Ci stiamo smarrendo - Il caso del Gesuita Paolo Gamberini - Prima Parte (1/2)

 Ci stiamo smarrendo

Il caso del Gesuita Paolo Gamberini

Prima Parte (1/2)

 

           Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai in una selva oscura,

            chè la diritta via era smarrita

Dante, Inferno, Canto I,v.1

Un mio amico mi ha inviato con richiesta di un parere il testo* di un articolo del Gesuita Paolo Gamberini dal titolo Aggiornare Dio, pubblicato su Rocca n.14 del 15 luglio dell’anno scorso.

*  https://www.alzogliocchiversoilcielo.com/2023/02/paolo-gamberini-aggiornare-dio.html  (riportato dal blog AlzogliOcchiversoilCielo).

Si tratta della proposta di un nuovo concetto di Dio adatto ai nostri tempi. Ho ovviato alla richiesta dell’amico dividendo in brani lo scritto del Gamberini. A ciascuno di essi faccio le mie obiezioni. E secondo questa impostazione voglio presentarlo anche ai Lettori, pensando che lo trovino interessante.

 

Dice Padre Paolo Gamberini:

 

«Il titolo del mio nuovo libro Deus. DuepuntoZero. 2.0 suggerisce un aggiornamento, un update, del concetto di Dio. Il sottotitolo al libro è ripensare la fede nel post-teismo. 

 

Il testo è nato da una serie di incontri di un Seminario Online (Deus dp: dopo la pandemia) offerto durante l’anno della pandemia, cioè dall’ottobre 2020 al giugno 2021. Durante le sedute di questo seminario è emersa sempre più l’esigenza di offrire anche a coloro che non avevano partecipato al Seminario quanto avevamo vissuto: cioè, come lentamente si stava maturando la necessità di passare ad una nuova concezione di Dio. Allo stesso tempo orientarsi ad una concezione aggiornata di Dio che fosse in continuità con ciò che il deposito della fede, il kerygma, ci testimonia, senza chiudersi alle innovazioni che provengono dalle scienze in particolare, la biologia, la fisica quantistica, le neuroscienze, così come dalla sapienza delle altre tradizioni religiose. 

 

Come dice Papa Francesco, questo è un tempo che esige una trasformazione nel modo di pensare e vivere la religione. La coscienza di fede delle nuove generazioni risulta essere sempre più secolarizzata, come se Dio non esistesse più; è una generazione agnostica, indifferente. Da qui nasce l’urgenza di come e quale Dio annunciare in questo tempo e società postsecolare. È interessante che nel frattempo – in questa società post-secolare – la mistica e le recenti scoperte scientifiche in fisica quantistica e neuroscienze, per esempio, stanno dischiudendo una visione della realtà che nel suo più profondo è compresa come connessa. Questa visione della realtà «inter-connessa» non è solo proposta da molti teorici della fisica quantistica, ma è sempre stata anche la visione mistica delle grandi religioni. A fondo e nel profondo, tutta la realtà è inter-connessa e satura di consapevolezza». 

 

Padre Giovanni Cavalcoli

Mia osservazione generale. In Gamberini non c’è nessun nuovo concetto di Dio, ma un concetto vecchio e per giunta sbagliato. Chiunque conosca la storia della filosofia può rendersene conto. Vediamo dunque dove sta l’errore. Così prosegue il testo di Gamberini:

 

Dio non è separato dal mondo 

 

1. A differenza dell’ateismo del XIX e XX secolo, il post-teismo non rifiuta ogni tipo di trascendenza, ma solo quella trascendenza in cui Dio viene concepito come «separato dal mondo», «intervenendo» di volta in volta con qualche rivelazione soprannaturale e azione miracolosa. Così il teismo ha pensato gli eventi fondativi dell’Esodo e della risurrezione di Gesù di Nazareth: interventi divini dall’alto, dall’esterno del cosmo, così interrompendo le leggi della natura, per salvare il mondo dalla morte. 

Obiezione – Dio, benché a contatto con ogni cosa in quanto suo Creatore, è effettivamente non solo distinto, ma separato dal mondo, senza per questo mancare di comunicare con esso. Tuttavia tra Dio e il mondo esiste un dislivello ontologico infinito: Dio è l’”Altissimo” (ebr. El-eliòn), Ente infinito, infinitamente superiore e trascendente il mondo nella sua finitezza.

Gli interventi straordinari di Dio nel mondo non sono fantasia, ma realtà. Sono effettivamente gli interventi miracolosi e rivelativi, registrati ed attestati dalla storia e da innumerevoli testimonianze irrefragabili. Essi non disturbano affatto il regolare corso della natura e il funzionamento delle sue leggi, volute ed azionate da Dio stesso, ma ne aumentano o riparano meravigliosamente le forze, come effetti soprannaturali della sua benevola e misericordiosa onnipotenza a beneficio e salvezza dell’uomo, come segni della credibilità di quanto Egli si compiace di rivelargli per renderlo figlio di Dio.

Il teismo come lo presenta Gamberini, è l’ammissione dell’esistenza di Dio come creatore del mondo, quindi Dio inteso come sostanza spirituale infinita distinta dal mondo come insieme di sostanze corporali e spirituali. Egli propone un «post-teismo», che non è altro, come vedremo, che la concezione spinozista di Dio come unica sostanza, mentre gli enti del mondo sarebbero accidenti o attributi o modi di questa sostanza, cioè il panenteismo. Tutti gli enti sarebbero in Dio come loro soggetto.

Si tratta di una visione errata del rapporto di Dio col mondo. Quella giusta è il teismo, che non è affatto superata col panenteismo, ma al contrario va recuperata e liberata dalle attuali visioni panenteistiche, panteiste ed atee.

 

2. Nella visione, invece, post-teista il cosmo non è più concepito come fuori dell’essere di Dio ma radicalmente dentro il Suo essere. In tal senso si parla di pan-en-teismo: espressione questa coniata dal filosofo tedesco Karl Krause (Lezioni sul sistema della filosofia, 1828) per indicare la propria dottrina teologica, che intendeva mediare fra panteismo e teismo. Tutte le cose sono in Dio e Dio è in tutte le cose. Va fatto notare che questa visione della realtà era già presente in molti autori, non ultimo Ignazio di Loyola il quale nella contemplazione per ottenere l’amore negli Esercizi Spirituali invita l’esercitante a vedere Dio, presente e operante in tutte le cose. 

Ob. – Il mondo è effettivamente al di fuori dell’essere divino. Naturalmente questo «fuori» non va inteso in senso spaziale ma ontologico, per dire che l’essere di Dio è distinto dall’essere del mondo ed è superiore all’essere del mondo.  L’Essere divino è necessario, l’essere del mondo è contingente. L‘essere divino sussiste da sé (Ego Sum Qui Sum, Es 3,14); l’essere del mondo è creato da Dio dal nulla (In principio Deus creavit caelum et terram, Gen 1,1).

Il mondo in quanto ideato da Dio è in Dio identico a Dio, ma in quanto creato da Dio, ha un suo essere proprio a somiglianza partecipativa dell’essere divino. Il mondo è dunque è un opus ad extra di Dio, distinto dall’opus ad intra, che sono le processioni trinitarie.

Non esiste alcuna mediazione fra panteismo e teismo, come non esiste nessun Dio-mondo che stia in mezzo fra Dio e li mondo. Tutto è in Dio non come gli accidenti sono nella sostanza, ma come la pluralità delle sostanze del mondo sono mantenute in essere dalla divina sostanza. Il panenteismo è riducibile al panteismo. L’uno e l’altro sostengono che esiste solo Dio, con la differenza che mentre il panteismo fa di Dio un idolo confondendolo col mondo, il panenteismo fa di Dio l’anima e la sostanza del mondo e del mondo il corpo di Dio. Questa idea c’è già nella Kabbala e in Giordano Bruno.

Quando San Paolo dice che noi «viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» in Dio (At 17,28) non afferma alcun panenteismo, non intende dire che noi siamo gli accidenti della divina sostanza, la quale, essendo essere completissimo in se stesso, non ha alcun accidente, ma, come spiega subito dopo, intende riferirsi al fatto che noi, già come creature, siamo in senso lato figli di Dio, anche a prescindere dal significato soprannaturale di questa espressione, quella che Paolo chiama «figliolanza adottiva», frutto della grazia di Cristo.

Benchè poi il mondo assomigli a Dio, il mondo, come dice il Concilio Lateranense IV, è più dissimile che simile a Dio. I confini del mondo sono infintamente al di sotto dell’infinità di Dio, così come tra finito ed infinito c’è un dislivello infinito. Il mondo, quindi, non può infinitizzarsi, così come Dio non può finitizzarsi.

Il mondo non può divenire Dio e Dio non può divenire mondo. Il divenire riguarda solo il mondo. Dio è immutabile. Noi siamo in Dio e siamo fondati su di Lui non nel senso spinozista che noi siamo attributi, modi d’essere o accidenti dell’unica Sostanza divina, ma nel senso che noi siamo conservati nell’essere da Lui. Se Cristo si paragona ad una vite della quale noi siamo i tralci, non dobbiamo intendere queste parole come se noi e Lui formassimo un’unica sostanza.

È solo un modo di dire per esprimere il fatto che la nostra esistenza e il nostro agire sono mantenute in essere dalla sua azione conservatrice del nostro essere, chè se essa dovesse cessare, cadremmo nel nulla. Si riferisce alla vita di grazia che Egli ci dona, venendo meno la quale col nostro peccato, la nostra vita di grazia si estinguerebbe e noi non potremmo più dare frutti di vita eterna.

D’altra parte, si dice che Dio è immanente in noi non nel senso che a Dio occorra essere nel mondo per essere Dio, ma nel senso che Egli è presente nel nostro spirito e nella nostra coscienza, pur essendo il suo Essere infinitamente trascendente, ossia superiore al nostro. Dio può esistere benissimo anche senza il mondo, che non aggiunge nulla alla sua perfezione, essendo essa infinita.

Il mondo non è neppure in Dio come la forma sostanziale è nella materia a formare un’unica sostanza composta di materia e forma. Il mondo è un insieme di sostanze, alcune pure forme, le anime separate dei defunti e gli angeli, altre che sono forme informanti una materia, uomini ed enti subumani.  Il mondo non è la forma di Dio.

Semmai è Dio ad essere la forma del mondo, ma peraltro una forma non immanente come la forma del fuoco è immanente alla materia del fuoco, bensì come la forma dell’opera d’arte è nella mente dell’artista, trascendente in quanto spirituale alla forma dell’opera d’arte concreta realizzata secondo quella forma o quell’idea.

Dio invece è una forma sussistente in se stessa, infinita, un’essenza completa, che non ha bisogna di informare alcuna materia, un ente personale autoesistente (aseità) ed autosussistente, creatore della molteplicità degli enti del mondo, quindi superiore al mondo come la causa è superiore all’effetto, senza avere alcun bisogno del mondo per esistere.

Un conto è vedere Dio presente e operante in tutte le cose; questo è un sacrosanto dovere; e un conto è concepire Dio la cui essenza per essere completa ha bisogno di esistere nelle cose. Questa è un’eresia.

 

3. Come possiamo comprendere le verità della fede cristiana, dal peccato originale alla resurrezione corporea di Gesù, dall’incarnazione del Verbo alla concezione trinitaria di Dio, dal sacrificio della croce alla unicità salvifica di Cristo, in modo tale che queste verità siano intese a partire da un concetto di «Dio» e di «salvezza» non più teista? Come comprendere le verità essenziali della fede cristiana alla luce di una versione aggiornata di Dio, Deus 2.0? 

Risposta. Comprendere le verità essenziali della fede cristiana alla luce di una versione aggiornata di Dio, Deus 2.0 significa trasformarle tutte in una finzione farisaica che conserva le formule verbali, ma ad esse si dà non un’interpretazione biblica ma kabbalistica.  Infatti la visione panenteistica ha un fondamento kabbalistico che ispira la teologia spinoziana, alla quale ho accennato e che concorda con la visione del Dio che fa spazio al mondo secondo la visione di Isacco Luria, alla quale accennerò più avanti.

 

Cos’è il post-teismo 

 

4. Ma che cos’è il post-teismo? Il post-teismo realizza quanto già l’ateismo, ben sottolineato con l’alfa privativo (a – teismo), aveva tentato di fare, cioè di negare il «Dio» della religione. Tuttavia, quello dell’ateismo è stato un tentativo – a mio avviso parziale – di negazione, perché di fatto ha negato una particolare e specifica immagine di Dio, appunto quella teista, ma non ha voluto negare la realtà di Dio, come fondo originario della realtà.

Ob. – Dio non è il fondo originario della realtà, come ritiene Severino. Dio è il creatore del fondo originario della realtà, che è la sostanza. Il problema di oggi, allora, non è affatto quello di portare a compimento l’impresa dell’ateismo, ma

a. dimostrare l’esistenza di Dio per ea quae facta sunt (Rm 1,20) contro la stolta negazione atea (Sal14,1);

b. correggere un diffuso concetto di Dio, che lo confonde col mondo o con l’uomo. La Bibbia chiama “idolatria” questa adorazione del mondo o dell’uomo divinizzato al posto del vero Dio, Creatore e Signore dell’uomo e del mondo.

 

5. Questa questione è rimasta, diciamo così, sospesa. Basti pensare alla categoria di «trascendenza senza alcuna trascendenza celeste» in Principio speranza di Ernst Bloch. Si tratta di una negazione della trascendenza del trascendente, e non della trascendenza in quanto tale. Il post-teismo fa sua questa visione «immanente» di Bloch in quanto nega il Dio trascendente del teismo, compreso come qualcuno che è fuori e separato dal cosmo, e il cosmo come qualcosa di esterno, fuori della trascendenza. 

Ob. – La vera trascendenza non un trascendersi dell’autocoscienza all’interno di se stessa, non è l’attività con la quale l’uomo aumenta il proprio essere per mezzo del pensare-volere fino ad innalzarlo alle dimensioni di Dio – questo è il progetto cartesiano-kabbalistico proprio della magia condannata dalla Bibbia -; è ciò che Rahner chiama l’”autotrascendenza umana che ha Dio per orizzonte ultimo ed infinito”.

Ma la vera trascendenza, ossia il transcende teipsum di S.Agostino non è un aumento ontologico del proprio io, ma è un atto dell’intelletto che guarda il cielo, che volge lo sguardo verso l’alto, verso Dio.

Oggetto della speranza, quindi, non è, come crede Bloch, diventare Dio, ma poter vedere Dio in cielo. Dunque si tratta per l’uomo di salire con Cristo in cielo a vedere Dio, la cui trascendenza, quindi, non è terrena, ma celeste.

Il Dio dell’immanenza non si concilia con quello della trascendenza. Bisogna scegliere. Il primo è il dio di questo mondo, il demonio, il Weltgeist di Hegel; il secondo è il vero Dio, quello di Cristo. Non si può servire a due padroni.

 

Oltre l’immagine teista di Dio 

 

6. Nel criticare l’immagine teista di Dio mi faccio aiutare in questo da Dietrich Bonhoeffer, il quale in Resistenza e resa parla sovente del Dio tappabuchi: un Dio concepito come un tutore, anzi potremmo dire un tumore per la coscienza religiosa. Dio è inteso come un sostegno, riempitivo delle mancanze dell’umano.

Ob. – Se per Dio tappabuchi intendiamo un Dio che ci esenti dall’impiegare le nostre forze per superare difficoltà che possiamo superare da soli, allora è giusto respingere un Dio del genere. Pretendere un intervento divino quando possiamo farcela da soli è quel peccato che si chiama «tentare Dio».

Occorre però tener presente che comunque Dio effettivamente interviene con la sua onnipotente bontà e misericordia a correggere e a completare ciò che l’uomo trova al di sopra delle sue fragili forze e quindi da sé non riesce a fare. Per questo in tal senso bisogna dire che Bonhoeffer sbaglia.

Dio non è un notaio che prende nota di quello che fa l’uomo, ma è come un soccorritore che salva uno che sta annegando o un chirurgo che salva un paziente da un tumore maligno. Paragonare Dio a un tumore è un’orribile bestemmia.

 

7. In proposito abbozzo una spiritualità che chiamerei post-secolare, attingendo dalla mistica ebraica, recuperando il famoso concetto dello zimzum, del ritirarsi di Dio dal mondo, e facendo riferimento alle questioni sollevate dai teorici della fisica quantistica, dai neuro-scienziati e dai biologi evolutivi, nel loro tentativo di comprendere la sostanza della realtà. Si tratta delle grandi questioni dell’origine dell’universo, della struttura del reale, e per i teologi, la questione del male che è stato uno dei punti più forti della critica rivolta al concetto tradizionale di Dio.

Ob. – Anche l’idea dello zim-zum del filosofo ebreo del sec.XVI Isacco Luria, deriva dalla Kabbala e significa che Dio crea l’uomo limitando la sua potenza divina, in modo che l’uomo possa agire su Dio ottenendo soddisfazione alla sua volontà. Inoltre si tratta di un Dio che non è onnipotente, per cui, davanti a certe eccezionali manifestazioni del male dovuto o alla cattiveria umana o alla violenza della natura, Dio si ritira non per cattiveria ma per debolezza.  Davanti a tale concezione, è evidente che il rischio per l’uomo è quello della disperazione, giacchè, se Dio non ci può aiutare, chi ci aiuta? Noi non siamo onnipotenti, benché tale sia l’illusione che dal panteismo e dalla Kabbala.

Siamo di nuovo nella magia, la quale del resto, congiunta al cartesianismo, è, come ho dimostrato in un mio recente articolo sul mio blog, all’origine dell’attuale progetto transumanistico di costruzione dell’uomo macchina, così come nella Kabbala c’è la costruzione del Golem.

 

8. Per risolvere queste varie questioni è indispensabile – a mio avviso inevitabile – intraprendere un cambiamento di paradigma nel modo di immaginare Dio. Alla luce dei fruttuosi studi esegetici che si sono avviati a partire dalla pubblicazione dell’enciclica Divino afflante spiritu (1943) e dalle scoperte archeologiche, i credenti stanno rileggendo la Bibbia con occhi nuovi, potremmo dire demitizzata, desacralizzata. I credenti stanno uscendo dall’incantesimo della fede. La Bibbia è parola pienamente umana, e noi cristiani e con noi anche i nostri fratelli ebrei del Primo testamento, vediamo questo testo anche come pienamente divino. Ma come coniugare queste due prospettive nell’approcciare il testo sacro? Mi soffermo a distinguere due modi di leggere il testo sacro. 

 

La Bibbia non può essere ridotta a un testo di verità scientificamente verificabili, ma è un testo destinato a divenire carne e vita per coloro che la leggono. In essa i credenti vedono le tracce di quel Dio che si rivela nel più profondo della loro vita. 

 

Riprendendo quanto detto finora è fondamentale analizzare l’immagine credente di Gesù. La chiesa primitiva ha dato un’interpretazione della storia del Nazareno, servendosi del linguaggio e delle categorie religiose del giudaismo del Secondo tempio, segnato da una visione apocalittica della storia. La lettura successiva dei grandi concili cristologici dal IV al VII secolo d.C. è stata la ricezione ecclesiale di questa primitiva interpretazione attraverso nuove categorie culturali, provenienti dalla cultura ellenistica. Il kerygma, infatti, deve essere continuamente ripensato, affinché possa essere compreso in ogni secolo. Solo così si rimane seguaci – in modo credente ed intelligente – di quell’uomo Gesù che ha vissuto in Galilea nel I secolo d.C. 

Osservazione. Questo discorso in linea di principio è accettabile

 

La resurrezione senza miracolo 

 

9. In questo senso è fondamentale quanto l’apostolo Paolo afferma del fondamento della fede cristiana. Se Cristo non fosse risorto dai morti, vana sarebbe la nostra fede. 

 

L’approccio con cui affronto l’evento della risurrezione è «senza miracolo». L’intento è di fare il punto sulla storicità della risurrezione, comprendendo questo evento non alla stregua o analogo ad altri eventi mondani. La parola «risurrezione», infatti, fa riferimento alla realtà di Dio. Se Dio è un essere trascendente, ne segue che la realtà della risurrezione debba essere compresa come un evento relativo a Dio. Il carattere storico della risurrezione, pertanto, non è analogo a quello della tomba vuota, delle apparizioni, e nemmeno della nascita della fede. Questi sono tutti «segni» ma non «prove» della risurrezione. Le varie esperienze post-pasquali sono esperienze dello Spirito Santo, e quindi di fede, e ci dicono il carattere simbolico e metaforico con cui i vangeli parlano di questi eventi, compresa la narrazione sulla tomba vuota.

Ob. – La tomba vuota è stato il segno che Gesù, come annunciano gli angeli, non era più nel sepolcro e che quindi era risuscitato. Gesù poi ha dimostrato sensibilmente di essere risorto lasciandosi vedere e toccare e persino mangiando davanti ai suoi discepoli.

Questi racconti non sono invenzioni o metafore o semplici «segni» per simboleggiare l’esperienza interiore della presenza del Risorto. Essi invece sono delle vere prove dell’avvenuta risurrezione e vogliono attestare pertanto che Gesù risorto ha voluto mostrare ai suoi che era effettivamente risorto mostrandosi vivo col suo vero corpo davanti alla stessa esperienza sensibile dei suoi. È in tal modo che Egli ha confermato la fede dei discepoli, cosicchè essi hanno potuto giungere all’esperienza interiore di fede della presenza del Risorto. 

 

Non solo Gesù 

 

10. Il Gesù risorto diventa e appare come il Cristo. La distinzione tra «Gesù» e «Cristo» permette una comprensione del termine «Cristo» in chiave cosmica, per cui ci si riferisce con tale termine non solo all’incorporazione dei credenti nel Corpo di Cristo che è la Chiesa, ma – seguendo Teilhard de Chardin e Karl Rahner – l’unità di materia e spirito, divino e umano.

Ob. - Purtroppo in Rahner e in Teilhard non è corretto il rapporto dello spirito col corpo, perché non viene riconosciuta la pura spiritualità appartenente a Dio, all’angelo e all’anima separata, ma la materia è determinazione dello spirito (Rahner) o autotrascendenza della materia come spirito (Teilhard). Per questo Rahner è infetto di idealismo panteista, mentre per Teilhard Dio è il culmine – il punto Omega - dell’evoluzione della materia.

 

11. Attraverso la rivisitazione dell’idea di mediazione, non si può isolare l’uomo Gesù dal contesto cosmico con cui si dà la realtà di Cristo. Sono importanti in questo senso quegli elementi della fisica quantistica e specialmente le riflessioni filosofiche sulla teoria quantistica che sollecitano ad una visione cristica di tutta la realtà.

Ob. – Cristo è il Re dell’universo e il creatore del mondo; non è il culmine del mondo e neppure il mondo è il termine dell’Incarnazione del Verbo. Il Verbo si è incarnato nell’uomo, non nel mondo. La tesi teilhardiana del «Cristo cosmico» suppone la sua confusione dello spirito con la materia e per conseguenza dell’uomo con la natura. E siamo daccapo con l’istanza magico-prometeica della Kabbala.

 

12. Inoltre è essenziale ripensare l’unicità salvifica di Gesù Cristo e superare la distinzione tradizionale tra figliolanza divina e adozione a figli, e infine rivisitare la dottrina della impeccabilità di Gesù.

Ob. – L’unicità salvifica di Cristo è dogma di fede. Non c’è niente da ripensare. Il Figlio di Dio è uno solo. Noi siamo figli adottivi (Paolo) o per partecipazione (Giovanni). Gesù ha condiviso le conseguenze del peccato, non lo stesso peccato. Non confondiamo la colpa con la pena.

 

13. Quanto alla salvezza, in particolare la salvezza della croce, è necessario rivisitare la parola «sacrificio» attraverso le analisi psicoanalitiche di Massimo Recalcati sul fantasma sacrificale. Ripensando il sacrificio alla luce della categoria di dono, sarà possibile parlare di salvezza senza sacrificio da una prospettiva post-teista. 

Ob. - È chiaro che il sacrificio di Cristo va considerato alla luce della categoria di dono, ma ciò non vuol dire che non resti, come insegna il Concilio di Trento, un sacrificio espiatorio e soddisfattorio (Denz.1529).

L’offerta a Dio del sacrificio espiatorio è l’atto proprio del sacerdote agente nell’esercizio della virtù di religione. Nel culto cristiano Cristo è il sacerdote e la vittima del sacrificio che Egli compie di se stesso al Padre per la remissione dei peccati.

Uno psicanalista non dispone del criterio di giudizio adatto per giudicare del valore di un atto umano-divino, come quello del sacrificio che Cristo ha fatto di sé per la remissione dei peccati, potendosene giudicare e potendosi giustificare solo alla luce della necessità morale che l’uomo aveva di essere perdonato da Dio per i suoi peccati, perdono che solo il Figlio di Dio aveva il potere di ottenere dal Padre, stante il fatto che l’uomo ferito dal peccato originale non era in grado di dar soddisfazione a Dio per l’offesa del peccato.

È, questa, una tematica spirituale ben al di sopra della portata e della verifica di quel sapere sperimentale che è la psicanalisi, tematica che può essere compresa e valutata solo alla luce della rivelazione cristiana mediante la virtù teologale della fede.

Ci sarebbe poi da chiedersi che cosa è la salvezza secondo la visione cristiana. Essa è precisamente la remissione di peccati. Dunque come si può pensare di ottenere la salvezza senza partecipare al sacrificio di Cristo? Dandosi alla bella vita?

Recalcati – direbbe San Paolo (I Cor 1,14) -, è l’«uomo psichico (psychikòs) che non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito».

Recalcati stia nel suo campo di indagine e non presuma di giudicare di cose per le quali non dispone di un sufficiente criterio di giudizio. Miserabili poi quei teologi, i quali, anziché mantenersi al livello del sapere teologico, vanno a raccattare da un Recalcati il criterio per giudicare di cose che egli come psicanalista non può comprendere.

Fine Prima Parte (1/2)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 19 maggio 2023



10. Il Gesù risorto diventa e appare come il Cristo. La distinzione tra «Gesù» e «Cristo» permette una comprensione del termine «Cristo» in chiave cosmica, per cui ci si riferisce con tale termine non solo all’incorporazione dei credenti nel Corpo di Cristo che è la Chiesa, ma – seguendo Teilhard de Chardin e Karl Rahner – l’unità di materia e spirito, divino e umano.

Ob. - Purtroppo in Rahner e in Teilhard non è corretto il rapporto dello spirito col corpo, perché non viene riconosciuta la pura spiritualità appartenente a Dio, all’angelo e all’anima separata, ma la materia è determinazione dello spirito (Rahner) o autotrascendenza della materia come spirito (Teilhard). Per questo Rahner è infetto di idealismo panteista, mentre per Teilhard Dio è il culmine – il punto Omega - dell’evoluzione della materia.

 

11. Attraverso la rivisitazione dell’idea di mediazione, non si può isolare l’uomo Gesù dal contesto cosmico con cui si dà la realtà di Cristo. Sono importanti in questo senso quegli elementi della fisica quantistica e specialmente le riflessioni filosofiche sulla teoria quantistica che sollecitano ad una visione cristica di tutta la realtà.

 

Ob. – Cristo è il Re dell’universo e il creatore del mondo; non è il culmine del mondo e neppure il mondo è il termine dell’Incarnazione del Verbo. Il Verbo si è incarnato nell’uomo, non nel mondo. La tesi teilhardiana del «Cristo cosmico» suppone la sua confusione dello spirito con la materia e per conseguenza dell’uomo con la natura. E siamo daccapo con l’istanza magico-prometeica della Kabbala.

12. Inoltre è essenziale ripensare l’unicità salvifica di Gesù Cristo e superare la distinzione tradizionale tra figliolanza divina e adozione a figli, e infine rivisitare la dottrina della impeccabilità di Gesù.

Ob. – L’unicità salvifica di Cristo è dogma di fede. Non c’è niente da ripensare. Il Figlio di Dio è uno solo. Noi siamo figli adottivi (Paolo) o per partecipazione (Giovanni). Gesù ha condiviso le conseguenze del peccato, non lo stesso peccato. Non confondiamo la colpa con la pena.


Immagini da Internet:
- Cristo Giudice, Beato Angelico, Duomo di Orvieto
- La resurrezione dei morti, Luca Signorelli, Duomo di Orvieo

16 commenti:

  1. Ma chi è lei per dare dell'eretico. Un dogma è in divenire sempre perché Dio parla ancora con il suo Spirito e la accoglienza dello spirito fa nuova tutte le cose . Meglio essere eretici che come lei

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    1. Caro Anonimo,
      il dogma è una proposizione che la Chiesa, per incarico di Cristo, forma per interpretare o spiegare il dato rivelato contenuto nella Sacra Scrittura e nella Tradizione.
      Il contenuto del dogma fa riferimento agli insegnamenti di Cristo, la cui verità non muta, perché si riferisce o agli attributi divini o alle opere che Dio ha fatto per la salvezza dell’uomo.
      In questo senso Gesù ha detto “cielo e terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt 24,35). Questo vale tanto per le verità teologiche, quanto per quelle storiche. Sarà sempre vero, per esempio, che Dio è onnipotente. E sarà sempre vero che Gesù è morto sulla croce 2.000 anni fa.
      Un dogma, in quanto rappresenta un certo livello di conoscenza del dato rivelato, può effettivamente mutare, non nel senso che muti il contenuto, ma nel senso che progredisce la conoscenza che ne abbiamo lungo il corso della storia.
      In questo senso si può dire senz’altro che lo Spirito Santo illumina la sua Chiesa in questo approfondimento progressivo del dato rivelato. In questo senso Gesù promise agli Apostoli che lo Spirito Santo avrebbe guidato la sua Chiesa alla pienezza della verità.
      Tuttavia bisogna tenere presente che questo progresso non consiste in un aumento numerico delle verità rivelate, ma in una sempre migliore conoscenza delle medesime.
      Lo Spirito Santo rinnova tutte le cose nel senso che porta a perfezione tutto il creato, liberandolo da ogni male, grazie alla messa in opera da parte della Chiesa delle verità immutabili della fede.
      Io sono bene contento di essere fedele alla retta fede, che mi permette di approfondire la Parola di Dio. Mentre gli eretici mi suscitano compassione, perché la loro anima è in pericolo di perdersi, salvo che essi si pentano e correggano i loro errori.
      Se lei trova tanto piacere nell’essere eretico, vorrei sapere dove trova tanta soddisfazione.

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    2. Per chiarezza: non sono l'anonimo che ha scritto sopra, ma un altro. Il punto mi pare questo. Se per dogma intendiamo la proposizione che esprime una verità rivelata, siamo tutti d'accordo che questa è immutabile, certa, ecc. La nostra capacità di conoscere il dogma e comunicarlo tramite formule dogmatiche (che sono frasi specifiche che tentano di esprimere la tal proposizione) è però tutt'altra cosa. Ora, l'eretico può essere inteso come chi va colpevolmente contro il dogma. Oppure può essere inteso come chi va contro ciò che si ritiene conoscere come dogma (contro una certa formula dogmatica di una certa Chiesa come la Chiesa cattolica con le formule dei suoi concili). In questo secondo caso, l'essere eretico diventa una cosa relativa. Per esempio, ogni cattolico può essere considerato eretico agli occhi di un ortodosso particolarmente conservatore (conosco in effetti molti ortodossi che ritengono così). Se poi questo sia eretico anche nel primo senso, è tutto da vedere: dipende da qual è il vero dogma, qual è davvero il fatto di Dio che rende vera la proposiziome. In effetti, sono piuttosto sicuro che chiunque sostenga una certa cosa in contesto religioso, lo faccia perché è davvero sicuro della tal cosa. Quindi: che soddisfaziome c'è nell'essere eretico? Eretico nel secondo senso, cioè nell'esserlo agli occhi di una certa chiesa, nell'andare contro le formule di una specifica chiesa, è soddisfacente perché si è sicuri di non essere così eretici nel primo senso (di non andare contro il dogma, e il fatto che lo rende vero), è soddisfacente perché si sostiene la verità o almeno ciò che si ritiene massimamente probabile essere verità, la migliore tra tutte le credenze alternative possibili. Che soddisfazione ho io nel credere che Maria non fosse biologicamente vergine, e che Gesù avesse davvero fratelli di sangue? La mia soddisfazione è Cristo, che è verità. Ho soddisfazione dal fatto che credo davvero e profondamente che questa sia la verità, e che sia ciò che la Scrittura rivela indubitabilmente e la più probabile verità storica, e sono sicuro anche che questo mi faccia essere più autenticamente vicino al Cristo. Come potrei quindi non sostenerlo? Per il resto io non vado in giro a dire "sono cattolico", "sono protestante", "sono ortodosso" o altro: io semplicemente, a domande su cosa credo, rispondo ciò che credo, e saranno poi gli altri a dire "per me è questo", "per me è quest'altro". Su che base poi io creda ciò che credo, risponderei la stessa cosa che risponderei se mi chiedessero su che base credo che la terra giri attorno al sole: la conoscenza è cosa complessa ma è una cosa sola, ci sono varie vie per conoscere ma tutto fa capo allo stesso processo, alla stessa teoria (quale sia questa, poi, be', possiamo parlarne).

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    3. Anonimo: "Per chiarezza: non sono l'anonimo che ha scritto sopra, ma un altro. Il punto mi pare questo. Se per dogma intendiamo la proposizione che esprime una verità rivelata, siamo tutti d'accordo che questa è immutabile, certa, ecc. La nostra capacità di conoscere il dogma e comunicarlo tramite formule dogmatiche (che sono frasi specifiche che tentano di esprimere la tal proposizione) è però tutt'altra cosa. "

      Rispondo: Caro Anonimo,
      a me pare che in linea di principio noi non possiamo esprimere un dogma con parole nostre, perché si tratta di materie molto delicate, che vanno al di là della comprensione della nostra ragione, per cui la Chiesa stessa si premura di esprimere le nozioni dogmatiche con il linguaggio adatto.
      Sant’Agostino dice infatti che la Chiesa è come una buona mamma che insegna a suo figlio a parlare. Quello che possiamo fare è spiegare il significato dei concetti e delle parole, perché facilmente si tratta di concetti inusuali e di termini tecnici che la gente comune può fare molta fatica a capire.
      Prendiamo ad esempio il concetto di transustanziazione. Esso esprime in modo dogmatico quello che avviene al momento della consacrazione del pane e del vino. Potremmo usare un termine diverso per esprime questo mistero, con parole nostre? Si potrebbe per esempio dire che il pane e il vino si mutano nel Corpo e nel sangue del Signore.
      Tuttavia, poiché la Chiesa ha elaborato il suddetto concetto, la cosa migliore da fare è spiegarlo almeno a coloro che possono capire.

      Anonimo: "Ora, l'eretico può essere inteso come chi va colpevolmente contro il dogma. Oppure può essere inteso come chi va contro ciò che si ritiene conoscere come dogma (contro una certa formula dogmatica di una certa Chiesa come la Chiesa cattolica con le formule dei suoi concili)."

      Risposndo: L’eretico che volontariamente ed ostinatamente rifiuta il dogma, certamente è colpevole, e qui abbiamo la cosiddetta eresia formale. Invece si può dare il caso di cristiani, come gli ortodossi, i quali in buona fede non accettano come dogma per esempio l’Immacolata o l’Assunta. Sono i cosiddetti eretici materiali.
      Faccio presente che il dogma non è una opinione relativa a diverse comunità cristiane non cattoliche. Ma è, come lei stesso ha riconosciuto, una interpretazione fatta dalla Chiesa Cattolica della Parola di Dio. È chiaro che noi, come cattolici, riteniamo come vera interpretazione del messaggio di Cristo quelli che sono i dogmi della Chiesa Cattolica.
      Conseguentemente la loro negazione presente nei non cattolici, la consideriamo come eresia in senso lato. L’eretico propriamente, secondo il Diritto Canonico, è il cattolico che si ribella al dogma e lo nega volontariamente ed ostinatamente. Anche un cattolico, che, per ignoranza invincibile rifiuta un dogma, lo si può considerare come eretico materiale.

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    4. Anonimo: “In questo secondo caso, l'essere eretico diventa una cosa relativa. Per esempio, ogni cattolico può essere considerato eretico agli occhi di un ortodosso particolarmente conservatore (conosco in effetti molti ortodossi che ritengono così).”

      Rispondo: È vero che noi cattolici, che crediamo nel Filioque, siamo considerati eretici dai nostri fratelli ortodossi. Tuttavia il dogma è una questione di verità e la verità è una sola. Quindi, tra la posizione di noi cattolici e quella degli ortodossi, bisogna scegliere. Noi cattolici sappiamo che il dogma non è una opinione, e per questo possiamo dire con ragione che il rifiuto del Filioque è una eresia.
      Infatti il dogma non è altro che l’interpretazione infallibile da parte della Chiesa Cattolica delle parole di Cristo, che sono verità assoluta, che quindi non passa ma rimane in eterno.
      Se quindi esistono tra cristiani interpretazioni divergenti dei dogmi o degli insegnamenti di Cristo, questo non vuol dire che non esista una verità cristiana oggettiva ed immutabile, ma è semplicemente il segno della fragilità umana, che tende a relativizzare quello che è assoluto e a decidere da sé ciò che è vero nel campo della fede, senza ascoltare il magistero dei successori degli Apostoli, unici ministri della Parola, mandati da Gesù Cristo per evangelizzare tutto il mondo.

      Anonimo: “Se poi questo sia eretico anche nel primo senso, è tutto da vedere: dipende da qual è il vero dogma, qual è davvero il fatto di Dio che rende vera la proposizione. In effetti, sono piuttosto sicuro che chiunque sostenga una certa cosa in contesto religioso, lo faccia perché è davvero sicuro della tal cosa.”

      Rispondo: Indubbiamente esiste in alcuni casi il problema di sapere se una proposizione è o non è un dogma. Bisogna vedere che cosa intendiamo per dogma. Se per dogma intendiamo una proposizione solennemente definita dalla Chiesa come contenuta nel deposito della fede, allora abbiamo il dogma nel senso stretto della parola.
      Invece per dogma noi possiamo intendere anche semplicemente un insegnamento dottrinale della Chiesa, seppur da lei non definito.

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    5. Anonimo: “Quindi: che soddisfazione c'è nell'essere eretico? Eretico nel secondo senso, cioè nell'esserlo agli occhi di una certa chiesa, nell'andare contro le formule di una specifica chiesa, è soddisfacente perché si è sicuri di non essere così eretici nel primo senso (di non andare contro il dogma, e il fatto che lo rende vero), è soddisfacente perché si sostiene la verità o almeno ciò che si ritiene massimamente probabile essere verità, la migliore tra tutte le credenze alternative possibili.”

      Rispondo: L’essere eretico è una qualifica che ha un valore oggettivo. E l’autorità incaricata da Cristo per decidere chi è eretico e chi non lo è, è il magistero della Chiesa Cattolica.
      Può capitare che io sia accusato di essere eretico da parte di chi non ha capito quello che intendo dire o che a sua volta è un eretico. In questo caso, questa falsa accusa, per quanto mi faccia dispiacere, in fin dei conti non mi tocca, perché so che essa è falsa.
      Però può capitare che io sia eretico veramente in quanto per orgoglio o per convenienza mi oppongo ad una verità cattolica che so essere verità, ma siccome mi dà fastidio, fingo di parlare in nome della libertà di coscienza, faccio la vittima o magari mi ritengo ispirato direttamente dallo Spirito Santo per sostenere delle tesi contrarie, che soddisfano i miei desideri o intenti contrari alla volontà di Dio, come possono essere l’attaccamento al vizio o la volontà di prevalere sugli altri o il desiderio di una gloria mondana o il soddisfacimento delle mie voglie più basse.

      Anonimo: “Che soddisfazione ho io nel credere che Maria non fosse biologicamente vergine, e che Gesù avesse davvero fratelli di sangue? La mia soddisfazione è Cristo, che è verità. Ho soddisfazione dal fatto che credo davvero e profondamente che questa sia la verità, e che sia ciò che la Scrittura rivela indubitabilmente e la più probabile verità storica, e sono sicuro anche che questo mi faccia essere più autenticamente vicino al Cristo. Come potrei quindi non sostenerlo?”

      Rispondo: Io non posso essere veramente soddisfatto di Cristo e Cristo non può essere soddisfatto di me, se non credo ai suoi insegnamenti, che mi vengono trasmessi dalla Chiesa. Ora, che la Madonna sia vergine prima, durante e dopo il parto, è una verità di fede, che certamente Gesù non ha mai annunciato in modo esplicito. Indubbiamente, è una deduzione che la Chiesa ha fatto riflettendo sulle parole che Maria ha detto all’angelo: “Non conosco uomo”.
      Potremmo chiederci in che senso questo dogma è una verità salvifica. Che cosa significa la verginità della Madonna? Significa semplicemente affermare la divinità di Gesù Cristo. Infatti lei non ha concepito da un seme maschile, ma ha concepito per opera dello Spirito Santo. Che cosa significa questo? Che nel seno di Maria è avvenuto il Mistero dell’Incarnazione, ossia la Persona del Figlio di Dio ha assunto una natura umana da Maria congiungendola ipostaticamente a Se stessa. In tal modo Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo. E Maria è Vergine e Madre di Dio.

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    6. Anonimo: “Per il resto io non vado in giro a dire "sono cattolico", "sono protestante", "sono ortodosso" o altro: io semplicemente, a domande su cosa credo, rispondo ciò che credo, e saranno poi gli altri a dire "per me è questo", "per me è quest'altro".”

      Rispondo: Il problema del confronto tra l’essere cattolico o protestante od ortodosso riguarda il problema di conoscere integralmente tutti gli insegnamenti di Cristo. Io sono cattolico, perché mi sono accorto che la pienezza della verità insegnata da Cristo si trova nella Chiesa Cattolica. Mentre ho notato che nella fede dei nostri fratelli protestanti ed ortodossi ci sono delle lacune o addirittura delle eresie.
      E come me ne sono accorto? Studiando direttamente la Sacra Scrittura, facendo uso di una sana filosofia e considerando l’interpretazione che la Chiesa Cattolica dà degli insegnamenti di Cristo.
      Negli altri fratelli separati ho notato grandi valori cristiani, mescolati però, come ho detto, a lacune ed eresie. Per questo io ci tengo a considerarmi cattolico, perché è nel cattolicesimo che io ho trovato la pienezza del cristianesimo.
      Se a me domandano che cosa credo, non ho problemi a dichiararmi cattolico per i motivi che ho detto sopra. Io, tuttavia, vorrei rivolgermi a lei chiedendole da che cosa ricava le sue verità di fede e quale criterio segue per individuarle. Anche lei dovrebbe sapere bene che tra cattolicesimo, protestantesimo ed ortodossia ci sono delle differenze, anzi esistono dei contrasti.
      Per questo, se una confessione sostiene una tesi e l’altra la nega, non possono essere vere entrambe, ma ci sarà il problema di sapere chi ha ragione. Le ricordo peraltro che la verità di fede non è una opinione soggettiva, basata sul “secondo me”, così come noi potremmo dire che “secondo me” è meglio un governo di destra o di sinistra, ma si tratta di dati oggettivi e quindi di valore universale.

      Anonimo: “Su che base poi io creda ciò che credo, risponderei la stessa cosa che risponderei se mi chiedessero su che base credo che la terra giri attorno al sole: la conoscenza è cosa complessa ma è una cosa sola, ci sono varie vie per conoscere ma tutto fa capo allo stesso processo, alla stessa teoria (quale sia questa, poi, be', possiamo parlarne).”

      Rispondo: Sono d’accordo che in fin dei conti il conoscere è sempre conoscere, ossia il cogliere qualche cosa di oggettivo indipendente da noi, sia che si tratti di conoscere il rapporto della terra col sole, o di sapere chi è Gesù Cristo.
      Tuttavia lei converrà con me che tra queste due forme di conoscenza c’è anche una grande differenza: nel primo caso è sufficiente un sapere verificabile con l’esperienza e formulabile matematicamente; nel secondo caso, invece, occorrerà un livello di conoscenza molto più elevato, che suppone la capacità di conoscere le realtà spirituali, non solo, ma di conoscere una realtà personale, qual è quella di Gesù Cristo, circa il quale non possiamo conoscere la verità se non siamo illuminati dalla fede.

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    7. Caro padre, desidero risponderle e anche commentare altri punti del post su Gamberini. Farlo qui sarebbe però molto lungo. Mi può dare un indirizzo mail? In alternativa, per non rivelarlo pubblicamente, può scrivermi lei direttamente a livealive@hotmail.it. Io, che sono lo stesso anonimo a cui sta rispondendo, mi chiamo Alessio. Per rassicurarla sulle mie buone intenzioni, le dico anche che sono un "conoscente virtuale" di Walther Binni, che certamente conosce (e quindi capisce anche la mia prospettiva e i miei interessi).

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    8. Caro Alessio,
      ben volentieri accetto la sua proposta di continuare la nostra discussione.

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  2. Scusi, Padre Cavalcoli, ma... verso la fine dell'obiezione 2, non voleve piuttosto esprimere che "Dio non è nemmeno nel mondo come la forma sostanziale è nella materia", per concludere quindi più bene con la frase : "Dio non è la forma del mondo"?

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    1. Caro Silvano,
      dire che Dio non è la forma del mondo, va benissimo. È una espressione molto facile da capire, anche per i non filosofi.
      L’espressione che ho usato io è più precisa dal punto di vista filosofico per una critica al panenteismo, che lo distrugga alla radice.
      Infatti il panenteismo, senza essere un vero e proprio panteismo che identifica Dio col mondo, tuttavia non distingue abbastanza il mondo da Dio, ma concepisce il rapporto di Dio col mondo sul modello della forma sostanziale con la materia prima.
      Ora, questi due elementi sono le componenti essenziali della sostanza materiale, per cui in questa visione Dio fa la figura non di una forma sussistente completa in se stessa, ma di una forma della materia, cosicchè Dio non potrebbe esistere senza la materia. Dio invece è purissimo spirito, che per esistere non ha assolutamente bisogno del mondo.
      Quindi il panenteismo è una concezione falsa di Dio, che lo concepisce come una sintesi di spirito e di corpo. Ed è anche una falsa concezione del mondo, perché non lo concepisce come un insieme di sostanze, distinte dalla sostanza divina, ma come una semplice materia, che non ha una forma propria, ma che ha come forma Dio stesso.

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  3. Mi scusi, caro Padre, poiché lei ha già chiarito le cose nel brano seguente. Buona Domenica.

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  4. Caro Padre, c'è una domanda che mi ha sempre angosciato davanti alla Chiesa che condanna tanti eretici, qua e là, ieri e oggi... Non dovremmo ricordare che l'amore di Dio è lo stesso amore per ogni persona, a prescindere religione è?

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    1. Caro Anonimo,
      per capire la severità della Chiesa nella condanna delle eresie, bisogna fare il paragone con il medico. E di fatti Gesù si paragona a un medico, che è venuto a guarire sia le malattie del corpo che quelle dello spirito.
      Ora, è evidente che il buon medico lavora non solo per giustizia, ma anche per amore dei malati, e quanto più grave è la malattia tanto più il medico la combatte. Per questo la medicina è tanto più energica, quanto più danno procura il morbo che rovina la salute. Quanto più una persona ama l’altro, tanto più è forte nello sconfiggere il male che affligge l’altra persona.
      A questo punto si spiega la severità tradizionale della Chiesa nei confronti dell’eresia, la quale è una malattia dello spirito, che mette in pericolo la salvezza eterna di chi ne è affetto e anche la salvezza eterna di coloro che l’eretico porta ad abbracciare la sua eresia.

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  5. Ebbene padre Cavalcoli, capisco quello che dice.
    Tuttavia, Papa Francesco ha insegnato che l'amore di Dio non dipende dalla religione a cui si aderisce, e che l'amore di Dio è lo stesso anche per gli atei. Il Papa ha detto che questa sarebbe l'unica schiavitù che gli uomini avrebbero, la schiavitù dell'amore di Dio. E che in tutto il resto siamo liberi, anche liberi di non amarlo.
    Capisco che da quanto ha detto il Papa, ne consegue che Dio ci ama incondizionatamente, indipendentemente dalla nostra religione, che lo amiamo o no.
    Quindi, se pur essendo di un'altra religione, Dio ci amerà come il santissimo cattolico, che problema c'è ad aderire a un'eresia? Una religione diversa dal cattolicesimo è una specie di somma di eresie. Cioè, se qualcuno può non essere d'accordo nella totalità della religione cattolica, e continuare comunque ad essere amato da Dio -proprio come un cattolico-; che problema c'è allora a dissentire su un solo aspetto della religione cattolica, aderendo a una particolare eresia? A maiori ad minus...

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    1. Caro Anonimo,
      Papa Francesco insiste nel dire che Dio ama tutti, a qualunque religione appartengano e anche gli atei. Tuttavia ciò non vuol dire che tutti si salvano, ma si salvano solo coloro che sono pentiti dei loro peccati e invocano la misericordia divina.
      Quanto agli eretici, Dio ama anche loro e, se sono in buona fede, si possono salvare.
      Ma è chiaro che, se uno è eretico coscientemente non può amare Dio, perché Dio è verità, e per questo non si può salvare. Chi coscientemente rifiuta anche un solo dogma, e quindi una verità rivelata o di fede, non si salva, perché i dogmi sono come gli organismi vitali del vivente. Se a un vivente togliamo anche un solo organo vitale, il vivente muore. Per questo anche una sola eresia, per un cattolico, basta a fare perdere la salvezza.
      Per quanto riguarda la pluralità delle religioni, vi sono tra di esse delle differenze legittime e dei punti di contatto tra di loro. Tuttavia è chiaro che, nella misura in cui ci sono degli errori, esse non favoriscono la salvezza.
      Per quanto riguarda la libertà di dire di sì o di no a Dio, è chiaro che tutti posseggono questa libertà in forza del libero arbitrio, ma quando il Papa ha ricordato questa libertà non ha affatto inteso dire che il dire di sì o di no sia indifferente, perché è chiaro che chi dice di sì, si salva, e chi dice di no, si danna. Appunto per questo Papa Francesco sottolinea così fortemente l’amore di Dio per noi, proprio per invitarci a ricambiare a tanto amore con il nostro amore.

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