Ateismo e salvezza - Ottava Parte (8/10)

 

 

Ateismo e salvezza

Ottava Parte (8/10)

Vano tentativo di scagionare Nietzsche

dall’accusa di avere ispirato il nazismo

È interessante però notare come oggi molti seguaci di Nietzsche da una parte provano sdegno per gli orrori commessi dai nazisti, ma dall’altra sono sedotti dall’ateismo antiteista ed anticristiano di Nietzsche [1] . Vorrebbero sostenere che il nazismo non trae ispirazione dal pensiero di Nietzsche o quanto meno non sarebbe accostabile al suo pensiero, ed anzi sarebbe addirittura in contrasto. Così da una parte si sentono legittimati nel loro ateismo e nel contempo fanno la figura dei benpensanti condannando il nazismo senza accorgersi di quanto con tale misero espediente sono ridicoli o forse meglio fanno pena.

Non mi addentro a confutare nel dettaglio le loro tesi, la cui insostenibilità e forzatura, per non dire ipocrisia è evidente a chiunque conosca anche superficialmente le idee di Nietzsche e quelle del nazismo. Infatti, il senso dell’operazione di questi difensori di Nietzsche è evidente: vogliono assumere il suo antiteismo anticristiano e nel contempo apparire riprovatori delle orribili conseguenze pratiche, del tutto logiche, che discendono necessariamente dall’antiteismo anticristiano di Nietzsche, conseguenze dimostrate dalla stessa storia del nazismo.

Osservo innanzitutto come il ben noto odio nicciano per la misericordia e per la compassione, segno di un cuore duro, egoista e prepotente, come era il cuore dei nazisti, è il segno di un animo crudele e malvagio, quando persino le bestie hanno pietà e tenerezza per i loro piccoli. In Nietzsche si vede chiarissimamente come l’odio per Dio è associato con l’odio per il prossimo.

Ma anche una falsa concezione della misericordia, oggi purtroppo diffusa, fà da perfetto pendant con il prepotentismo e l’antiteismo nicciani. La vera misericordia non è sorniona coonestazione o tolleranza o connivenza del peccato, ma è la tolleranza del peccatore, è la remissione del peccato al peccatore pentito. Non è giustificazione, ma toglimento del peccato e liberazione del peccatore dal peccato, giustificazione e perdono del peccatore.

Quella misericordia, avulsa dalla giustizia e contraria alla giustizia, quella misericordia che lascia passare il peccato, fa finta di non vederlo, e non condanna e non castiga il peccato, non è vera misericordia ma permesso di peccare e di fare il prepotente, sicchè uno, credendosi perdonato e tollerato, crederà di poter farla franca, continuerà tranquillamente a peccare, andando verso il baratro. Il misericordismo è la faccia nascosta del prepotentismo e della sopraffazione.

La vera misericordia è il piegarsi del forte e del ricco con amore e comprensione per la sua fragilità, sul misero, sul povero, sul sofferente, sul bisognoso e sul pentito per sollevarlo, sanarlo, consolarlo, confortarlo, guarirlo, correggerlo, arricchirlo.

La volontà di potenza come tale, se è un voler aumentare la propria potenza nel fare il bene e fuggire il male, è un preciso dovere per tutti. Il male sta nella volontà di prepotenza, ossia di primeggiare ed opprimere e sfruttare gli altri o di possedere un potere che spetta solo a Dio, come quello di stabilire la legge morale.

Non è chiaro o è piuttosto sinistro che cosa intende Nietzsche con «volontà di potenza». La potenza è una qualità dell’atto della volontà, che si propone di raggiungere un qualche bene o un qualche fine. Quale fine si propone Nietzsche con la sua volontà di potenza?  Volontà di potenza nel fare che cosa? Aumentare la propria potenza nel far che cosa? Nel prevalere sugli altri? Nello sfogare le nostre passioni? Nel far violenza agli altri? Nell’invadere il territorio degli altri, come hanno fatto i nazisti per ottenere lo «spazio vitale» (Lebensraum)? Potenza nell’uccidere un’umanità inferiore a noi, come hanno fatto i nazisti con gli ebrei? Nel distruggere il cristianesimo, come hanno tentato di fare i nazisti?

E forse che i nazisti erano veri teisti, pur usando la parola Dio, o non piuttosto degli antitesti, loro che facevano della Germania il popolo divino, come volevano i nazisti, appoggiati e precorsi dagli stessi Nietzsche, Hölderlin, Heidegger, Hegel e Fichte, al fine di dominare sull’umanità?

La volontà di potenza nicciana, volontà arbitraria, senza regole e senza limiti, è ribellione a Dio, sacrilegio ed empietà, è superbia e violenza, è rapina, distruzione e omicidio, crudeltà ed odio per Dio, per se stessi e per gli altri.

Nietzsche divide l’umanità in signori e schiavi. I primi sono i superuomini, rappresentati dal popolo tedesco, forti, sani, liberi, belli e gaudenti, amanti della vita, antiteisti, fatti per dominare gli infrauomini, che sono i deboli, malati, brutti, spregevoli, vecchi, abbietti, autolesionisti, doloristi, frustrati, teisti, religiosi, cristiani.

L’ateismo di Nietzsche, con la sua famosa frase «Dio è morto» vorrebbe sostenere che Dio oggi non si fa più sentire come meta del nostro cammino e delle nostre speranze, legislatore e regola della nostra morale, motivo della nostra gioia, molla e principio del nostro agire, oggetto dei nostri interessi, consolatore delle nostre sofferenze, criterio dei nostri giudizi.

Nietzsche formula la sua dottrina del superuomo, raccogliendo ed esasperando  l’istanza atea dell’uomo di oggi di ritenersi sufficiente a se stesso, non sottomesso a nessuno, creato da se stesso, non legato a valori assoluti, ma libero creatore dei valori, aspirante a superare se stesso,  a primeggiare su tutto come individuo, popolo o nazione – egli pensa al popolo tedesco - , deciso ad affermare se stesso e la sua potenza individualmente e collettivamente,  pronto a eliminare con la violenza e la guerra le forze nemiche, ossia quell’umanità malata, inferiore, deforme, meschina, vile ed abbietta, che si oppone alla sua volontà di potenza, alla sua voglia di espansione e di godere di questa vita, l’uomo che di questa vita accetta tutto, il vero e il falso, la gioia e il dolore, la virtù e l peccato, orientato non ad un al di là oltre la morte, ma solo alla conquista ed alla fruizione del mondo materiale presente. Non Dio ma l’uomo, anzi il superuomo, è id quo nihil maius cogitari potest. E Marx diceva: l’uomo è Dio per l’uomo,

Comunque nella famosa proclamazione della morte di Dio, Nietzsche probabilmente non vuol dire che Dio non esista, ma solo che non si fa più sentire. Tuttavia, potremmo chiederci: come fa Nietzsche ad immaginare un Dio che possa morire? Potrà essere morto ai nostri occhi nel senso suddetto, ma non certo in se stesso. «Noi lo abbiamo ucciso», dice Nietzsche.

Che significa? Evidentemente egli non intende dire che abbiamo ucciso l’Immortale, ma che lo abbiamo allontanato dai nostri pensieri e dai nostri interessi. Le domande che poi Nietzsche si pone: come faremo adesso senza di lui? A che cosa ci appoggeremo, dove troveremo fondamento? Sono domande retoriche, perché Nietzsche ha già pronta la risposta: adesso che siamo liberi da Dio, ci appoggiamo a noi stessi e ciò è ateismo in quanto ci sostituiamo a Dio.

Le vere qualità del Tedesco

Nietzsche ha recato un immenso danno alla reputazione del popolo tedesco, spingendolo a folli disegni prometeici che l’hanno condotto con la tragedia della seconda guerra mondiale ad un’orribile catastrofe, facendo leva sugli aspetti torbidi della sua indole magnanima e possente ed oscurando i suoi lati buoni che ottime prove avevano dato nel Medioevo precedente a Lutero, il quale pure, credendo di procurare gloria alla Germania cristiana,  svegliò invece in  lei gli antichi demòni pagani, che erano stati umiliati ma non vinti, dalla luce della Croce di Cristo. Infatti non è difficile rintracciare nella tempesta scatenata da Lutero, lo «Sturm und Drang» dell’antica mitologia germanica sotto sembianze cristiane, ciò sia detto senza nulla togliere agli aspetti positivi della Riforma luterana.

La sostanza della spiritualità tedesca, come bene hanno individuato Maritain e Fabro, sta nel suo «bisogno d’immanenza», nel suo bisogno di un Dio-in-me e per me, non tanto inteso nel concetto, quanto piuttosto sentito nel Gemüt, termine intraducibile che dice ad un tempo intellezione-senso-emozione-istinto-volontà-amore e che comunemente traduciamo con «sentimento».

Acceso di questo fuoco che arde intimamente, il Tedesco si vota con entusiasmo e si lancia nelle imprese guerresche più eroiche, fino alle estreme conseguenze, fa sparire la sua individualità nel tutto collettivo del Gattungswswesen, l’essere-dal-genere, nella Totalità dello Spirito, nella Gemeinschaft, la Comunità, nel zusammenmarschieren, nel marciare assieme. Gott mit uns era il motto degli stessi nazisti. Ma quale Dio era? Anche Hitler, anche Hegel, anche Fichte si appellavano a Dio.

Dunque, se Dio è veramente nel cuore, se l’impulso è veramente quello dello Spirito Santo, ecco l’eroismo e la dedizione mistica più generosi. Ma se disgraziatamente Dio è scambiato col il demonio, ecco lo scatenarsi delle sotterranee potenze telluriche di Odino[2] e Thor[3], negli atti furiosi dei più selvaggi e crudeli della follia omicida e distruttrice. Il termine «guerra» viene dal tedesco War, e questo dice tutto.

Lo splendore della spiritualità tedesca si è verificato nel Medioevo, nei secc. XIII-XIV, allorchè la Germania, evangelizzata da San Bonifacio nel sec. VIII, intenerita dalla mitezza di Cristo e commossa dal suo sacrificio, dopo la luce contemplativa e il calore mistico diffusi da San Bruno nel sec. XI, sentì ardere nel suo cuore un bisogno di purificazione e disciplina interiore, un desiderio ardente di unione con Cristo, di comunione fraterna in Lui, di testimonianza di fede, di servizio generoso al prossimo.

Raggiunta dall’evangelizzazione benedettina, domenicana e francescana nel sec. XIII, iniziò ad esprimere la dimensione femminile della sua spiritualità con una prodigiosa fioritura di monasteri femminili, grazie ai quali l’originalità della spiritualità femminile cristiana fà la sua comparsa pubblica nella letteratura spirituale, dopo Santa Ildegarda nel sec. XII, con Santa Gertrude la Grande, Gertrude di Hackeborn, Matilde di Helfta, Matilde di Magdeburgo nel sec. XIII.

Nel secolo XIII rifulge la luce splendidissima di Sant’Alberto Magno Vescovo, filosofo, scienziato, teologo e mistico. Nel sec. XV fiorisce la mistica domenicana con Susone, Eckhart e Taulero[4] .

Nel sec. XV appare un opuscolo anonimo oggi, a partire da Lutero, chiamato La teologia dei tedeschi[5] , dove appare per la prima volta la volontà fiera dei Tedeschi di possedere una propria teologia eccellente fra tutte, in conflitto con la teologia cattolica. Così poco a poco gli antichi Dèi germanici assopiti ma non estinti riesplodono con Lutero e con lui il feroce orgoglio tedesco e la rinnovata volontà di potenza e di dominio, che purtroppo proseguirà con l’idealismo tedesco fino ad Hölderlin, Nietzsche, ad Heidegger ed Hitler.

I nazisti non sono riusciti a dominare sull’Europa con le armi, ma l’idealismo tedesco domina oggi mediante la filosofia e la teologia. Il modernismo, risorto dopo il Concilio Vaticano II, è la chiara testimonianza nell’infiltrazione nella Chiesa della forma belluina e selvaggia dell’anima tedesca, vorremmo dire della forma nicciana. Si impone urgente il recupero dell’anima umile, mite, delicata, dolcissima, generosa, devota e mistica dei Santi tedeschi medioevali, arricchita di tutte le conquiste da essa fatta da allora fino ad oggi, non escluso quanto di buono c’è nella spiritualità luterana.

Sartre

Siamo nati per caso e dopo saremo

come se non fossimo mai stati.

La nostra esistenza è il passare di un’ombra

e non c’è ritorno alla nostra morte.

Sap 2, 2.5

L’ateismo è connesso anche col nichilismo ossia la dottrina di Sartre, per la quale l’esistenza non ha senso, è nauseante. I sensisti, i positivisti e gli empiristi, dal canto loro, come Hobbes ed Hume, dicono che il discorso metafisico non ha senso, ma ha senso o la matematica o la fisica o il sesso o il danaro o il cibo e comunque ciò che si vede e si tocca.

Per il nichilista Sartre l’essere, l’ente non esiste. Si tratta di una tesi di chiara derivazione hegeliana, quando Hegel dice che essere e non-essere sono la stessa cosa. L’essere non ha un’identità, ma è contradditorio, è in conflitto con se stesso. Per Hegel questo vale anche per Dio, ma è chiaro che questo è un falso Dio ed è come dire che Dio non esiste.

È ovvio che in una concezione del genere, dove non solo niente ha senso, ma niente esiste in quanto annullato o negato dal suo contradditorio, non esiste neppure Dio. Ci si domanda però qual è in una visuale del genere, l’oggetto del pensiero, se è vero che esso pensa per sua natura l’essere. Dunque non esiste neppure il pensiero. Ma allora come fa il nichilista a pensare il suo sistema, se non pensa neanche lui, anzi non esiste? O c’è un pensare senza l’essere? Quando Gentile dice che tutto è pensiero, è nichilista?

Il nichilista dice che non ha senso neppure la fisica: niente ha senso, ma tutto è contradditorio, assurdo e insensato. Non vale la pena di pensare, perché non c’è niente che si possa pensare, visto che non esiste niente.  Obbiettiamo che dovrà ben esistere almeno il concetto del niente: altrimenti come il nichilista ne potrebbe parlare?

Tuttavia il nichilista, al seguito di Sartre, pensa che non c’è niente di più in una cosa per il fatto di esistere piuttosto che non esistere. Esistere o non esistere è la stessa cosa. L’essere è niente o, come denuncia qui giustamente Severino, per definire il nichilismo, l’essere è il non-essere.

Husserl

Anche Husserl parla di Dio. Ma come lo concepisce? Niente più che un correlato intenzionale di coscienza posto e costituito dalla Soggettività trascendentale, all’interno della medesima Soggettività, la quale in Husserl non è altro che uno sviluppo dell’Io trascendentale degli idealisti, a sua volta esplicitazione dell’io cartesiano. Dio dunque per Husserl non è affatto una realtà ontologica esterna alla coscienza e creatrice della coscienza, dal momento che Husserl compie la ben nota epochè dell’essere extramentale.

Egli non ne nega l’esistenza, ma dice che non lo interessa, perché ha scoperto una nuova sconfinata regione dell’essere, fino ad allora sconosciuta, che si presenta come oggetto di una scienza assolutamente nuova, la fenomenologia, scienza incontrovertibile, dagli orizzonti sconfinati, scienza suprema e radicale, risolutrice e definitiva di tutti gli enigmi e di tutti i problemi della vita e dell’esistenza. Siamo davanti ad un tipico fenomeno di gnosticismo.

In questo quadro immenso il teismo fa la figura di uno dei tanti contenuti interiori e neanche dei più importanti, costituiti dalla Soggettività trascendentale, della quale l’io empirico di Husserl è una manifestazione sensibile contingente.

Heidegger [6]

Un gruppo di pensatori, oggi frequenti, profondi e acuti, ma tormentati e tormentanti, da una parte indisponenti e dall’altra compassionabili, è quella di coloro i quali, soprattutto tedeschi eredi del dramma luterano, davanti alla questione teologica, non negano apertamente Dio, ma tergiversano, si avvicinano e si allontanano, fanno un passo avanti e uno indietro dicono e non dicono, avanzano e retrocedono, senza che si riesca mai capire come la pensano, senza che giungano mai ad una conclusione. 

Essi girano attorno alla questione di Dio senza affermare chiaramente l’esistenza di Dio e senza negarla. S’interessano di trascendentali o valori morali che toccano il concetto di Dio, come l’essere, la verità, la scienza, lo spirito, la coscienza, la mistica, il sacro, il silenzio, la parola, il divino, l’assoluto, il mistero, il trascendente, l’originario, il fondamento, l’incomprensibile, il nascosto, l’ineffabile, senza mai riuscire o volere fare il passo che li porta all’affermazione esplicita di Dio, senza mai dimostrarne chiaramente l’esistenza, senza quindi trattare degli attributi divini, senza far teologia, anche se non fanno espressa professione di ateismo. Da una parte fanno l’occhiolino agli atei, ma dall’altra suscitano l’interesse dei teisti. Ma quando si tenta di metterli alle strette, sfuggono. Se li si interpreta in senso teista, dicono di essere stati fraintesi.

Se li si accusa di ateismo, si sentono offesi. Richiesti di chiarire, girano e rigirano attorno alla questione come la rotella del computer in attesa che appaia l’immagine. Caso tipico di questo genere è Heidegger, pensatore indubbiamente profondo e stimolante, ma sottilmente narcisista ed attore consumato, ma anche sofferente, che si è procurato un enorme successo col presentarsi come vate dell’essere, colui che ha rimesso un luce l’essere dopo un oblio di 2600 anni a partire da Parmenide [7] , essere che egli collega col «sacro» di Hölderlin [8] e con la volontà di potenza di Nietzsche [9] , tanto da assumere sinistre risonanze hitleriane [10] ,  studioso coltissimo della storia della filosofia, scrittore fecondo e suggestivo, tempra di poeta ed apparentemente mistico, con l’oscurità espressiva paradossale tipica dei tedeschi, che ha suscitato infinite discussioni e contradditore interpretazioni, mentre lui sembra ridere sotto i baffi (possiede veramente i baffi), contento che si parli di lui nonostante l’angoscia dell’essere, e col gusto di tenere in sospeso gli animi in attesa religiosa del suo oracolo, sfruttando l’interesse che suscita il dibattito millenario e mai finito su di problema così serio come il senso dell’esistenza  e il problema dell’esistenza di Dio.

Lo stile di Heidegger

Heidegger ha un modo di esporre il suo pensiero non tanto improntato al metodo del ragionamento o dell’argomentazione o della deduzione da princìpi incontrovertibili o evidenze primarie sensibili o intellegibili, alla portata di tutti, anzi tende a smentirli quasi fossero pie ingenuità, con la promessa di rivelare una verità filosofica superiore e suprema, «al di là della metafisica» ed esprimendosi con un tono oracolare ed esoterico. come dovesse esporre un vaticinio segreto riservato a pochi eletti o iniziati, piuttosto che una tesi o una dottrina razionale da provare con prove razionali, come è normale in filosofia.

Per questo il suo discorso sembra più un poetare che un filosofare, c’è più l’intravedere che il vedere, più l’indicare per metafore che l’espressione di concetti, più il descrivere che il definire, più il profetare che l’insegnare, più l’evocare che l’esporre in modo chiaro, logico ed esplicito, non dimostra ma indica, c’è più l’allusione che l’asserzione, ciò che ci dice non riluce ma traluce, non svolge ma solo accenna. Ci dà l’impressione di tentare di dire approssimativamente balbettando cose indicibili.  Fin qui le cose non ci creano difficoltà.

La difficoltà, anzi la ripugnanza e la sensazione di essere imboniti ci viene quando sembra voler mettersi come filosofo al di sopra non solo della metafisica – il ci lascia molto perplessi – ma addirittura al di sopra della rivelazione cristiana o della dottrina della Chiesa, come fosse in possesso di una più alta e profonda verità o modalità espressiva, la verità nella  quale egli ci rivela misteri altissimi superiori a quelli del cristianesimo.

Ora questo è puro gnosticismo e puro imbonimento, perchè non esiste nessuna filosofia che ci faccia conoscere la verità su Dio e quanto lo riguarda o introduce o consegue alla sua conoscenza, meglio della Parola di Dio custodita e interpretata dal Magistero della Chiesa cattolica

Questo tono gnostico ci mette allora in guardia, ci delude e ci fa sospettare l’impostura e l’esibizionismo. Detto questo, non possiamo non riconoscere alcuni temi interessanti a profondi, che ci richiamano a Dio, e che ci fanno ritenere che, nonostante tante espressioni sconfortanti, Heidegger credesse in Dio

La lettura di Heidegger mette il nostro spirito a disagio per la innaturalità e stranezza delle sue forme espressive, per lo stile contorto e tormentato,  che sembra esprimere e immetterci in quell’angoscia (Angst) per la propria precarietà ed «essere-per-la-morte»  (sein-zum-Tode), preoccupazione (Sorge), gettatezza (Geworfenheit), sensazione di colpevolezza (schuldig), oblio dell’essere (Vergassenheit des seins), che caratterizzano la situazione umana, non illuminata dalla verità dell’essere, giacchè l’uomo, che è quell’ente la cui essenza è quella di interrogarsi sull’essere, per essere pastore e casa dell’essere, compie il suo destino solo nell’aperto alla presenza dell’essere.

Non è chiaro a tutta prima se Heidegger con questo suo procedere vuole evocare in noi il senso dell’incomprensibilità, del nulla, e dell’ineffabilità del mistero sacro, o se si compiace di afferrarci e di farci vacillare nell’intimo per sconcertarci e disorientarci. 

In ogni caso leggendo Heidegger veniamo a trovarci in un’atmosfera spirituale ben diversa da quella di un Tommaso d’Aquino, che ci fa partire da ciò che è evidente e sperimentabile, ci guida per mano, ci fa ragionare, ci persuade con argomenti stringenti, illumina, compone, armonizza e pacifica. 

Heidegger, invece, col suo tono oracolare e i suoi termini da lui intesi in un senso strano, diverso da quello usuale, ci appare in fin dei conti come uno che la fa cader dall’alto su di noi poveri e grossolani profani, vittime della «romanità» e della filosofia scolastica, da educare alla sua superiore sapienza esoterica.

Eppure, bisogna dirlo nonostante tutto, non dobbiamo cedere alla sensazione di sentirci umiliati; dobbiamo riconoscere che non mancano in Heidegger ogni tanto alcuni accenti suggestivi e indovinati, che ci danno veramente il senso del sacro, del mistero e dell’ineffabile, quindi effettivamente del divino, anche se resta il dubbio se questo divino è il demonico o Dio stesso.

Heidegger ci spinge a procedere nell’oscurità per un sentiero del bosco, sentiero che s’interrompe, allorchè improvvisamente in una «radura» (Lichtung), appare l’essere fino ad allora nascosto e si fa presente in un breve abbagliante sprazzo di luce.

Il linguaggio del Tedesco

Heidegger ha portato a compimento e nel contempo secolarizzato un aspetto essenziale dell’opera di Lutero, quella di costruire un cristianesimo tedesco che avesse il primato su quello romano cattolico sulla base della Bibbia. Al posto della Bibbia e della sacralità cristiana come pensiero originario ispiratore Heidegger, pone la grecità antica e le divinità della mitologia germanica. Ma resta l’idea del primato del popolo tedesco come popolo-guida, luce di tutti i popoli, solo che questa volta il messaggio da lanciare non è più il Vangelo, ma la grecità arcaica e la mitologia germanica.

A questo punto Heidegger inserisce una ulteriore componente, elemento o fattore di questo primato tedesco: la stessa lingua tedesca, che assurge in Heidegger ad espressione eccellente ed impareggiabile del più alto pensare, benchè in se stessa intraducibile nelle altre lingue. Ecco allora associarsi il vaticinio hölderliniano della terra, del popolo e della lingua tedesca, col sogno nicciano della bestia bionda, il sovrauomo, popolo di signori, col pensiero dell’essere come filosofia germanica elaborata da Heidegger e infine con la realizzazione politica statuale hitleriana della grandezza germanica su tutti i popoli. In tal modo Heidegger, riprendendo l’odio antiromano di Lutero, che pur continuava ad esprimersi in latino ma odiava la teologia latina cattolica medioevale, si propone di costruire, utilizzando il pensare e la lingua tedeschi del quale egli è convinto di essere l’incarnazione, la vera più alta filosofia,  opera del popolo e della lingua tedeschi, reinterpretando la filosofia greca e lo stesso Aristotele, anch’esso odiato da Lutero in quanto assunto dalla scolastica medioevale, col saltare  la mediazione e l’interpretazione romano-latina della cultura greca compiute dal cattolicesimo romano.

Dice Heidegger:

«Sarebbe bene se si prendesse sul serio e su grande scala … e si meditasse finalmente su quale trasformazione, ricca di conseguenze, abbia subito il pensiero greco attraverso la traduzione in latino dei romani, un evento che ancor oggi ci impedisce un sufficiente ripensamento delle parole-base del pensiero greco» [11] .

Fine Ottava Parte (8/10)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 3 novembre 2023

 

 

Nella famosa proclamazione della morte di Dio, Nietzsche probabilmente non vuol dire che Dio non esista, ma solo che non si fa più sentire. Tuttavia, potremmo chiederci: come fa Nietzsche ad immaginare un Dio che possa morire? Potrà essere morto ai nostri occhi nel senso suddetto, ma non certo in se stesso. «Noi lo abbiamo ucciso», dice Nietzsche.

Che significa? Evidentemente egli non intende dire che abbiamo ucciso l’Immortale, ma che lo abbiamo allontanato dai nostri pensieri e dai nostri interessi.


Lo splendore della spiritualità tedesca si è verificato nel Medioevo, nei secc. XIII-XIV. Raggiunta dall’evangelizzazione benedettina, domenicana e francescana nel sec. XIII, iniziò ad esprimere la dimensione femminile della sua spiritualità con una prodigiosa fioritura di monasteri femminili, grazie ai quali l’originalità della spiritualità femminile cristiana fà la sua comparsa pubblica nella letteratura spirituale, dopo Santa Ildegarda nel sec. XII, con Santa Gertrude la Grande, Gertrude di Hackeborn, Matilde di Helfta, Matilde di Magdeburgo nel sec. XIII.

Nel secolo XIII rifulge la luce splendidissima di Sant’Alberto Magno Vescovo, filosofo, scienziato, teologo e mistico. Nel sec. XV fiorisce la mistica domenicana con Susone, Eckhart e Taulero.

Nel sec. XV appare un opuscolo anonimo oggi, a partire da Lutero, chiamato La teologia dei tedeschi, dove appare per la prima volta la volontà fiera dei Tedeschi di possedere una propria teologia eccellente fra tutte, in conflitto con la teologia cattolica.

 Immagini da Internet:
- Santa Ildegarda di Bingen
- Friedrich Nietzsche



[1] Vedi il mio articolo L’anticristo di Nietzsche e nella Bibbia, in Sacra Doctrina, 6, 1998, pp.77-134; Gustave Thibon, Nietzsche o il declino dello spirito. Edizioni Paoline, Alba 1964.

[2] Sulle divinità germaniche precristiane regnava Odino, il saggio Padre degli dei e conoscitore di ogni segreto dell'universo. Egli aveva molti figli - i più famosi erano Thor, dio del fulmine. e Loki, il dio dell'inganno - il cui compito era tener in equilibrio l'universo e vegliare sui mondi del cosmo.

Odino è il Dio supremo dell’antica religione nordica, equivalente al sassone Wodan, antico-alto-tedesco Wuotan. L’etimologia del suo nome lo collega a un concetto di «furore» (ted. Wut) che è alla base anche dell’ispirazione divinatoria e poetica (lat. vates). Infatti Odino, pur occupando una posizione dominante nel pantheon germanico, come ‘padre universale’, ‘governatore di cielo e terra’ e ‘creatore’, non ha i caratteri olimpici delle divinità supreme di altri popoli di lingua indoeuropea, come il greco Zeus o il romano Iuppiter; il dio germanico il cui nome etimologicamente corrisponde a questi ultimi è un altro (Tyr, Ziu). In Odino abbondano invece caratteri funesti: è a capo della ‘caccia selvaggia’, schiera delle anime dei morti; è dio della guerra, la cui lancia (Gungnir) colpisce infallibilmente il segno e ritorna a lui. La sua potenza, limitata unicamente dal fato (al ‘crepuscolo degli dei’ Odino sarà divorato dal Lupo Fenrir), gli deriva da una suprema sapienza magica, per acquistare la quale, attingendola alla sorgente di Mimir, ha dato in cambio un occhio, diventando con ciò monocolo. Conosce la magia delle rune, conquistata mediante lo stare sospeso sull’Yggdrasil per nove notti. Esercita la sua potenza in bene e in male: nel violentare donne, nel rubare l’idromele magico a Skattung, ma anche nel creare, insieme con i fratelli Vili e Vè, il mondo e la prima coppia umana, nel fondare la stessa civiltà umana. Peregrinando per il mondo, sa tutto (due corvi lo informano delle cose lontane). I Romani lo identificavano, non senza ragione (nessi con i morti, invenzioni culturali), con Mercurio, donde la parola inglese Wednesday, giorno di Wodan, per mercoledì (Mercurii dies): la mitologia germanica gli dà per genitori Borr e Bestla, per moglie Frigg, per figlio Baldr (da Google, voce ODINO).

[3] Secondo la mitologia Thor è figlio di Odino, padre degli dèi. Egli  (in svedese tórr. lett. "Fulmine") è una delle principali divinità germaniche. È la personificazione del fulmine, della folgore e del tuono, e della tempesta. La mitologia norrena è ricca di racconti sulle sue gesta e sulla sua perenne lotta contro gli Jǫtnar. Thor rappresenta teologicamente il dio (e l'uomo) che possiede, oppure è totalmente identificato, con l'"arma" divina, la "virtù", ossia la "vista" del principio cosmico (il Mjollnir, equivalente al Vajra vedico-tibetano). È inoltre indicato come il protettore dell'umanità (Da Google, voce THOR).

[4] G.Faggin, Meister Eckhart e la mistica tedesca preprotestante, Fratelli Bocca Editore, Milano 1946.

[5] Edito a cura di G.Faggin, Editrice «Esperienze», Fossano (Cuneo) 1969.

[6] Carlo Mazzantini, La filosofia di Martin Heidegger, Cooperativa l’Arca, Torino 1991.

[7] Parmenide, Edizioni Adelphi, Milano 1999.

[8] La poesia di Hölderlin, Edizioni Adelphi, Milano 1988.

[9] Heidegger è stato un esplicito ammiratore di Hitler e del nazismo, del quale delinea le proprietà nei suoi caratteri essenziali. Così si spiega la sua ammirazione per la nozione nicciana dell’essere come volontà di potenza.  Per questo Heidegger considerò il nazismo come applicazione pratica e politica della sua ontologia. Teniamo d’altra parte presente che il nazismo si basava sulla concezione hegeliana dello Stato, che discende dal suo panteismo, fondato sull’identità di pensiero ed essere, che è principio    dell’ontologia heideggeriana. Coloro che vorrebbero scagionare Nietzsche dall’accusa di aver preparato l’avvento del nazismo, con le sue orribili conseguenze, vorrebbero poter accettare i suoi princìpi rifiutandone le conseguenze.

[10] Nietzsche, Edizioni Adelphi. Milano 2013.

[11] Cit. da Victor Farias, Heidegger e il nazismo, Edizioni Bollati Boringhieri,Torino 1988, p.321.


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