Il casto
matrimonio fra Giuseppe e Maria
Ritroviamo
il valore del matrimonio
Un bisogno del nostro tempo è la
rivalutazione del matrimonio cristiano non solo in riferimento alla condizione
presente della natura umana decaduta e redenta, ma allargando lo sguardo, come fece
S.Giovanni Paolo II nelle sue catechesi sul matrimonio, alle condizioni proto
logiche e a quelle escatologiche della coppia umana.
Solo così infatti appare in tutta la sua
grandezza e bellezza la dignità della sessualità umana, liberata dagli opposti
estremi del lassismo e del rigorismo, nei quali si cade inevitabilmente, se lo
sguardo è limitato solo alle miserie ed alle illusioni della vita presente. Si
oscilla infatti tra l’origenismo che frustra la sessualità e il freudismo che
ne fa idolo. Tra una castità soffocante e una lussuria legalizzata. Oltre a ciò
queste due forze contrarie si provocano a vicenda in una dialettica maledetta e
straziante, fonte di neurosi e di bestialità.
La Chiesa continua maternamente ad offrirci la
verità sul matrimonio e sempre siamo invitati ad accogliere i suoi insegnamenti
per uscire da questo satanismo sessuale, nel quale ci siamo cacciati. Fondamentale
in quest’opera di risanamento intellettuale e morale circa il valore del
matrimonio è per noi credenti il rifermento al matrimonio di S.Giuseppe e della
Madonna.
Cominciamo dunque col dire che secondo il
magistero attuale della Chiesa l’unione sessuale coniugale è espressione del
reciproco amore fra gli sposi ed incrementa il loro amore, conformemente alla
volontà divina genesiaca che uomo e donna siano «una sola carne» (Gen 2,24).
Eppure, come chiarisce S.Tommaso[1],
l’unione fra Giuseppe e Maria fu un vero matrimonio, nonostante la loro astinenza
sessuale.
Infatti, S.Tommaso, per spiegare questo
fatto, prende le mosse dal fatto che in una cosa può esserci una duplice
perfezione: l’essere e l’agire; e chiarisce dicendo che la perfezione
sostanziale ed essenziale di una cosa non comporta necessariamente l’agire o il
produrre, ma può risolversi semplicemente nel suo essere. Egli poi applica
questa distinzione al caso del matrimonio. Leggiamo le sue parole:
«Duplice è
la perfezione di una cosa: la prima e la seconda. La prima perfezione consiste
senza dubbio nella stessa forma, dalla quale sortisce la sua specie; la seconda
perfezione, invece, consiste nell’operazione, per mezzo della quale la cosa raggiunge
in qualche modo il suo fine. Ora, la forma del matrimonio consiste in una certa
indivisibile congiunzione di animi, per la quale l’uno dei coniugi è tenuto a mantenere
indivisibilmente la fedeltà all’altro.
Invece il fine
del matrimonio è la generazione e l’educazione della prole; alla prima delle quali
si perviene per mezzo dell’unione sessuale; alla seconda si accede per mezzo
delle opere del marito e della moglie, con le quali essi collaborano tra di loro
nel nutrimento della prole.
Così dunque bisogna
dire che, per quanto riguarda la prima perfezione, il matrimonio fra Giuseppe e
Maria fu assolutamente vero, perché entrambi acconsentirono (consensit) all’unione sessuale, non
espressamente, ma sotto condizione, cioè
se a Dio fosse piaciuto. Per questo l’Angelo chiama Maria sposa di Giuseppe, dicendo
a Giuseppe: «Non temere di prendere Maria come tua sposa» (Mt 1,20). Commentando
questo passo, Agostino nel suo libro Sulle
nozze e la concupiscenza, dice: «Si dice coniuge[2]
in base alla prima fede coniugale, che non avrebbe confermato con l’unione
sessuale, né l’avrebbe confermata»[3].
Quanto invece
alla seconda perfezione, che avviene con l’atto coniugale, se facciamo riferimento
all’unione sessuale, il loro non fu un matrimonio consumato, per cui si genera
la prole. Perciò dice S.Ambrogio: «non far caso al fatto che la Scrittura chiami
Maria “coniuge”. Infatti la celebrazione delle nozze non significa la fine
della verginità, ma la testimonianza del coniugio»[4]
.
Da queste parole di S.Tommaso risulta che il
matrimonio è essenzialmente un’unione spirituale indissolubile esclusiva tra un
uomo e una donna, che non necessariamente si esprime nell’unione sessuale,
benché ordinariamente il fine specifico del matrimonio sia la generazione e
l’educazione della prole. Sicchè, si può dire che se si dà una legittima generazione
ed educazione della prole, vuol dire che c’è il matrimonio: ma non vale l’inverso;
si può dare un matrimonio valido e santo, come quello di Giuseppe e Maria, che
per motivi superiori, viene vissuto in un’astinenza sessuale[5],
molto simile a quella che per i Religiosi è il voto di castità.
Occorre tuttavia chiarire bene il significato
della verginità di Maria e Giuseppe, perchè essa, come è evidente, non appartiene al matrimonio comune, ma ad un
matrimonio specialissimo, più unico che raro, che, a parte i casi rarissimi di
matrimoni vergini, in quanto vergine,
non è proposto dalla Chiesa a modello del matrimonio comune. Anzi la
teologia morale vede bene anche l’unione sessuale dei coniugi anziani non generativi,
per il fatto che l’unione sessuale è comunque in loro espressione ed incremento
del loro amore, anche se non è generativa, ed è precorrimento dell’unione
d’amore escatologica.
A tal riguardo, forse qui non stona un
riferimento alla questione dei divorziati risposati, per quanto un argomento così
profano e imbarazzante possa apparire in contrasto trattando un tema così sublime
come il matrimonio fra Giuseppe e Maria. Ma dobbiamo ricordare che la massima misericordia
è fatta apposta per risollevare dalla massima miseria. Nella Familiaris consortio S.Giovanni Paolo II
dice che i divorziati risposati sono ammessi ai sacramenti a patto che vivano
come fratello e sorella. L’Amoris
Laetitia di Papa Francesco conferma questo insegnamento, ma mostra maggior realismo.
Abbiamo visto che una convivenza di coppia sessualmente
astinente per motivi ascetici è un dono rarissimo dello Spirito Santo. Ci
possiamo chiedere come possa vivere così una coppia che presumibilmente non dispone
di una grazia tanto sublime. Ciò naturalmente non vuol dire, come hanno frainteso
alcuni, che dunque il Papa attuale dia il permesso della Comunione alle coppie
che hanno rapporti sessuali. La famosa nota 351, infatti, non dà alcun permesso effettivo ed in vigore, ma accenna solo ad un’ipotesi
di permesso. Per cui resta valido il disposto n.84 della Familiaris consortio di S.Giovanni Paolo
II, che esclude i divorziati risposati dai sacramenti.
Perché la
verginità di Giuseppe e Maria
La verginità di Giuseppe è scelta conseguente
alla verginità di Maria. Ma c’è una grande differenza tra i due tipi di
verginità, perché mentre la verginità di Maria ha un fondamento teologico,
quella di Giuseppe ha un fondamento ascetico. Spieghiamoci. Maria è sposa di
Dio, il Quale è purissimo Spirito asessuato. Dunque nella sponsalità di Maria
non può entrare l’esercizio del suo sesso. Il Figlio di Dio incarnato non nasce
dunque da un’unione sessuale, ma per opera dello Spirito Santo. D’altra parte,
la condizione della natura umana di Maria è quella dello stato d’innocenza, nel
quale non esisteva la ribellione della carne allo spirito, per cui non era
necessario, al fine di assicurare la libertà dello spirito, rinunciare
all’attività sessuale, come è prescritto dal voto di castità.
Quindi la Madonna, avendo un pieno dominio
del suo spirito sul suo sesso, non aveva nessun bisogno di far voto di castità,
come non ne avevano bisogno Adamo ed Eva nel paradiso terrestre. Ella tuttavia
volle restare vergine perché, in quanto piena di grazia, e desiderosa, come
Immacolata Concezione, di un’unione con Dio più di ogni altra donna, ecco
perchè «benedetta fra le donne», si accorse che questa unione con Dio richiedeva,
per il motivo detto sopra, la verginità, senza però lontanamente sospettare di
attirare talmente su di sé lo sguardo di Dio e di trovar tanta grazia presso di
Lui, che l’ha voluta sua sposa, madre del suo Figlio incarnato.
Quanto a Giuseppe, viveva nello stato di
natura decaduta conseguente al peccato originale, per cui egli accettò la
verginità secondo quella funzione che essa svolge nello stato di natura
decaduta, come freno alla concupiscenza ed aiuto alla natura redenta a liberarsi
progressivamente dalle conseguenze della natura decaduta e dalla ribellione della
carne, onde sostituire progressivamente, con la grazia del battesimo, le energie
dell’uomo nuovo della resurrezione alle forze corrotte dell’uomo vecchio mortificato
dalla pratica delle virtù.
Che poi Maria non immaginasse o non si aspettasse
minimante di poter diventare Madre di Dio, è testimoniato dal fatto che si era
normalmente fidanzata con un giovane che le piaceva, Giuseppe, come qualunque
ragazza di questo mondo. Ed è su questo punto che Maria e Giuseppe possono
essere d’esempio per fidanzati. Ecco però la cosa sorprendente in lei: che ebbe
da Dio l’idea di fare il proposito di restare vergine, come emerge chiaramente dalle
parole che rivolge all’Angelo: «non conosco uomo» (Lc 1,34).
Quindi la inaudita volontà di unire il
matrimonio con un’unione così intima con Dio, tale da richiedere la verginità.
Ma era già d’accordo con Giuseppe? È possibile, perché non è pensabile che due fidanzati
che si amano lealmente non siano d’accordo nel progettare la loro vita da sposi,
tanto più se si trattava, come risulta dal proposto di Maria, di un matrimonio
così eccezionale ed anzi inaudito.
Quello che invece non era affatto atteso o in
programma nei due fidanzati era che Maria potesse diventare Madre di Dio.
Difficile sapere per quale motivo Maria non rivela a Giuseppe l’incontro con
l’Angelo e lascia che Giuseppe addirittura giunga al punto di meditare di rimandarla,
avendo scoperto, immaginiamo con quale angoscia e sdegno, che Maria era incinta.
C’è voluta addirittura una rivelazione angelica, perché Giuseppe conoscesse, ed
immaginiamo con quale sollievo e sorpresa, la verità. Forse Maria pensò che se
avesse detto a Giuseppe la cosa, non le avrebbe creduto. Ella preferì essere giudicata
male piuttosto che apparire un’esaltata raccontando fatti incredibili.
Un aspetto del matrimonio fra Giuseppe e
Maria da proporre alla nostra imitazione è certamente la complementarità
reciproca tra gli sposi nel comune impegno della cura del Figlio Gesù. Non
possiamo immaginare nella coppia quella triste eredità del peccato originale
che porta l’uomo a dominare sulla donna e la donna a sedurre l’uomo, anche se
indubbiamente gli sposi dovettero adattarsi ai costumi del tempo, che
prevedevano per la donna una limitatissima attività sociale, per lo più
all’interno della famiglia e certi riti umilianti, come per esempio la
cosiddetta «purificazione», un lungo periodo di giorni dopo il parto, come se
partorire fosse una cosa impura.
I frutti del
matrimonio
Esemplare nell’unione di Giuseppe con Maria è
il fatto che essi hanno accettato la loro unione, con le gioie e le sofferenze
che ha comportato, come un dono di Dio e come volontà divina («ciò che Dio ha
unito»), senza che ciò abbia affatto escluso, ma anzi ha comportato l’essersi
vicendevolmente e liberamente scelti sulla base di un’onesta attrazione fisica e spirituale,
che era appunto il segno della volontà di Dio.
Esemplare per noi in questa coppia è la sua costante
unione con Dio mediante una comunione quotidiana, intima, fervente e confidente
con Gesù Cristo. Per noi ciò concretamente significa la vita sacramentale, la
comunione con la Chiesa e i suoi pastori, la pratica dei divini comandamenti e
delle opere buone, tenendo presente che come ogni coppia, sull’esempio della
coppia di Nazaret, ha una sua concreta,
particolare ed irripetibile forma voluta da Dio, diversa da coppia a coppia,
così, insieme a questa forma, ogni coppia riceve da Dio una corrispondente speciale
missione a servizio del mondo e della Chiesa.
Per quanto riguarda il bene della prole, è
evidente che la coppia di Nazaret è per noi ispiratrice e modello, anche se
dobbiamo fare gli opportuni adattamenti mettendo da parte ciò che le appartiene
in esclusiva, che per noi è solo oggetto di ammirazione e di venerazione. I
privilegi della coppia di Nazaret costituiscono forze divine, alle quali dobbiamo chiedere la loro intercessione.
Diciamo dunque alcune cose su questo argomento.
Innanzitutto non dobbiamo sentirci distante la
coppia di Nazaret per il fatto che abbia avuto un unico figlio. Basta che ci
chiediamo chi è quest’unico Figlio.
In tal modo anche le famiglie numerose possono trarre esempio dalla Famiglia di
Nazaret, benché Giuseppe e Maria avessero un unico Figlio. Ma dobbiamo considerare
l’intensa vita sociale delle famiglie d’allora e nei piccoli villaggi, per cui
esse mettevano in comune e quasi si scambiavano i loro figli, i quali fin da
piccoli si abituavano ad una forte socialità, mentre i genitori accoglievano anche
figli di altri genitori. Così certamente Gesù fanciullo deve aver fraternizzato
con fanciulli della sua età, figli di parenti ed amici dei suoi genitori,
benchè quasi nulla sappiamo della sua fanciullezza, che ci viene narrata dai
Vangeli apocrifi, ma con poca attendibilità, altrimenti sarebbero stati
inseriti nel Canone.
In secondo luogo, dobbiamo sì tener presente
che Gesù non aveva fratelli o sorelle, se non nel senso semitico di cugini di
primo e secondo grado. Tuttavia dobbiamo anche tener presente la personalità di
Gesù. C’è infatti da pensare che, in quanto Verbo incarnato, la sua personalità
umana fosse di una tale ricchezza da apparire in qualche modo molteplice, come
avviene nelle più grandi personalità della storia, essendo Egli il Creatore di
tutti gli uomini. Dunque, avere a che fare con Gesù, per i suoi genitori,
doveva essere un’esperienza straordinaria, come se dovessero avere a che fare
con a una molteplicità di figli.
La coppia
di Nazaret ci è modello anche per quanto riguarda la missione educativa dei
genitori, benché anche qui dobbiamo fare delle differenze. È chiaro che Gesù,
in quanto Figlio di Dio, possedeva un’umanità la quale, salva la sua
determinatezza come individuo particolare della specie umana, in forza
dell’unione ipostatica, era assolutamente innocente e dotata di una somma
scienza e virtù infuse, benché, come ogni essere umano, traesse il suo sapere
dall’esperienza sensibile e dall’apprendimento, sapere e virtù che erano
soggetti a progresso (Lc 2,40 e 51), e fosse soggetta ai bisogni fisici, alla
sofferenza e alla morte.
Che parte hanno svolto Giuseppe e Maria nei
confronti di un Figlio così eccezionale? Sono stati all’altezza del loro compito?
Come hanno impostato la loro opera educativa? Hanno compreso sin dall’inizio la
sua identità divina o hanno capito solo un po’ per volta e mai esaustivamente
la grandezza paradossale del Mistero di questo Figlio?
L’unico episodio narrato dai Vangeli che ci
fa un po’di luce è la famosa tridua permanenza di Gesù tra i dottori nel
tempio, dove si vede come Maria non aveva ancora compreso pienamente chi era suo
Figlio, se ella, rivolgendosi a Gesù, arriva a chiamare Giuseppe «tuo padre»
(Lc 2,48), mentre ella ben sapeva che non lo aveva avuto da un’unione con
Giuseppe, ma da un intervento dello Spirito Santo.
Questo episodio è d’insegnamento anche per i
genitori comuni, in quanto ricorda loro che in ogni figlio si cela un mistero
divino, una divina chiamata, dei quali forse al momento neppure lui è consapevole,
ma che sta al genitore scoprire gradualmente e favorire, senza quindi imporre
al figlio un piano precostituito, per quanto bello possa sembrare ai genitori.
Eppure, anche Gesù, come ogni fanciullo su
questa terra ed anche da adulto, benchè dotato della scienza infusa e della stessa
visione beatifica[6], passava
dal non sapere al sapere, come è testimoniato da molti episodi del Vangelo, nei
quali Gesù fa delle domande per essere informato[7].
Il non sapere di Gesù, detto propriamente «nescienza», non va confuso con
l’ignoranza come pena del peccato originale, ossia come l’ignorare cose che si
dovrebbero sapere, ma si tratta della naturale assenza di contenuti della mente
che non ha cominciato a conoscere una data cosa conoscibile o per esperienza o
per apprendimento o per ragionamento. Come è noto, Aristotele paragona questa mente
vuota di contenuto ad una «tavoletta, nella quale nulla è scritto», la famosa tabula rasa.
Maria e Giuseppe – e in ciò sono di esempio a
tutti i genitori - hanno dunque gradatamente istruito Gesù sin dalla più tenera
infanzia insegnandogli a parlare e a leggere la Scrittura, nonché le nozioni e le
norme della Legge del Signore, le buone abitudini e le virtù, gli usi della casa
e della convivenza sociale, la frequenza al Tempio e la preghiera, mentre
Giuseppe gli ha insegnato il mestiere del falegname non immaginando ciò che Gesù
avrebbe detto e fatto come Figlio di Dio, anche se certamente Gesù fin dalla
tenera età ha mandato qualche bagliore della sua divinità ed ha compiuto opere
di carità, che hanno stupito la gente.
Invece, i genitori di Gesù, a differenza di
quelli di ogni altro figlio di questo mondo, esclusa la Madonna, sono stati
dispensati da un altro grave obbligo, che vincola tutti i genitori di questa
terra e cioè quello di correggere i figli nelle loro cattive inclinazioni, col
soccorso di quella grazia che ci viene appunto da Gesù Cristo.
P.Giovanni Cavalcoli,OP
Varazze, 20 marzo 2019
Articolo pubblicato il 23 marzo 2019 :
[1] Summa Theologiae, III, q.29, a.2.
[2] Si riferisce alla Madonna.
[3] L.I, cap.11, PL 44, 420.
[4] Commento a Lc 1,27, libro II, PL 15,1635.
[5] Il matrimonio vergine
sull’esempio di Giuseppe e Maria è un dono rarissimo, come sono tutti i doni
più preziosi dello Spirito Santo. Di esso hanno fruito alcune coppie sante,
come per esempio S.Enrico II Imperatore di Germania e S.Cunegonda nel sec.XI. Probabilmente
è un dono del quale hanno fruito anche i coniugi Jacques e Raissa Maritain,
benchè essi non ne parlino mai neppure in via di principio. Ma il fatto di non
aver avuto figli, conducendo una vita morale vissuta assieme per 50 anni,
fecondissima di pregevoli opere letterarie, teologiche e filosofiche di fama
mondiale, è un indizio certo di tal fatto che ha del prodigioso.
[6] S.Tommaso, Summa Theologiae, III, q.9, art.2 e
q.10, art.1.
[7] Per es. quando chiede dove era
stato posto Lazzaro (Gv 11, 34) o quando interroga i due discepoli di Emmaus
(Lc 24,17) o quando interroga Pilato (Gv 18, 34).
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