin dove può arrivare la capacità limitata del nostro pensiero. Ma il problema è che il pensabile va anche oltre e quindi contiene in questo oltre un pensabile che noi non riusciamo a pensare, a conoscere, per cui ci sfugge, ci oltrepassa e ci resta ignoto. Sappiamo solo che c’è ma non lo vediamo, perché, nella nostra limitatezza, non ce la facciamo. Solo Dio che lo ha creato, può vederlo e, se vuole, può rivelarcelo, almeno in parte, per quanto possiamo capirne.

Noi non abbiamo nella vita presente un’intuizione intellettuale immediata dello spirito in generale, del nostro spirito, degli altri spiriti e tanto meno dello Spirito Santo, così come abbiamo la conoscenza della natura delle cose materiali, del nostro corpo o degli altri corpi fuori di noi. Abbiamo però la coscienza degli atti del nostro spirito, come il sapere, il pensare, il ragionare, il volere, il decidere. E ci accorgiamo dell’esistenza di altri spiriti dal contatto con le altre persone, che ci manifestano di essere animate da uno spirito. Chiedendoci qual è la causa del mondo dello spirito, scopriamo l’esistenza di Dio come Spirito Assoluto.

In possesso di una fede vissuta nella Santissima Trinità, avvertiamo poi in noi la presenza dello Spirito Santo con i suoi doni dagli effetti o frutti che egli produce nella nostra anima: «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sè» (Gal 5,22). Potremmo aggiungere: umiltà, pentimento, speranza, calma, dolcezza, onestà, sicurezza, sincerità, certezza, sapienza, discernimento, timor di Dio, misericordia, fortezza.

Nella storia della filosofia nessun movimento come l’idealismo tedesco dell’800, influenzato ad un tempo da Cartesio e da Lutero, ha annunciato e magnificato con tanta eloquenza, dispendio di energie, ricca produzione letteraria, tanta sicurezza, tanto entusiasmo e apparente spirito profetico la venuta dell’era dello Spirito.

Gi echi di questo Spirito si sparsero poi in altri paesi e soprattutto in Italia con Giovanni Gentile, il quale però, come è noto, fu l’anima filosofica della politica fascista, che trascinò l’Italia in quella sciagurata alleanza con la Germania hegeliana-nicciana-heideggeriana, che la condusse alla tragedia della seconda guerra mondiale.

Il fatto è che l’idealismo tedesco, strettamente legato al Romanticismo con la sua estrosa genialità, col suo torbido sentimentalismo ed equivoco misticismo, sin dall’inizio – come vedremo meglio - non è mai stato chiaro nel dirci di quale Spirito si tratta: se è lo Spirito Santo mandato da Cristo alla sua Chiesa o uno spirito divisivo e conflittuale, che in fin dei conti non è suscitatore di unità e di pace, ma di continue guerre e discordie. Ma allora si tratta di quello spirito che la Scrittura chiama diavolo, demonio o Satana.

Oggi, dopo le amare esperienze alle quali ci ha portati il borioso panlogismo hegelian, nessuno vuol sentir parlare di concetto di Dio o di essenza di Dio uno o trino che sia, ma la categoria preferita per parlare di Dio è quella dell’esperienza, spesso designata come «atematica», «preconcettuale» o comunque non concettuale.

È diffusa una forte antipatia per le idee astratte e c’è un insistere enorme sul «concreto». Il rischio, tuttavia, per evitare lo spiritualismo astratto, è quello del materialismo e quindi, in morale, quello dell’edonismo, dell’egoismo, della prepotenza, della mondanità, come dice spesso Papa Francesco. Occorre recuperare un giusto concetto dello spirito e quindi dello spirito Santo. Infatti l’era dello Spirito effettivamente esiste, ma occorre saperla ben riconoscere per non farsi menare per il naso da un altro spirito che, con lo Spirito Santo non c’entra assolutamente niente.

Bruno Forte ha una felice idea quando, superando la dialettica hegeliana, tenta di presentare l’era dello Spirito nella categoria dell’amore, rifacendosi a S.Agostino[1], ma eccolo già cedere allo storicismo citando Jüngel che sostiene che l’essenza di Dio è l’amore. Ora, su ciò bisogna che c’intendiamo. Come sappiamo da Es 3,14, Dio, per la verità, è Colui Che è, è lo stesso essere sussistente.

La categoria fondamentale da usare quando ci interroghiamo sull’essenza divina  è quella dell’essere. L’amore esprime l’agire, il volere, la bontà. Non c’è dubbio che in Dio l’essere, il volere e l’agire coincidano. Ens et bonum convertuntur. Dio dunque è sommo ente e somma bontà, come aveva già intuito Platone, se è vero che l’amante è buono e oggetto dell’amore è il bene. Tuttavia nella Trinità è lo Spirito Santo ad essere lo Spirito dell’Amore[2] e non il Padre o il Figlio, al quale vanno altre appropriazioni, che integrano il valore dell’amore con una visione degli attributi divini fondamentali. L’amore è attributo dell’essenza divina comune alle tre Persone.

Occorre però fare attenzione a non monopolizzare tutto il discorso trinitario attorno all’amore e soprattutto evitare di intendere l’agire divino sul modello dell’azione temporale propria della creatura. L’agire divino e quindi l’amare divino, nella sua divina spiritualità, è del tutto indipendente dal moto, dal divenire e dallo spazio-tempo, quindi dal mondo, dalla materia e dalla storia, benchè influisca nell’istante eterno del suo attuarsi su tutto il corso della storia. Inoltre è importane non lasciare in sordina il momento intellettuale del mistero trinitario, legato al Verbo ossia al Logos, Pensiero e Idea del Padre e Autocoscienza del Padre.

Nihil volitum, nisi cognitum. È molto importante tener presente che lo Spirito è Spirito d’Amore perchè procede dal Figlio, che è la Verità, mentre lo Spirito Santo e il Figlio procedono dal Padre. Ora, per distinguere il Figlio dallo Spirito Santo occorre distinguere l’origine, e a tal fine dobbiamo dire che mentre lo Spirito Santo, oltre che procedere dal Padre, procede anche dal Figlio, il Figlio procede solamente dal Padre. Si tratta di distinguere due origini: origine dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio e origine del Figlio dal Padre.

Su questo punto del Logos occorre ascoltare Hegel e San Tommaso, mentre Forte, troppo ostile all’intellettualismo e troppo immerso nell’affettività, rischia di concepire l’amore divino non secondo la sublimità della sua essenza spirituale, ma secondo il calore dell’amore psicologico-emotivo. Ne è traccia anche l’enfasi commossa con la quale egli parla della «sofferenza di Dio» senza precisare che si tratta di una metafora, mentre dal punto di vista metafisico non ha nessun senso.

L’accoglienza dello Spirito

non ci dispensa dal combattere lo spirito maligno

e dall’assoggettare la carne allo spirito.

Lo spirito non è solo quello buono. Esiste anche uno spirito cattivo. Anzi il male e il peccato provengono dallo spirito. Qui Platone non ha colto la verità. Sembra che per lui il nostro spirito sia sostanzialmente buono. La spinta al peccato non verrebbe quindi dal nostro spirito, ma dalle tentazioni e dalle illusioni della sensibilità e della materia. Sembra voler scaricare sulla materia la responsabilità delle nostre azioni, per cui alla fine tutto il problema della virtù e della libertà sarebbe quello di liberarsi dal proprio corpo e dalle sue passioni.  

Ora è vero che San Paolo parla di «opere della carne» (Gal 5, 19) che si oppongono ai frutti dello Spirito. Ma egli qui col termine «carne» non si limita ad elencare vizi carnali o passionali, ma cita anche peccati spirituali, come «idolatrie, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, eresie (airesis), invidie». E potremmo aggiungere: odio, rancore, falsità, finzione, frode, inganno, doppiezza, ipocrisia, superbia, orgoglio, diffamazione, calunnia, infedeltà, disobbedienza, tradimento, crudeltà, ostinazione. L’adirarsi, per Paolo, non è necessariamente peccato, ma è peccato quando non moderiamo o controlliamo la passione, è il prendersela per cose per cui non vale la pena, adirarsi smodatamente o per la difesa di interessi egoistici.

La vita secondo lo Spirito comporta un giusto dominio e un saggio utilizzo delle passioni, in particolare quella dell’ira e quella del sesso. Non si tratta sempre di reprimere, ma anche di moderare, valorizzare ed utilizzare per i fini dello Spirito. Dio è il creatore delle nostre passioni. Le conseguenze del peccato originale ci obbligano in certi casi alla rinuncia. Ma di per sé Dio vuole l’armonia dello spirito con la carne. La sequela dello Spirito ci insegna come restaurare quest’armonia spezzata dal peccato originale e niente affatto impossibile, come credevano Platone ed Origene, che ne è la sua versione cristiana.

Per quanto riguarda l’ira, dobbiamo ricordare, contro chi condanna l’ira in modo assoluto, che esiste un’ira giusta e doverosa per le ingiustizie o finalizzata a scuotere la coscienza del peccatore e a suscitare in lui ravvedimento e  timor di Dio affinchè si penta e si converta.

Anche la giusta ira, quindi, effetto della giustizia e della carità, è opera dello Spirito. In tal senso la Scrittura parla di «ira divina». Un conto è perdere la calma quando occorre mantenerla e un conto è sostituire deliberatamente e a ragion veduta la calma con l’ira, quando la cosa è utile e necessaria appunto per ottenere la pace e la calma.

Un conto è l’agitazione di animo, un conto è l’animo scaldato da una santa passione. Chi non perde mai la calma non è il campione della mitezza, ma è il sornione o l’opportunista che bada ai propri comodi e se ne infischia delle disgrazie del prossimo.  In ogni caso le tendenze al vizio o alla virtù variano da individuo a individuo e sono condizionati da fattori temperamentali bisogni di essere opportunamente educati.

Le passioni vanno regolate come la temperatura dell’ambiente. Non per nulla si parla di temperanza. A nessuno piace una ministra fredda o una che scotta, anche se nutriente. Piace la minestra calda. Così le passioni: non devono soffocare lo spirito col loro eccesso smodato, ma non devono neppure essere assenti facendo mancare allo spirito il necessario supporto emotivo affinchè non manchi il calore della carità.

Non per nulla lo Spirito è simboleggiato dal fuoco, e non dal ghiaccio. Occorre, come dice paradossalmente Hegel, restare quieti nell’inquietudine. Il Papa parla spesso di una sana inquietudine che è necessaria alla carità.  Ci sono circostanze che ci chiedono di abbandonare la calma e la quiete per assumere la passione dell’ira come strumento ed ingrediente della giustizia e metodo educativo di circostanza.

Sdegnarsi per un giusto motivo non vuol dire arrabbiarsi e perdere le staffe. Far giustizia non vuol dire vendicarsi. Giustiziare non vuol dire assassinare. L’uso della forza non è necessariamente violenza e fare la guerra non significa necessariamente essere dei criminali. Si può amare il nemico che si è obbligati ad uccidere. Queste sono tutte opere dello Spirito.

Discorso simile va fatto per l’emotività e il piacere sessuale. Anche nello stato religioso, queste forme emotive non vanno sistematicamente represse, ma moderate ed utilizzate per una vera vita secondo lo Spirito. Dio ha creato tanto il piacere spirituale quanto quello sessuale affinchè assieme, di comune accordo, il primo signore del secondo, il secondo, espressione del primo, realizzino la vita secondo lo Spirito.

Concezioni spiritualistiche che materializzano la vita dello spirito.

 

C’è una via che sembra diritta a qualcuno,

        ma sbocca in sentieri di morte

                                                                                         Pro 14,12

Sbagliano coloro che credono che la realtà o l’essere sia solo spirito e che l’uomo sia spirito. Esistono anche i corpi e la natura umana non è completa senza il corpo. La materia non è il fenomeno, la finitizzazione e la concretizzazione o storicizzazione dello spirito, ma è un’altra realtà, distinta, inferiore e subordinata allo spirito e formata dallo spirito.

Sbagliano coloro che riducono l’essere o la persona o la sostanza alla relazione, per cui parlano di un’«ontologia trinitaria». La considerazione teologica trinitaria è un dato di fede che trascende ed esula dalla considerazione metafisica, che è puramente razionale. Se si vuol parlare di ontologia trinitaria, questo è il trattato della Santissima Trinità, che appartiene alla teologia rivelata o cristiana e non alla metafisica. Oggetto della metafisica è l’essere in quanto essere, non l’essere trinitario, che è l’essere del Dio Trino, oggetto della fede e non della ragione.

Non si può fare la Santissima Trinità oggetto della ragione come se fosse un oggetto della filosofia. La filosofia va usata, ma solo nel modo insegnato dal dogma della Chiesa. Il mistero della Trinità trascende infinitamente i limiti della comprensione razionale anche elevata dalla fede. Ciò non impedisce alla nostra ragione di comprendere qualcosa del mistero mediante i concetti dogmatici, ma comprendiamo solo fino a un certo punto e non oltre. Al di là di questo limite c’è un ignoto per noi, che è noto solo a Dio. Questo limite può essere continuamente ampliato mediante la ricerca teologica e il progresso dogmatico, ma tale limite non può mai essere soppresso per sfociare nell’infinita comprensione, che appartiene solo a Dio.

Altro grave ostacolo alla conoscenza dello spirito è convinzione idealistica, la quale, identificando l’essere con l’essere pensato, si muove in due direzioni: da una parte, manipolare a propria volontà il proprio corpo e la natura esterna, così da ottenere effetti non relativi a finalità oggettive insite nella sostanza materiale, che vengono ignorate o negate, ma finalità stabilite dalla libera volontà dell’uomo; e dall’altra, la convinzione di poter ottenere da un macchina, mediante opportuni artifici tecnici, il sorgere dell’intelligenza, della coscienza, del libero arbitrio e della funzione del linguaggio concettuale.

È il progetto del cosiddetto «transumanesimo», che prevede la costruzione di intelligenze artificiali capaci di farsi guida dell’uomo verso la felicità. Si tratta in realtà di idee demenziali, ma occorre prenderle sul serio e confutarle, perché per opera di abili impostori, stanno abbindolando una massa crescente di persone, con conseguenze prevedibilmente disastrose o tragiche per quanto riguarda la normale e pacifica convivenza umana e la salvaguardia dei valori fondamentali della civiltà.

Fine Prima Parte (1/5)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 13 giugno 2023

Noi non abbiamo nella vita presente un’intuizione intellettuale immediata dello spirito in generale, del nostro spirito, degli altri spiriti e tanto meno dello Spirito Santo, così come abbiamo la conoscenza della natura delle cose materiali, del nostro corpo o degli altri corpi fuori di noi. Abbiamo però la coscienza degli atti del nostro spirito, come il sapere, il pensare, il ragionare, il volere, il decidere. 

E ci accorgiamo dell’esistenza di altri spiriti dal contatto con le altre persone, che ci manifestano di essere animate da uno spirito. Chiedendoci qual è la causa del mondo dello spirito, scopriamo l’esistenza di Dio come Spirito Assoluto. 

Immagine da Internet: Caravaggio


[1] Trinità come storia. Saggio sul Dio cristiano, Edizioni Paoline, Torino, 1985, p.142.

[2] Cf Sum.Theol., I, q.37

1 commento:

  1. Commento di un Lettore:
    "Caro Padre Giovanni,
    nella prima parte dell’articolo “La presenza dello Spirito Santo - Stiamo vivendo l’età dello Spirito Santo inaugurata a Pentecoste” (https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/la-presenza-dello-spirito-santo-stiamo.html), lei ha scritto:
    «È molto importante tener presente che lo Spirito è Spirito d’Amore perchè procede dal Figlio, che è la Verità, mentre procede dal Padre perché questa processione consente di distinguere lo Spirito dal Figlio, dato che mentre il Figlio ha origine dal Padre, lo Spirito ha origine dal Figlio».
    Quest’ultima frase, che ho evidenziato in grassetto, se assunta letteralmente, e in contrapposizione con quella che la precede, non sarebbe propriamente corretta rispetto al dogma, in quanto sembrerebbe escludere che lo Spirito Santo abbia origine dal Padre.
    Mentre invece, come lei mi insegna, sin dal Concilio di Costantinopoli I del 381, il cosiddetto Simbolo Niceno-costantinopolitano recitava:
    «Crediamo […] nello Spirito Santo (che è) il Signore e dà la vita che procede dal Padre […]».
    Dire che lo Spirito Santo procede dal Padre è come dire che ha origine dal Padre.
    Fondamentale sarà poi la riflessione di S. Agostino il quale comprenderà che se lo Spirito procede dal Padre allora procede anche dal Figlio, come scriverà nel De Trinitate:
    […] come il Padre ha in sé stesso anche la proprietà di essere principio della processione dello Spirito Santo, ha dato ugualmente al Figlio di essere principio della processione del medesimo Spirito Santo […] è stato detto che lo Spirito Santo procede dal Padre (cf. Gv 15, 26), perché si intenda che l’essere anche il Figlio principio della processione dello Spirito Santo, proviene al Figlio dal Padre. Se infatti tutto ciò che il Figlio ha, lo riceve dal Padre, riceve anche dal Padre di essere anch’egli principio da cui procede lo Spirito Santo» (De Trinitate XV,26, 47).
    La formula del “procedere a Padre Filioque” verrà sancita nel 589 dal Concilio di Toledo, ma per diversi secoli non sarà estesa anche alla liturgia, preferendosi non modificare la formulazione del Simbolo. Soltanto nel 1014 Papa Benedetto VIII introdurrà nella liturgia il Filioque, cui seguirà il grave scisma delle Chiese Ortodosse.
    In ultimo, vorrei anche ricordare, il Concilio di Lione II del 1274, quello a cui era stato invitato San Tommaso d’Acquino che purtroppo durante il viaggio si ammalò e morì. Questo Concilio stabilì che nell’eterna spirazione dello Spirito, Padre e Figlio, ineffabilmente uniti, agiscono non come due distinti principi ma come da un unico principio.
    Ma tutto ciò lei lo sa meglio di me, dunque sono certo che in quella frase del suo articolo non era sua intenzione negare che lo Spirito abbia origine dal Padre (e quindi anche dal Figlio).
    La ringrazio dell’attenzione
    Un caro saluto
    Bruno V."

    Caro Bruno,
    innanzitutto la ringrazio per le sue delucidazioni, alcune delle quali le confesso che non conoscevo.
    Quello che io intendevo evidenziare era il motivo per il quale si deve distinguere il Figlio dallo Spirito Santo. Gli Orientali si fermano alle diverse appropriazioni, come per esempio la verità per il Figlio e l'amore per lo Spirito Santo, ma la diversità delle appropriazioni non è sufficiente a distinguere le Persone, perchè le appropriazioni sono relative agli attributi propri dell'unica sostanza divina, comune alle Tre Persone divine.
    Allora, come facciamo a distinguere il Figlio dallo Spirito Santo?
    Occorre rifarsi alla differenza di origine e dire che, mentre il Figlio ha origine dal Padre, lo Spirito Santo ha origine dal Figlio, mentre nel contempo ha origine dal Padre.
    Ora, che lo Spirito Santo e il Figlio abbiano origine dal Padre non fa problema né per i Cattolici né per gli Ortodossi. Il problema invece è quello di come distinguere il Figlio dallo Spirito Santo, punto sul quale gli Ortodossi non distinguono a sufficienza, anche se non possiamo dire che siano nell'errore.
    Penserei che questa nostra conversazione venga messa nel blog, per l'utilità dei Lettori.

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