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Intervista di Volpe
Alcune note circa l’intervista
a me fatta da
Bruno Volpe
sul blog La fede quotidiana
L’amico, noto giornalista cattolico Bruno
Volpe, conduttore del blog La Fede
quotidiana, ha di recente pubblicato la mia risposta ad alcune sue domande concernenti
la vita della Chiesa e l’attività del Santo Padre. Gli sono sempre grato per il
prezioso servizio che fa, che mi dà la possibilità di esporre al pubblico ciò che
più ritengo utile per la vita cattolica ecclesiale del nostro tempo. Ma questa volta
il caro Volpe ha messo all’intervista un titolo che purtroppo non corrisponde esattamente
a quanto effettivamente ho detto nel testo dell’intervista, come il lettore
potrà verificare.
Ora, la questione che tratto è molto seria e
per questo mi sono deciso a pubblicare questo comunicato, che non intende
affatto sconfessare il contenuto dell’intervista ben fatta, ma si riferisce al
solo titolo, il quale mi fa dire: «Papa
Francesco concede troppo a protestanti, progressisti, marxisti e massoni». Ora devo dire subito che, presentato così, il
mio pensiero sembra voler sostenere che l’insegnamento del Papa faccia indebite
concessioni sul piano dottrinale ai suddetti autori.
Ora, tali indebite concessioni non potrebbero
essere altro che un cedimento ai loro errori. Ma, data la gravità di questi
errori, che vanno dall’eresia all’ateismo, da un cristianesimo carente all’odio
per il cristianesimo, io ho sempre sostenuto nelle mie pubblicazioni da quando
Papa Francesco è in carica, che tali accuse al Papa sono ingiuste, offensive ed
empie, perché Papa Francesco, come ogni Papa legittimo, possiede da Cristo un
dono di infallibilità dottrinale nell’insegnare le vie del Vangelo, dono che
gli impedisce di cadere nell’eresia e tanto meno nell’ateismo.
Quello che ho detto io, come appare dal testo, è
ben diverso. Io ho detto: «mi
sembra che Francesco indulga a un’interpretazione che concede troppo ai
progressisti, avvicinandosi ai modernisti, ai rahneriani» . Ammetto in ogni
modo di non essere stato del tutto chiaro, per cui approfitto dell’occasione
per chiarire questo punto delicatissimo, anche se chi conosce il mio pensiero
sull’argomento, espresso in tante altre occasioni per scritto o a voce, avrà
capito benissimo che cosa intendevo dire.
Parlando dunque dell’«interpretazione»,
intendevo riferirmi non alla interpretazione che il Papa fa delle idee di quegli autori, ma dell’interpretazione
che altri fanno del pensiero del Papa su quegli autori e cioè
un’interpretazione sbagliata.
Il difetto del Papa, semmai, come ho rilevato
molte volte con tutto rispetto nei miei scritti, difetto dal quale qualunque Papa
può essere affetto, perché qui non gode dell’infallibilità, è un difetto ormai
ben noto, di carattere non dottrinale ma
pastorale, e cioè quello di non esprimersi
sempre con la necessaria chiarezza, per cui a volte, per un modo di esprimersi
ambiguo o improprio, dà l’impressione di parteggiare per l’eresia o per
l’empietà, cosa impossibile in un Papa.
Per questo, sin dall’inizio del pontificato di
Francesco, mettendo in pratica il mio dovere di teologo, ho avuto sempre cura
di chiarire il senso di certe affermazioni del Papa, le quali potevano creare
qualche preoccupazione, e l’ho fatto a costo di sentirmi dire che mi arrampico
sugli specchi o che faccio il doppio
gioco o che non voglio avere noie dai Superiori. Ma chi mi conosce sa che non
ho di queste remore e che sono pronto a pagare di persona, quando è in gioco,
per dirla con S.Caterina, «l’onore di Dio e il bene delle anime».
Del resto, la mia formazione di Domenicano e
la mia pluriennale esperienza di officiale della Segreteria di Stato sotto
S.Giovanni Paolo II mi hanno educato a saper parlare del Papa o a trattare col
Papa o a valutare gli atti del Papa nel modo giusto, franco e rispettoso, con
modestia e parresia, senza adulazioni e senza arroganza, sapendo distinguere
dove il Papa può essere criticato da dove non può esserlo.
Per questo, io non ho nulla da spartire né col
farisaismo dei nostalgici del preconcilio, sempre col fucile puntato su Francesco,
né con la arrogante sicumera dei modernisti, che con astuzia e sfrontatezza lo
fanno autore di un’assurda palingenesi della Chiesa e di una fantapolitica «svolta
epocale».
Io sono invece nella linea dei Santi, che ci
insegnano come comportarci saggiamente in questa delicatissima materia, come per
esempio un Savonarola o una S.Caterina da Siena, stando ugualmente lontano sia dai
falsi riformatori come Lutero, sia dagli attuali falsi amici del Papa, i quali
non solo non credono nel suo carisma, ma neppure nella verità della fede,
preoccupati soltanto di spadroneggiare nella Chiesa a loro vantaggio.
Occorre ricordare altresì una cosa già notata
da tempo da molti e cioè che Francesco si presta ad essere mal interpretato,
equivocato, frainteso, strumentalizzato. In tanti ormai da anni lo stiamo
esortando ad essere più chiaro, più lineare e limpido nel suo eloquio. Con tutto
ciò, bisogna riconoscere che anche le persone che parlano nel modo più chiaro
ed inequivocabile, possono sempre essere fraintese o strumentalizzate dagli
ignoranti o dai malevoli o dai furbi. Ma allora queste persone leali hanno fatto
il loro dovere e il rimprovero andrà a chi non le capisce o non le vuol capire.
Una cosa che vorremmo infine dal Papa è che almeno,
a cose fatte, chiarisse i dubbi o smentisse o correggesse le interpretazioni
errate. Ma purtroppo ciò avviene assai di rado, probabilmente perchè il Papa non ce la fa a rispondere
a tutte le difficoltà. Tuttavia questo silenzio non fa una bella impressione,
perché sembra confermare le false interpretazioni, secondo il detto popolare
«chi tace, acconsente».
Quello che chiediamo ad Papa non è tanto la quantità o la frequenza
del suo dire – questo lasciamolo ai giornalisti o a Padre Livio di Radio Maria
-, quanto piuttosto l’autorevolezza
unica, come Vicario di Cristo, di quello
che dice.
P.Giovanni
Cavalcoli
Fontanellato,
27 gennaio 2020
Intervista
Domande di
Volpe
1) Qual è la sua
opinione sulla "coabitazione" di due papi in Vaticano?
R. – Mi
sembra giustificata dal fatto che essi hanno in tal modo una grande facilità di
comunicare tra di loro, in modo tale che Papa Benedetto può offrire a Papa
Francesco un prezioso aiuto e consiglio nel governo della Chiesa, considerata
la sua esperienza di guida della Chiesa. Inoltre Papa Benedetto può adesso
mettere a servizio di Papa Francesco la sua grande competenza teologica.
Inoltre essi si possono confrontare sul modo di governare oggi la Chiesa.
Su questo punto la mia impressione è che
Francesco ascolti poco Benedetto, che, a mio giudizio, aveva intrapreso una
linea di riforma più equilibrata di quella di Francesco, più in conformità con
la vera
interpretazione del Concilio[H1] , vale a dire
con l’interpretazione che vede le dottrine del Concilio in continuità, anche se
più avanzate, rispetto a quelle del Magistero precedente. Invece mi sembra che
Francesco indulga a un’interpretazione che concede troppo ai progressisti,
avvicinandosi ai modernisti, ai rahneriani, il che equivale a dire ai
protestanti, ai marxisti e alla
massoneria, mentre fatica a dialogare con i tradizionalisti e i lefevriani,
cosa nella quale invece Benedetto riusciva.
Per quanto riguarda la custodia della sana
dottrina, Benedetto è stato certamente più zelante e diligente di Francesco,
troppo preso dal suo bisogno di contatto con le grandi masse. Anche per quanto
riguarda il rapporto col mondo islamico e comunista, mentre Benedetto si
preoccupava di più della chiarezza dottrinale, esortando i cattolici alla
pazienza e ad accettare la persecuzione, Francesco, pur di ottenere la
coesistenza pacifica, sembra patteggiare
eccessivamente con i nemici del cristianesimo e della Chiesa.
2) La Chiesa a
suo parere vive un momento di crisi?
R. – La
Chiesa sta vivendo un momento di grave disagio e decadenza dottrinale e morale,
sotto le sembianze di una falsa modernità, quale mai le è capitato in tutta la
sua storia. Come ormai è stato diagnosticato da 40 anni, a cominciare da
S.Paolo VI, mentre il Concilio offriva speranze di progresso teologico, morale
e spirituale, si è verificato un insospettato ritorno massiccio di modernismo, quello
che Padre Fabro chiamò lo «sconquasso», un modernismo ben peggiore e pericoloso
di quello dei tempi di S.Pio X, come si accorse il Maritain fin dal 1966. Papa
Francesco, a proposito dell’evangelizzazione, ha detto che non si tratta di
occupare «spazi», ma di «avviare processi», e invece i modernisti stanno
proprio occupando tutti gli spazi, soffocando la libertà dei pochi cattolici
normali rimasti, senza avviare alcun vero rinnovamento, ma facendo retrocedere
la teologia alle eresie prenicene e precalcedonesi e la filosofia ai
naturalisti presocratici e ai miti dell’Amazzonia.
Noto tuttavia acutezza di diagnosi, energia
e libertà spirituali, sapienza, sensus Ecclesiae, presenza e parresia
dello Spirito Santo più nei laici che nei pastori. Papa Francesco è come un
nocchiero sulla barca di Pietro in gran tempesta. Fatica a reggere il timone. Eppure, la guida è lui. Dobbiamo
stargli vicino, accettarlo, sopportarlo, pregare per lui, aiutarlo, consigliarlo,
liberarlo dai falsi amici e dagli adulatori, richiamarlo con rispetto ai suoi doveri,
accogliere tutto il bene che fa.
3a) Qual è la
sua idea sui sacerdoti uxorati?
R. – Ho già
trattato questo argomento in due miei recenti articoli nel mio blog. Cito qui alcuni
brani.
1) Da Sulla
questione del celibato ecclesiastico. «La Chiesa cattolica non abbandonerà mai una stima
preferenziale per il sacerdozio celibatario; ma non è escluso che in un futuro,
a certe condizioni e in certi luoghi, possa ammettere, a fianco del sacerdozio
celibatario sempre preferito, anche un sacerdozio sposato. Tuttavia, può
lasciare libera scelta fra l’uno e l’altro. Di per sè potrebbe esistere anche
un Papa sposato, come lo è stato Pietro, primo Papa.
Il sacerdozio celibatario è più spirituale
di quello sposato. Il celibato favorisce
la libertà spirituale, un più acuto senso del sacro, una maggiore intelligenza delle cose celesti,
un maggiore discernimento nei fenomeni spirituali, un più ardente desiderio di
Dio, una maggior apertura e disponibilità per il prossimo, una maggior fortezza
nelle prove, una maggior saggezza nella guida delle anime, una più pura stima
della donna. Il sacerdote celibe non avrà esperienza concreta degli affetti
coniugali e degli affari familiari. Tuttavia, ha una più alta conoscenza
teologica della nozione paolina del matrimonio come mistero di salvezza,
immagine dello sposalizio fra Cristo e la Chiesa (Ef 5,32).
Il prete
sposato invece sarà più capace di una pastorale familiare più concreta, dal
momento che conosce per esperienza quella che è l’intimità fra sposo e sposa,
l’educazione dei figli, nonché tutte le questioni connesse con la vita
familiare, vivendole giorno per giorno in prima persona».
2) Da Sacerdozio celibatario e sacerdozio
coniugato. «Da un punto di vista dogmatico o in linea di principio non ci
sono preclusioni a un sacerdozio coniugato: il celibato non è de essentia del sacramento dell’ordine.
S.Paolo, nella Prima Lettera a Timoteo,
esponendo i doveri del vescovo, raccomanda che “non sia sposato che una sola
volta e che sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi
con ogni dignità, perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà
aver cura della Chiesa di Dio?” (I Tm 3, 2-5).
La ragione
prima e più profonda del celibato è una ragione di carattere ascetico e spirituale:
il bisogno che sente un’anima come quella del sacerdote, chiamata ad una più alta spiritualità e perfezione morale, ad
essere più libera da quegli impulsi carnali, eccessivi e disordinati, che sono
spinte al peccato, le quali, come rileva S.Pietro, nella condizione della
presente natura decaduta, “fanno guerra all’anima” (I Pt 2,11) o quanto meno la
illudono, ne offuscano la vista, la ostacolano e la distraggono dal suo slancio
verso Dio, la rendono egoista e incapace del sacrificio e dello sforzo
ascetico, la frenano e la restringono nel suo amore verso il prossimo,
impedendole quella totale e libera dedizione, della quale l’anima sente il
bisogno e il piacere, e la incatenano alle vanità del mondo di quaggiù
proibendole le gioie ben superiori dello spirito.
Il celibato
sacerdotale ha il suo fondamento teologico nella verginità di Cristo, del quale
il sacerdote è ministro innanzitutto come consacratore del suo corpo e del suo
sangue, giacchè nell’atto del consacrare agisce in persona Christi. È Cristo che sacrifica Se stesso nel suo
Sacrificio eterno servendosi delle parole del celebrante, in modo tale che la
Messa è l’attualizzazione incruenta del sacrificio della croce. La Messa,
quindi, non è, come credeva Lutero, un sacrificio come opera del sacerdote in
aggiunta a quello di Cristo, ma è lo stesso sacrificio di Cristo attualizzato
nello spazio e nel tempo a beneficio di tutti coloro che vi partecipano.
Per questo, il
celibato è certamente segno prezioso dell’imitazione di Cristo, ma non è ad essentiam. Per questo, se la Chiesa
mantiene e manterrà sempre una speciale stima e predilezione per il celibato, è
sua facoltà concedere, se lo riterrà opportuno, e a certe ben precise
condizioni, anche un presbiterato coniugato. Molto più difficile invece appare
la concessione di un episcopato coniugato, benchè si sia verificato in epoca
apostolica. Se un vescovo ha bisogno del matrimonio come remedium concupiscentiae, c’è da dubitare della validità della sua
ordinazione episcopale».
3b) Ritiene che
una eventuale apertura in Amazzonia possa causare altre aperture come in
Germania?
Il
moltiplicarsi di eventuali casi di sacerdoti coniugati sarà sotto il controllo
della S.Sede.
4) A suo
avviso il Papa emerito può esprimere le sue opinioni?
R. – ll Papa
emerito non possiede più l’autorità magisteriale pontificia, la quale
appartiene solo al Papa regnante. Il dono rimane in radice, ma non viene più
esercitato. Conserva quella sapienza teologica, che aveva acquisito prima di
essere Papa e che può aumentare nella condizione di Papa emerito. Può svolgere
un ottimo servizio di consiglio, sostegno e conforto al Papa regnante.
Egli ha piena libertà di insegnamento della
dottrina cattolica a chiunque e di esprimere le proprie opinioni religiose
privatamente e pubblicamente, a voce o per iscritto con pubblicazioni. Può
tenere corrispondenza epistolare. Può partecipare, col consenso del Papa
regnante, a convegni, congressi o pubblici incontri. Può ricevere visite di
parenti, amici ed estimatori ed anche estranei, ed avere rapporti con chi
crede, consenziente il Papa regnante. Può svolgere direzione spirituale e
dedicarsi al ministero della confessione.
5) È teologicamente corretto
affermare che "Gesù è un uomo di Dio?".
R. – No assolutamente. È un’espressione
che suppone la negazione della divinità di Cristo. «Uomo di Dio», infatti, è un
uomo che appartiene a Dio, così come si dice che una persona amata appartiene a
chi la ama. La detta espressione è usata per designare persone sante o che
hanno fama di santità o di alte virtù, comunque in confidenza con Dio, persone
tutte dedite a Dio o che hanno dedicato o consacrato tutta la loro vita a Dio,
Certo, Cristo è tutto questo, ma al contempo
infinitamente di più di questo: Egli è Dio, il che vuol dire che, oltre ad essere
uomo, è anche Dio. Cristo, come lo ha definito il Concilio
di Calcedonia, è una divina Persona, la Persona del Figlio o del Verbo, con due
nature: umana e divina.
La proposizione «Gesù è Dio» è una
proposizione molto delicata, che va rettamente intesa e che può essere fraintesa.
Per comprenderne esattamente il senso e non pensare che Gesù identifichi il suo
esser uomo col suo essere Dio - il che sarebbe panteismo -, occorre applicare
un procedimento logico. che si chiama «comunicazione dei predicati» (communicatio
idiomatum). Ne ho parlato di recente in un mio articolo sul mio blog dedicato
all’argomento.
Riporto qui
una descrizione del detto procedimento, del quale parlerò nel mio blog: Cristo «è un’unica
Persona in due nature, che consente le proposizioni dogmatiche cristologiche
ottenute dalla communicatio idiomatum. Infatti, la comunicazione dei due predicati è
comunicazione di due forme o essenze, mentre l’unico soggetto o supposito è la
persona. Ed è appunto l’unicità della persona, soggetto logico di entrambi i
predicati, che consente la comunicazione dei predicati, per cui si può predicare
un predicato dell’altro, prendendolo come soggetto della proposizione».
Così posso
dire che Gesù è Dio, come se il soggetto della frase fosse Gesù uomo, mentre il
soggetto reale è la Persona del Verbo. Così qui il termine «Dio» suppone non
per Gesù, ma per il Verbo, perché Gesù come uomo non può essere Dio e come Dio non può essere
uomo. Ma è Dio solo perchè il Verbo sussiste in un individuo».
6) La figura
del Papa emerito andrebbe normata?
R. – Certamente. Anche di ciò ho scritto di recente
sul mio blog. Riporto alcuni brani del mio articolo. «Il pontificato, nella mente di Benedetto, sembra
essere un arricchimento o potenziamento del carattere sacerdotale, per il quale
il Papa è superiore al Vescovo non solo e non tanto nel suo dargli ordini, ma
proprio e ancor più per un motivo ontologico,
che riguarda l’essere, prima che l’agire. Insomma, l’esser Papa non si risolve
nell’agire, ma nel suo stesso essere, anche se non agisce come Papa. Ciò dà la
possibilità di una visione più approfondita e più sublime, più mistica che
giuridica, dell’esser Papa come sembra vederlo Benedetto. Dopo che un Tedesco,
come Lutero ha umiliato la dignità di Pietro, la Provvidenza ha voluto un Papa
Tedesco per farci comprendere meglio la sublime dignità evangelica, spirituale,
carismatica e giuridica del Pescatore di Galilea.
Il Diritto
dovrà allora regolamentare questa nuova definizione del Papato, che interpreta
l’intenzione di Cristo. Facendo riferimento all’episcopato emerito, la cui
funzione non è regolata da leggi, ma è lasciata alle personali decisioni del
singolo vescovo interessato, cosa che non fa problema per nessuno, non parrebbe
a tutta prima utile, opportuno, conveniente o necessario regolamentare lo status giuridico e le funzioni del Papa
emerito.
Da quanto ho
detto dovrebbe apparire chiaro che la distinzione fatta da Papa Benedetto fra
ufficio papale ed esercizio dell’ufficio papale costituisce un apporto definitivo per la comprensione dell’essenza del pontificato, deducibile
dalla volontà di Cristo, sicché d’ora in
avanti il Papa che vorrà dare le dimissioni non abbandonerà più puramente e
semplicemente il pontificato, perdendo il titolo di Papa, come sempre è stato
in uso finora, ma passerà allo status
di Papa emerito, ossia sarà ancora Papa, ma Papa a riposo, in obbedienza al
nuovo Papa.
Sembra conseguire da ciò che, dopo l’istituzione
dell’emeritato pontificio ad opera di Benedetto XVI, onde ottenere dal Papa
certezza in questa delicatissima materia, si profili la necessità che il Papa
voglia far inserire nel Codice di Diritto Canonico un nuovo capitolo o sezione
sull’emeritato Pontificio, da far seguire come logico sviluppo e complemento
alla già ammessa facoltà di un Papa di dare le dimissioni (Can. 332 § 2), come
determinazione e regolamentazione di massima delle condizioni e delle funzioni
del Papa dimessosi dall’incarico.
Se il Diritto concede la possibilità che un Papa
rinunci all’esercizio del pontificato, è del tutto legittimo chiedersi: che
cosa fa il Papa che si è dimesso? Per ora il Codice non dice nulla. Ma dopo il
chiarimento di Benedetto pare giunto il momento di precisare giuridicamente
l’importante insegnamento del Papa emerito. Probabilmente alcuni, ai quali dà
fastidio l’idea di Papa Benedetto, pensano che, morto lui, non si parlerà più
di Papa «emerito». Ma io non credo che sarà così. Sono invece convinto che la
scoperta di Benedetto abbia inaugurato nella Chiesa un procedimento
irreversibile.
Mi pare allora
che un nuovo capitolo del Codice dovrebbe definire lo status giuridico del Papa emerito, le sue condizioni e le sue peculiarità.
È evidente peraltro che, siccome si tratta di materia in certa misura soggetta
al Potere delle Chiavi, ciascun Papa avrà ha la facoltà di apportare mutamenti.
Ma non credo che la sostanza di quanto ci ha insegnato Papa Ratzinger potrà
essere abolita. La Chiesa nella storia va avanti e non torna indietro».
P.Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 23 gennaio 2020
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