La polemica di Cristo contro l’ipocrisia - Prima Parte (1/3)

 La polemica di Cristo contro l'ipocrisia

Prima Parte (1/3)

Questo popolo si avvicina a me solo a parole
e mi onora con le labbra,
mentre il suo cuore è lontano da me
Is 29,11

Che cosa è l’ipocrisia?

In greco ypokrisis, da cui ipocrisia, significa alla lettera «giudico-sotto». Si tratta di un giudicare nascosto, non palese, celato sotto un giudicare palese e ad esso contrario. Il soggetto in tal modo, dà ad intendere ciò che non pensa realmente. Dunque un doppio giudicare. Dal che la qualifica morale di doppiezza. È un fingere di credere ciò che non si crede sul serio. È un dire di sì, mentre si è convinti del no.

Al termine italiano ipocrita corrisponde in ebraico hanef, che significa impuro, perverso, che è tradotto dalla Vulgata con hypocrita. È interessante confrontare il senso di questi due concetti, che non è lo stesso, anche se vi è tra loro una connessione, altrimenti San Girolamo non avrebbe adottato quel termine. Quanto alla purezza, essa è la proprietà di ciò che non è mescolato ad altro che gli sia estraneo, che si suppone possa corromperlo, così come diciamo vino puro, acqua pura.

Così Gesù parla della purezza di cuore, per significare un cuore, simbolo del centro vitale dell’uomo: intelletto, coscienza e volontà, attuato e vivente secondo le sue finalità proprie e pregi propri di dirigersi solo verso Dio e farsi normare dalla volontà divina e da null’altro. Purezza è sinonimo di verità, integrità, perfezione, genuinità, autenticità, sincerità. È la condizione di ciò che non è stato contaminato, adulterato, corrotto, sofisticato, alterato, violato.

Purezza e impurità nella Scrittura sono connessi rispettivamente col mondo e con l’immondo, col pulito e con lo sporco, e sono metafore della giustizia e del peccato. Purezza del corpo è l’igiene fisica, purezza dello spirito è la virtù e la santità, Il peccato è visto come una macchia. Da qui il rito del battesimo per togliere la macchia del peccato.

Come dunque la purezza del cuore è l’onestà, la sincerità, la semplicità, la veridicità, la via diritta, così l’impurità del cuore è la slealtà, la disonestà, la falsità, la menzogna, l’inganno, la frode, la finzione, la simulazione, appunto l’ipocrisia.

Perché Cristo è così severo contro gli ipocriti?

Sappiamo tutti quanto è aspra ed insistente la polemica di Gesù contro l’ipocrisia. Quando si tratta di questo vizio, in Gesù non troviamo nessuna misericordia, ma dura condanna ed un tono adirato con minacce di dannazione e col lancio di aspre invettive. Nessuna mitezza, nessuna dolcezza, ma rimprovero severo.

E come mai? Proprio Lui che si raccomanda con noi di essere miti e misericordiosi come lui e di amare i nemici? Gesù che in tante occasioni assume un tono dolce, pratica la persuasione, è pronto al dialogo, è paziente e comprensivo, pieno di tatto e delicatezza, è pronto a scusare e a compassionare, come mai nel denunciare l’ipocrisia è così sdegnato? Perché questi attacchi sapendo che non avrebbe ricevuto in cambio altro che insulti? Sapendo che non li avrebbe persuasi, non avrebbe fatto meglio a tacere? Non ha forse l’aspetto di un provocatore? In fin dei conti è questo atteggiamento inflessibile di Gesù che provocherà nei suoi nemici quell’odio mortale che li spingerà a procurargli la morte.

Come mai Gesù, così capace di dialogare e di persuadere, non è riuscito a convincere gli scribi, i farisei e i dottori della legge che avevano torto? Perché essi non erano in buona fede, non erravano per ignoranza, ma per malizia. Ad essi bruciava il fatto che Gesù sapesse leggere così bene nei loro cuori, sì da denunciare la loro ipocrisia. Per dialogare bisogna essere in due. Uno può avere tutte le migliori disposizioni al dialogo, ma se l’altro non ci sta, non c’è nulla da fare. Qui Gesù si pone al nostro livello umano.

Se avesse voluto, avrebbe potuto come Dio, convertire in un istante i loro cuori, come fece con S.Paolo. Ma non ha voluto farlo per insegnare a noi come ci dobbiamo comportare con gli empi, i superbi e gli ipocriti, adottando naturalmente la massima prudenza nel giudicare la loro situazione.

Ed in effetti non è facile accorgersi che uno è un ipocrita, proprio perché sa celare bene le sue vere intenzioni sotto atteggiamenti ed idee apparentemente sublimi. D’altra parte, così smascherati, non avevano argomenti per controbattere.

Non restava loro che o ignorare con disprezzo le parole di Gesù come fossero delle offese o delle pazzie o scegliere l’arroganza, la sicumera e la protervia. L’accusa di empietà che gli faranno mostra bene che essi partivano da un concetto sbagliato di Dio, confondendo – come li accuserà Gesù – Dio col demonio.

Qui vale il proverbio: «non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire». Pur sapendosi in peccato, si ritenevano loro i detentori della verità su Dio e sulla Legge, e quindi in grado di sapere che Gesù non poteva essere il Messia.

Ovviamente anche in quei momenti di duro scontro è sempre la carità che muove Gesù e la sua divina volontà di operare comunque il bene e per il bene dei suoi avversari e nemici. Stolta e inammissibile sarebbe pertanto l’opinione di chi vedesse in quegli episodi un Gesù «arrabbiato», che perde il controllo di sé e si lascia vincere dalla passione, come faremmo noi miseri peccatori.

Gesù è particolarmente severo con gli ipocriti, soprattutto scribi, farisei, e dottori della legge, per il fatto che, conoscendo bene la Legge ed essendo tenuti a dare esempio di onestà e sincerità, coscientemente e volontariamente, adulteravano e falsificavano nella condotta e nelle parole un valore vitale importantissimo, qual è la verità della Parola di Dio, che è via e mezzo necessario per ottenere l’eterna salvezza.

Gesù è severo perché gli ipocriti sono degli impenitenti, dei presuntosi e superbi, pieni di se stessi, niente affatto disposti a pentirsi o a convertirsi, ma che anzi vogliono far loro da maestri a Gesù con la pretesa o l’intento di redarguirlo o coglierlo in fallo o di metterlo in contraddizione con se stesso, quando essi sono i primi, come vedremo, a disprezzare il principio di non-contraddizione e dell’onestà nel pensare e nel parlare.

Gli ipocriti di oggi sono quegli gnostici denunciati da Papa Francesco, che ritenendosi in possesso della scienza assoluta, dall’altissimo culmine della loro  intelligenza, discendono benignamente ad illuminare noi, comuni mortali, e si degnano di far da maestri al Papa e allo stesso Gesù Cristo, realista ingenuo, legato al concetto di un Dio trascendente, e quindi incapace di riconoscere la divinità dell’uomo, da essi già scoperta sin dai tempi dell’antichissima filosofia indiana.

Caratteri dell’ipocrisia

Tra tutti i vizi morali l’ipocrisia è dei più gravi, perché suppone un calcolo malizioso, per il quale l’ipocrita mira ad apparire esteriormente stimabile, secondo un criterio giusto o ingiusto, nascondendo il suo vero intento, che è quello di fare la propria volontà e non quella di Dio; un peccare di nascosto senza darlo a vedere, un sembrare giusto senza esserlo, un cercare la gloria umana e non quella divina, un temere gli  uomini e non temere  Dio, esibendo un comportamento e un parlare che dà l’apparenza della giustizia, o fingendo una falsa purezza morale, che dà più importanza a minuziose pedanti pratiche giuridiche, convenzionali, consuetudinarie, rituali o cerimoniali, che non alle esigenze e i bisogni primari della coscienza o dello spirito, come la pietà, la giustizia e la misericordia.

L’ipocrisia è impurità di cuore e di mente, suggerita da quello che l’Evangelista Marco chiama «spirito impuro» (1,23), ossia il demonio, padre della menzogna (Gv 8,44). Questa impurità consiste nello scindere il pensiero e metterlo in contrasto con se stesso. Il pensiero, vien posto dalla volontà. ossia dalla protervia, dalla superbia e dalla tracotanza, in una direzione contraria alla sua inclinazione naturale verso la realtà, senza tuttavia poter eliminarla del tutto, dato che fa parte dell’essenza stessa del pensiero. In questo modo il pensiero si sdoppia, perdendo la sua semplicità, e si muove su due direzioni opposto: una verso la realtà, l’altra verso se stesso.

L’ipocrita dà più importanza all’apparire che all’essere. A lui interessa il riconoscimento sociale, ossia come viene giudicato dagli altri, essere approvato o ammirato dagli altri, perché è questo ciò che gli sta a cuore, non il giudizio divino. Non cerca di verificare se gli altri si basano o no su valori oggettivamente giusti, ma gli basta la loro approvazione.

All’ambiente sociale piacciono certe idee o certi comportamenti? Tanto basta per lui per fare o pensare come desidera l’ambiente sociale, non importa che cosa ne pensa Dio. Non gli interessa verificare come stanno veramente le cose, perché ciò che gli interessa non è come sono, ma come appaiono.

Non considera che ci può essere uno scarto tra l’apparire e l’essere. Il principio di identità e non-contraddizione non lo interessa: se una data cosa sembra a me di tal fatta e ad un altro di fatta contraria, non mi pongo il problema di chi ha ragione; ognuno si tiene la sua idea, salvo che non urti i miei interessi. 

Non crede che esista una verità oggettiva stabilita da Dio su quella cosa, verità alla quale tutti devono attenersi. Se mi fa comodo, tengo la mia idea; ma se mi fa comodo l’altro, tengo la sua. Tutto si gioca sulle apparenze, non sulla realtà. L’ipocrisia sottende dunque l’ateismo. Nessun Dio che giudichi fra gli uomini chi ha ragione e chi ha torto.

Nel Vangelo gli ipocriti sono inesorabili legalisti e intransigenti moralisti, che «filtrano il moscerino e ingoiano il cammello» (Mt 23, 24), attaccati alle tradizioni umane più che alla Parola di Dio, schiavi dell’esteriorità e senza vita interiore, servitori di Dio e mammona, assetati di gloria umana ed incuranti di quella che viene da Dio, «sepolcri imbiancati» (Mt 23,27), «serpenti, razza di vipere» (Mt 23,33), «ciechi e guide di ciechi» (Mt 15,14). Oggi si potrebbe parlare di un fariseismo alla rovescia, ossia di coloro che affettano disprezzo per il legalismo e stima per la spontaneità, ma solo perché oggi molti ammirano questo stile, e non per un’autentica cura della vita spirituale.

Così l’ipocrisia è sorgente di eresie, perché è un finto amore per la verità. Portiamo alcuni esempi. Siccome vuol apparire giusto senza rinunciare a peccare, allora sostiene che uno può essere in grazia e ad un tempo essere un stato di peccato morale. Siccome la sua superbia non gli permette di assoggettarsi al magistero del Papa, allora nega l’autorità del Papa. Siccome non vuol vincere le tentazioni carnali, allora nega valore al voto di castità. Siccome tiene al favore del mondo, allora nega che Dio castighi qualcuno e sostiene che tutti si salvano. Siccome gli pesa lo sforzo ascetico, allora nega che la morte di Cristo sia stata un sacrificio. Siccome gli pesa lo sforzo del ragionare, allora sostiene che la fede esclude la ragione. Siccome non ha l’umiltà di riconoscere di esser stato creato dal nulla, allora sostiene di essere un’apparizione di Dio. Siccome non ha l’umiltà di assoggettare il suo intelletto alla realtà, allora sostiene che il pensare coincide con l’essere. Siccome è attaccato alle cose materiali, allora sostiene che la metafisica è impossibile.

L’ipocrita può avere un mondo interiore biasimevole, al quale è attaccato. Ma siccome tiene a fare bella figura davanti ai buoni, allora affetta di avere una condotta esemplare. Oppure, viceversa, può avere interiormente buoni sentimenti ed idee giuste. Ma siccome mira al consenso sociale e l’ambiente sociale pratica dei falsi valori, allora, per timore di essere disapprovato o emarginato, assume esteriormente quei falsi valori. È chiaro che in tal caso non gli serve a nulla avere interiormente delle buone intenzioni, se poi non ha il coraggio di manifestarle e metterle in pratica all’esterno.

Occorre osservare, peraltro, contro certe idee correnti, che la vera sincerità non sta tanto nel manifestarsi come si è, se questo essere non è conforme al dover essere. Il manifestare apertamente la propria ira o la propria sensualità è sì una forma di sincerità, mentre il fingere mitezza o castità quando dentro la passione bolle, è indubbiamente ipocrisia, a proposito della quale S.Tommaso è abbastanza indulgente, perché osserva che qui si salvano almeno le apparenze. Tuttavia è sbagliato credere che il frenare una passione smodata sia mancanza di sincerità; è vero invece il contrario, perché la vera sincerità è comportarsi come si deve. Il vino sincero è quello fatto a regola d’arte, non quello inacidito.

Anche Tommaso, infatti, mostra l’odiosità dell’ipocrisia che sorge dal rifiuto dell’evidenza del primo principio della dimostrazione – non est affirmare et negare simul -, laddove commentando il fondamentale stupendo libro IV della Metafisica di Aristotele, qualifica di «protervia» i negatori scettici di quel principio, che si rifacevano a Protagora, mentre  Aristotele parla di apaideusìa, indocilità, per la quale la mente ribelle alla verità nega l’evidenza impugnando volontariamente la verità inoppugnabile di quel primo principio del sapere, il principio di non-contraddizione, fondato sul primo principio dell’essere, che è il principio di identità, per il quale ogni ente è ciò che è e non può non essere nel momento in cui è secondo il suo essere e la sua essenza.

Tommaso dimostra come chi rifiuta quel principio si confuta da solo, rende impossibile il dialogo, nega qualunque possibilità di accordo intellettuale, genera una conflittualità ideologica universale ed irresolubile e impedisce quindi qualunque convivenza sociale pacifica ed ordinata, in una sana ed armoniosa pluralità e diversità di libere scelte ed opinioni[1].

Per Gesù l’ipocrisia è un falso fermento, un falso lievito, essa procura ed esprime un falso fervore, un falso zelo per la giustizia e per la verità, non genera misericordia ma misericordismo, non genera bontà ma buonismo, non è sapienza ma astuzia, non è avvedutezza ma doppiezza, non è prudenza ma opportunismo, non è mitezza o riservatezza ma spirito sornione, non è umorismo ma spirito beffardo, non è un ridere ma un deridere. Non è uno scherzare bonario, ma uno scherzo che ferisce. La sincerità non è un alludere, un lasciar intendere o insinuare l’accusa senza parlare con franchezza e apertamente. Per questo Gesù ci mette in guardia: «Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia» (Lc 12,1).

Essa, per dirla con San Giacomo, non è la vera «sapienza, che viene dall’alto, la quale è pura e senza ipocrisia» (Gc 3.17), ma è una sapienza «terrena, carnale e diabolica» (ibid.), dove ritroviamo la già vista corrispondenza ebraica fra impuro e ipocrita, e corrispettivamente l’abbinamento di puro e sincero.

In sostanza, chi è l’ipocrita? L’ipocrita è un superbo, un presuntuoso, un empio impenitente, attaccato a se stesso, un disobbediente a Dio, un ateo, un disonesto, un finto amante della verità, un bugiardo, una persona doppia, un falso sapiente, un egocentrico, un orgoglioso, un esibizionista, un narcisista, un assolutista, uno scettico, un falsario, un impostore, un astuto seduttore. È, per dirla con San Paolo, un «uomo iniquo, figlio della perdizione, servo del demonio, uno spirito di contraddizione (antikèimenos), che si innalza su tutto ciò che chiamato Dio» (epì panta legòmenon Theòn). È colui che si esalta, e che sarà umiliato (cf Lc 14,11).

Fine Prima parte (1/3)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato 10 dicembre 2022

Per Gesù l’ipocrisia è un falso fermento, un falso lievito, essa procura ed esprime un falso fervore, un falso zelo per la giustizia e per la verità.

Per questo Gesù ci mette in guardia: «Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia» (Lc 12,1).


Immagine da Internet:
Cristo discute con i farisei – Cattedrale di Tours (Francia)


[1] Vedi il Commento alla Metafisica di Aristotele, libro IV, lect.VIII, nn.649,650; lect.IX, nn.653, 654,661; lect.XI, nn.670.671; lect.XII, n.680.

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