Non omnes salvantur Che cosa significa questa dottrina della Chiesa? - Prima Parte (1/2)

  Non omnes salvantur

Che cosa significa questa dottrina della Chiesa?

Prima Parte (1/2)

 

Se ne andranno, questi al supplizio eterno

                                                                                                       e i giusti alla vita eterna.

Mt 25,46

Dio offre a tutti la possibilità di salvarsi,

ma non tutti accettano la proposta di Dio

In questo articolo mi propongo due cose: una, ricordare brevemente come e perché la Chiesa afferma l’esistenza di dannati, rimandando ad altri scritti miei[1] e dei teologi su questo argomento[2]; l’altra, cercare di capire che importanza ed utilità ha per la nostra salvezza il sapere che non tutti si salvano.

Il primo insegnamento della Chiesa è un articolo di fede del Simbolo Atanasiano del sec. V: «coloro che hanno fatto il bene, andranno nella vita eterna; coloro invece che hanno operato il male, nel fuoco eterno» (Denz.75).

Sentenza molto importante è quella del Concilio di Quierzy del 853, il quale insegna che «Dio onnipotente “vuole che tutti gli uomini” senza eccezione “siano salvati” (I Tm 2,4). Tuttavia non tutti vengono salvati. Che alcuni vengano salvati è dono di Colui che salva; che alcuni invece si perdano, è colpa di coloro che si perdono» (Denz.623). Pronunciamento molto importante, fra gli altri, è quello del Concilio di Trento: «Sebbene Cristo sia morto per tutti, non tutti tuttavia ricevono il beneficio della sua morte, ma solo coloro ai quali è comunicato il merito della sua passione» (Denz.1523).

Questa dottrina della Chiesa oggi a molti sembra contraria all’idea di un Dio, ritenuto ovviamente quello vero, onnipotente e misericordioso, che tutti perdona e a tutti fa grazia, un Dio le cui opere sono perfette e non fa accezione di persone, un Dio che non concede privilegi, che non discrimina nessuno né scarta nessuno, non esclude nessuno, non condanna nessuno, non si adira con nessuno ma tratta tutti, anche i peggiori peccatori, con comprensione, tenerezza e compassione come figli amatissimi.

Il Dio che castiga con una pena eterna il peccatore e manda il Figlio a morire sulla croce per ricever da lui soddisfazione al proprio onore ferito, che esige compenso per il debito contratto e riparazione per l’offesa subìta, è considerato un Dio ripiegato su se stesso, un Dio taccagno e permaloso, un Dio pagano e crudele, non un Dio che dona, ma un Dio che esige,  un Dio che non è Padre, ma Padrone e addirittura assassino, e quindi un Dio inaccettabile, nei confronti del quale non si può essere che atei.

Quei pochi che invece sostengono la concezione veramente cattolica sono considerati sorpassati, neopagani, animi crudeli senza misericordia, persone «di destra», scandalose, dalle quali occorre guardarsi come nemici di Dio e del prossimo, persone dalla mentalità discriminatoria e privilegistica da ancien régime, eredi dell’inquisizione medioevale, dualisti e manichei che dividono gli uomini in buoni e cattivi, assetati di vendetta contro coloro che li hanno offesi, farisei che si ritengono giusti e disprezzano gli altri, che godono per le sventure altrui da loro considerate castighi divini.

Ora, per la verità, stando all’idea di Dio che ci è data dalla teologia naturale, dalla Scrittura, dalla Tradizione e dal Magistero della Chiesa, questo Dio non è il vero Dio, ma è un’immagine di Dio che fa comodo a chi vuole peccare senza avere noie da un Dio fastidioso che ci sorveglia e trova da ridire o addirittura da condannare con minacce di pene eterne in ciò che facciamo nell’esercizio della nostra libertà alla ricerca della nostra felicità.

Inoltre, in un immaginario oggi diffuso, l’onnipotenza, la bontà, la provvidenza, la capacità salvifica, la misericordia e la perfezione dell’operare divino richiedono che Dio salvi tutti, come sarebbe l’opera eroica di un gruppo di soccorritori, i quali, giunti nel luogo di un naufragio, riuscissero a salvare tutti i naufraghi. Ora se ciò è possibile all’uomo, non dovrebbe essere possibile a Dio?

D’altra parte, nel constatare l’esistenza nella storia di immani calamità e sofferenze – pensiamo per esempio allo sterminio degli Ebrei compiuto dai nazisti – alcuni che non vogliono rinunciare ad attribuire a Dio la bontà e notano che Dio non è intervenuto a strappare gli Ebrei dalle mani dei nazisti, negano l’onnipotenza divina e ritengono che Dio non ce l’abbia fatta a liberare gli Ebrei. Secondo loro Dio ha sofferto insieme con i sofferenti.

Ora questa idea della compassione divina, intesa in senso metaforico, non è male, ma non può esser presa in senso formale perché porta a concepire un Dio assurdo che non è più saggio governatore dell’umanità e dell’universo, ma un Dio al quale sfugge il controllo dell’azione del male, come se essa provenisse da un altro Dio, da Lui indipendente, un Dio cattivo. E siamo nell’assurdo del manicheismo.

Dio è uno solo ed è infinitamente buono. Non vuole il peccato, ma vuole la giustizia che castiga il peccato e in Cristo trasforma la sofferenza in espiazione del peccato. Questo è il vero Dio, che spiega anche la tragedia di Auschwitz, senza bisogno di cambiare il concetto di Dio con immagini mitologiche pagane.

D’altra parte, non esiste solo la pena medicinale, ma anche quella afflittiva. Il peccato dev’essere punito. Ora, se il peccatore è correggibile, la pena si propone di correggerlo; ma se il peccatore è ostinato e incorreggibile, la pena non potrà che essere afflittiva.

Si corregge chi vuol correggersi; ma per chi non vuole, non c’è niente da fare. Tutti gli educatori lo sanno. Anche Dio si mette da parte, perché Egli non costringe nessuno. Può costringere il peccatore a subire il castigo, ma non può coartare quella sua volontà che Egli stesso ha creata libera.

Se il peccatore si persuade, bene. Altrimenti Dio lo abbandona a se stesso. Ora, chi muore privo della grazia, resta fisso per sempre nel suo rifiuto di pentirsi e nel suo rifiuto di Dio. E dunque ecco la pena eterna dell’inferno. Il peccatore rifiuta per sempre un Bene infinito e pertanto è giusto che la sua pena duri sempre.

Ad altri sembra che la prospettiva della permanenza eterna del male, sia pur di sola sofferenza, non si addica a un Dio salvatore universale, amore estintore dell’odio, capace di sottomettere tutto a Sé, di render buone tutte le cose, di perdonare ogni peccato, di risolvere ogni conflitto, di generare concordia dappertutto, di ricapitolare tutte le cose attorno a sé, di togliere ogni difetto e ogni male, di condurre tutto all’armonia, all’unità e alla pace.

Altri dicono che un Dio buono, onnipotente e perfetto non può compiere un’opera difettosa dove permanga il male. Ora l’esistenza dell’inferno sembra essere proprio un’opera del genere. Dunque essa è incompatibile con Dio.

Altri sostengono che un Dio buono e onnipotente deve poter eliminare ogni  male per sempre e totalmente. Ma l’inferno suppone un Dio che lascia sussistere per sempre il male. Dunque, se Dio è Dio, l’inferno non può sussistere.

Essendo sempre sentita questa difficile tematica, anche oggi nella Chiesa è in atto la discussione se si salvano o non si salvano tutti[3]. È diffusa l’opinione che tutti si salvano basata sul passo di I Tm 2,4: «Dio vuole che tutti si salvino» e su altre considerazioni, come quelle alle quali ho accennato sopra. Infatti – così essi ragionano – Dio è onnipotente e misericordioso; quello che vuol fare, lo fa: se quindi vuol salvare tutti, tutti si salvano. Eppure sono chiarissime le parole del Signore Gesù relative non solo alla possibilità dell’inferno, ma all’effettiva esistenza dei dannati[4].

Cristo ci dice chiaramente in vari modi che siamo tutti chiamati un giorno a render conto davanti a Lui del nostro operato. Lo fa capire per mezzo della parabola degli amministratori che devon rendere conto di come hanno impiegato i talenti ricevuti[5].  Lo dice esplicitamente nella profezia del giudizio universale, allorchè tutti gli uomini dovranno render conto davanti al Giudice divino della loro condotta tenuta in questa vita. Ci sarà chi viene da Lui accolto nel suo regno e ci sarà chi viene respinto «nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli»[6].

Per questi motivi non ha nessun valore o interesse dottrinale l’affermazione di Franz-Joseph Nocke, secondo il quale

 

«al presente quasi tutti i teologi protestanti e cattolici considerano insolubile la questione dell’esito effettivo della storia della salvezza e ritengono pertanto che, sotto il profilo teologico, sia doveroso mantenere aperte entrambe le prospettive» (si salvano tutti-non tutti si salvano)[7].

Dei protestanti non c’è da stupirsi; quanto ai cattolici, è chiaro che non sono fedeli all’insegnamento della Chiesa.

Non tutti gli uomini sentono il bisogno di essere salvati da Dio

La Scrittura e la nostra esperienza di peccatori ci dicono che noi possiamo resistere alla volontà di Dio, possiamo disobbedire alla sua legge, ai suoi comandamenti; possiamo quindi andare contro la sua volontà e frustrarla e fare non la sua ma la nostra volontà, possiamo sostituirci a Lui nella guida della nostra vita e nel decidere ciò che per noi è bene e male. Se così non fosse, il peccato non esisterebbe, ma tutti obbedirebbero a Dio. Il che purtroppo non è, come possiamo constatare considerando la condotta degli uomini e soprattutto facendo un esame della nostra coscienza.

Potremmo osservare che sembra che la nostra volontà di fare il male blocchi, vinca e frustri la volontà divina che vuole il bene e le impedisca di avere effetto su di noi. San Tommaso fa notare che Dio, che giustamente punì il peccato dei progenitori, per cui l’umanità è caduta in quello stato di miseria che noi tutti ben conosciamo, avrebbe potuto lasciarci in questo stato; e invece, nella sua bontà, ha avuto pietà di noi. Ha escogitato un piano di salvezza dando a suo Figlio il mandato di metterlo in opera. Cristo lo ha eseguito. Ma questo piano prevede la collaborazione dell’uomo, per cui chi non collabora, ma preferisce fare di testa propria non può salvarsi.

Cristo ha compiuto perfettamente la volontà del Padre offrendo a tutti la possibilità di salvarsi, ma a patto che ognuno metta in opera la volontà del Padre manifestata dal Figlio. Ora qui entra in gioco il libero arbitrio di ciascuno di noi.  Ognuno di noi ha la facoltà di accettare o rifiutare il piano del Padre realizzato da Cristo e da Lui proposto a ciascuno di noi. È chiaro allora che chi l’accetta e fa la sua parte, si salva; chi invece lo rifiuta si danna.

Occorre però tener presente un'altra cosa e cioè che la salvezza di ciascuno di noi è effetto della volontà di Dio ed è logico, giacchè Dio è la causa prima di ogni bene e siccome la salvezza è un gran bene, è logico che sia Lui che ci salva, tanto più che noi, ridotti come siamo dopo il peccato originale, non saremmo assolutamente in grado di salvarci da soli e tornare ad essere come saremmo stati nell’Eden.

Ciò significa che Dio muove il libero arbitrio di coloro che Egli predestina alla salvezza, a compiere il bene necessario per salvarsi. Quindi nell’opera della salvezza noi siamo salvati ma nel contempo, in forza della volontà motrice[8] di Dio, salviamo noi stessi o quanto meno contribuiamo in un modo indispensabile alla nostra salvezza. Questo vuol dire che noi abbiamo una parte da fare: noi ci salviamo solo se ci lasciamo salvare dando il nostro attivo consenso all’azione che la grazia di Cristo intende svolgere in noi.

Il predestinare di Rm 8,29 (proorizein), da cui viene la predestinazione (proorismòs), che è l’atto del predestinare, ossia la predestinazione, è un’espressione usata da San Paolo per significare la decisione eterna di Dio di far sì che, mossi dalla sua volontà salvifica, alcuni uomini da Lui scelti dall’umanità peccatrice, giungano infallibilmente alla salvezza mediante la scelta per Dio da loro liberamente fatta e da Lui causata.  

Paolo non parla semplicemente di destinazione, ma di pre-destinazione per significare che Dio non destina semplicemente la nostra volontà, ma, dato che la nostra volontà non è la semplice azione deterministica dell’agente infraumano, ma è capace di muovere se stessa, la destina a destinarsi. E quindi la muove a muoversi, agisce sul volere prima (pre) che il volere agisca su se stesso.

Secondo questo piano divino la salvezza è frutto ed effetto della volontà divina e diversamente non potrebbe essere, giacchè noi col peccato originale siamo caduti in un tale stato di debolezza, che da soli non riusciamo a recuperare le forze che avevamo all’origine. Abbiamo arrecato a Dio una tale offesa che da soli non riusciamo a riparare. Siamo caduti in schiavitù di colui che ci ha spinto a peccare in modo tale che non riusciamo da soli a liberarci dalla sua tirannide e dai suoi inganni.

Avevamo col peccato contratto con Dio un tale debito, per pagare il quale non avevamo la somma sufficiente. Era sorta in noi una tale ribellione della carne allo spirito, che da soli non riuscivamo a recuperare l’armonia primitiva. Avendo perduto il dono dell’immortalità, eravamo diventati mortali, e per giunta alla morte saremmo precipitati negli inferi, lontano da Dio, e lì rimasti per sempre. La misericordia del Padre lo ha spinto a donarci suo Figlio per risollevarci dalla caduta e innalzarci addirittura a una vita celeste, che è quella dei figli di Dio, ma a prezzo della croce, che a tutti viene proposta come via di salvezza.

Riprendendo il tema del nostro articolo, diciamo che non tutti si salvano perché non tutti accettano il piano del Padre così come lo ha realizzato il Figlio. Non tutti concepiscono la salvezza come l’ha concepita Cristo, ossia come remissione dei peccati mediante il sacrificio della croce, come ingresso nella vita eterna[9], come salvezza dalla dannazione eterna, come figliolanza divina in Cristo, come prospettiva della visione beatifica e risurrezione gloriosa del corpo alla fine del mondo.

Per apprezzare la proposta di Cristo occorre amare le cose dello spirito, avere l’umiltà di riconoscere i propri peccati e dolore per averli commessi, sentirsi toccati dalle miserie del prossimo e in dovere di alleviarle, interpretare la sofferenza come mezzo di espiazione, preferire la volontà di Dio alla propria, desiderare di vedere Dio immediatamente e non solo per mezzo delle creature.

Un’altra cosa da osservare è che coloro che concepiscono l’uomo come autofondato, per cui negano che sia creato da Dio e per conseguenza negano l’esistenza di Dio, non sentono affatto il problema di essere salvati, giacchè ritengono che l’uomo da sé possa liberarsi di tutte le forze ostili che vorrebbero la sua distruzione, oppure ritengono che se egli è distrutto dalla sventura, ciò dipenda dall’evoluzione dell’universo, che è l’Assoluto. L’ateo o il panteista ritiene di essere egli stesso l’Assoluto o di risolversi nell’Assoluto. E all’Assoluto che cosa può nuocere? L’Assoluto ha bisogno di essere salvato?

Non tutti quindi riconoscono che l’uomo abbia bisogno di essere salvato o ammettono la concezione cristiana della salvezza, né quindi apprezzano la prospettiva cristiana della salvezza, né accettano di conseguenza i mezzi per raggiungerla.

Non tutti sentono il timor di Dio, né quindi temono i suoi castighi; su di loro gli avvertimenti di Cristo non fanno alcun effetto; oppure pensano che Dio non castighi ed approvi tutto quello che fanno; per cui non tutti sentono o prendono in considerazione i richiami della coscienza ad abbandonare il peccato, perché per loro non è peccato o si considerano sempre perdonati.

Non tutti quindi sentono le esigenze, le aspirazioni, le speranze e i bisogni propri del cristiano, ma si ritengono già soddisfatti di se stessi. Sanno, certo, che c’è da soffrire, ma ritengono ciò come cosa inevitabile, propria dell’esistenza, non aspirano a nessuna vita eterna, ma ritengono che con la morte si dissolvono nella materia cosmica.

Per questo, si gettano a godere adesso il più possibile a qualunque costo e con ogni mezzo delle cose di quaggiù; non esiste alcuna vita spirituale; per loro la vita è solo quella fisica. A loro non interessa sapere che cosa ci sarà dopo la morte: l’importante è essere felici adesso, come recita la famosa canzone di Lorenzo il Magnifico: «chi vuol esser lieto, sia: del doman non c’è certezza». C’è allora da stupirsi che non tutti si salvino?

Ai misericordisti non va bene che Dio scelga solo alcuni per condurli a salvezza, perché secondo loro ciò sarebbe in contraddizione con la sua volontà di salvare tutti espressa in I Tm 2,4. Ma la Chiesa ha sempre spiegato che qui si tratta solo di una proposta, si tratta solo del fatto che Dio offre a tutti i mezzi per salvarsi. Sta poi a ciascuno di noi aderire o non aderire alla proposta divina. Chi aderisce è mosso dalla grazia, chi non aderisce è mosso solo dalla sua cattiva volontà. Il Vangelo rappresenta questa divina proposta con l’immagine dell’invito alle nozze. C’è chi accoglie e c’è chi rifiuta.

Dio non costringe nessuno; non manda in paradiso per forza. Se uno di Dio non vuol saperne e preferisce fare la propria volontà anziché quella divina, il suo libero arbitrio ha la possibilità di scegliere. Non si lamenti però delle conseguenze perché neppure Dio, nella sua giustizia, glie le può risparmiare. D’altra parte il malvagio sa che cosa lo attende, ma è tale il suo orgoglio, che non teme di sopportare l’inferno, anzi, come diceva Nietzsche, di «danzare nell’inferno», pur di stare lontano da Dio in compagnia del demonio, che, secondo la massoneria esoterica, è il maestro della libertà.

Fine Prima Parte (1/2)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 23 aprile 2023

Altri dicono che un Dio buono, onnipotente e perfetto non può compiere un’opera difettosa dove permanga il male. Ora l’esistenza dell’inferno sembra essere proprio un’opera del genere. Dunque essa è incompatibile con Dio.

Altri sostengono che un Dio buono e onnipotente deve poter eliminare ogni male per sempre e totalmente. Ma  l’inferno suppone un Dio che lascia sussistere per sempre il male. Dunque, se Dio è Dio, l’inferno non può sussistere.

Essendo sempre sentita questa difficile tematica, anche oggi nella Chiesa è in atto la discussione se si salvano o non si salvano tutti.

 

Riprendendo il tema del nostro articolo, diciamo che non tutti si salvano perché non tutti accettano il piano del Padre così come lo ha realizzato il Figlio. Non tutti concepiscono la salvezza come l’ha concepita Cristo, ossia come remissione dei peccati mediante il sacrificio della croce, come ingresso nella vita eterna, come salvezza dalla dannazione eterna, come figliolanza divina in Cristo, come prospettiva della visione beatifica e risurrezione gloriosa del corpo alla fine del mondo.

Coloro che concepiscono l’uomo come autofondato, per cui negano che sia creato da Dio e per conseguenza negano l’esistenza di Dio, non sentono affatto il problema di essere salvati, giacchè ritengono che l’uomo da sé possa liberarsi di tutte le forze ostili che vorrebbero la sua distruzione, oppure ritengono che se egli è distrutto dalla sventura, ciò dipenda dall’evoluzione dell’universo, che è l’Assoluto. L’ateo o il panteista ritiene di essere egli stesso l’Assoluto o di risolversi nell’Assoluto. E all’Assoluto che cosa può nuocere? L’Assoluto ha bisogno di essere salvato?

Immagini da Internet:
- Redentore "Salvator mundi", Bartolomeo della Gatta
- René Magritte, La recherche de l’absolu


[1] L’inferno esiste. La verità negata, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2010.

[2] Cf A. Tanquerey, Synopsis theologiae dogmaticae specialis, Tomus secundus, Desclée&Socii, Roma 1908, pp.696-715; Michele Schmaus, I novissimi, Dogmatica cattolica, vol.IV/2. Edizioni Marietti, Torino 1964, pp.423-479; Marcolinus Daffara, De sacramentis et de novissimis, nel Cursus manualis theologiae dogmatica, Domus Editorialis Marietti, Torino 1944, pp.763-785.

[3] Questa discussione, che è sempre esistita nella Chiesa, si è accentuata in modo speciale nel 2011 a seguito del terribile tsunami che in Giappone fece 130000 morti. Roberto De Mattei ha pubblicato un quadro sintetico della discussione nel suo ottimo libro Il mistero del male e i castighi di Dio, Edizioni Fede&Cultura, Verona, quinta ristampa 2017. Alcuni ritengono che l’attuale misericordismo sia un effetto delle dottrine conciliari, ma è falso. Sono stati i modernisti a far credere questo a molti, male interpretando il pensiero del Concilio. Esso viceversa ribadisce chiaramente l’esistenza dell’inferno e semmai, nella parte pastorale, si mostra troppo ottimista e indulgente nei confronti degli errori moderni: una reazione forse esagerata all’eccessiva severità che caratterizzò l’antimodernismo seguente alla Pascendi di San Pio X. La discussione è ripresa in occasione del mio intervento a Radio Maria nel 2016 a commento del precedente terremoto nell’Umbria. Da allora non ho cessato di trattare l’argomento nelle mie pubblicazioni.

[4] Cf il mio libro L’inferno esiste. La verità negata, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2010; cf anche Inferno e dintorni. È possibile una dannazione eterna? A cura di Serafino Lanzetta, Edizioni Cantagalli, Siena 2010; AA.VV., L’inferno, Morcelliana, Brescia 1953; Candido Pozo, Teologia dell’al di là, Edizioni San Paolo 1986, pp.473-474; J.L.Ruiz de la Peña, L’altra dimensione. Escatologia cristiana, Edizioni Borla, Roma 1998, pp. 259-279; Antonio Rudoni, Escatologia, Edizioni Marietti, 1972, pp.138-176.

[5] Mt 25, 14-30.

[6] Mt 25,31-46.

[7] Escatologia, Queriniana, Brescia 1997, p.117.

[8] Il teologo domenicano Domingo Bañez del sec. XVI la chiamò “premozione fisica”, per significare che Dio muove realmente e ontologicamente (“fisicamente”) la volontà umana a decidersi e ad automuoversi nell’adempimento della volontà divina.

[9] Cf il mio libro La vita eterna, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2015.


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