Il Papa e la Tradizione

 Il Papa e la Tradizione

Il Papa ci spiega la Tradizione, ma è soggetto alla Tradizione

Come sappiamo, dalla viva voce di Nostro Signore Gesù Cristo è uscita la Rivelazione dei misteri di fede della nostra salvezza eterna. Le parole del Signore sono state religiosamente raccolte dagli apostoli e dai discepoli in un complesso di proposizioni, le verità di fede, formalizzate poi nel Simbolo della Fede, in parte mandate a memoria e trasmesse oralmente, in parte messe per iscritto a formare il Nuovo Testamento, che si aggiunge all’Antico, a formare la Sacra Scrittura.

In ogni caso Cristo ha incaricato Pietro, principe degli apostoli e i loro successori, i vescovi, assistiti da Lui e dallo Spirito Santo, di conservare, insegnare, trasmettere, interpretare, difendere, spiegare e far applicare la sua dottrina a tutto il mondo fino alla fine dei secoli.

Tutto ciò vuol dire che la dottrina di Cristo ci è mediata dalla Tradizione apostolica e dalla Sacra Scrittura, la cui interpretazione e spiegazione è stata affidata da Cristo a Pietro, cioè al Papa, il quale, pertanto, quando, come successore di Pietro, Vicario di Cristo, maestro della fede e pastore universale della Chiesa, tratta di materie di fede o connesse con la fede o ci insegna in forma ordinaria o solenne quelle che sono le verità di fede o connesse con la fede in campo dogmatico o morale, le definisca o non le definisca come tali, le dichiari o non le dichiari definitivamente, ci dice sempre la verità, ossia non può sbagliare, non può ingannarsi e non può ingannare, perché ciò ricadrebbe su Gesù Cristo, che dovremmo allora accusare di averci ingannato affidando a Pietro il compito di trasmetterci il deposito della Rivelazione.

In base a ciò è chiaro che il patrimonio divino ed immutabile della Parola di Dio contenuto nella Sacra Scrittura e nella Sacra Tradizione sono consegnate anzitutto da Cristo al Papa, il quale, nel suo magistero ha in esse la regola del suo insegnamento e ad esse è soggetto come primo discepolo di Cristo.

 Gli insegnamenti pontifici ufficiali, ordinari o solenni, a cominciare dai dogmi definiti, non definiti o definibili, non sono altro che interpretazioni autentiche, certe, immutabili ed infallibili della divina Rivelazione contenuta nella Sacra Scrittura e nella Tradizione.

Quando il Papa si pronuncia in materia di fede o connessa con la fede in questa forma, a queste condizioni e in queste circostanze, bisogna accogliere con fede divina (dottrina dogmatica) o fede ecclesiale (dottrina dogmatizzabile) o religioso ossequio dell’intelligenza (dottrina autentica) quanto il Papa insegna a seconda dei tre gradi decrescenti di autorità rispettivamente corrispondenti a quei tre gradi di assenso da parte del fedele.

Se in un documento pontificio ufficiale, specie se di alto livello come l’enciclica, ma poi anche in un’omelia, un’udienza generale o un motu proprio, vi sono frasi ambigue, bisogna interpretarle in senso buono. Chi teme di scovare delle eresie non ha capito che cosa intende dire il Papa, come per esempio nel caso dell’Amoris laetitiae o della Fratelli tutti.

In questi casi non è consentito giudicare l’insegnamento del Papa alla luce della Tradizione e della Sacra Scrittura, perché invece siamo noi fedeli a dover accogliere con fiducia l’interpretazione pontificia del dato biblico e del dato della Tradizione. Non ci è quindi lecito appellarci direttamente a Cristo scavalcando il Papa, perché Cristo ci risponderebbe: «Figlio, se ascolti il Papa, ascolti me: non ho forse nominato Pietro mio vicario?».

Tradizione sacra ed usi tradizionali della Chiesa

Occorre distinguere la Sacra Tradizione dagli usi ecclesiastici tradizionali. Il dato della prima è di istituzione divina, perché contiene verità di fede trasmesse oralmente e successivamente dogmatizzate dalla Chiesa, come è avvenuto per il sacramento dell’Unzione degli Infermi, per il dogma del Purgatorio, per il sacramento della Cresima e per i dogmi mariani dell’immacolata e dell’Assunzione.

Parlare di «sviluppo della Tradizione» è ambiguo. Non è il dato della Tradizione a svilupparsi, perché esso è un dato immutabile, è Parola di Dio che non passa. Ciò che si sviluppa, che cresce, che progredisce, che si approfondisce è la conoscenza del dato della Tradizione. Sicchè possiamo dire che con le dottrine del Concilio Vaticano II abbiamo potuto conoscere meglio il dato della Tradizione che non il Concilio di Trento. Non può essere il Papa, ma sono gli eretici, come per esempio Lutero o i modernisti, che hanno tradito la Tradizione.

Invece gli usi ecclesiastici tradizionali sono istituiti e conservati a cura dei Sommi Pontefici in forza del potere delle chiavi, che consente loro a loro discrezione la facoltà anche di abolire tradizioni precedenti anche antiche.

Facciamo un esempio col rito della Messa. Essa in se stessa è un mistero di fede fondato nelle parole di Cristo all’ultima Cena, come tale immutabile ed inabrogabile anche da parte del Papa, il quale invece ha solo il compito di conservarlo intatto fino alla fine dei secoli. In tal senso è chiaro che un Papa non può mutare né tanto meno abolire, si tratti del vetus come del novus ordo, in quanto entrambi sono Messa.

Invece la riforma della Messa promossa dal Concilio ha avuto facoltà di istituire un nuovo ordine del rito, appunto il novus ordo, abbandonando usi del precedente, che tuttavia non è stato abolito, ma passa in second’ordine rispetto al nuovo, giudicato dalla riforma più adatto alle esigenze e ai valori della spiritualità moderna.

Se invece capitasse che un Papa parlasse di argomenti attinenti alla fede o alla morale in forma improvvisata, estemporanea, a modo di battuta o di slogan, come dottore od opinionista privato o in sede non ufficiale – per esempio un’intervista giornalistica o in un libro personale – oppure gli sfuggisse qualche frase ambigua, equivoca, male espressa, scandalosa, impulsiva, male sonante, imprudente o anche apparentemente eretica, non occorre prender in considerazione simili esternazioni, estranee dall’autentica autorità pontificia e di carattere meramente umano o psicologico, ma è eventualmente lecito richiamare rispettosamente il Papa al dato della Bibbia o della Tradizione.

Insegnamenti dottrinali e insegnamenti pastorali

Occorre distinguere in un Papa gli insegnamenti dottrinali dalla condotta morale e dall’insegnamento pastorale. Negli insegnamenti dottrinali il fattore-guida è la verità di fede. E qui il Papa è infallibile, a meno che non pensiamo, come ho detto sopra, che Cristo ci ha ingannati o si è sbagliato affidando a Pietro il mandato di confermarci nella fede. O a meno che, come credono i luterani, il Papa non sia il successore di Pietro.

Invece nella condotta morale e nella pastorale il Papa è peccabile. Qui il fattore guida sono la prudenza, la giustizia e la carità. La legge canonica, i provvedimenti giudiziari o disciplinari in materia di amministrazione dei sacramenti, i motu-proprio rientrano in questa categoria. Non è escluso che un motu-proprio non sia perfetto nella prudenza, nella giustizia e nella carità.

Papa Benedetto XVI ha detto ai lefevriani che se vogliono essere in piena comunione con la Chiesa devono accettare tutte le dottrine del Concilio. Invece alcuni documenti pastorali possono essere discussi. Certamente si riferiva alla tendenza buonistica e all’eccessiva stima per il mondo moderno.

Così pure i Papi del postconcilio ci hanno spiegato la continuità del Concilio con la Tradizione e con la Scrittura. Non ci è lecito contestarli in ciò, ma dobbiamo recepire con fiducia le loro spiegazioni. L’interpretazione modernistica del Concilio è opera degli stessi modernisti, che vorrebbero tirare il Concilio dalla loro parte.

Un difetto della pastorale di un Papa può essere la reticenza circa alcune verità di fede, non perché non ci creda, ma perché le vuol tacere o per opportunismo o per rispetto umano o per non scontentare gli eretici e i modernisti. Ma anche qui non è che il Papa pecchi contro la fede, ma contro la prudenza e il coraggio.  Capita che un Papa insegni la verità, ma non corregga chi insegna il contrario. Abbiamo qui gli stessi vizi precedenti.

La condotta giusta verso il Papa

La condotta giusta da tenere verso il Papa non è cosa facile da apprendere. Bisogna imparare dai Santi, per esempio da una Santa Caterina da Siena o da San Bernardo o da un San Pier Damiani o da un Savonarola o da un Beato Rosmini.

 Come poter avere un criterio di giudizio proporzionato alle dimensioni di un simile personaggio? Come poter avere le informazioni sufficienti su di lui e sulla materia sulla quale può vertere il giudizio? Possiamo dire di possedere le stesse informazioni che ha lui sullo stato della Chiesa? Possiamo essere in grado di consigliarlo o correggerlo sul modo di governare la Chiesa o su come insegnare il Vangelo?

E tuttavia il Papa è pur sempre un essere umano come tutti noi, con le sue virtù e i suoi difetti, con le sue qualità e le sue fragilità, con le sue limitate conoscenze, sofferenze, problemi di salute, soggetto ad essere ingannato o a commettere errori di giudizio, se non nella dottrina, certamente sulle persone e sugli eventi, bisognoso di aiuto ed anche di essere corretto in certi difetti, di essere incoraggiato, confortato, difeso e consolato, soggetto a entusiasmi, illusioni e tristezze. Come è importante la carità verso il Papa!

Può essere difficile obbedirgli; ma crediamo forse che per lui sia facile comandare?  Come facciamo presto a considerarlo come un tiranno o viceversa un debole, senza pensare all’estrema complessità di certe situazioni, che deve affrontare e al rischio che venga informato male o che gli manchino le informazioni necessarie!

La condotta giusta nei confronti di un Papa non è quello di giudicarlo dal di fuori dalla nostra torre d’avorio, non è quello di dire: io faccio i miei affari e lui fa i suoi; non è quello di voler fargli da maestro; non è quello di essere delle fotocopie di certi suoi atteggiamenti esteriori; non è quello di strumentalizzarlo per i nostri comodi, ma è quello di porsi in fiducioso e benevolo atteggiamento all’ascolto e di disponibilità al servizio e alla collaborazione, nell’imitazione delle sue virtù e comprensione per i suoi difetti, perché servire il Papa vuol dire servire le anime e servire la Chiesa.

Per assumere l’atteggiamento giusto e renderci veramente utili a lui e alla Chiesa, pensando che il Papa ha bisogno di buoni aiuti e collaboratori, bisogna badare a due cose: comprendere qual è il programma del suo pontificato e conoscere i bisogni della Chiesa.

Bisogna aiutarlo nella prima cosa e sopperire alle sue lacune nella seconda cosa, per esempio, se è troppo severo verso i lefevriani, mettere in luce i lati buoni di questi ultimi; se è troppo indulgente verso i modernisti, combattere i modernisti; se tace su certe verità di fede, ricordarle; se calca troppo sul buonismo del Concilio, ricordare che il mondo è sotto il segno del maligno; se è troppo indulgente verso il lassismo sessuale, ricordare la gravità dei peccati sessuali; se non parla mai di San Tommaso, ricordare San Tommaso; se è troppo buono verso Lutero, ricordare eresie di Lutero, e così via.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 31 luglio 2021


Papa Benedetto XVI ha detto ai lefevriani che se vogliono essere in piena comunione con la Chiesa devono accettare tutte le dottrine del Concilio. Invece alcuni documenti pastorali possono essere discussi. Certamente si riferiva alla tendenza buonistica e all’eccessiva stima per il mondo moderno.

Così pure i Papi del postconcilio ci hanno spiegato la continuità del Concilio con la Tradizione e con la Scrittura. Non ci è lecito contestarli in ciò, ma dobbiamo recepire con fiducia le loro spiegazioni. L’interpretazione modernistica del Concilio è opera degli stessi modernisti, che vorrebbero tirare il Concilio dalla loro parte.

 Immagine da internet:
- Mons. Lefebvre ai tempi del Concilio

4 commenti:

  1. Caro Padre Cavalcoli,
    nel suo articolo dice:
    "Se invece capitasse che un Papa parlasse di argomenti attinenti alla fede o alla morale in forma improvvisata, estemporanea, a modo di battuta o di slogan, come dottore od opinionista privato o in sede non ufficiale – per esempio un’intervista giornalistica o in un libro personale – oppure gli sfuggisse qualche frase ambigua, equivoca, male espressa, scandalosa, impulsiva, male sonante, imprudente o anche apparentemente eretica, non occorre prender in considerazione simili esternazioni, estranee dall’autentica autorità pontificia e di carattere meramente umano o psicologico, ma è eventualmente lecito richiamare rispettosamente il Papa al dato della Bibbia o della Tradizione".

    Non è strano che papa Francesco venga sempre frainteso? Apparentemente fraintenderebbero il Papa sugli aerei, nelle sue interviste, nelle sue encicliche, nelle sue omelie, nel suo motus proprio, nelle sue conferenze... Non pensi che ci sia una linea logica di pensiero a questi "malintesi"? Perché pensi di dover sempre interpretare ciò che dice Francesco? Può essere che voglia solo dirci "cosa" che emerge dai suoi detti? Si lo chiedo sinceramente perché trovo poco credibile che il Papa faccia tanti "errori". Ho pensato a lungo che forse siamo noi quelli che non vogliono sentire quello che ci comunica. Mi scusi per aver sollevato così tante domande, ma è qualcosa su cui ho riflettuto.
    Grazie

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    1. Caro Anonimo,
      le frasi strane del Santo Padre, considerando la quantità enorme dei suoi discorsi e la grande quantità anche di dichiarazioni informali o non magisteriali, tutto sommato sono una minima quantità.
      Semmai, a mio avviso, dovrebbe parlare di meno, come facevano i Papi del passato.
      Ad ogni modo, dato che non si tratta di dichiarazioni magisteriali, è bene non farci caso.
      Tante espressioni ambivalenti possono e devono essere interpretate in senso buono. La cosa importante è prestare attenzione ai documenti più importanti, dove troviamo gli insegnamenti più vincolanti, che rispecchiano il carisma petrino.

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  2. Padre Cavalcoli,
    È evidente che "se invece capitasse che un Papa parlasse di argomenti attinenti alla fede o alla morale in forma improvvisata, estemporanea, a modo di battuta o di slogan, come dottore od opinionista privato o in sede non ufficiale – per esempio un’intervista giornalistica o in un libro personale – oppure gli sfuggisse qualche frase ambigua, equivoca, male espressa, scandalosa, impulsiva, male sonante, imprudente o anche apparentemente eretica..." non è adatto per la posizione.
    Dato che la grazia suppone la natura, la cosa migliore sarebbe che seguisse l'esempio di San Pedro Celestino e si chiudesse a Fumone, come fece eroicamente quel santo.

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    1. Caro Anselmo,
      quando parlo di tutte quelle espressioni strane o incongrue, è evidente che in esse non entra in esercizio il magistero ufficiale del Santo Padre, ma si tratta solamente di fatti umani o psicologici, i quali sono presenti anche in un Papa, perché Dio, pur dotando il Papa di infallibilità nell’insegnamento della dottrina della fede, non lo sottrae a certi momenti di debolezza o di distrazione, che finiscono con l’avere un valore apologetico, perché dimostrano che nel Papa e attraverso il Papa agisce uno spirito di verità, che va ben al di là delle sue possibilità umane ed intellettuali.

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