Piccolo compendio di metafisica

 Piccolo compendio di metafisica

Introduzione

La metafisica è la scienza che apre il nostro intelletto alla massima comprensione della realtà, della quale è capace. Essa massimamente allarga la nostra intelligenza nella comprensione della realtà, fino al massimo delle sue forze. Essa è l’opera più perfetta della ragione umana: perfectum opus rationis, come dice S.Tommaso d’Aquino.

Partendo dall’esperienza delle cose di questo mondo, la metafisica conduce il nostro intelletto alle sue radici ed alla sua massima altezza, perché il suo oggetto è l’ente in quanto ente, ossia ciò che esiste, un oggetto che rappresenta ogni cosa e la totalità della realtà, pur nella sua varietà e molteplicità, sicchè il concetto dell’ente è il più universale, diversificato e comprensivo che noi possediamo. Tutti gli altri sono un suo approfondimento o sue suddivisioni o determinazioni.

La nozione dell’ente ci consente di collegare gli enti materiali a quelli spirituali, l’ente mondano all’Ente divino, l’essere col pensiero, l’essere con l’agire, l’essere col divenire, l’uno coi molti, e di vedere la relazione tra l’essere e il non-essere, il vero e il falso, il bene e il male, il bello e il brutto.

La metafisica introduce alla teologia sia quella naturale che quella rivelata, ossia la teologia cristiana. Essa apre la ragione alla fede. Serve a comprendere e approfondire la dottrina di Gesù Cristo e pone i princìpi fondamentali dell’antropologia e della morale. Nelle sue nozioni fondamentali è accessibile a tutti. Come scienza, richiede un’apposita formazione.

Negli insegnamenti di Cristo è possibile pertanto trovare le nozioni più elementari della metafisica, come ho dimostrato nel mio libro Gesù Cristo fondamento del mondo. Inizio, centro e fine ultimo del nostro umanesimo integrale[1].

L’ente e i suoi componenti

Noi ci formiamo questo concetto spontaneamente partendo dall’esperienza degli enti sensibili e accorgendoci a un certo punto dell’entità anche del mondo del sovrasensibile, ossia dello spirito, che costituisce il livello massimo dell’ente, perché è il mondo delle cause prime e dei fini ultimi.

L’ENTE (on) è ciò che ha l’essere in un’essenza; ciò che è in atto d’essere. Ogni cosa è un ente: eppure ogni cosa è diversa dall’altra proprio sotto la ragione di ente. Il che vuol dire che il concetto dell’ente è ad un tempo uno e variato: è ANALOGICO e trascende tutti i generi e le specie, ossia è TRASCENDENTALE.

 Per cogliere il concetto dell’ente, occorre astrarre non solo da ogni ente singolo, ma anche da tutte le specie e da tutti generi. Resta una nozione talmente ampia, duttile e comprensiva, benché imprecisa e indeterminata, la quale, proprio per il suo astrarre da tutto e non essere coartata da nulla, è capace di comprendere tutto ed ogni cosa, nella sua totale singolarità e concretezza.

L’ESSENZA (to ti en einai) è ciò che l’ente è, ciò per cui l’ente è ciò che è. Essa è ciò che il nostro intelletto coglie nell’ente e negli enti. È ciò che affermiamo nella definizione della cosa. L’essenza dal punto di vista logico è necessaria e immutabile: non può non essere ciò che è; ma dal punto di vista ontologico può essere necessaria o contingente, corruttibile o incorruttibile. È ontologicamente necessaria quell’essenza che non può non essere. È ontologicamente contingente quell’essenza che esiste, ma può non esistere.

Potenza ed atto

1. L’essere può essere POTENZA (dynamis) o ATTO (energheia). Poiché esiste l’ente che diviene, esiste il MUTAMENTO (metabolè), Ciò vuol dire che ciò che muta non è in atto, ma in potenza ad essere ciò che sarà in atto.

Occorre inoltre distinguere l’ESSERE ATTO dall’ESSERE IN ATTO. Essere atto è lo stesso essere attuale. Essere in atto è l’atto d’essere dell’ente attualmente esistente, passato dalla possibilità all’attualità.

2. Occorre distinguere l’attuazione del POSSIBILE (dynatòn) dall’attuazione della POTENZA (dynamis). La prima è passaggio dall’ESSERE IDEALE (noetòn) all’ESSERE REALE (pragma); la seconda è passaggio dall’IMPERFETTO (dynatòn) al PERFETTO (autotelès), che ha raggiunto la PERFEZIONE (entelècheia).

La prima è la realizzazione di ciò che non esisteva (to ti me en einai); la seconda è il compimento di ciò che c’era già (to ti en einai). L’ente reale contingente è la realizzazione di un’essenza progettata (idea) dall’essere necessario.

3. Ente in potenza può essere:

a. la MATERIA (yle) del SINOLO (synolon), composto di materia e FORMA (morfè) nelle sostanze materiali.

b. Oppure può essere l’ESSENZA (usìa), attuabile dall’ESSERE (einai) nell’ente contingente composto di essenza ed essere.  Qui l’essenza può essere una pura forma immateriale, ossia lo SPIRITO (eidos, idea, nus).

Ma nell’ente necessario, ente che non può non essere e che quindi esiste per essenza, la sua essenza è il suo stesso essere. Ora, l’atto d’essere può attuare un’essenza da esso distinta. Ma nell’ente necessario l’atto d’essere coincide con la sua stessa essenza, per cui esso è PURO ATTO D’ESSERE SUSSISTENTE senza potenza (essenza o materia) da esso distinta. È quello che San Tommaso chiama ipsum Esse per se susistens. Questo ente è Dio (cf Es 3,14).

Questo vuol dire che mentre l’essenza contingente può perdere il suo essere e il suo essere non è fondato sulla sua essenza, l’ente necessario non la perde, perchè è identico alla sua essenza, è sempre lui.  L’ente contingente suppone un altro da sé (ens ab alio), che lo motivi o ne renda ragione o lo fondi; l’ente necessario è sufficiente a se stesso ed è ragione a se stesso (ens a se).

4. L’ESSERE (einai) è l’atto dell’ente. Lo ricaviamo da ciò che è in atto. Diciamo, per esempio: è in atto un temporale. Bene, con quella parola «atto» noi pensiamo l’essere, l’atto d’essere del temporale.

L’essere è ciò che tutti gli enti posseggono per esistere. Ci accorgiamo di possedere il concetto dell’essere usando il verbo essere, cosa che facciamo spontaneamente fin dall’infanzia.  Questo vuol dire che nessuno c’insegna  che cosa è l’essere, ma lo capiamo da soli. L’essere tuttavia è un mistero che non si finisce mai di approfondire. E questo non vuol dire che non possiamo spiegare agli altri che cosa è l’essere: è il compito della metafisica. Ma allora l’altro non fa altro che prender coscienza di qualcosa che sa già.

5. Il SOGGETTO (ypokèimenon) è ciò che sta sotto e sostiene, il fondamento, è ciò su cui poggia l’essenza e l’essere. Il soggetto sta sotto l’essenza e l’essenza sta sotto l’essere. Il soggetto è la base dell’ente; l’essere è il vertice.  L’essenza è la sostanza insieme con i suoi accidenti.

 Il primo principio della metafisica

1.All’essere si oppone per contraddizione il NON-ESSERE (me on) o NULLA, da cui il principio primo  della metafisica, principio primo, intuitivo ed evidente, e principio di ogni dimostrazione:

a)sotto il profilo dell’essere: il PRINCIPIO D’IDENTITA’: E’ IMPOSSIBILE CHE UN MEDESIMO ENTE (necessario o contingente) SIA E NON SIA SIMULTANEAMENTE SOTTO IL MEDESIMO RAPPORTO (adunaton einai kai me einai). L’ente è identico a se stesso (to autò). Ogni ente è se stesso e non ALTRO (uk allo).

Errato è l’enunciato di questo principio fatta da Severino: «È impossibile che l’essere non sia». Infatti esso ignora l’esistenza dell’ente contingente ed ammette solo l’ente necessario. Infatti l’ente contingente è appunto quell’ente che può non essere.

b) Sotto il profilo del pensare e del dire: il PRINCIPIO DI NON-CONTRADDIZIONE: NON SI PUO’ AFFERMARE E NEGARE SIMULTANEAMENTE DI UNA STESSA COSA LA MEDESIMA COSA.

Dice Aristotele: «è un parlare a vanvera e un discorso vuoto affermare che l’uomo esiste e non esiste» (prosapokriteon kai logos uthenòs faskein o anthropos  estin ama kai uk estin anthropos).

Questo principio corrisponde a quello enunciato da Cristo: «sia il vostro parlare: sì, sì; no, no. Il resto appartiene al diavolo» (Mt 5,37).

Ente necessario ed ente contingente

1.Considerando il rapporto dell’essenza con l’essere, l’ente si divide in ENTE NECESSARIO ed ENTE CONTINGENTE. ENTE NECESSARIO (anankaion) è quell’ente che non può non essere; esiste necessariamente. Necessario è ciò senza di cui qualcos’altro non può esistere. L’ente assolutamente necessario è quello senza il quale tutti gli altri non esisterebbero.

ENTE CONTINGENTE (on katà symbebekòn) è quell’ente che può non essere; esiste accidentalmente. Non ha l’essere per sua essenza, perché ha avuto un inizio, può perderlo, mentre l’essenza resta logicamente la stessa, anche se ontologicamente si corrompe. Per esempio, l’essenza di un’automobile resta logicamente la stessa, anche se l’automobile è mandata in rottamazione.

Il contingente richiede l’esistenza del necessario, perché da sè non esiste, in quanto l’esistenza non dipende dalla sua essenza, ma gli si aggiunge dal di fuori della sua essenza.

Severino, che non ammette l’ente contingente distinto dal necessario, ma lo risolve nel necessario, sostiene che il contingente è l’apparire o lo sparire del necessario. Osservo che l’apparire non è in contraddizione con ciò che appare, ma semplicemente è relazione di conoscibilità dell’apparente con colui al quale l’apparente appare. Ora il contingente si oppone al necessario per contraddizione. E dunque occorre distinguere  l’apparire del necessario dall’apparire del contingente.

Sostanza e accidenti

L’ente contingente è composto di SOSTANZA (usìa) e ACCIDENTI (symbebekòn). SOSTANZA è l’ente in quanto  è ciò che sussiste o esiste in sé e per sé.  Può essere soggetto della forma, degli accidenti, dell’essenza o dell’essere. Oppure può essere una pura forma.

L’ACCIDENTE (symbebekòn) è l’ente accessorio, che sopravviene, che si aggiunge, che esiste nella sostanza o inerisce alla sostanza. Non rappresenta l’intimità dell’ente, come la sostanza, ma l’esterno, la sua periferia o la sua emanazione. Non può esistere per sé o in sè, ma solo nella sostanza. Per esempio, sostanza è il corpo umano. Accidente il colore della pelle. Esso esiste solo nel corpo.

L’accidente può essere contingente o necessario.  È contingente l’accidente che, ci sia o non ci sia, non tocca l’essenza del soggetto, per esempio il fatto che io abbia il calzini bianchi anzichè blu.

Invece l’accidente è necessario, se emana dall’essenza, se è una potenza che serve a completare e a determinare l’essenza. Per esempio, la facoltà di ragionare, nell’uomo,  è un accidente della sostanza umana nel senso che l’uomo non è una ragione sussistente, come credeva Cartesio, ma è un soggetto nel quale esiste la ragione.

L’uomo non E’ una ragione, ma HA la ragione. Eppure la ragione gli è essenziale e necessaria; caratterizza ciò che la natura umana ha di specifico; sarebbe infatti inconcepibile un uomo che non fosse dotato della facoltà, magari inattuata,  di ragionare.

Aristotele chiama «accidentale» (katà symbebekòn) l’ente contingente, non perché lo identifichi con l’accidente. Il contingente, infatti, può essere anche una sostanza, ma perché il suo essere non gli è essenziale, come nell’ente necessario. Anche un ente necessario può essere per altro verso contingente. È necessario che la mia anima sia immortale; ma non é necessario che esista la mia anima.

L’essere del contingente non è un accidente dell’ente; al contrario, è il suo essere sostanziale; solo che questo essere sostanziale, senza il quale l’ente non esisterebbe, non è essenziale o necessario alla sua essenza, la quale esiste, almeno come possibile, anche se non avesse il suo essere. Invece l’essere del contingente è accidentale, nel senso che il contingente esiste accidentalmente, non necessariamente.

Gli capita di esistere, mentre avrebbe potuto anche non esistere. Questo non vuol dire che esista per caso. Tutt’altro. La sua esistenza ha una causa ben precisa: è l’essere assolutamente necessario, al quale essa di necessità rimanda: altrimenti non esisterebbe.

Materia e forma

L’ente o è composto di MATERIA (yle) e FORMA (morfè) o è pura forma, FORMA SEPARATA (usìa coristé), separata, s’intende, dalla materia, ossia forma immateriale.

Occorre distinguere la materia come materia dalla materia sensibile. La prima è la MATERIA PRIMA (prote yle), ossia L’ENTE COME POTENZA (dynamis) di avere una FORMA (morfè).  La materia prima non può esistere da sola senza la forma. Quindi noi non conosciamo direttamente la materia prima, ma ne deduciamo l’esistenza per spiegare la TRASFORMAZIONE SOSTANZIALE (metamorfosis katà usìan), ossia che un medesimo soggetto cambia forma restando se stesso. Per esempio la materia della mela si trasforma nella carne di chi la mangia.

Invece la MATERIA SECONDA (deutera yle) è quella, della quale abbiamo esperienza sensibile, in quanto materia formata, ossia sinolo di materia e forma. La materia prima è oggetto della metafisica; la materia seconda è oggetto della fisica.

Il SINOLO (synolon) è la  sostanza materiale, composta di materia e forma. La forma attua la materia, che è in potenza alla forma.  Un medesimo soggetto, cioè una medesima materia può avere diverse forme. Una medesima forma può soggettarsi in diverse materie.

L’ENTE COME FORMA (morfè, eidos, idea) o è l’ente che informa o dà forma alla materia per formare il sinolo, oppure può essere pura forma sussistente per conto proprio.  È la sostanza spirituale, che Aristotele chiama, come si è detto, FORMA SEPARATA (usìa coristé), s’intende separata dalla materia, perché indipendente dalla materia. È quella che la Bibbia chiama in ebraico rùach, in greco  pneuma, in latino spiritus, in italiano spirito.

Essere e pensare

Per Aristotele lo spirito è l’anima (psychè) o intelletto (nus), che è il principio del pensiero (nòesis), della ragione (logos) e della volontà (bùlesis). Il pensiero è ciò per cui l’intelletto o l’anima, nel pensare, si assimila immaterialmente a tutte le cose. Per cui l’ente appare all’intelletto come vero. Da qui la convertibilità dell’ente col vero e la nozione della VERITA’ (alètheia) come adeguazione del pensiero (concetto)  al reale o adeguazione del reale al pensiero (idea).  L’ente si distingue così in ente come ente ed ente come VERO (alethès).

Il PENSARE (noèin) è atto dello spirito o della PERSONA (tode ti), distinto dall’ESSERE (einai). Essi s’identificano solo  nell’ente assolutamente necessario, il quale pertanto è PENSIERO DEL PENSIERO, pensiero che pensa se stesso (nòesis noèseos).

Severino, che ammette solo l’esistenza del necessario, nel quale e solo nel quale il pensare s’identifica con l’essere, dice conseguentemente che non si dà distinzione fra essere e pensare, dato che tale distinzione riguarda il pensare umano, che è contingente. In tal modo identifica il pensare umano con quello dell’ente necessario.

Infatti nell’ente contingente il pensare è originariamente POTENZA DI PENSARE, la quale passa all’atto solo quando si offre un oggetto da pensare. Solo nell’ente necessario il pensare è PENSARE IN ATTO, appunto perché il pensante, essendo necessario, non può non pensare il necessario, cioè se stesso.

Dal che si vede l’assurdità della concezione cartesiana dell’uomo, ente contingente, concepito come ente pensante se stesso (res cogitans), quando questo conviene solo all’ente assolutamente necessario. Non è che io sono perché penso, ma penso perchè sono, benché sia vero che, se penso, è segno che sono.

L’ente è causa e fine

1.L’ente è CAUSA (aitìa), ossia AGISCE (praxis) e PRODUCE (poiesis e tecne) per un FINE (telos). Esso quindi è BUONO (agathòn), in quanto causa il bene nell’altro da sé e attrae a sé l’altro da sè.

L’ente contingente, che HA L’ESSERE PER PATECIPAZIONE (mèthexis) è causato dall’ente necessario, che E’ L’ESSERE PER ESSENZA (kath’autò).

2. L’ente MUOVE (kinei) l’ente. L’ente contingente muove ed è mosso. Ma per spiegare l’esistenza del movente mosso, occorre ammettere l’esistenza di un ente necessario, MOTORE NON MOSSO ossia IMMOBILE (kinùn akìneton).

L’Essere di Severino non agisce

Severino, che riconosce solo l’ente necessario, nega in nome del principio di non-contraddizione così come lo formula lui («è impossibile che l’essere non sia»), l’esistenza del divenire o del mutare dell’ente contingente, considerandolo contradditorio. E di fatti è contradditorio pensare che il necessario muti.

Ma in contraddizione ci casca proprio lui, negando l’esistenza del divenire, giacchè esso esiste (contra factum non valet argumentum) ed essendo ente in potenza, possiede una sua identità, negata la quale, si offende il principio d’identità e si cade in contraddizione.

Il fatto è che Severino non si è mai curato di fare, come fece Aristotele, una seria analisi metafisica del divenire, giudicandolo con mentalità parmenidea un qualcosa di irrazionale. Da qui la sua concezione statica dell’essere, privo del suo naturale dinamismo,  quasi fosse un semplice principio logico-matematico. Per questo egli non riesce a spiegare l’agire, il causare e la PRODUTTIVITA’ (ghenesis) dell’essere necessario, il quale rende ragione dell’esistenza del contingente creandolo dal nulla.

Così Severino fraintende completamente il concetto di creazione inteso, per dirla con S.Tommaso, come productio totius entis ex nihilo, perché gli sembra contradditorio e nichilista, in quanto, secondo lui, affermerebbe («productio entis») e negherebbe («ex nihilo») l’essere; e non si accorge che contraddizione ci sarebbe se si affermasse e negasse simultaneamente l’essere e il non-essere. Invece il concetto di creazione dice essere dopo il non-essere, ossia passaggio dal possibile o dall’ideale al reale: e in ciò non c’è alcuna contraddizione. Così Cristo parla di un «prima» e un dopo la creazione del mondo (cf Gv 17, 5.24).

Bene e male

Al bene si oppone il male. Il MALE (kakòn) è privazione o mancanza (steresis)  di un bene dovuto ad un soggetto adatto. Il bene può essere assoluto e necessario, quindi incorruttibile. II male invece non è necessario, ma contingente. Esiste per violenza e non per diritto o per ragione. Ma siccome il male è contingente, non necessario ed è irragionevole, è rimediabile ed eliminabile.

Il male non è prodotto di per sé, intenzionalmente, ma accidentalmente, in quanto l’agente malvagio, che deve possedere il LIBERO ARBITRIO (eleutherìa) di per sé non può non volere un bene in generale, perchè la VOLONTA’ (bulè) non può avere per oggetto un non-essere, qual è la privazione, che è l’essenza del male.

Questo non vuol dire che non esista un’azione essenzialmente e INTENZIONALMENTE (bùlesis) malvagia, e che ogni azione sia malvagia solo accidentalmente. Ciò infatti toglierebbe la colpa e la responsabilità ad ogni male che vien fatto. Al contrario, l’intenzione maligna o il fare il male consiste nel  volere deliberato o un falso bene o un bene disordinato.

Il male nell’ontologia severiniana

Nella metafisica di Severino, dato che esiste solo l’essere necessario, nei confronti della questione del male si possono assumere due interpretazioni: una dice che siccome il necessario è il bene assoluto, e tutto è necessario ed eterno, il male del mondo non è distinto dall’Assoluto, ma s’identifica con l’Assoluto.

Il male dunque sembra male all’occhio limitato dell’uomo, ma dal punto di vista dell’Assoluto ovvero dell’Essere, il male è bene, il male è necessario. Non esiste azione buona e azione cattiva, se non per il limitato criterio umano, ma tutto è buono dal punto di vista dell’Essere. Non ha senso, quindi, voler eliminare il peccato. Quello che l’uomo, nel suo limite intellettuale, chiama «peccato», è bene in quanto determinato dall’Essere.

Così pure per quanto riguarda il problema della sofferenza, anch’essa è un eterno come la gioia, e quindi lo stesso Eterno necessario gioisce e patisce. Quindi il voler eliminare la sofferenza non ha senso dal punto di vista dell’Essere, perché l’Essere stesso è Gioia e Dolore eterni. Insomma da questo punto di vista tutto va bene così com’è, perché l’Essere è per essenza Bene, nonostante le apparenze contrarie all’occhio umano.  

Insomma, per Severino tutto è necessariamente connesso. Tutto è Uno non nel senso di una comunione di enti sotto un medesimo Principio, salvando la diversità degli enti fra di loro, ma proprio nel senso che ogni ente si dissolve e scompare nell’Essere, perché per Severino non ci sono molti enti, in senso analogico, distinti dall’Essere, ma un unico Essere. Esiste un solo Essere univoco, del quale gli enti non sono effetti prodotti dall’Essere, ma solo apparizioni e sparizioni successive ed eterne dell’unico Essere. Per questo, se dovesse venire meno una parte infinitesimale del Tutto, il Tutto scomparirebbe, cosa impossibile, altrimenti il Tutto non sarebbe necessario.

L’altra interpretazione è che, volendo umanamente opporre il bene al male, come fa la mente umana, si può dire che anche il male è nell’Essere ed è apparizione dell’Essere. Ma l’opposizione bene-male vale solo allo sguardo umano.

Secondo Severino l’Essere trascende questa opposizione relativa all’uomo, per cui  ha in sé sia il bene che il male, i quali in lui si identificano, secondo una coincidentia oppositorum di cusaniana memoria o di sapore hegeliano, e secondo una inesorabile reciprocità ciclica eterna, sul modello della svastica, che Severino, riecheggiando Nietzsche, chiama «anello del ritorno» .

P.Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 18 febbraio 2021

 Video: https://youtu.be/5MxMcwSuBTs

 

 

 

 

 

 

Platone e Aristotele

Immagini da internet



[1] Edizioni L’Isola di Patmos. Roma 2019.

Nessun commento:

Posta un commento

I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.