Circa la rigorizzazione del concetto di creazione - Parte Quarta (4/5)

 Circa la rigorizzazione del concetto di creazione

Quarta Parte (4/5)

Il mondo non esiste da sempre, ma il tempo ha avuto un inizio

Tommaso confuta San Bonaventura, il quale sosteneva che si può dimostrare razionalmente che il mondo non può esistere da sempre. Tommaso fa notare che la dottrina secondo la quale il tempo ha avuto un inizio è di fede, per cui non è conveniente tentare di provarla con argomenti di ragione. Infatti che il mondo abbia avuto un inizio del tempo lo sappiamo solo dalla rivelazione divina, confermata dal Concilio Lateranense IV.

Tommaso fa notare che se é impossibile una serie di cause per sé all’infinito, ma occorre ammettere una causa prima, invece l’esistenza di una catena causale accidentale infinita, sempre mossa da Dio, connessa ad una sola causa di per sé, che può essere Dio stesso, non è razionalmente impossibile e per questo la si potrebbe ammettere come effetto dell’onnipotenza divina. Infatti il concetto essenziale di creazione, di per sé razionalmente dimostrabile, comporta che Dio sia causa dell’essere delle cose e che Egli avvii una catena di cause per sé.

Ma siccome Dio causa le cose volontariamente, perché Egli è un Ente personale e non è un semplice principio logico dal quale si traggono conseguenze, come l’essere di Hegel e di Severino, e non è neppure una natura fisica che produce necessariamente gli effetti, come il Dio di Democrito o di Spinoza, è libero di agire da sempre o di iniziare ad agire quando vuole. Dice Tommaso:

«Parlando in senso assoluto, Dio non vuole necessariamente se non Se stesso. Non è dunque necessario che Dio voglia il mondo da sempre, ma il mondo esiste nella durata che Dio vuole che esista, dal momento che l’essere del mondo dipende dalla volontà di Dio. Non è dunque necessario che il mondo esista da sempre. Per questo, che il mondo esista da sempre non lo si può provare apoditticamente»[1].

Postorino, dal canto suo, vorrebbe sostenere la libertà dell’atto creativo[2]; ma lo fà invano e in contraddizione col suo concetto immanentistico di Dio, per il quale il mondo non è fuori di Dio come effetto di una causa efficiente, ma come apparizione finita dell’Infinito o deduzione logica da una causa formale, così come si deducono le proprietà di una figura geometrica dalla sua essenza.

Se il mondo è solo in Dio identico con la sua essenza, il mondo diventa necessario come Dio e non può affatto essere l’effetto di un suo libero volere. Viceversa, si può parlare di libertà dell’atto creativo, solo se si suppone un Dio personale, che abbia la possibilità di scegliere e produrre o non produrre un mondo contingente esterno a lui.

L’immagine biblica di Dio come un artigiano che plasma il mondo, precisando che Dio, a differenza dell’artigiano umano, crea la materia che Egli plasma, è una figura adattissima alla nostra limitata intelligenza, benché inadeguata rispetto alla oggettiva sublimità infinita della cosa indicata, per rappresentarci immaginativamente ed analogicamente l’opera creatrice.

Postorino, che, pur volendo essere cattolico, ignora completamente questo illuminante paragone biblico in nome di un’ingiustificata esigenza di rigore filosofico,  parla del tutto contraddittoriamente di una libertà creatrice in Dio, quando concepisce un Dio incapace di creare dal nulla qualcosa fuori di Sé e pretende che il mondo in Dio e solo in Dio sia effetto di un atto libero divino, dimenticando che il concetto di una causa che sia libero effetto di se stessa è una pura e semplice assurdità.

D’altra parte, osserva l’Aquinate, la fede ci assicura che di fatto Dio ha voluto una serie finita di cause a partire dall’inizio del tempo. L’errore di Postorino è invece quello di sostenere la necessità razionale di ammettere una retrocessione del tempo all’infinito e quindi l’esistenza del mondo ab aeterno, senza tener conto del dogma del Concilio Lateranense IV.

Ora, Cristo parla della sua preesistenza rispetto all’esistenza del mondo e quindi conferma il dato genesiaco della creazione all’inizio del tempo. Egli infatti dichiara apertamente la sua divinità in modo speciale con l’affermazione: «Io Sono», attribuendosi il nome sacro, col quale e sotto il quale Dio si è nominato a Mosè. Per questo, Cristo ha potuto dire di Se stesso: «prima che Abramo fosse, Io ero» (Gv 8,58).

E per questo il Prologo di Giovanni usa l’imperfetto, quando parla del Logos divino («in principio era il Verbo»), per dire che Dio, il Logos esisteva prima della creazione o fondazione del mondo da Lui creato. Così similmente Aristotele, che sostiene l’eternità delle cose all’indietro nel tempo, chiama l’essenza o quiddità della cosa con l’espressione to ti en einai, che gli Scolatici traducono con quod quid erat esse, cioè ciò che l’essere era idealmente l’essere della cosa ab aeterno, prima che essa appaia nell’orizzonte del reale. Si tratta di un residuo dell’idealismo platonico, per il quale le idee delle cose preesistono nell’iperuranio alle cose stesse.

In base a questa prospettiva già intravista da Aristotele, e poi ripresa e attualizzata da Sant’Agostino con la dottrina delle idee divine, la Bibbia ci dice che Dio, che esiste dall’eternità, dall’eternità nelle sue idee creatrici ha progettato quel mondo che ha poi liberamente voluto e creato.

Agostino, poi, nel libro XI delle Confessioni, ammettendo con la Scrittura che il tempo abbia avuto un inizio, anche se non sappiamo quando, ossia quanto tempo fa, si domanda che cosa faceva Dio prima di creare il mondo e risponde: «non faceva alcunché»[3]. Ed è logico, se è vero che Dio, che pure è pura Azione, ha cominciato ad agire ad extra creando il mondo un tanto di tempo fa. Il che vuol dire, osserva Agostino, che non c’è stato un tempo prima che Dio creasse il mondo, ma il tempo è iniziato con la creazione del mondo, perchè l’esistenza del tempo presuppone la creazione del mondo.

L’esistenza del tempo è effetto dell’operare creatore di Dio. Dice Agostino:

«Tu dunque sei l’iniziatore d’ogni tempo e se ci fu un tempo prima che tu creassi il cielo e la terra (Gen 1,1), non si può dire che tu ti astenevi dall’operare. Anche quel tempo era opera tua e non poterono trascorrere tempi prima che tu avessi creato il tempo»[4].

 Tuttavia è chiaro, come osserva Sant’Agostino, che questo «quando» o questo «inizio» non va inteso come un momento inserito in un tempo che è precedente, perché Dio è il creatore del tempo. Pertanto, quando San Paolo parla di un «prima» della creazione del mondo» (Ef 1,4), e Cristo stesso, rivolgendosi al Padre, parla di Sé come esistente «prima che il mondo fosse» (Gv 17, 7; cf 24), è chiaro che questo prima non è un prima temporale, quasi che possa esistere un prima temporale prima dell’inizio del tempo. 

Questo «prima» evidentemente non va inteso in senso temporale, ma trascendentale[5], perché il puro e semplice esistere di Dio non pone ancora o non esige necessariamente l’esistenza del tempo e del mondo, che ne è il presupposto, dato che Dio può esistere benissimo senza il mondo e avrebbe potuto benissimo non creare il mondo senza che per questo mancasse di qualcosa. 

Con la pura e semplice esistenza di Dio, quindi, il tempo non esiste ancora, benchè noi siamo obbligati ad esprimerci con categorie (il prima e il poi) tratte dall’esperienza del tempo. Ma è evidente che, se questo prima lo volessimo intendere in senso temporale, cadremmo in contraddizione.  Si tratta invece di un prima ontologico riferito a Dio stesso, in quanto Primo, come lo chiama l’Apocalisse (1,17), primo come ciò che sta anzitutto, primo come il migliore, ciò che sta al vertice, primo come la causa prima, quindi è un prima divino, primo dall’eternità rispetto al tempo che Dio ha fatto iniziare un certo numero di anni fa nel passato.[6]

Postorino, quindi, ha completamente frainteso il pensiero di Agostino circa la questione dell’inizio del tempo e gli fa dire esattamente l’opposto di quello che realmente dice, e cioè che Agostino sosterrebbe la creazione del mondo ab aeterno. Dice infatti Postorino:

«Agostino è del tutto al di là dell’astrazione che pensa la creazione come creazione nel tempo –, nel qual caso è facile la critica del sussistere contradditorio del “nulla” prima della creazione – essendo robustamente presente il concetto della creazione eterna, che a rigore è creazione non nel tempo, ma del tempo, quale la dimensione stessa dell’essere diveniente»[7].

Ora, se per creazione intendiamo l’atto col quale Dio ha creato il mondo, per Agostino questo atto in se stesso certamente è eterno, perché coincide con la stessa eterna essenza divina. Ma se ci riferiamo al rapporto di quest’atto col mondo, Agostino non parla affatto di creazione eterna nel senso che il tempo non abbia avuto un inizio, ma al contrario parla chiarissimamente di un inizio del tempo e non giudica affatto contradditorio il nulla esistente prima della creazione del tempo.

Agostino, infatti, non considera affatto contradditoria l’idea che prima che il mondo e il tempo fossero non c’era nulla di tutto quello che poi sarebbe stato creato. Infatti, se esso è creato dal nulla, vuol dire semplicemente che prima di esistere, ossia di ricevere l’essere, non esisteva! È così difficile immaginare una cosa del genere? Dov’è la contraddizione?

Infatti Agostino parla di un «prima di fare il cielo e la terra»[8], dice che «non esisteva nessuna creatura avanti la prima creatura»[9], afferma che Dio «si è astenuto dall’operare prima della creazione per innumerevoli secoli»[10]; «prima del cielo e della terra non esisteva il tempo»[11]; Dio è «prima di tutti i tempi»[12]. Ora io domando: da dove Postorino ha tirato fuori in Agostino la creazione del mondo ab aeterno?

Ma c’è un intento teoretico dietro a questa falsa affermazione di Postorino. Egli infatti vuol sostenere l’eternità del mondo perché per lui il mondo non è un complesso di enti contingenti, che richiedono l’esistenza di un Ente assolutamente necessario che ne giustifichi l’esistenza non necessaria, ma il mondo è l’apparire finito dell’essere necessario, Dio, all’interno di Dio stesso, perché solo Dio esiste e nulla esiste al di fuori di Dio e fuori di Dio.

Ciò significa allora per Postorino - come vedremo più avanti - che tutta la realtà poggia su di una «contraddizione fondamentale» giustificata dal concetto stesso dell’essere parmenideo, al contrario della contradditorietà del divenire che dev’essere tolta per rispettare il principio parmenideo di non-contraddizione. Invece la contraddizione fondamentale, secondo Postorino, rispetta perfettamente il detto principio.

Vediamo che cosa è e in che cosa consiste questa contraddizione fondamentale, che, secondo Postorino, ci darebbe il concetto rigorizzato di creazione in sostituzione a quello tomistico basato sull’inadeguata concezione aristotelica del principio di non-contraddizione. Dice Postorino:

«Quando il nichilismo venga negato nell’orizzonte finito, ne consegue che non può sussistere in esso contraddizione logica. Una contraddizione bensì sussiste: si tratta invece della contraddizione tra due positivi, che sono per un verso la medesima realtà, per un altro verso due realtà differenti. Posto infatti un certo ente che transita per l’orizzonte dell’apparire finito» (il mondo), «esso mostra in tale orizzonte una determinatezza che non è quella del medesimo ente nell’orizzonte dell’apparire infinito» (Dio); «in quest’ultimo infatti l’ente mostra la propria determinatezza concreta che lo collega col sistema totale delle determinazioni, le quali devono bensì sussistere in tale orizzonte, dato che possono mostrarsi nell’orizzonte finito, … mentre nell’orizzonte finito l’ente resta separato da questa concretezza che non appare e presenta così una determinatezza che è certo sua, ma che è soltanto astratta o formale. 

Si verifica così una “disadequazione” tra ciò che l’ente è, senza che il suo essere concreto sia posto e ciò che dell’ente transitante per il finito si riesce a porre, ovvero uno “scarto” tra l’intenzione posizionale … e la realizzazione di questa intenzione. Ricordiamo che questo tipo di contraddizione era stato da noi anticipato in un quadro strutturale più generale. 

Se però la contraddizione del divenire non sussiste, … allora il divenire così ripensato si mostra lui stesso immutabile in ogni sua determinatezza e, ammesso, come deve essere ammesso, il raddoppiamento dell’orizzonte dell’apparire» (apparire infinito e apparire finito di Dio), «l’esigenza che spinge la riflessione verso la trascendenza» (divina) «sta nel fatto che, se il nichilismo è tolto, non è perciò tolta la contraddizione, che si è visto configurarsi come una disequazione tra ciò che l’ente concretamente è e ciò che astrattamente mostra di questo suo essere: tale contraddizione può essere chiamata «contraddizione fondamentale» o, volendo, «contraddizione-madre». …

«La contraddizione fondamentale non implica nichilismo perché non implica la positività del nulla, ma solo l’alterità strutturale fra astratto e concreto: le determinazioni mancanti all’apparire dell’ente nell’orizzonte finito verrebbe da dire che sono ma non appaiono, ma dicendo in questo modo si affermerebbe un impossibile scarto fra essere e apparire e questo farebbe cadere daccapo nel nichilismo: la verità è che tali determinazioni appaiono altrove» (in Dio), «riducendo l’essenza presentata dall’apparire finito a essenza astratta e formale. …

Ciò significa che, nella dinamica relazionale dell’ontologia dialettica, che resta in ogni caso al fondo dell’ontologia dell’”originario” costituente l’ambito della rigorizzazione, la contraddizione fra quelle determinazioni è tolta, come in assoluto deve essere, in quell’altrove che coincide con l’orizzonte dell’apparire infinito, mentre nell’orizzonte dell’apparire finito» (il mondo) «quella contraddizione è come tale tolta»[13]. Dunque, «la contraddizione fondamentale determina l’opposizione tra finito e infinito, la quale costituisce da ultimo il significato della trascendenza in seno all’originario»[14].

«La contraddizione fondamentale indica da un lato un orizzonte dell’apparire infinito coincidente con la perfetta autocoscienza divina, nella quale tutte le contraddizioni che appaiono nell’orizzonte finito … sono originariamente tolte e dall’altro lato un orizzonte dell’apparire finito coincidente con l’autocoscienza imperfetta» (umana), «sul cui contenuto domina la “contraddizione fondamentale”».[15]

Vediamo dunque come la preoccupazione di Postorino di osservare il principio di non-contraddizione non gl’impedisce di assumere la concezione hegeliana dell’essere come divenire basato sulla contraddizione. Per Postorino quel divenire «contradditorio», che secondo lui sarebbe proprio di Aristotele e di San Tommaso e quindi del dogma cattolico, divenire che supporrebbe il nichilismo e il dualismo, è un divenire che si può e si deve togliere.

Ma in base a che cosa? In base a un divenire più radicale ed originario del divenire per lui contradditorio aristotelico, un divenire immutabile ed eterno proprio dell’«ontologia dialettica», la quale, ormai lo vediamo, non è altro che l’ontologia di Hegel.

Postorino, come Hegel, pone alla base dell’essere, non il divenire aristotelico, che egli intende «togliere», ma il divenire hegeliano. Egli vuol togliere il divenire riferito a un mondo fuori di Dio, per portarlo in Dio stesso, all’interno del quale vuol porre il divenire del mondo, pensando così di riscattarlo da quella contraddizione, dalla quale secondo lui il mondo sarebbe afflitto fuori di Dio.  

Per Postorino, allora, questo divenire si toglie non mostrandone l’identità in base alla dottrina del passaggio dalla potenza all’atto come fece Aristotele, ma lasciandolo contradditorio, solo che per Postorino il problema non è quello di togliere il contradditorio in senso assoluto; tutto sta a vedere dove si pone la contraddizione. Essa è inaccettabile in un mondo che sta fuori di Dio, ma è accettabile, anzi necessaria in Dio, perché appunto Dio, per Hegel, non è un Dio dall’identità assoluta, ma è un Dio che diviene dialetticamente e, come è noto, si fa ed è Storia.

La contraddizione fondamentale, allora, assunta da Postorino nella convinzione di concepire la creazione in modo rigoroso, è la autocontradditorietà hegeliana dell’essere; è l’essere dialettico, il quale pone sé, nega se stesso, oppone sè a se stesso, e torna a sé dalla negazione di sé.

Così per Postorino, che si ispira a Severino in questo suo fondamento hegeliano della «contraddizione fondamentale», la creazione non è altro appunto che questa contraddizione, ossia l’essere astratto ed indeterminato, che si determina da sé secondo il motto di Spinoza omnis determinatio est negatio. Dio nega se stesso come mondo e in questo negare, il mondo torna a Dio e dipende da Dio. La differenza di Severino da Hegel è che questi vede il divenire nella categoria dell’efficienza (Wirklichkeit) ossia della causa efficiente, come Aristotele, mentre Severino si chiude nella causa formale, del tutto insufficiente per capire l’essenza del divenire.

Fine Quarta Parte (4/5)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 18 novembre 2022 

Dio causa le cose volontariamente, perché Egli è un Ente personale e non è un semplice principio logico dal quale si traggono conseguenze, come l’essere di Hegel e di Severino, e non è neppure una natura fisica che produce necessariamente gli effetti, come il Dio di Democrito o di Spinoza, è libero di agire da sempre o di iniziare ad agire quando vuole.

Se il mondo è solo in Dio identico con la sua essenza, il mondo diventa necessario come Dio e non può affatto essere l’effetto di un suo libero volere. Viceversa, si può parlare di libertà dell’atto creativo, solo se si suppone un Dio personale, che abbia la possibilità di scegliere e produrre o non produrre un mondo contingente esterno a lui.

L’immagine biblica di Dio come un artigiano che plasma il mondo, precisando che Dio, a differenza dell’artigiano umano, crea la materia che Egli plasma, è una figura adattissima alla nostra limitata intelligenza, benché inadeguata rispetto alla oggettiva sublimità infinita della cosa indicata, per rappresentarci immaginativamente ed analogicamente l’opera creatrice.

Con la pura e semplice esistenza di Dio, quindi, il tempo non esiste ancora, benchè noi siamo obbligati ad esprimerci con categorie (il prima e il poi) tratte dall’esperienza del tempo. Ma è evidente che, se questo prima lo volessimo intendere in senso temporale, cadremmo in contraddizione.  Si tratta invece di un prima ontologico riferito a Dio stesso, in quanto Primo, come lo chiama l’Apocalisse (1,17), primo come ciò che sta anzitutto, primo come il migliore, ciò che sta al vertice, primo come la causa prima, quindi è un prima divino, primo dall’eternità rispetto al tempo che Dio ha fatto iniziare un certo numero di anni fa nel passato.

Postorino, come Hegel, pone alla base dell’essere, non il divenire aristotelico, che egli intende «togliere», ma il divenire hegeliano. 

Egli vuol togliere il divenire riferito a un mondo fuori di Dio, per portarlo in Dio stesso, all’interno del quale vuol porre il divenire del mondo, pensando così di riscattarlo da quella contraddizione, dalla quale secondo lui il mondo sarebbe afflitto fuori di Dio.  

Immagini da Internet: Michelangelo Buonarroti



[1] Sum.Theol., I, q.46, a.1.

[2] Il concetto della creatio, op.cit., p.268.

[3] Edizioni Città Nuova, Roma 1971, p.324.

[4] Ibid., p.325.

[5] S.Tommaso dice «immaginario»; ma forse è meglio dargli un senso ontologico: è il prima dello stesso essere divino.

[6] Gli scienziati oggi parlano di 14 miliardi di anni, ovviamente senza con questo pronunciarsi sulla questione della creazione, che non è di loro competenza, ma solo circa quanto può essere constatabile e computabile o ipotizzabile in modo verificabile in base all’esperienza fisica.

[7] Il concetto della creatio, op.ct., p.229.

[8] Le Confessioni, Edizioni Città nuova, Roma 1971, p. 324.

[9] Ibid.

[10] p.325.

[11] Ibid.

[12] Ibid.

[13] Il concetto di creatio, op.cit., pp.263-264.

[14] Ibid,. p.265.

[15] Ibid., p.266-267.

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