Tra Freud ed Origene - O col corpo o senza corpo. Dobbiamo deciderci sulla questione della sessualità - Parte Seconda (2/5)

Tra Freud ed Origene

O col corpo o senza corpo.

Dobbiamo deciderci sulla questione della sessualità

 Seconda Parte (2/5)

Considerazioni sull’etica sessuale freudiana

L’etica freudiana si propone come un’etica di liberazione dai conflitti e tormenti interiori, di spontanea estrinsecazione di sé, di felicità nel libero godimento del piacere sessuale senza sensi di colpa, senza timore di castighi, senza l’obbligo di dover render conto del proprio operato a un Dio che ci comanda come dobbiamo comportarci nel campo sessuale, ma col puro dovere di affermare il nostro io così come viene alla luce dall’oscurità dell’inconscio, cioè «esso» (ted. es., lat. id), che è la radice prima della nostra esistenza, la cui inclinazione fondamentale è l’istinto sessuale (libido).

L’etica freudiana si propone di dimostrare che il senso di colpa non va considerato come rimprovero della coscienza per aver commesso un peccato, ossia un’infrazione volontaria a una legge divina, perché non esiste altra legge che quella che noi imponiamo liberamente a noi stessi.

E dunque, per liberarsi da questo tormento del senso di colpa, il terapeuta deve mostrare al paziente che egli non ha nessuna colpa, per cui non ha bisogno del prete che lo assolva dal peccato, ma semplicemente dello psicanalista che lo liberi da questo vano scrupolo, mostrandogli che la cosiddetta «colpa» è un vano fantasma creatogli dal superio per mortificare il suo bisogno di felicità, cioè di godimento sessuale.

Bisogna osservare che un conto è il senso di colpa e un conto è la coscienza di essere colpevole. L’effetto emotivo è simile, ma non bisogna lasciarsi ingannare dall’emozione sgradevole. Occorre vagliare lucidamente qual è la posizione della nostra volontà. Se la volontà è storta perché in opposizione a Dio, va raddrizzata, così che torni a desiderare Dio.

Questo atto la volontà lo può compiere da sé sotto l’impulso della grazia del pentimento. Compiuto questo atto, il soggetto riceve il perdono divino, eventualmente per via del sacramento della confessione e ritrova la pace con Dio e con se stesso. Per questo, per togliere le colpe occorre il confessore. Se invece il senso di colpa è un semplice turbamento emotivo senza alcun fondamento nell’orientamento della volontà, diretta verso Dio, allora il paziente può essere liberato dallo psicoterapeuta mediante la psicanalisi, per il fatto che il medico, dopo essersi fatto descrivere la sensazione del paziente, lo rende consapevole che quel senso di colpa non è una vera colpa, ma  una sembianza di colpa causata dall’irritazione dell’istinto sessuale aggredito e offeso da un intervento repressivo ingiustificato. Allorchè il paziente si accorge di ciò, recupera la pace emotiva, e percepisce chiaramente la pace della coscienza.   

Il freudiano, invece, confondendo colpa vera e senso di colpa, lascia sussistere la prima, non se ne pente[1], credendo che sia sufficiente cacciare la seconda ed esclama spazientito: al diavolo il senso di colpa e godiamoci la vita finché siamo in tempo, come canta saggiamente Lorenzo il Magnifico nella sua stupenda cantata Quanto è bella giovinezza! E Leopardi non diceva la stessa cosa ne il Sabato del villaggio?

 

 «Godi, fanciullo mio; stato soave, stagion lieta è cotesta. Altro dirti non vo’; ma la tua festa, ch’anco tardi a venir, non ti sia grave».

E che cosa dicono i gaudenti del libro della Sapienza?

 

«La nostra esistenza è il passare di un’ombra e non c’è ritorno alla nostra morte, poiché il sigillo è posto e nessuno torna indietro. Su, godiamoci i beni presenti, facciamo uso delle creature con ardore giovanile. Inebriamoci di vino squisito e di profumi, non lasciamoci sfuggire il fiore della primavera, coroniamoci di boccioli di rose prima che avvizziscano, nessuno di noi manchi alla nostra intemperanza. Lasciamo dovunque i segni della nostra gioia, perché questo ci spetta, questa è la nostra parte» (Sap 2, 5-9).

Sembra di leggere quanto Hegel dice su quella che per lui è la «verità»:

 

«L’apparire (Erscheinung) è un sorgere e un passare, che né sorge né passa, ma che è in sé e costituisce l’effettualità (Wirklichkeit) e il movimento della vita e della verità. Per tal modo, il vero è il trionfo bacchico, dove non c’è membro che non sia ebbro; e poiché ogni membro, nel mentre si isola, altrettanto immediatamente si risolve, il trionfo è altrettanto la quiete trasparente semplice»[2].

È da notare che lo sfondo teoretico della concezione freudiana del piacere sessuale non è altro che il falso spiritualismo hegeliano, che qui rivela il suo volto edonista e materialistico. Questo «delirio bacchico» del quale egli parla, che non è altro che il delirio frenetico lussurioso, come già avveniva nella falsa mistica dei misteri pagani di Dioniso-Bacco.

Sempre anche nella storia del cristianesimo si sono periodicamente ripresentati movimenti pseudomistici[3], che confondevano l’esperienza spirituale con quella sessuale, o su base platonica o su base epicurea. Ricordiamoci infatti che dualismo e monismo spirito-sesso si richiamano a vicenda. Chi contrappone spirito e sesso, volendo conciliarli, li confonde.

Così Hegel ha la pretesa di conciliare razionalismo e irrazionalismo, inquietudine e quiete, identità e contraddizione, univoco ed equivoco, unità e conflitto nella sua dialettica eracliteo-parmenidea di essere-non-essere, per la quale lo spirito è in pace nella guerra ed è in guerra nella pace. Ci dica, chi può, se questo è il paradiso o non piuttosto l’inferno.

Il successo di Freud sta tutto qui. Sotto la copertura di un serioso apparato scientifico, non è difficile ritrovare il clima psicologico degli antichi misteri pagani, la cui sfrenatezza era giustamente invisa all’autorità pubblica romana, oppure quella voluttà sensuale, che hanno cantato tutti i poeti pagani da Catullo ad Orazio, tanto per fare due soli nomi tra i più famosi.

La «rimozione» freudiana non rimuove niente; il rimosso, non sinceramente tolto col pentimento e l’ottenimento del perdono divino, torna sempre di nuovo, sotto mentite spoglie o celato di proposito per mantenere una facciata di rispettabilità e magari atteggiarsi a censori dei costumi sessuali, mentre la coscienza colpevole non fa che aumentare il tormento interiore e il senso di colpa, che è poi colpa vera e propria. La forzata serenità esteriore del soggetto è una finzione spavalda per dare ad intendere agli altri di essere perfettamente in pace con la propria coscienza.

Il presupposto di questa condotta morale è l’antropologia di Freud, per il quale l’uomo è un vivente non dotato di libero arbitrio, ma mosso dall’istinto, né più né meno come gli animali. Egli parla bensì di «spirito» e di «coscienza», ma non li vede altro che come sublimazioni del sesso, che è la vitalità originaria e radicale dell’uomo.

Per Freud è quindi un’illusione comune credere di essere noi a determinare la nostra condotta con libere scelte, che in realtà non esistono. Ciò che noi facciamo, invece, è determinato dall’es, da lui, il quale ci inclina irresistibilmente alla soddisfazione dell’istinto; Senonchè ciò lo sentiamo come una colpa, a causa degli ordini e proibizioni che ci vengono dal superio (überich), al quale l’io si sforza invano di adeguarsi.

Da qui la repressione violenta di questo impulso da parte dell’io e la sua rimozione cacciandolo nell’inconscio, ossia nell’es. Ma siccome l’es è appunto l’origine dell’istinto (la libido), ecco che l’impulso ritorna, ma questa volta, onde eludere la sorveglianza dell’io, mascherato sotto il manto della «spiritualità», che secondo la religione dovrebbe essere un livello dell’essere supremo dove abita Dio.

Ma in realtà, per Freud, questo supposto livello supremo del reale è una finzione del superego, che è precisamente quell’istinto di morte (la «mortificazione» della quale parla San Paolo), istinto, che, dopo aver comandato e proibito all’io l’impossibile, vuole impedirgli di godere della felicità (sessuale) e della vita e far tornare l’io, come dice lo stesso Freud, alla condizione della materia inanimata dalla quale proviene. Freud prende alla lettera il biblico «ricordati che sei polvere e in polvere tornerai» (Gen 3,19), trascurando il fatto che lì la Scrittura non si riferisce alla costituzione originaria, edenica dell’uomo, ma alla sua miseranda condizione seguente al peccato originale.

L’io (Ich) da parte sua, influenzato dai tabù irrazionali dell’educazione ricevuta e dall’ambiente religioso, sente in sé in modo vincolante ed obbligante la presenza legislatrice, inesorabile e terrificante di un Altro (chiamato «Dio»), che dall’alto gli dà ordini e proibizioni, sotto minaccia di punizioni eterne e prospettando premi celesti.

Freud allora ritiene che la nostra esistenza e la nostra felicità non dipendono affatto da questo Dio tiranno celeste inventato dal lato arcaico, repressivo, regressivo e mortifero di noi stessi, il «superio» espressione dell’«istinto di morte». Per Freud il cielo non esiste. Esiste soltanto la terra, che è già sufficiente a soddisfare il nostro bisogno di felicità, ossia di godimento sessuale. Tutt’al più, col termine «spirito» si potrà intendere la suprema sublimazione della materia, ma niente affatto una realtà distinta dalla materia e ad essa trascendente. Questa, per lui, è un’invenzione della nostra fantasia morbosa sollecitata dall’istinto di morte.

Compito del filosofo e dello psicanalista, per Freud, sarà dunque quello di svelare gli inganni della religione comprendendo che essa non è altro che una neurosi causata dalla repressione sessuale, dettata a sua volta dall’istinto di morte che ci vuole morti.

Occorre allora per lui svincolarsi dalle illusioni della religione e concedere piena libertà alla libido, sia pur nell’osservanza delle convenzioni sociali, non però in nome di una supposta necessità di fermare o moderare l’istinto in nome dello spirito o della ragione, ma proprio per poterlo soddisfare tranquillamente in sede privata, lontano dagli sguardi indiscreti dei puritani e dei repressi.

Resta vero, comunque, nel freudismo, che il sesso, se non è l’assoluto, ha a che fare con l’assoluto. Il freudismo è una risposta feroce ma non priva di saggezza, all’ipocrisia degli idealismi alla Cartesio, alla Berkeley ed alla Hegel, di apparente sublimità, che pretendono di risolvere l’essere nel pensiero, il reale nell’ideale e la materia nello spirito. Certo, quella di Freud è bensì la reazione di un realista, ma un realista materialista e sensista. E tuttavia, in quanto confutazione dell’idealismo, va accettata. Del resto, come ho dimostrato più volte nei miei scritti, l’idealismo non è altro che un materialismo mascherato

Per questo, possiamo dire tranquillamente che oggi come non mai, per quanto ciò possa sembrare paradossale, sia la Chiesa che il mondo materialista avvertono la profonda serietà della sessualità, benché naturalmente in due ottiche diametralmente opposte fra di loro: il materialismo freudiano pone il sesso al primo posto nella sua concezione materialistica della vita; il cattolicesimo, dopo il Concilio, non sente più il sesso come qualcosa di accidentale o di contingente, qualcosa che può non interessare o di cui può fare a meno, qualcosa che non interessa allo spirto, qualcosa che in paradiso non interessa più, magari argomento leggero di barzellette sporche o racconti piccanti o come materia sulla quale scherzare.  

Il cattolicesimo postconciliare vede come non mai nel sesso un aspetto essenziale della santità e della perfezione finale dell’uomo e della donna, un valore sacro, un mistero di fede, perché più che mai è visto in contatto col divino, con lo spirito, con la dignità della persona, come espressione di comunione interpersonale e con Dio. La tendenza oggi quasi ossessiva a mettere dappertutto non solo l’uomo, ma l’uomo e la donna, è un fatto linguistico significativo, anche se a volte si cade nel ridicolo, di questa coscienza oggi più viva che mai – e questo è un fatto molto positivo – che l’umanità vuol dire esser uomo e donna. L’humanum, come diceva Benedetto XVI, non è completo se non come comunione fra uomo e donna.

Se l’etica sessuale di Freud, secondo la tradizionale ipocrisia farisaica permette che si faccia di nascosto ciò che non sarebbe conveniente fare pubblicamente, gli attuali suoi discepoli hanno allargato e liberalizzato le vedute del mastro, ancora limitate da remore ormai superate, per cui possiamo fare benissimo coram populo[4], magari nel films o alla TV, ciò che prima del Concilio si doveva fare di nascosto. E se qualche cattolico tradizionalista si scandalizza, potremo sempre dirgli con aria di benevolo compatimento: non giudicare, non condannare, non ti scandalizzare. Si tratta solo di un diverso orientamento sessuale.

Tuttavia è vero che oggi, dopo il Concilio e negli insegnamenti di San Giovanni Paolo II, il cattolico sa che la castità non è più il semplice autocontrollo del singolo su se stesso, ma relazione d’amore tra uomo e donna. Se Origene vorrebbe un’umanità asessuata e Freud trasforma la società civile in un bordello legalizzato, il cattolico non vuole altro che quello che vuole Dio creatore e beatificatore dell’uomo e della donna: che l’uomo e la donna si amino vicendevolmente, niente di più e niente di meno. Non è altro, in fondo, che quello che dice l’antifemminista San Paolo: «nel Signore la donna non è senza l’uomo» (I Cor 11,11).

Dunque quell’astinenza sessuale consacrata che per il cattolicesimo è l’anticamera dell’unione escatologica, per Freud è l’anticamera della nevrosi. Egli non riesce a distinguere la moderazione ragionevole della pulsione sessuale da una sua repressione violenta, per cui viene a dire che le psiconevrosi «sono dovute ad un conflitto interno. Un impulso istintivo è stato ricacciato nell’inconscio, rimosso vittoriosamente per un tempo più o meno lungo, poi l’equilibrio s’è spezzato, la rimozione è stata messa in scacco e il contenuto rimosso ha fatto ritorno sotto forma di sintomi nevropatici»[5].

Osserviamo che una vittoria definitiva sulla concupiscenza nella vita presente è impossibile. Da qui il ripetersi, anche nel corso della vita religiosa, delle tentazioni contro la castità; ma questo mascheramento della libidine, che pur può capitare, non si può considerare in ogni caso, come fa Freud, l’espressione inevitabile di ogni atto della religione e dello spirito. Ragionare così vuol dire non sapere che cosa è la vita dello spirito e l’esercizio della virtù e della santità.

In tal modo per Freud la religione è una forma di nevrosi, una maniera mascherata di sfogare in modo deviato e simbolico i bisogni della propria libido. L’impostazione materialistica – osserva il Maritain[6] - che comporta «la riduzione del superiore all’inferiore», conduce Freud a ritenere che «gli stati detti “superiori”, l’ispirazione del poeta, l’amore del mistico, per esempio, non sono che trasformazioni e maschere dell’istinto, dei mezzi sviati con i quali una sensualità inibita nel suo esercizio normale si soddisfa in modo insidioso e velato; ogni ebbrezza umana è specificamente sensuale».

Ora – come osserva ancora il Maritain[7] - non possiamo negare nei suddetti interventi violenti il rischio di una falsa sublimazione dell’istinto, che comporti «una erotizzazione della vita religiosa», una «simulazione», per cui «la condotta continua ad essere comandata da moventi inferiori che il soggetto pretende rinnegare».

La falsificazione della virtù a causa di una falsa moderazione dell’istinto sessuale non esclude affatto che possa esistere, come fa notare Maritain citando le parole di Gustave Thibon,

 

«come una specie di riflusso ascensionale dell’istinto verso le sorgenti immateriali dell’essere umano, come l’integrazione qualitativa dei ritmi sensibili nella pura melodia della vita interiore»[8].

Lo stesso concetto lo ritroviamo nella Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della fede Persona humana del 20 dicembre 1975, quando essa afferma che

 

«dal sesso la persona umana deriva le caratteristiche che, sul piano biologico, psicologico e spirituale, la fanno uomo o donna, condizionando così grandemente l’iter del suo sviluppo verso la maturità e il suo inserimento nella società» (n.1).

Fine Parte Seconda (2/5)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 21 aprile 2023

 

 

Possiamo dire tranquillamente che oggi come non mai, per quanto ciò possa sembrare paradossale, sia la Chiesa che il mondo materialista avvertono la profonda serietà della sessualità, benché naturalmente in due ottiche diametralmente opposte fra di loro.

 

Il cattolicesimo postconciliare vede come non mai nel sesso un aspetto essenziale della santità e della perfezione finale dell’uomo e della donna, un valore sacro, un mistero di fede, perché più che mai è visto in contatto col divino, con lo spirito, con la dignità della persona, come espressione di comunione interpersonale e con Dio. L’humanum, come diceva Benedetto XVI, non è completo se non come comunione fra uomo e donna.


Il cattolico sa che la castità non è più il semplice autocontrollo del singolo su se stesso, ma relazione d’amore tra uomo e donna. Se Origene vorrebbe un’umanità asessuata e Freud trasforma la società civile in un bordello legalizzato, il cattolico non vuole altro che quello che vuole Dio creatore e beatificatore dell’uomo e della donna: che l’uomo e la donna si amino vicendevolmente, niente di più e niente di meno. Non è altro, in fondo, che quello che dice l’antifemminista San Paolo: «nel Signore la donna non è senza l’uomo» (I Cor 11,11).

Osserviamo che una vittoria definitiva sulla concupiscenza nella vita presente è impossibile. Da qui il ripetersi, anche nel corso della vita religiosa, delle tentazioni contro la castità; ma questo mascheramento della libidine, che pur può capitare, non si può considerare in ogni caso, come fa Freud, l’espressione inevitabile di ogni atto della religione e dello spirito. Ragionare così vuol dire non sapere che cosa è la vita dello spirito e l’esercizio della virtù e della santità.

 

Lo stesso concetto lo ritroviamo nella Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della fede Persona humana del 20 dicembre 1975, quando essa afferma che «dal sesso la persona umana deriva le caratteristiche che, sul piano biologico, psicologico e spirituale, la fanno uomo o donna, condizionando così grandemente l’iter del suo sviluppo verso la maturità e il suo inserimento nella società» (n.1).

Immagini da Internet:
- Il compleanno, Marc Chagall
- Sopra la città, Marc Chagall

[1] Questo espediente è stato inventato da Lutero con la famosa cosiddetta «giustificazione forense», che sarebbe meglio chiamare «giustificazione verbale». Anche la Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione tra il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e la Federazione Luterana Mondiale del 31 ottobre 1999 (Edizioni Paoline), per quanto presenti alcuni punti in comune con la concezione cattolica, mantiene sempre l’idea  di «escludere ogni cooperazione nell’evento della giustificazione» (p.33) e che «l’uomo non apporta alcun contributo alla giustificazione» (p.36). Il che vuol dire che il pentimento non ha nessun ruolo. Ma se così stanno le cose, allora il peccato resta e la grazia diventa una finzione, giacchè la grazia non può coesistere col peccato.

[2] Fenomenologia dello Spirito, Editrice Nuova Italia, Firenze 1988, vol.I, p.38.

[3] Per esempio, i catari nel sec.XIII in Francia: vedi Anne Brenon, I Catari. Storia e destino dei veri crdenti, Nardini Editore, Firenze 1990; oppure la setta dei Chlisty, fiorita in Russia alla fine del sec.XIX, alla quale apparteneva Rasputin: Devard Radzinskij, Rasputin, Mondadori, Milano 2000.

[4] Il coming out, come oggi viene chiamato.

[5] Cit. da J.Maritain, Freudismo e psicanalisi, in Quattro saggi sullo spirito umano nella condizione d’incarnazione, Morcelliana, Brescia 1978, p.32.

[6] Ibid., p.38.

[7] Ibid., p.40.

[8] Ibid., p.39.

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