Dalla tribolazione alla sovversione

 Dalla tribolazione alla sovversione

Nel sec.XVIII la compagnia di Gesù fu soppressa dietro alle pressioni della massoneria. Oggi ha rischiato di essere soppressa a causa delle infiltrazioni massoniche.

La Civiltà Cattolica n.4029 del 5 maggio 2018 pubblicò un articolo del direttore Padre Antonio Spadaro dal titolo «La dottrina della tribolazione», che cita una lettera ai Confratelli del 1987 dell’allora Provinciale Padre Bergoglio, di commento ad alcune lettere di Prepositi della Compagnia coinvolti nella drammatica vicenda della soppressione e successiva ricostituzione della Compagnia fra i secc. XVIII e XIX.

L’articolo è molto interessante, perché ci mostra il grande mutamento storico della Compagnia dal sec. XVIII ad oggi. Allora i Gesuiti erano veramente un ostacolo all'ascesa dell'illuminismo e della massoneria, che portò alla Rivoluzione Francese, per cui erano i sovrani infetti da queste ideologie che volevano la soppressione della Compagnia.

I Gesuiti infatti si battevano per un’autentica «civiltà cattolica», da una parte contro il liberalismo massonico, russoiano ed antimonarchico, mentre dall’altra contro il dispotismo illuminista dei sovrani europei. Ma questi stolti sovrani non si accorsero che i Gesuiti difendevano i loro veri interessi davanti a Dio, sicché con la loro miopia intellettuale e la loro condotta dissennata si scavavano la fossa sotto i piedi, per cui sarebbero stati miseramente abbattuti proprio da quell'illuminismo e da quella massoneria, ai quali essi strizzavano l'occhio, nemici invece e persecutori della Compagnia.

È interessante come la Russia ortodossa, rimasta immune dall’influsso illuministico e fedele al cristianesimo, fu l’unico Paese europeo a non respingere i Gesuiti, a differenza degli Stati di tradizione cattolica, ma corrotti dall’illuminismo. Questo fatto paradossale va a tutto onore della Compagnia, la quale continuò ad essere fedele al Papa e baluardo della fede cristiana in un Paese che non riconosceva il primato di Pietro.

Oggi le cose sono molto diverse, perché purtroppo, per una falsificazione modernista degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, e in special modo per l'influsso di Rahner, la Compagnia si è lasciata corrompere dal modernismo, al punto che Papa Luciani[1] e San Giovanni Paolo II avevano in animo di sopprimere la Compagnia.

E se Papa Luciani non ha fatto a tempo ad attuare il suo proposito per l’improvvisa morte ad appena un mese dalla sua elezione a Pontefice, San Giovanni Paolo II, espresse ai suoi collaboratori la sua intenzione sin dall’inizio del suo pontificato, ma ne fu dissuaso dall’intervento del suo Segretario di Stato, il Card. Agostino Casaroli[2].

Quanto a Papa Luciani, si sa che fu colto dalla morte mentre stava preparando un discorso di forte richiamo che intendeva fare alla Congregazione della Compagnia, che si sarebbe riunita di lì a poche settimane e nella quale purtroppo essa impostò la questione dell’ateismo in un senso che stravolgeva le intenzioni di S.Paolo VI[3].

Se dunque Papa Clemente XIV si ridusse a malincuore a cedere alle pressioni dei sovrani europei, sopprimendo la Compagnia, i due Papi suddetti, benché con grande dolore, avevano constatato come il ceto dirigente e più influente della Compagnia, abbracciando il rahnerismo, aveva imboccato una strada che lo poneva in contrasto con lo spirito di Sant’Ignazio e quindi con lo stesso Magistero della Chiesa e dei Papi del postconcilio.

Oggi è lo stesso mondo anticattolico, modernista e laicista, dentro e fuori della Chiesa, è la stessa massoneria che appoggiano la Compagnia nella sua corrente rahneriana. Ma grazie a Dio nella Compagnia non ci sono solo i rahneriani, ma anche coloro che restano fedeli al Magistero della Chiesa e al Papa[4]. Sono costoro coloro che sono riusciti ad ottenere una cosa mai prima accaduta nella Compagnia: l'elezione di un Papa Gesuita!

Non c'è dubbio che adesso i rahneriani premono su Papa Francesco perchè ceda alle loro richieste. Ma il Papa fa, per così dire, le orecchie da mercante. Con grande abilità e discernimento, senza peraltro mai nominare Rahner, ha assunto alcuni elementi validi del rahnerismo, quelli che hanno dato un contributo alle dottrine del Concilio Vaticano II. Ma il Papa si guarda bene dall'appoggiare l'interpretazione modernistica data dai rahneriani al Concilio e invece segue l'interpretazione data dai suoi predecessori e dal Catechismo della Chiesa Cattolica. In questo modo Papa Francesco, senza entrare apertamente in conflitto con i rahneriani, toglie loro le armi, nel momento in cui recupera quanto di buono c'è nel pensiero di Rahner.

Infatti Papa Francesco fa aperta professione di realismo gnoseologico nell’enciclica Evangelii gaudium, col sostenere il primato della realtà sull’idea, e tale professione è già evidente in alcuni suoi appunti del 1987-88, che ho già di recente commentato su questo blog, dove afferma che l’oggetto della metafisica è l’essere, l’ente, la realtà, la cosa in sé così com’è e non il pensiero, l’io, la coscienza, Dio, l’esperienza atematica, tutte cose di matrice idealistica.

Il problema dello gnosticismo 

Nessun Papa finora aveva mai ritenuto di dover condannare lo gnosticismo, benché esso sia stato nei primi secoli un fenomeno pericolosissimo per il cristianesimo. Ma per i cristiani di allora era talmente evidente che si trattava di idee aberranti, che i Papi non ritennero di dover intervenire.

Ma lo gnosticismo è una insidiosa malattia dello spirito continuamente risorgente, perché è espressione di quella superbia intellettuale che sempre si annida nel cuore dell’uomo, sotto influsso del demonio, e spinge alcune persone dotate a credersi una mente straordinaria, molto al di sopra del comune degli uomini, in possesso, in forza della sua intelligenza, di un sapere assoluto e salvifico, in base al quale fruire di una autocoscienza assoluta e di una libertà divina, un sapere liberatore e divinizzante, che egli misericordiosamente o esibizionisticamente comunica in dosi limitate e in modo esoterico a pochi eletti in grado di sollevarsi, con docilità assoluta alle rivelazioni dello gnostico, dal comune ed ingenuo immaginario proprio della massa e di elevarsi a partecipare della sua altissima sapienza[5].

Le discussioni sullo gnosticismo hanno ricominciato ad essere vive soprattutto fra i biblisti, dopo la scoperta nel secolo scorso di numerosi testi gnostici, che potevano interessare l’esegesi biblica. Si è molto discusso sulla maniera di definire lo gnosticismo e i pareri sono stati contrastanti perché, invece di cercare di andare all’essenza dello gnosticismo, ci si è fermati e dispersi a trattare degli svariatissimi contenuti, effettivamente molto contrastanti fra di loro, perché, a parte le visioni mitologiche stravaganti o assurde, andavano da visioni dualistiche che opponevano spirito a materia a visioni monistiche di tipo panteista.

Il problema dell’infiltrazione gnostica nella Chiesa non è certo di oggi, ma esso esplode col modernismo, anche se San Pio X non usò il termine «gnosticismo», ma avrebbe potuto benissimo usarlo, perché il modernismo risente dell’idealismo hegeliano, che, come ebbe a giudicare giustamente il Maritain, non è altro che la  gnosi del pensiero moderno, con la sua pretesa di una «scienza assoluta» superiore alla dottrina della Chiesa e alla teologia rivelata e alla pari della stessa scienza divina.

Papa Francesco ha avuto il colpo di genio di prendere il toro per le corna con forte senso pastorale senza entrare in dettagli dottrinali e di uccidere il mostro con pochi colpi ben assestati degni del Successore di Pietro. Nella sua Esortazione apostolica Gaudete et exsultate il Papa, caratterizza lo gnosticismo nella sua pretesa di fondo di assorbire l’essere nel pensiero e di mettere l’oceano in un bicchiere.  Col pretesto della conoscenza (gnosi) e a causa della sua ingorda fame di totalità, lo gnostico esclude l’ignoranza e la conoscenza parziale. Per uno smodato desiderio di infinito egli non sa che è solo finitamente che possiamo conoscere l’Infinito.

La condanna dello gnosticismo

Con poche abili pennellate il Pontefice descrivendo lo gnosticismo delinea in sostanza il quadro di fondo del sistema rahneriano, pur senza nominare Rahner. Ma io che frequento questo teologo da 40 anni non faccio fatica a riconoscere il suo timbro. Ecco alcuni giudizi di Papa Francesco.

 

«Lo gnosticismo suppone una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane rinchiuso nell’immanenza della propria ragione o dei suoi sentimenti» (n.36).

Il Dio di Rahner non è trascendente, non è oltre la natura umana, ma è l’«orizzonte ultimo dell’autotrascendenza umana», perché la stessa natura umana è concepita come infinitamente determinabile, come potenzialità divina che attua infinitamente sé stessa in ciò che chiamiamo «Dio». Ancora:

 

Lo gnosticismo «riesce a soggiogare alcuni con un fascino ingannevole, perché l’equilibrio gnostico è formale e presume di essere asettico e può assumere l’aspetto di una certa armonia o di un ordine che ingloba tutto» (n.41). 

Se, come dice Rahner, «l’essenza dell’essere è conoscere ed essere conosciuto in una unità originaria, che noi vogliamo chiamare coscienza o trasparenza, “soggettività”, “conoscenza” dell’essere di ogni ente»[6], vuol dire, come ci segnala Papa Francesco, che per lo gnostico tutto l’essere si raccoglie, si unifica e si immanentizza nel suo io, in un’apparente armonia formale e globale, «asettica», come la chiama il Papa, ossia libera da contaminazioni.

Ma questa visione celestiale semmai corrisponde alla purezza dell’autocoscienza divina, non certo alla realtà del sapere dell’uomo fragile e peccatore, che si confronta con l’essere, ma non primariamente con un essere coincidente col suo pensiero o con la sua coscienza, bensì quotidianamente con un essere materiale, oscuro e impenetrabile, ostico al pensiero, un pensiero ingannato dalle apparenze, incespicante nel cammino che conduce alla verità, turbato dalle passioni, compagno di viaggio di una volontà certo per sua natura orientata al bene, ma poi di fatto quanto spesso propensa a quella negazione di essere che è il male!

Forse il Papa avrebbe potuto aggiungere il rischio opposto dell’agnosticismo e della falsa mistica, che in Rahner vanificano la funzione dei concetti dogmatici e dei valori fondamentali della ragione pratica e speculativa, per appellarsi a un «mistero assoluto» così inconcepibile ed inesprimibile, che non si capisce neanche di che cosa sta parlando. Prosegue comunque il Papa:

 

«Una cosa è un sano e umile uso della ragione per riflettere sull’insegnamento teologico e morale del Vangelo; altra cosa è pretendere di ridurre l’insegnamento di Gesù a una logica fredda e dura, che cerca di dominare tutto» (n.39).

Rahner risolve il trascendente nel trascendentale: non una ragione sottomessa al messaggio di Cristo, ma il messaggio ed anzi l’essenza stessa di Cristo, assoggettata ad una categoria razionale qual è il trascendentale, che è una categoria metafisica e per giunta della metafisica idealista kantiana e quindi non è una categoria teologica e a maggior ragione non è una categoria della divina rivelazione, come si converrebbe quando si tratta del mistero di Cristo[7].

In tal modo Rahner, come Hegel, sottomette la religione alla filosofia, il dato di fede al dato razionale, che per lui è l’«esperienza trascendentale». Da qui salta fuori la sua «cristologia trascendentale»[8], operazione tipicamente gnostica, che trasforma il dato di fede, ossia Cristo, in un dato di ragione. Per questo per Rahner la cristologia dogmatica ecclesiale non sarebbe che l’esplicitazione concettuale e verbale mutevole, relativa e inadeguata, della previa cristologia trascendentale atematica, da tutti aprioricamente, «già da sempre» conosciuta nell’«esperienza trascendentale».

Ecco che allora i dogmi della fede cattolica sono relativizzati all’esperienza trascendentale, ecco allora la sufficienza gnostica con la quale Rahner si permette di ritenersi al di sopra del dogma cristologico di Calcedonia congiungendosi con la cristologia hegeliana, altro esempio di gnosticismo. Infatti mentre i dogmi, secondo Rahner, sarebbero immersi nella storia, l’esperienza trascendentale trascende la storia perchè è pura esperienza dell’essere, del sé e di Dio. Continua il Papa:

 

«Lo gnosticismo è una delle peggiori ideologie, poiché, mentre esalta indebitamente la conoscenza o una determinata esperienza, considera che la propria visione della realtà sia la perfezione. In tal modo, forse senza accorgersene, questa ideologia si autoalimenta e diventa ancora più cieca. A volte diventa particolarmente ingannevole quando si traveste da spiritualità disincarnata. Infatti lo gnosticismo, per sua propria natura, vuole addomesticare il mistero, sia il mistero di Dio e della sua grazia, sia il mistero della vita degli altri» (n.40). 

Rahner raggiunge un vertice di arroganza gnostica, quando in uno dei suoi libri osa intimare con tono di minaccia al magistero della Chiesa di assumere la «filosofia moderna», se non vuole restare indietro rispetto al progresso dell’umanità. L’espressione «filosofia moderna» in se stessa è valida ed è vero che il respingerla fa restare indietro rispetto al progresso del sapere. Ma che cosa intende Rahner per «filosofia moderna»? Lo spiega egli stesso: la successione dei filosofi, che, partendo da Cartesio, passa per Kant e poi all’idealismo tedesco fino ad Heidegger. A questo punto però non possiamo non notare il difetto rilevato negli gnostici da Papa Francesco.

Quanto alla spiritualità disincarnata, non sembrerebbe a tutta prima tale severo appunto di Papa Francesco colpire la spiritualità rahneriana, così attenta alle sue incarnazioni storiche, alle sue applicazioni pastorali, alla diversità delle sue forme istituzionali o carismatiche, al suo svolgersi nella vita morale. Eppure è possibile notare nell’etica rahneriana, nonostante l’attenzione al variare delle situazioni, al di là del suo bisogno di concretezza e dell’insistenza sull’esistenziale, una ritrosia a guardare l’uomo come animale ragionevole, la cui vita è regolata da norme morali oggettive, universali ed immutabili e finalizzata a Dio come fine ultimo naturale. 

Vediamo infatti Rahner incapace di muoversi con sicurezza e competenza, in fedeltà al Magistero della Chiesa, nel campo dell’etica personale, familiare e sociale. Ma ancor peggio Rahner mostra qui un riprovevole agnosticismo, relativismo e storicismo, che sottende un’idea dell’agire umano, per la quale la persona o lo spirito umano in nome della libertà avrebbe la facoltà di plasmare la propria natura corporea e di porre in atto il suo stesso essere concreto, per cui diventa problematico come in queste condizioni l’uomo possa ancora considerarsi creatura e non piuttosto creatore di se stesso, secondo il modulo fichtiano dell’io che «pone» (setzt) se stesso. Emerge qui l’inquietante ombra del panteismo, che come conseguenza del suo idealismo, percorre come tema di fondo tutto il pensiero rahneriano.

Per questo possiamo certamente vedere in questo poderoso brano dell’enciclica Fratelli tutti la condanna del soggettivismo etico di Rahner:

 

«Che ogni essere umano possiede una dignità inalienabile è una verità corrispondente alla natura umana al di là di qualsiasi cambiamento culturale. Perciò l’essere umano possiede la medesima dignità inviolabile in qualunque epoca storica e nessuno può sentirsi autorizzato dalle circostanze a negare questa convinzione o a non agire di conseguenza. L’intelligenza può dunque scrutare nella realtà delle cose attraverso la riflessione, l’esperienza e il dialogo, per riconoscere in tale realtà che la trascende la base di certe esigenze morali universali.

Agli agnostici questo fondamento potrà sembrare sufficiente per conferire una salda e stabile validità universale ai princìpi etici basilari e non negoziabili, così da poter impedire nuove catastrofi» (nn.213-214).

Ma il Papa parla dello gnosticismo ed è chiaro che il tema dell’agnosticismo, che pur troviamo in Rahner, resta fuori del suo discorso, benché per la verità l’uno e l’altro si richiamino a vicenda, perché entrambi sono l’effetto dell’umana ragione che pretende da una parte con arroganza di risolvere l’essere divino nelle sue idee e dall’altra con falsa umiltà rinunciataria si chiude in se stessa e nelle sue piccole idee, come fossero la totalità del reale, affermando che di Dio non sa nulla e non può dir nulla, solo perchè non vuole aprirsi all’orizzonte, al pensiero e alla luce intellegibile dell’essere, apertura che consente alla realtà divina, essere assoluto, analogicamente concepibile, di fecondare la mente, di farla concepire e capace di partorire, ossia di produrre un concetto, così da poter esprimere nella parola questo concetto, che è il concetto di Dio e dei suoi attributi.

Tutto ciò non esclude il tacere mistico, che però per essere un tacere sensato ed eloquente, dev’essere il tacere su ciò di cui si è detto qualcosa e non il tacere vuoto per il quale non si esprime verbalmente ciò su cui si tace. Il silenzio parla quando si tace in riferimento a ciò di cui si è parlato. È la parola del silenzio perchè è il silenzio che nasce dalla parola, è il silenzio della parola.

Il silenzio dopo la Santa Comunione alla Messa è significativo perché fa chiaramente riferimento alle precedenti parole della liturgia. Il silenzio dei monaci a tavola non è il silenzio degli imbronciati o di coloro che non hanno nulla da dirsi, ma è comunicazione spirituale senza parole e forse più eloquente delle parole. Il mistico tace perché le sue parole sono insufficienti ad esprimere quello che sente, perché comunica senza bisogno di parole.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 6 maggio 2021

 


La Civiltà Cattolica n.4029 del 5 maggio 2018 pubblicò un articolo del direttore Padre Antonio Spadaro dal titolo «La dottrina della tribolazione», 

che cita una lettera ai Confratelli del 1987 dell’allora Provinciale Padre Bergoglio, 

di commento ad alcune lettere di Prepositi della Compagnia coinvolti nella drammatica vicenda della soppressione e successiva ricostituzione della Compagnia fra i secc. XVIII e XIX.






... possiamo certamente vedere in questo poderoso brano dell’enciclica Fratelli tutti la condanna del soggettivismo etico di Rahner:

«Che ogni essere umano possiede una dignità inalienabile è una verità corrispondente alla natura umana al di là di qualsiasi cambiamento culturale. Perciò l’essere umano possiede la medesima dignità inviolabile in qualunque epoca storica e nessuno può sentirsi autorizzato dalle circostanze a negare questa convinzione o a non agire di conseguenza. L’intelligenza può dunque scrutare nella realtà delle cose attraverso la riflessione, l’esperienza e il dialogo, per riconoscere in tale realtà che la trascende la base di certe esigenze morali universali.

Agli agnostici questo fondamento potrà sembrare sufficiente per conferire una salda e stabile validità universale ai princìpi etici basilari e non negoziabili, così da poter impedire nuove catastrofi» (nn.213-214).



[1] Me lo ha riferito un sacerdote suo amico quando Luciani era Patriarca di Venezia. «Se mi fanno Papa – gli disse – sopprimerò la Compagnia di Gesù».

[2] I fatti sono narrati nel libro I Gesuiti. Il potere e la segreta missione della Compagnia di Gesù nel mondo in cui fede e politica si scontrano, Edizioni SugarCo, Milano 1988, Parte Prima – L’accusa, scritto dal Gesuita Malachi Martin, illustre teologo americano e maestro di spiritualità, cacciato dalla Compagnia per aver disturbato il gruppo modernista.

[3] I fatti sono narrati dall’illustre Gesuita Antonio Caruso, già collaboratore di San Giovanni Paolo II, nel suo libro Tra grandezze e squallori, Edizioni Viverein, Monopoli (BA) 2008, pp.165-186.

[4] Uno di questi è stato il Padre Giandomenico Mucci, recentemente scomparso, ex-scrittore de La Civiltà Cattolica, col quale ho intrattenuto per alcuni anni, in un clima di profonda amicizia, una fruttuosa corrispondenza epistolare. Egli ebbe frequenti contatti personali con Papa Francesco offrendogli con franchezza e generosità l’apporto della sua saggezza e del suo grande amore per la Chiesa.

[5] Il pericolo del rinato gnosticismo da quasi due secoli era segnalato alla Chiesa, ma neppure i Papi più zelanti per la sana dottrina fino a Papa Francesco avevano preso in considerazione l’allarmata segnalazione proveniente dagli studiosi del fenomeno. Cf per esempio i seguenti autori: Hans Jonas, Lo gnosticismo, SEI, Torino, 1973; Giovanni Filoramo, Il risveglio della gnosi ovvero diventare Dio, Laterza, Bari 1990; Emanuele Samek Ludovici, Metamorfosi della gnosi, Edizioni Ares, Milano 1991; La gnose, une question philosophique, a cura d N.Depraz e J.-F.Marquet, Cerf, Paris 2000; Julio Meinvielle, Influsso dello gnosticismo ebraico in ambiente cristiano, a cura di Ennio Innocenti, Edizioni della Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma 1988 (qui è segnalata l’affinità della teologia rahneriana col pensiero massonico); Ennio Innocenti, Influssi gnostici nella Chiesa di oggi (medesima segnalazione su Rahner), Edizioni della Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma 2000; anche il Padre Paolo Spano, Francescano dell’Immacolata e studioso della massoneria, ha segnalato l’affinità del pensiero di Rahner con quello massonico nel suo articolo Karl Rahner «massonico»? Il pensiero di Karl Rahner e la cultura massonica a confronto, in Fides Catholica, 2, 2007, pp.315-360. 

[6] Uditori della parola, Borla, Roma 1977, p.66.

[7] Per questo è un profanare il mistero di Cristo parlare, come fa X. Tilliette, di una «cristologia filosofica» (cf Il Cristo della filosofia. Prolegomeni a una cristologia filosofica Morcelliana, Brescia 1997). Cristo è un mistero divino, non è oggetto della filosofia. Cristo ridotto ad oggetto della filosofia è l’operazione tipica dello gnosticismo. Diversa cosa invece è parlare di una metafisica di Cristo, come ho fatto nel mio libro Gesù Cristo fondamento del mondo, Edizioni L’Isola di Patmos, Roma 2019. Qui non si tratta di fare di Cristo un oggetto della metafisica, ma di mostrare Cristo maestro di metafisica. A questo punto la metafisica può benissimo e con ottimo frutto fare oggetto del suo interesse la dottrina metafisica di Cristo. Che occorra la metafisica per capire chi è Cristo d’accordo. Ma qui la metafisica ha una funzione solo introduttiva alla vera cristologia, che fa parte non della metafisica, ma della teologia dogmatica.

[8] Cf K. Rahner – W. Thüsing, Cristologia. Prospettiva sistematica ed esegetica, Morcelliana, Brescia 1974.

6 commenti:

  1. Mi pare che Francesco dovrebbe seguire (per cosi dire) con più coraggio certi insegnamenti di Francesco, perché nel pratico non sembra trarre grande alimento dalla saggezza di questo suo documento (basti pensare a come tolleri una Compagnia sempre più ranheriana e sorosiana o come metta esponenti della corrente filo-gay in posizioni di vertice negli episcopati). Mi pare che cerchi di salvare in qualche modo la dottrina, ma poi lascia che ciascuno creda e insegni quel che vuole e viva come desidera, come se il problema della verità fosse un intralcio e non un aiuto alla vita concreta delle persone. Le conseguenze possono essere gravi, anzi sono alquanto gravi (basti pensare a cosa accade nella chiesa in Germania o al recente assist di Aggiornamenti Sociali al ddl Zan). Per cui, per paradosso, è soprattutto nel tanto vantato confronto con la realtà che questo pontificato mi appare velleitario e insieme misero di efficacia.

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    1. Caro Stefano,
      come saprai, la diffusione del modernismo oggi più che mai è molto ampia, per cui dobbiamo capire la difficoltà di Papa Francesco a tenere in pugno la situazione.
      E’ difficile potere giudicare la condotta del Papa e sapere fino a che punto c’è la prudenza o fino a che punto c’è l’opportunismo o fino a che punto c’è la debolezza. Che cosa faremmo io e te al suo posto?
      Io credo che la cosa più saggia da fare sia che io e te ci impegniamo seriamente nel dare l’esempio. Nello stesso tempo sappiamo che Cristo veglia sulla sua Chiesa e che le porte dell’inferno non prevarranno.

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  2. Caro padre,
    mi ha sorpreso quanto lei dice, riferendosi alla sopravvivenza dei Gesuiti in Russia nel Settecento, nel paragrafo:

    "È interessante come la Russia ortodossa, rimasta immune dall’influsso illuministico e fedele al cristianesimo, fu l’unico Paese europeo a non respingere i Gesuiti, a differenza degli Stati di tradizione cattolica, ma corrotti dall’illuminismo. Questo fatto paradossale va a tutto onore della Compagnia, la quale continuò ad essere fedele al Papa e baluardo della fede cristiana in un Paese che non riconosceva il primato di Pietro".

    Mi chiedo: quella sopravvivenza non fu forse causata da una disobbedienza alla decisione di papa Clemente XIV di sopprimere la Compagnia? La disobbedienza di tali gesuiti è stata allora lecita?
    Nel caso non l'avessi sentito, li farò sapere che recentemente ci sono stati alcuni pubblicisti cattolici, di orientamento pasattista, che hanno sostenuto sulla base di questo fatto storico dei gesuiti di essere rimasti gesuiti (forse sebbene mimetizzati in altre comunità) in la Russia del secolo XVIII, per invitare la disobbedienza all'attuale Papa, ad esempio la disobbedienza alla Traditionis custodes, come atteggiamento legittimo per "salvare la vera Messa", dicono.
    Grazie

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    1. Caro Silvano,
      i Gesuiti che furono accolti da Caterina II di Russia erano ben consapevoli di non costituire più la Compagnia di Gesù. Per questo non li si può considerare disobbedienti al Papa, in quanto accettarono lo scioglimento della Compagnia, che pure il Papa aveva fatto a malincuore e che essi stessi certamente accettarono a malincuore.
      D’altra parte nessuno può aver loro proibito di mantenere una personale devozione per Sant’Ignazio e soprattutto essi comunque restavano dei sacerdoti, quindi capaci anche in quelle condizioni di esercitare il loro ministero sacerdotale.
      Caterina II, dal canto suo, era una donna di larghe vedute, attenta anche ai valori dell’Occidente e in particolare al valore della libertà religiosa, valore diffuso dall’illuminismo. Questo ci fa pensare che essa abbia dato una risposta adeguata alle immaginabili proteste delle autorità ortodosse, proteste che Caterina II sarà certamente riuscita a calmare invocando la sua autorità di Zarina.
      Dal che deduciamo che il riferimento dei passatisti a questo episodio della storia dei Gesuiti non può essere assolutamente utilizzato per invalidare l’autorità con la quale Papa Francesco ha posto delle restrizioni alla celebrazione del Vetus Ordo.

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  3. Caro padre,
    Apprezzo la sua consueta diligenza nell'affrontare le domande e le preoccupazioni dei suoi lettori. La sua risposta è chiara, comprensibile e condivisibile. E io sono d'accordo. Tuttavia, vorrei trasmettervi alcuni testi pubblicati all'inizio dell'anno dal professor Rubén Peretó Rivas, noto pubblicista del ambito passatista:

    "La restaurazione dei Gesuiti nel 1814 non poteva essere fatta con i Gesuiti originari. È allora che i forti ordini pontifici saranno stati disobbediti e i membri della Compagnia soppressa avranno continuato a formarsi? Infatti è successo. E hanno usato due metodi.
    Innanzitutto la protezione dei principi non cattolici: il re Federico di Prussia e la zarina Caterina di Russia. In entrambe le nazioni il mandato pontificio non fu ascoltato e lì i buoni padri della Compagnia continuarono ad operare come se nulla fosse, obbedendo alla volontà dei principi temporali e ignorando i chiari mandati pontifici. Infatti, per la restaurazione della provincia francese, furono 'usati' 34 gesuiti che si trovavano nella casa di formazione a Polotsk (l'odierna Bielorussia): 18 francesi e 9 polacchi.
    La seconda fonte furono i cripto-gesuiti che, disobbedendo ai mandati pontifici, fondarono congregazioni fantasma, nelle quali la Compagnia rimase viva e pienamente attiva. Ad esempio, la Società dei Padri del Sacro Cuore di Gesù, la Società del Cuore di Gesù, i Padri della Fede e i Padri Poveri, tra gli altri, fondata da ex gesuiti e associati, come Pierre Picot de Clorivière, Charles de Broglie, Joseph Varin d'Ainville e l'italiano Niccola Paccanari...
    La conclusione che emerge da questi fatti storici è evidente: i gesuiti, e con loro gli innumerevoli vescovi e laici che li hanno sostenuti, non hanno avuto problemi a disobbedire agli ordini del Romano Pontefice in una materia che consideravano ingiusta, ignorando le pene della scomunica e altri caesuras previsto dal breve Dominus ac Redemptor. E, tra l'altro, non hanno accusato alcun problema di coscienza riguardo all'atto di disobbedienza formale in cui sono caduti. E la cosa più curiosa di tutto questo è che nessuno li rimproverava, o comunque quelli che lo facevano erano i monarchi laici, principalmente spagnoli. La Chiesa taceva e permetteva di fare, ea suo tempo, 'usava' i disobbedienti, che erano teoricamente scomunicati, per restaurare la Compagnia".

    È una manipolazione della storia? È questo l'ennesimo caso in cui i passatisti, quando la storia non risponde alle loro premesse ideologiche, non hanno vergogna di alterare fatti storici per aderire a un passato che non è esistito?
    Ebbene, queste sono le argomentazioni che stanno valutando oggi certi passatisti per proporre la disobbedienza all'attuale Pontefice.

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    1. Caro Silvano,
      la ringrazio per gli interessanti ragguagli. Credo anch’io che i passatisti non possono appigliarsi a questa complessa vicenda dello scioglimento della Compagnia di Gesù per disobbedire a Papa Francesco.
      Io non sono uno storico della Compagnia, per cui esprimo un mio modesto parere, il quale consiste nel ritenere che i Gesuiti che furono accolti da Caterina II non debbano propriamente considerarsi dei disobbedienti, perché, per quanto posso saperne, essi sarebbero stati disobbedienti se si fossero opposti allo scioglimento del loro Ordine, il che non mi risulta.
      Ritengo invece che essi, almeno i migliori, abbiano continuato il loro ministero sacerdotale, magari con una devozione privata a Sant’Ignazio ed eventualmente in comunità spontanee. Nello stesso tempo a me pare che questa presenza gesuitica in terre ortodosse abbia fatto del bene e tutto sommato non sia dispiaciuta allo stesso Sommo Pontefice.

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