Intervista di Bruno Volpe

Intervista pubblicata il 25 gennaio 2020 su LA FEDE QUOTIDIANA

http://www.lafedequotidiana.it/padre-giovanni-cavalcoli-papa-francesco-concede-troppo-protestanti-progressisti-marxisti-massoni/



Intervista di Volpe
Alcune note circa l’intervista 
a me fatta da Bruno Volpe
sul blog La fede quotidiana

L’amico, noto giornalista cattolico Bruno Volpe, conduttore del blog La Fede quotidiana, ha di recente pubblicato la mia risposta ad alcune sue domande concernenti la vita della Chiesa e l’attività del Santo Padre. Gli sono sempre grato per il prezioso servizio che fa, che mi dà la possibilità di esporre al pubblico ciò che più ritengo utile per la vita cattolica ecclesiale del nostro tempo. Ma questa volta il caro Volpe ha messo all’intervista un titolo che purtroppo non corrisponde esattamente a quanto effettivamente ho detto nel testo dell’intervista, come il lettore potrà verificare.

Ora, la questione che tratto è molto seria e per questo mi sono deciso a pubblicare questo comunicato, che non intende affatto sconfessare il contenuto dell’intervista ben fatta, ma si riferisce al solo titolo, il quale mi fa dire: «Papa Francesco concede troppo a protestanti, progressisti, marxisti e massoni».  Ora devo dire subito che, presentato così, il mio pensiero sembra voler sostenere che l’insegnamento del Papa faccia indebite concessioni sul piano dottrinale ai suddetti autori. 

Ora, tali indebite concessioni non potrebbero essere altro che un cedimento ai loro errori. Ma, data la gravità di questi errori, che vanno dall’eresia all’ateismo, da un cristianesimo carente all’odio per il cristianesimo, io ho sempre sostenuto nelle mie pubblicazioni da quando Papa Francesco è in carica, che tali accuse al Papa sono ingiuste, offensive ed empie, perché Papa Francesco, come ogni Papa legittimo, possiede da Cristo un dono di infallibilità dottrinale nell’insegnare le vie del Vangelo, dono che gli impedisce di cadere nell’eresia e tanto meno nell’ateismo. 

Quello che ho detto io, come appare dal testo, è ben diverso. Io ho detto: «mi sembra che Francesco indulga a un’interpretazione che concede troppo ai progressisti, avvicinandosi ai modernisti, ai rahneriani» . Ammetto in ogni modo di non essere stato del tutto chiaro, per cui approfitto dell’occasione per chiarire questo punto delicatissimo, anche se chi conosce il mio pensiero sull’argomento, espresso in tante altre occasioni per scritto o a voce, avrà capito benissimo che cosa intendevo dire. 

Parlando dunque dell’«interpretazione», intendevo riferirmi non alla interpretazione che il Papa fa delle idee di quegli autori, ma dell’interpretazione che altri fanno del pensiero del Papa su quegli autori e cioè un’interpretazione sbagliata.
 
Il difetto del Papa, semmai, come ho rilevato molte volte con tutto rispetto nei miei scritti, difetto dal quale qualunque Papa può essere affetto, perché qui non gode dell’infallibilità, è un difetto ormai ben noto, di carattere non dottrinale ma pastorale, e cioè  quello di non esprimersi sempre con la necessaria chiarezza, per cui a volte, per un modo di esprimersi ambiguo o improprio, dà l’impressione di parteggiare per l’eresia o per l’empietà, cosa impossibile in un Papa.

Per questo, sin dall’inizio del pontificato di Francesco, mettendo in pratica il mio dovere di teologo, ho avuto sempre cura di chiarire il senso di certe affermazioni del Papa, le quali potevano creare qualche preoccupazione, e l’ho fatto a costo di sentirmi dire che mi arrampico sugli  specchi o che faccio il doppio gioco o che non voglio avere noie dai Superiori. Ma chi mi conosce sa che non ho di queste remore e che sono pronto a pagare di persona, quando è in gioco, per dirla con S.Caterina, «l’onore di Dio e il bene delle anime».

Del resto, la mia formazione di Domenicano e la mia pluriennale esperienza di officiale della Segreteria di Stato sotto S.Giovanni Paolo II mi hanno educato a saper parlare del Papa o a trattare col Papa o a valutare gli atti del Papa nel modo giusto, franco e rispettoso, con modestia e parresia, senza adulazioni e senza arroganza, sapendo distinguere dove il Papa può essere criticato da dove non può esserlo. 

Per questo, io non ho nulla da spartire né col farisaismo dei nostalgici del preconcilio, sempre col fucile puntato su Francesco, né con la arrogante sicumera dei modernisti, che con astuzia e sfrontatezza lo fanno autore di un’assurda palingenesi della Chiesa e di una fantapolitica «svolta epocale».  

Io sono invece nella linea dei Santi, che ci insegnano come comportarci saggiamente in questa delicatissima materia, come per esempio un Savonarola o una S.Caterina da Siena, stando ugualmente lontano sia dai falsi riformatori come Lutero, sia dagli attuali falsi amici del Papa, i quali non solo non credono nel suo carisma, ma neppure nella verità della fede, preoccupati soltanto di spadroneggiare nella Chiesa a loro vantaggio.  

Occorre ricordare altresì una cosa già notata da tempo da molti e cioè che Francesco si presta ad essere mal interpretato, equivocato, frainteso, strumentalizzato. In tanti ormai da anni lo stiamo esortando ad essere più chiaro, più lineare e limpido nel suo eloquio. Con tutto ciò, bisogna riconoscere che anche le persone che parlano nel modo più chiaro ed inequivocabile, possono sempre essere fraintese o strumentalizzate dagli ignoranti o dai malevoli o dai furbi. Ma allora queste persone leali hanno fatto il loro dovere e il rimprovero andrà a chi non le capisce o non le vuol capire. 

Una cosa che vorremmo infine dal Papa è che almeno, a cose fatte, chiarisse i dubbi o smentisse o correggesse le interpretazioni errate. Ma purtroppo ciò avviene assai di rado,  probabilmente perchè il Papa non ce la fa a rispondere a tutte le difficoltà. Tuttavia questo silenzio non fa una bella impressione, perché sembra confermare le false interpretazioni, secondo il detto popolare «chi tace, acconsente». 

Quello che chiediamo ad  Papa non è tanto la quantità o la frequenza del suo dire – questo lasciamolo ai giornalisti o a Padre Livio di Radio Maria -, quanto piuttosto l’autorevolezza unica, come Vicario di Cristo,  di quello che dice.

P.Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 27 gennaio 2020 


Intervista


Domande di Volpe  

1)    Qual è la sua opinione sulla "coabitazione" di due papi in Vaticano?

R. – Mi sembra giustificata dal fatto che essi hanno in tal modo una grande facilità di comunicare tra di loro, in modo tale che Papa Benedetto può offrire a Papa Francesco un prezioso aiuto e consiglio nel governo della Chiesa, considerata la sua esperienza di guida della Chiesa. Inoltre Papa Benedetto può adesso mettere a servizio di Papa Francesco la sua grande competenza teologica. Inoltre essi si possono confrontare sul modo di governare oggi la Chiesa.
   Su questo punto la mia impressione è che Francesco ascolti poco Benedetto, che, a mio giudizio, aveva intrapreso una linea di riforma più equilibrata di quella di Francesco, più in conformità con la vera interpretazione del Concilio[H1] , vale a dire con l’interpretazione che vede le dottrine del Concilio in continuità, anche se più avanzate, rispetto a quelle del Magistero precedente. Invece mi sembra che Francesco indulga a un’interpretazione che concede troppo ai progressisti, avvicinandosi ai modernisti, ai rahneriani, il che equivale a dire ai protestanti, ai marxisti  e alla massoneria, mentre fatica a dialogare con i tradizionalisti e i lefevriani, cosa nella quale invece Benedetto riusciva.
   Per quanto riguarda la custodia della sana dottrina, Benedetto è stato certamente più zelante e diligente di Francesco, troppo preso dal suo bisogno di contatto con le grandi masse. Anche per quanto riguarda il rapporto col mondo islamico e comunista, mentre Benedetto si preoccupava di più della chiarezza dottrinale, esortando i cattolici alla pazienza e ad accettare la persecuzione, Francesco, pur di ottenere la coesistenza pacifica,  sembra patteggiare eccessivamente con i nemici del cristianesimo e della Chiesa.

2)    La Chiesa a suo parere vive un momento di crisi?

R. – La Chiesa sta vivendo un momento di grave disagio e decadenza dottrinale e morale, sotto le sembianze di una falsa modernità, quale mai le è capitato in tutta la sua storia. Come ormai è stato diagnosticato da 40 anni, a cominciare da S.Paolo VI, mentre il Concilio offriva speranze di progresso teologico, morale e spirituale, si è verificato un insospettato ritorno massiccio di modernismo, quello che Padre Fabro chiamò lo «sconquasso», un modernismo ben peggiore e pericoloso di quello dei tempi di S.Pio X, come si accorse il Maritain fin dal 1966. Papa Francesco, a proposito dell’evangelizzazione, ha detto che non si tratta di occupare «spazi», ma di «avviare processi», e invece i modernisti stanno proprio occupando tutti gli spazi, soffocando la libertà dei pochi cattolici normali rimasti, senza avviare alcun vero rinnovamento, ma facendo retrocedere la teologia alle eresie prenicene e precalcedonesi e la filosofia ai naturalisti presocratici e ai miti dell’Amazzonia.
   Noto tuttavia acutezza di diagnosi, energia e libertà spirituali,  sapienza, sensus Ecclesiae, presenza e parresia dello Spirito Santo più nei laici che nei pastori. Papa Francesco è come un nocchiero sulla barca di Pietro in gran tempesta. Fatica a reggere il  timone. Eppure, la guida è lui. Dobbiamo stargli vicino, accettarlo, sopportarlo, pregare per lui, aiutarlo, consigliarlo, liberarlo dai falsi amici e dagli adulatori, richiamarlo con rispetto ai suoi doveri, accogliere tutto il bene che fa.

3a) Qual è la sua idea sui sacerdoti uxorati?

R. – Ho già trattato questo argomento in due miei recenti articoli nel mio blog. Cito qui alcuni brani.

1) Da Sulla questione del celibato ecclesiastico. «La Chiesa cattolica non abbandonerà mai una stima preferenziale per il sacerdozio celibatario; ma non è escluso che in un futuro, a certe condizioni e in certi luoghi, possa ammettere, a fianco del sacerdozio celibatario sempre preferito, anche un sacerdozio sposato. Tuttavia, può lasciare libera scelta fra l’uno e l’altro. Di per sè potrebbe esistere anche un Papa sposato, come lo è stato Pietro, primo Papa.
   Il sacerdozio celibatario è più spirituale di quello sposato.  Il celibato favorisce la libertà spirituale, un più acuto senso del sacro,  una maggiore intelligenza delle cose celesti, un maggiore discernimento nei fenomeni spirituali, un più ardente desiderio di Dio, una maggior apertura e disponibilità per il prossimo, una maggior fortezza nelle prove, una maggior saggezza nella guida delle anime, una più pura stima della donna. Il sacerdote celibe non avrà esperienza concreta degli affetti coniugali e degli affari familiari. Tuttavia, ha una più alta conoscenza teologica della nozione paolina del matrimonio come mistero di salvezza, immagine dello sposalizio fra Cristo e la Chiesa (Ef 5,32).

Il prete sposato invece sarà più capace di una pastorale familiare più concreta, dal momento che conosce per esperienza quella che è l’intimità fra sposo e sposa, l’educazione dei figli, nonché tutte le questioni connesse con la vita familiare, vivendole giorno per giorno in prima persona». 

2) Da Sacerdozio celibatario e sacerdozio coniugato. «Da un punto di vista dogmatico o in linea di principio non ci sono preclusioni a un sacerdozio coniugato: il celibato non è de essentia del sacramento dell’ordine. S.Paolo, nella Prima Lettera a Timoteo, esponendo i doveri del vescovo, raccomanda che “non sia sposato che una sola volta e che sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità, perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio?” (I Tm 3, 2-5). 

La ragione prima e più profonda del celibato è una ragione di carattere ascetico e spirituale: il bisogno che sente un’anima come quella del sacerdote, chiamata ad una più alta spiritualità e perfezione morale, ad essere più libera da quegli impulsi carnali, eccessivi e disordinati, che sono spinte al peccato, le quali, come rileva S.Pietro, nella condizione della presente natura decaduta, “fanno guerra all’anima” (I Pt 2,11) o quanto meno la illudono, ne offuscano la vista, la ostacolano e la distraggono dal suo slancio verso Dio, la rendono egoista e incapace del sacrificio e dello sforzo ascetico, la frenano e la restringono nel suo amore verso il prossimo, impedendole quella totale e libera dedizione, della quale l’anima sente il bisogno e il piacere, e la incatenano alle vanità del mondo di quaggiù proibendole le gioie ben superiori dello spirito.

Il celibato sacerdotale ha il suo fondamento teologico nella verginità di Cristo, del quale il sacerdote è ministro innanzitutto come consacratore del suo corpo e del suo sangue, giacchè nell’atto del consacrare agisce in persona Christi. È Cristo che sacrifica Se stesso nel suo Sacrificio eterno servendosi delle parole del celebrante, in modo tale che la Messa è l’attualizzazione incruenta del sacrificio della croce. La Messa, quindi, non è, come credeva Lutero, un sacrificio come opera del sacerdote in aggiunta a quello di Cristo, ma è lo stesso sacrificio di Cristo attualizzato nello spazio e nel tempo a beneficio di tutti coloro che vi partecipano.

Per questo, il celibato è certamente segno prezioso dell’imitazione di Cristo, ma non è ad essentiam. Per questo, se la Chiesa mantiene e manterrà sempre una speciale stima e predilezione per il celibato, è sua facoltà concedere, se lo riterrà opportuno, e a certe ben precise condizioni, anche un presbiterato coniugato. Molto più difficile invece appare la concessione di un episcopato coniugato, benchè si sia verificato in epoca apostolica. Se un vescovo ha bisogno del matrimonio come remedium concupiscentiae, c’è da dubitare della validità della sua ordinazione episcopale». 

3b) Ritiene che una eventuale apertura in Amazzonia possa causare altre aperture come in Germania?

Il moltiplicarsi di eventuali casi di sacerdoti coniugati sarà sotto il controllo della S.Sede.

4) A suo avviso il Papa emerito può esprimere le sue opinioni?

R. – ll Papa emerito non possiede più l’autorità magisteriale pontificia, la quale appartiene solo al Papa regnante. Il dono rimane in radice, ma non viene più esercitato. Conserva quella sapienza teologica, che aveva acquisito prima di essere Papa e che può aumentare nella condizione di Papa emerito. Può svolgere un ottimo servizio di consiglio, sostegno e conforto al Papa regnante.
   Egli ha piena libertà di insegnamento della dottrina cattolica a chiunque e di esprimere le proprie opinioni religiose privatamente e pubblicamente, a voce o per iscritto con pubblicazioni. Può tenere corrispondenza epistolare. Può partecipare, col consenso del Papa regnante, a convegni, congressi o pubblici incontri. Può ricevere visite di parenti, amici ed estimatori ed anche estranei, ed avere rapporti con chi crede, consenziente il Papa regnante. Può svolgere direzione spirituale e dedicarsi al ministero della confessione.

5) È teologicamente corretto affermare che "Gesù è un uomo di Dio?".

R. – No assolutamente. È un’espressione che suppone la negazione della divinità di Cristo. «Uomo di Dio», infatti, è un uomo che appartiene a Dio, così come si dice che una persona amata appartiene a chi la ama. La detta espressione è usata per designare persone sante o che hanno fama di santità o di alte virtù, comunque in confidenza con Dio, persone tutte dedite a Dio o che hanno dedicato o consacrato tutta la loro vita a Dio,
   Certo, Cristo è tutto questo, ma al contempo infinitamente di più di questo: Egli è Dio, il che vuol dire che, oltre ad essere uomo, è anche Dio. Cristo, come lo ha definito il Concilio di Calcedonia, è una divina Persona, la Persona del Figlio o del Verbo, con due nature: umana e divina.
   La proposizione «Gesù è Dio» è una proposizione molto delicata, che va rettamente intesa e che può essere fraintesa. Per comprenderne esattamente il senso e non pensare che Gesù identifichi il suo esser uomo col suo essere Dio - il che sarebbe panteismo -, occorre applicare un procedimento logico. che si chiama «comunicazione dei predicati»  (communicatio idiomatum). Ne ho parlato di recente in un mio articolo sul mio blog dedicato all’argomento.
   Riporto qui una descrizione del detto procedimento, del quale parlerò nel mio blog: Cristo «è un’unica Persona in due nature, che consente le proposizioni dogmatiche cristologiche ottenute dalla communicatio idiomatum. Infatti, la comunicazione dei due predicati è comunicazione di due forme o essenze, mentre l’unico soggetto o supposito è la persona. Ed è appunto l’unicità della persona, soggetto logico di entrambi i predicati, che consente la comunicazione dei predicati, per cui si può predicare un predicato dell’altro, prendendolo come soggetto della proposizione».

Così posso dire che Gesù è Dio, come se il soggetto della frase fosse Gesù uomo, mentre il soggetto reale è la Persona del Verbo. Così qui il termine «Dio» suppone non per Gesù, ma per il Verbo, perché Gesù come uomo  non può essere Dio e come Dio non può essere uomo. Ma è Dio solo perchè il Verbo sussiste in un individuo».

6) La figura del Papa emerito andrebbe normata?

R. – Certamente. Anche di ciò ho scritto di recente sul mio blog. Riporto alcuni brani del mio articolo. «Il pontificato, nella mente di Benedetto, sembra essere un arricchimento o potenziamento del carattere sacerdotale, per il quale il Papa è superiore al Vescovo non solo e non tanto nel suo dargli ordini, ma proprio e ancor più per un motivo ontologico, che riguarda l’essere, prima che l’agire. Insomma, l’esser Papa non si risolve nell’agire, ma nel suo stesso essere, anche se non agisce come Papa. Ciò dà la possibilità di una visione più approfondita e più sublime, più mistica che giuridica, dell’esser Papa come sembra vederlo Benedetto. Dopo che un Tedesco, come Lutero ha umiliato la dignità di Pietro, la Provvidenza ha voluto un Papa Tedesco per farci comprendere meglio la sublime dignità evangelica, spirituale, carismatica e giuridica del Pescatore di Galilea. 
   Il Diritto dovrà allora regolamentare questa nuova definizione del Papato, che interpreta l’intenzione di Cristo. Facendo riferimento all’episcopato emerito, la cui funzione non è regolata da leggi, ma è lasciata alle personali decisioni del singolo vescovo interessato, cosa che non fa problema per nessuno, non parrebbe a tutta prima utile, opportuno, conveniente o necessario regolamentare lo status giuridico e le funzioni del Papa emerito. 
   Da quanto ho detto dovrebbe apparire chiaro che la distinzione fatta da Papa Benedetto fra ufficio papale ed esercizio dell’ufficio papale costituisce un apporto definitivo per la comprensione dell’essenza del pontificato, deducibile dalla volontà  di Cristo, sicché d’ora in avanti il Papa che vorrà dare le dimissioni non abbandonerà più puramente e semplicemente il pontificato, perdendo il titolo di Papa, come sempre è stato in uso finora, ma passerà allo status di Papa emerito, ossia sarà ancora Papa, ma Papa a riposo, in obbedienza al nuovo Papa.

Sembra conseguire da ciò che, dopo l’istituzione dell’emeritato pontificio ad opera di Benedetto XVI, onde ottenere dal Papa certezza in questa delicatissima materia, si profili la necessità che il Papa voglia far inserire nel Codice di Diritto Canonico un nuovo capitolo o sezione sull’emeritato Pontificio, da far seguire come logico sviluppo e complemento alla già ammessa facoltà di un Papa di dare le dimissioni (Can. 332 § 2), come determinazione e regolamentazione di massima delle condizioni e delle funzioni del Papa dimessosi dall’incarico. 

Se il Diritto concede la possibilità che un Papa rinunci all’esercizio del pontificato, è del tutto legittimo chiedersi: che cosa fa il Papa che si è dimesso? Per ora il Codice non dice nulla. Ma dopo il chiarimento di Benedetto pare giunto il momento di precisare giuridicamente l’importante insegnamento del Papa emerito. Probabilmente alcuni, ai quali dà fastidio l’idea di Papa Benedetto, pensano che, morto lui, non si parlerà più di Papa «emerito». Ma io non credo che sarà così. Sono invece convinto che la scoperta di Benedetto abbia inaugurato nella Chiesa un procedimento irreversibile.

 Mi pare allora che un nuovo capitolo del Codice dovrebbe definire lo status giuridico del Papa emerito, le sue condizioni e le sue peculiarità. È evidente peraltro che, siccome si tratta di materia in certa misura soggetta al Potere delle Chiavi, ciascun Papa avrà ha la facoltà di apportare mutamenti. Ma non credo che la sostanza di quanto ci ha insegnato Papa Ratzinger potrà essere abolita. La Chiesa nella storia va avanti e non torna indietro».

P.Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 23 gennaio 2020

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