Il mistero dell’essere in Karl Rahner - Mistero dell’essere e mistero di Dio - Quarta Parte (4/4)

 

Il mistero dell’essere in Karl Rahner

Mistero dell’essere e mistero di Dio

 
Terza Parte (3/4)

La soggettività umana come apertura all’essere e come autocoscienza

Per Rahner alla trasparenza dell’essere (il «categoriale») corrisponde l’incomprensibilità dell’essere (il «trascendentale»), che egli chiama «mistero dell’essere». Ora, però questa autotrasparenza e questa incomprensibilità dell’essere sono ad un tempo quelle dell’uomo e quelle di Dio, giacchè, come si è visto, Dio è l’orizzonte ultimo della trascendenza dell’uomo e l’uomo è la determinazione storica ed empirica del divenire di Dio.

Rahner ammette dunque un rapporto dialogico fra Dio è l’uomo: l’uomo è quell’ente che per essenza è in ascolto di una possibile rivelazione da parte di Dio e Dio per essenza è libero manifestarsi all’uomo. L’uomo è uomo in quanto aperto a Dio e Dio è Dio in quanto divenuto uomo.

Rahner ammette dunque un io umano e un tu divino, e non disdegna affatto di fermarsi con espressioni edificanti in questo colloquio, come è dimostrato dal suo libretto Tu sei il silenzio[1], peraltro ricco di toccanti e religiose riflessioni e considerazioni. Ma in fin dei conti, stando alla base metafisica della distinzione rahneriana fra essere umano ed essere divino, unificati nel suo unico concetto dell’«essere in generale», essere come coscienza di essere, il «tu» divino al quale Rahner si rivolge, non è un Tu realmente distinto dall’autocoscienza trascendentale preconcettuale dell’essere di Rahner, un Tu esistente indipendentemente e prima della coscienza che Rahner ha di se stesso, un Tu che trascende questa coscienza, ma è l’oggetto stesso apriorico immanente ed interiore alla sua coscienza, come orizzonte ultimo e sconfinato dell’autotrascendenza della coscienza di Rahner ed oggetto della sua esperienza trascendentale o percezione previa.

Lo stesso Rahner però si domanda: come può l’essere essere ad un tempo trasparente e mistero a se stesso? Dice: «Bisogna affrontare la questione: perché l’essere è nascosto nonostante la sua luminosità?»[2]. Qui Rahner fa una serie di considerazioni, anche giuste, ma che evadono dal problema e non lo risolvono affatto, perché non si può risolvere. Qui appare la radicale illusorietà della concezione idealistica dell’autocoscienza. Ma purtroppo col suo divagare, Rahner mostra di non voler riconoscere il vicolo cieco al quale conduce la concezione idealistica dell’essere.

Infatti l’idealismo, che a partire da Cartesio vorrebbe fare l’apologia della chiarezza o trasparenza dell’autocoscienza, se mette veramente in atto il suo processo di riflessione, succede che l’io, nel momento stesso in cui vorrebbe oggettivarsi, ossia rendersi oggetto a se stesso, è bloccato proprio dal fatto che egli è soggetto distinto dall’oggetto.

In altre parole, come idealista, se io voglio attuare veramente una presa di coscienza del mio proprio io, cioè poter avere il mio io presente a me stesso, non posso, perchè io nel conoscere produco un oggetto, che è il concetto, che ha bensì alle spalle il soggetto che sono io, ma che per definizione, in quanto oggetto, si oppone al soggetto, perché il rendere oggetto il soggetto vuol dire esattamente negare il soggetto.

Nell’idealismo il soggetto può oggettivare tutto al di fuori di se stesso[3]. Per questo il soggetto è inoggettivabile, ossia inconoscibile e incomprensibile. Ecco perché, se io tento di mettere il mio io davanti a me stesso, nella mia coscienza, e porlo come un tu, mi trovo davanti al buio assoluto e tenebre impenetrabili. Mi trovo davanti all’incomprensibile, che peraltro, in quanto soggetto ossia essere che è pensiero e pensiero che è essere, dovrebbe essere il vertice e l’orizzonte infinito dell’autotrascendenza del mio io empirico, cioè dovrebbe essere Dio stesso.

Certamente l’idealista non si considera onnisciente nel senso di conoscere il dettaglio di tutte le cose, ma è chiaro che nel momento in cui egli considera il suo io empirico come determinazione finita del suo Io assoluto, è convinto che il suo io sia il fondamento ontologico di tutte le cose.

Tutto quello che Rahner ci fa intendere, non è altro quindi che una ripresa della soluzione che già Schelling aveva tentato di dare, trovandosi come idealista davanti alla stessa aporia. La differenza di Rahner da Schelling sta nel fatto che mentre Schelling oppone il soggetto all’oggetto, Rahner oppone l’essere come io all’essere come tu.

Per Rahner, come per Heidegger, l’essere originariamente sono io come cosciente di me stesso – è il principio cartesiano -. Ma appunto per questo, in questa presa di coscienza, io oggettivizzo me stesso. Oggettivizzando me stesso, manco con ciò stesso a me stesso come soggetto. Ecco perché l’Assoluto di Schelling è il soggetto-oggetto, l’assolutamente indistinto e indeterminato, dove tutto è tutto, e quindi del tutto inconoscibile, inconcettualizzabile, incomprensibile.

Rahner non è neppure distante da Hegel, per quanto questi rifiutasse l’esistenza del mistero divino, perché diceva che la ragione svela il mistero e quindi lo toglie. Tuttavia se per mistero intendiamo l’incomprensibile, come fa anche Rahner, possiamo dire che Hegel ammette il mistero, benché lo chiami l’«Assoluto». Infatti egli dice che si danno due definizioni dell’Assoluto, ossia di Dio: una che dice che l’Assoluto è l’Essere e l’altra che dice che l’Assoluto è il Nulla[4] .

Queste definizioni dell’Assoluto corrispondono alla sua famosa tesi, per la quale nel puro essere non c’è nulla da intuire, per cui essere e nulla sono la stessa cosa. Dio è dunque simultaneamente Essere e Nulla. Questo, per Hegel, è il Mistero di Dio, l’Incomprensibile. Si tratta della traduzione filosofica della tesi luterana per la quale la fede è scandalo per la ragione. Dio è mistero di fede proprio in quanto scandalizza e contraddice alla ragione. La ragione hegeliana non è altro che la trasposizione razionale della «fede» luterana. Quindi anche per Hegel esiste l’oscurità, e in tal senso si può dire che esiste il mistero.

Ora, anche Rahner, come Hegel, «fluidifica» la solidità del concetto empirico e relativizza la verità del dogma, rispetto all’esperienza atematica del mistero. Tuttavia Hegel parla del concetto anche come espressione dell’Assoluto. Sotto questo punto di vista il Concetto è «ciò che è libero, è la potenza sostanziale per sé stante, ed è la totalità»[5]. Il «concetto oggettivo è l’Idea, soggetto-oggetto, unità del concetto e dell’oggettività, assoluta verità»[6]. «Il concetto puro è l’assolutamente infinito, incondizionato, e libero»[7].

Ora è vero che in Rahner non troviamo il Concetto assoluto hegeliano, ma, se consideriamo quanto ho citato sopra di Hegel riguardo al «puro concetto» e andiamo a vedere che cosa intende qui Hegel per «Concetto», ci accorgeremo che il Concetto assoluto hegeliano viene a coincidere con l’Assoluto hegeliano, del quale abbiamo visto sopra la definizione.

L’esperienza oscura preconcettuale del Mistero

come condizione di possibilità della conoscenza chiara categoriale

Rahner inoltre respinge l’idea che l’uomo abbia nella vita presente una conoscenza difettosa del mistero divino. Questo comprendere imperfettamente non gli va bene. Egli sostiene l’esistenza per ogni uomo di un’esperienza originaria preconcettuale e trascendentale del mistero, salvo poi a sostenere che questa meravigliosa esperienza consiste nel fatto che nel mistero di Dio noi non vediamo nulla perché non c’è niente da vedere o da concepire, trattandosi dell’Incomprensibile per eccellenza, sovraconcettuale, inesprimibile ed ineffabile.

A Rahner non va bene che l’intelletto comprenda qualcosa e il resto gli sia ignoto. Per Rahner l’intelletto nel mistero di Dio non comprende assolutamente niente e non formula alcun concetto perchè per lui i concetti, fossero anche quelli del dogma, nella loro determinatezza, pluralità e fissità, perdono il contatto col divenire di Dio e d’altra parte, nella loro mutabilità e relatività, non possono avere la pretesa di assicurare un sapere oggettivo, immutabile ed universale. Sono semplici rivestimenti convenzionali, utili alla vita pratica, dell’esperienza previa, segni simbolici e provvisori, passeggeri, diversificati e superabili dell’unica esperienza previa di Dio comune a tutti, anche se non tutti ne hanno consapevolezza.

Queste idee conducono Rahner a ritenere che il mistero cristiano non sia convenientemente espresso in una molteplicità di proposizioni o articoli di fede che meritino di essere chiamati «misteri».  Davanti ad un’opera classica come quella dello Scheeben, I misteri del cristianesimo[8], Rahner mostrerebbe una certa perplessità. Egli infatti considera il mistero di Dio non nella luce della concettualizzazione, come oggetto intellegibile e concettualizzabile sulla base di una precedente esperienza delle cose e come verità concepibile come spiegazione razionale dell’esistenza del mondo, ma oggetto della sua famosa «esperienza trascendentale» atematica dell’essere, dell’io e di Dio» come condizione di possibilità della conoscenza categoriale della realtà creata.

Per questo, benché Rahner si professi cattolico e tale sia da molti considerato, stante il suo modo di concepire il mistero di Dio, come ineffabile ed inesprimibile, nascono in noi dei dubbi che egli abbia fondate ragioni per parlare, a proposito del mistero di Dio, di un mistero cristiano, dato che con l’attributo «cristiano» entriamo evidentemente nel campo categoriale, dove il mistero ineffabile viene espresso dalla Scrittura e dalla Chiesa in una molteplicità di proposizioni, dette appunto «misteri del cristianesimo».

È vero che il mistero di Dio è il mistero per eccellenza, ma la molteplicità dei misteri cristiani è più che giustificata dal fatto che, se è vero che esiste un’esperienza mistica del mistero del Dio cristiano, tale esperienza non è previa alla molteplicità delle formulazioni categoriali delle verità di fede, ma al contrario, questa molteplicità è resa necessaria dalla naturale molteplicità delle nozioni umane, ed essa è la condizione di possibilità dell’esperienza mistica, la quale non è altro che un’esperienza interiore affettiva della presenza  nell’anima in grazia della Santissima Trinità sotto l’impulso del dono della sapienza[9].

L’esperienza trascendentale della quale parla Rahner non esiste, non esiste un’esperienza atematica originaria di Dio migliore di quella che ci è assicurata dai dogmi della fede. Essi perfezionano nella luce della fede la precedente conoscenza naturale di Dio e preparano alla superiore esperienza mistica, a sua volta preludio della visione beatifica.

Rahner sostiene che il mistero di Dio è noto a tutti e qui ha ragione[10]. Tuttavia occorre dire che Dio è universalmente noto non nel senso e per il motivo che dice lui. L’esistenza di Dio infatti non è, come egli sostiene, immediatamente evidente per un’esperienza ineffabile preconcettuale e «trascendentale», ma nel senso che tutti spontaneamente trovano e concepiscono  la natura e l’esistenza di Dio passando dall’effetto alla causa.

Ciò non significa affatto che conoscendo Dio a questo modo,  possiamo conoscerlo esaurientemente. Neppure ciò ci è possibile per le più umili realtà materiali. Figuriamoci cosa può essere per Dio, il cui essere supera infinitamente il nostro. È vero, come osserva S.Tommaso[11], che con la nostra ragione lo conosciamo meglio negando quello che non è che affermando quello che è. È, questa, la cosiddetta teologia negativa.

In essa noi neghiamo la finitezza delle perfezioni che attribuiamo a Dio, fino a negare la finitezza dell’essere, per cui, come osserva S.Tommaso, alla fine di questo processo di purificazione ed elevazione dello sguardo, neghiamo in Lui anche l’essere così come noi lo concepiamo, per cui alla fine restiamo in una certa «tenebra di ignoranza, nella quale si dice che Dio abita». Dice Tommaso:

 «Quando procediamo verso Dio per via di rimozione, innanzitutto neghiamo in lui le realtà corporali. In secondo luogo neghiamo le realtà intellegibili in quanto si trovano nelle creature, come la bontà e la sapienza ed allora rimane nel nostro intelletto il fatto che Egli esiste e niente più, per cui si trova in una certa confusione. Ma alla fine rimuoviamo da Lui anche lo stesso essere in quanto si trova nelle creature ed allora rimane in una certa “tenebra di ignoranza”, secondo la quale ignoranza ottimamente ci congiungiamo a Dio, come dice Dionigi nel c.1, par.1 del Trattato sui nomi divini e questa è una certa “caligine” nella quale si dice che Dio abita» (I Sent., D.8, q.1, a.1, ad 4m).

Ecco il mistero di Dio. Rimane tuttavia la nozione dell’essere, giusta la rivelazione di Es 3,14. Il nostro intelletto, pur nell’oscurità e nella percezione che Dio è nulla di come noi nella nostra finitezza, percepiamo l’essere, resta illuminato dall’essere.

Forse era questo ciò che Hegel intendeva esprimere con la sua dialettica essere-nulla, se il suo idealismo, col confondere l’essere col non-essere non fosse finito nel nichilismo. Eccoci dunque daccapo col vicolo cieco al quale conduce l’idealismo: l’assolutamente incomprensibile o inconoscibile, falso concetto di Dio condannato da San Pio X.

Ma possiamo osservare anche che il «mistero» divino rahneriano non è altro che l’Assoluto di Schelling, con la pretesa che questo sarebbe il Dio cristiano, mentre in realtà si tratta solo dell’àgnoston, l’Inconoscibile dello gnosticismo, già condannato da San Pio X. Sembra un paradosso: nella gnosi alla massima luce corrisponde la massima oscurità: il gnostòn corrisponde all’àgnoston. Quando credo d’aver fatto la massima luce mi trovo immerso nelle tenebre.

Così Rahner pensa che

 

«formulando parole, disegnando concetti, traducendo la realtà di Dio in un oggetto della nostra coscienza», noi instauriamo solo una «forma seconda del rapporto originario a Dio», e che «questa relazione tematica, di seconda istanza è portata e sostenuta da un modo di relazione anteriore, atematico, trascendentale della nostra spiritualità integrale verso l’inafferrabile Infinito», un «rapporto esistentivo ed esistenziale», un «rapporto originario», per il quale «siamo avvolti da Dio nel più intimo e radicale del nostro essere».

 

Quando «elaboriamo concetti complicati e ricchi di contenuto, stiamo vivendo di una relazione più sorgiva con lui e tutti quei concetti sono soltanto un’indicazione di quella relazione», che  è un’«esperienza di Dio scavata alle radici dell’esistenza». Sarebbe, questa, l’«originaria struttura dell’uomo». Qui «comincia a spuntare qualcosa della conoscenza originaria di Dio». «Ciò che noi ‘afferriamo’ di Dio a questo modo è qualcosa come il Nulla, l’Assente, il Senza-Nome, Colui che inghiotte».

 

«Il Dio di un concetto fisso è un dio che non esiste, … Allora in fondo Dio non è che una parola sublime dietro la quale si nasconde il proprio io». «L’esperienza originaria non è: penso a Dio e lo conosco, ma; sono afferrato da lui». «Dio è colui che trascende inesprimibilmente tutto ciò che è». È l’«assoluto mistero», l’«Incomprensibile»[12].

Come vediamo, per Rahner i «concetti fissi» non ci danno il vero Dio, che viceversa è «l’incomprensibile, l’Ineffabile e l’Inesprimibile, l’Assente, Mistero assoluto, senza nome, Colui che inghiotte», del quale abbiamo una «precedente ed originaria esperienza trascendentale, che costituisce la struttura originaria della nostra esistenza umana nelle sue radici».

Per Rahner mistero è

 

«quella conoscenza verso la quale l’uomo nella libertà della sua capacità di trascendenza, intelligente liberamente amante, trascende sempre se stesso»[13].

L’uomo è proiettato per essenza verso il mistero divino, cosicchè non si saprebbe concepire un uomo che non lo fosse. Rahner, certamente afferma la libertà dell’uomo, ma non il libero arbitrio, giacchè non prevede la possibilità che qualcuno, senza per questo perdere la natura umana, scelga di non trascendersi verso Dio, ma di orientare la propria vita ad un obbiettivo diverso, meramente creaturale.

Osservazioni conclusione

Un merito di Rahner è stato quello di stimolare molti ad interessarsi delle questioni fondamentali della vita e dell’esistenza, credenti e non credenti, ha offerto stimoli per una vita cristiana attenta ai valori della modernità, capace di confrontarsi con le sfide del nostro tempo, in linea col rinnovamento promosso dal Concilio Vaticano II.  Ha fatto un forte richiamo ad un cristianesimo libero e responsabile, attento ai valori dello spirito e nel contempo ai bisogni e alle prospettive del mondo d’oggi.

Rahner ha tuttavia esercitato anche un influsso negativo col promuovere una maniera modernistica di attuare le direttive del Concilio. Nel tentativo di realizzare un tomismo aperto ai valori della filosofia moderna, ha inquinato la visione cattolica con errori provenienti dal protestantesimo liberale e dall’idealismo tedesco, tanto da orientare molti ad un’impostazione tendenzialmente pelagiana e gnostica del cristianesimo nelle classi intellettuali, mentre a livello popolare ha contribuito alla diffusione di quel buonismo, misericordismo e permissivismo che oggi è molto diffuso.

Rahner crede che il teologo geniale e profondo sia quello che copre con una cortina fumogena di ragionamenti capziosi, aggrovigliati e contorti, un cogitare oscuro a se stesso e senza senso, che egli vorrebbe presentare come espressione dell’Inesprimibile, dell’Ineffabile e dell’Incomprensibile. Ma egli cade nella contraddizione più stridente con se stesso nel pubblicare migliaia di scritti, dove usa il concetto per criticare il concetto. Il quale dovrebbe essere sostituito da un’«esperienza atematica», il cui oggetto non si sa che cosa sia appunto perchè non è definibile concettualmente, sicchè può essere tutto e il contrario di tutto.

La sua teoria del cristiano anonimo basata sulla convinzione che tutti sono in grazia senza saperlo, ha tolto alla radice il motivo per un giovane di farsi missionario e partire per l’Africa o per la Cina o per l’Amazzonia. «Chi mi fa fare tanti sacrifici, se devo semplicemente esplicitare in concetti e in parole quello che l’evangelizzando sa già da sempre nella sua coscienza trascendentale atematica?» 

Il suo relativismo ed evoluzionismo dogmatici hanno favorito l’indifferentismo religioso. La verità non interessa. Non importa raccontare frottole: l’importante è essere creduti; l’importante è muoversi, darsi da fare, organizzare, sfondare, produrre, emergere, primeggiare, apparire geniali, farsi conoscere, essere simpatici e stimati, influire sulla gente, raccogliere seguaci e ammiratori, ottenere successo e consensi.

Rahner promuove una falsa mistica, intendendo la mistica come l’equivalente della sua «esperienza trascendentale», per cui secondo lui la mistica non è al vertice ma alla base della vita cristiana. Per lui il cristiano non parte dall’esperienza ordinaria di tutti i giorni, per elevarsi, mediante l’ascetica e esercizio delle opere buone nella fede e nella carità, all’esperienza mistica, sempre che Dio gliene faccia dono.

No. Per lui il cristiano, anzi l’uomo come tale, qualunque uomo, è già con ciò stesso un mistico, cioè l’ente o l’«esserci» che si autotrascende in Dio. Quindi per salire alla mistica non occorre apprendere nozioni, assoggettarsi a una disciplina, fare fatiche o rinunce, ma basta esprimere in simboli convenzionali o modelli interpretativi, cioè i concetti, in un’opzione fondamentale[14], nel quotidiano, in piena libertà, il contenuto dell’esperienza trascendentale.

La sua sottovalutazione della Tradizione ha suscitato la reazione dei lefevriani. La sua scarsa attenzione al magistero della Chiesa ha contribuito a diminuire in molti cattolici il rispetto per l’autorità pontificia. La sua scriteriata polemica contro la teologia scolastica ha prodotto un dogmatismo e un dilettantismo teologico spocchioso, presuntuoso, supponente, saccente e arrogante, per il quale chiunque può essere certo di essere illuminato dallo Spirito Santo, ed avere la facoltà di opporsi al teologo accademico, al vescovo e al Papa trattandoli con irriverenza, pensando magari di essere nel numero di quei piccoli, ai quali Cristo rivela i misteri del regno, che nasconde ai sapienti ed agli intelligenti.

La sua riduzione di tutta la teologia a pastorale ha di fatto messo in crisi la teologia dogmatica, sistematica e speculativa, ha bloccato la ricerca teologica e l’interesse per gli aspetti del dato rivelato che ancora non sono stati messi in luce, ha spento la volontà di confutare e correggere gli errori teologici, la cura per avvertire i fedeli, per disingannarli e distoglierli dall’errore, per stimolarli a progredire nella conoscenza della Parola di Dio.

Quando un pastore vuol ridurre tutta la sua pastorale a misericordia, quando non sa sintetizzare severità e misericordia, quando non sa quando premiare e quando castigare, quando vuol dar ragione a tutti, barcamenandosi fra il sì e il no, quando pensa di dover sempre tollerare e mai correggere, quando non rimprovera il peccatore per non scontentarlo e per il timore di perdere il suo consenso, allora cade nei due estremi del permissivismo e della crudeltà: debole con i forti e forte con i deboli.

Il bello è che questo atteggiamento oscurantista viene proprio da chi si ritiene l’araldo del progresso teologico promosso dal Concilio. Ora dobbiamo invece tenere ben presente che una pastorale non illuminata dalla verità ma mossa dal pregiudizio, una pastorale dell’emotività al posto della carità non solo non costruisce niente, ma fa il danno delle anime. Non conduce alla luce, ma alle tenebre. Non salva, ma conduce alla perdizione.

Oggi molti si lamentano di essere oppressi da quello che essi chiamano «pensiero unico». Ne ha parlato di recente anche il Papa. È quello che Mons. Luigi Negri chiamava «dittatura del relativismo». Di che si tratta? Di per sé sarebbe bello avere tutti un unico pensiero, come auspica lo stesso San Paolo: «una sola fede» (Ef 4,5). Senonchè questo unico pensiero imposto a tutti per mezzo di potentissimi mass-media, da parte di abilissimi propagandisti sedicenti scienziati, con la suggestione, le spacconate, la seduzione, le lusinghe, la manipolazione delle coscienze, le minacce, la prepotenza, l’inganno, la paura e le promesse di favoloso benessere per tutti, è il piano massonico globale esoterico transumanistico e tecnocratico mondiale, sovvenzionato dall’alta finanza internazionale, piano del quale l’espressione e longa manus nella Chiesa è il modernismo rahneriano. Questo organizzatissimo e onnipervasivo pensiero unico, che aspira al dominio del mondo, non consente alcuna libertà e pluralismo, ma chiama tutti ad accettarlo. Ha le carte in regola per ricevere la nostra fiducia?

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 5 aprile 2023

 

Un merito di Rahner è stato quello di stimolare molti ad interessarsi delle questioni fondamentali della vita e dell’esistenza, credenti e non credenti, ha offerto stimoli per una vita cristiana attenta ai valori della modernità, capace di confrontarsi con le sfide del nostro tempo, in linea col rinnovamento promosso dal Concilio Vaticano II.   

Ha fatto un forte richiamo ad un cristianesimo libero e responsabile, attento ai valori dello spirito e nel contempo ai bisogni e alle prospettive del mondo d’oggi.

Rahner ha tuttavia esercitato anche un influsso negativo col promuovere una maniera modernistica di attuare le direttive del Concilio. Nel tentativo di realizzare un tomismo aperto ai valori della filosofia moderna, ha inquinato la visione cattolica con errori provenienti dal protestantesimo liberale e dall’idealismo tedesco, tanto da orientare molti ad un’impostazione tendenzialmente pelagiana e gnostica del cristianesimo nelle classi intellettuali, mentre a livello popolare ha contribuito alla diffusione di quel buonismo, misericordismo e permissivismo che oggi è molto diffuso.

Immagini da Internet: mosaici, Basilica Aquileia

[1] Editrice Queriniana, Brescia 1964.

[2] Uditori, op., cit., p.107.

[3] Questo intoppo non esiste nel realismo tomista, che ci delinea il vero processo dell’autocoscienza, per il quale l’io può veramente apparire davanti a se stesso perché il conoscere non è il soggetto che produce un oggetto, ma è vero processo riflessivo circolare dello spirito, per il quale l’intelletto nel suo movimento riflessivo sa di tornare al punto di partenza e di intuirlo così com’è. Cf F.-X.Putallaz, Le sens de  la réfléxion chez Thomas d’Aquin, Vrin, Paris 1991; cf il mio studio Autocoscienza e coscienza morale in S.Tommaso d’Aquino, in Coscienza. Storia e percorsi di un concetto, Donzelli Editore, Roma 2000, pp.45-72.

[4] Enciclopedia delle scienze filosofiche, Edizioni Laterza, Bari, 1963, pp.91-92.

[5] Ibid., p.145.

[6] Ibid.

[7] Logica, Edizioni Laterza, Bari 1984, p.679.

[8] Morcelliana, Brescia 1960.

[9] Cf A. Gardeil, La structure de l’âme et l’expérience mystique, Lecoffre-Gabalda, 2 voll., Paris 1927; J.Journet, Conoscenza e inconoscenza di Dio, Editrice Massimo, Milano 1981;  il mio libro Il silenzio della parola. Le mistiche a confronto, Edizioni ESD, Bologna 2002; Alessandro Beghini, Contemplazione e conoscenza mistica. La dottrina di Tommaso d’Aquino nella Summa contra Gentiles. Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2015.

[10] Per questo è assai infelice, nella sua paradossalità, il titolo del libro, peraltro molto bello, del Padre Jean-Hervé Nicolas, Dieu connu comme inconnu, Desclée de Brouwer, Paris 1966. Infatti, conosciuto e sconosciuto si oppongono contraddittoriamente. Avrebbe potuto scrivere: conosciuto come incompreso.

[11] Vedi il dotto studio del Maritain sulla dottrina tomista circa l’esseza di Dio in I gradi del sapere, Morcelliana, Brescia 1974, pp.491-501.

[12] Esercizi spirituali per il sacerdote, Queriniana, Brescia 1974, pp.9-12.

[13] Voce MISTERO, nel Dizionario di teologia di H.Vorgrimler-K.Rahner, Herder-Morcelliana, Brescia 1968.

[14] L’opzione fondamentale rahneriana e quindi l’esperienza trascendentale che ne è il presupposto, è chiaramente condannata dall’enciclica Veritatis splendor di San Giovanni Paolo II del 1993, che usa le stesse categorie rahneriane del «trascendentale» e del «categoriale» (vedi n.65).

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