Quando si può criticare il Papa?

 

Quando si può criticare il Papa?

Riporto alcuni brani dell’articolo articolo Critiche al Papa, come e quando sono lecite di Tommaso Scandroglio del 20 gennaio 2024 sulla Bussola Quotidiana*, facendo seguire a ciascuno le mie osservazioni.

*  https://lanuovabq.it/it/critiche-al-papa-come-e-quando-sono-lecite?utm_source=pocket_saves

 

Tommaso Scandroglio:

La critica al Papa è moralmente lecita perché anche lui può sbagliare, tranne che quando parla ex cathedra. La Bibbia, il Magistero e il diritto canonico la prevedono. Deve rispettare il principio di proporzione ed essere guidata da prudenza e carità.

Padre Giovanni Cavalcoli:

Bisogna innanzitutto distinguere gli insegnamenti dottrinali da quelli pastorali. Negli insegnamenti dottrinali di fede o di morale il Papa insegna come Maestro della fede e Successore di Pietro. Egli cioè siede sulla cattedra di Pietro.

Ora, questi insegnamenti vanno soggetti a tre gradi di autorità. Il primo e più importante è dato quando un Papa definisce solennemente un nuovo dogma. Il secondo grado è dato da quando il Papa insegna una dottrina connessa con la fede. Il terzo grado è dato da quando il Papa insegna una dottrina che non è connessa con la fede in modo evidente, ma che può essere connessa con la fede.

Nel primo grado occorre la fede teologale: nel secondo occorre la fede nella Chiesa; nel terzo occorre un atto religioso di obbedienza dell’intelletto e della volontà.

 

Nessuno mi può giudicare nemmeno tu, non può essere detto neanche dal Papa.

È vero che il can. 1404 del CIC dispone che il Sommo Pontefice non può essere giudicato da nessuno.

Per la verità questo canone fa riferimento all’autorità dottrinale del Papa, in quanto essa è infallibile. Infatti il Papa non può peccare contro la fede e non può fare deviare dalla fede, perché Cristo ha detto a Pietro: “Io ho pregato per te, conferma i tuoi fratelli”.

Se possiamo fare un appunto a questo canone, potremmo dire che esso sembra volersi riferire anche alla autorità pontificia pastorale e di governo. Da questo punto di vista sembra che un Papa possa essere giudicato, anche se resta da determinarne il modo.

 

Il tema della liceità o meno della critica al Pontefice è la più incidente causa di divisione interna alla Chiesa, è la vera spina nel fianco dell’unità ecclesiale.

Esistono materie nelle quali è lecito criticare il Papa ed altre nelle quali non è lecito. È lecito nell’ambito della condotta morale, in materia di pastorale e di governo, purchè il richiamo sia fatto con prudenza e spirito costruttivo. Non è lecito nei tre gradi di autorità dottrinale di cui sopra.

 

Se vogliamo rispettare il principio di non contraddizione dobbiamo concludere necessariamente che al di fuori dell’infallibilità petrina esiste la fallibilità petrina.

Occorre inoltre distinguere il Magistero Pontificio dalla condotta morale e dalle opinioni private di un Papa. Nel campo del Magistero Pontificio valgono i tre gradi di autorità, per cui non si può mai dare che un Papa cada nell’eresia. Invece, nel campo della condotta morale della singola persona del Papa e nelle sue opinioni provate, è possibile criticare un Papa, in quanto anch’egli condivide la comune situazione di peccatore. 

 

È la stessa costituzione dogmatica Pastor aeternus a confermarlo seppur indirettamente… Dunque, quando non parla ex cathedra il Papa è fallibile.

Il Papa parla ex cathedra a tutti i tre gradi di autorità dottrinale, in quanto in ciascuno di essi egli insegna come Successore di Pietro, dalla cattedra di Pietro (ex cathedra), per cui non è infallibile solo al primo grado, ma anche agli altri due. Dire che è infallibile significa semplicemente che insegna una verità che non può essere smentita, ovvero non è falsificabile. E dire ex cathedra significa semplicemente riferirsi al fatto che il Papa insegna come Successore di Pietro.

 

Anche la Congregazione per la Dottrina della Fede nella Nota dottrinale illustrativa della formula conclusiva della Professio fidei, come già ricordato da queste colonne di recente, ha chiarito che non tutti i pronunciamenti del Papa sono infallibili.

Anche stando alla Ad tuendam fidem risulta che il Papa è infallibile a tutti e tre i gradi di autorità dottrinale.

 

E papa Francesco non ha mai impegnato la propria infallibilità nei suoi pronunciamenti. Ne discende che il Papa può essere criticato.

Papa Francesco, tutte le volte che parla come Maestro della fede nel suo magistero ordinario, che può essere o al secondo o al terzo grado di autorità, insegna sempre la verità, il che è come dire che è infallibile.

Quindi non è vero che “non ha mai impegnato la propria infallibilità nei suoi pronunciamenti”.

Quindi Papa Francesco non può essere criticato in questo campo dottrinale.

 

Sono dunque lecite le benedizioni alle coppie omosessuali? No. Dunque il Papa non doveva approvare le benedizioni gay. Non c’è altro da aggiungere.

Per quanto riguarda la benedizione alle coppie irregolari, ho già spiegato abbondantemente nei miei articoli precedenti come nelle direttive del DDF non ci sia nulla che contrasta con la dottrina della fede.

Nella Fiducia Supplicans c’è un aspetto dottrinale, che non può essere contraddetto, e un aspetto pastorale, che può essere discusso.

L’aspetto dottrinale è la dignità del peccatore, che si può convertire, e fa riferimento al VI Comandamento, che sono cose di fede. Invece l’aspetto pastorale fa riferimento alla convenienza o meno di applicare la benedizione, a seconda dei tempi e dei luoghi.

 

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 27 gennaio 2024


 "In tale contesto di evangelizzazione accenno pure alla recente Dichiarazione Fiducia supplicans. L’intento delle “benedizioni pastorali e spontanee” è quello di mostrare concretamente la vicinanza del Signore e della Chiesa a tutti coloro che, trovandosi in diverse situazioni, chiedono aiuto per portare avanti – talvolta per iniziare – un cammino di fede". Papa Francesco 

Da:  https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2024/january/documents/20240126-plenaria-ddf.html

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI ALL'ASSEMBLEA PLENARIA DEL DICASTERO PER LA DOTTRINA DELLA FEDE - Sala Clementina - Venerdì, 26 gennaio 2024

54 commenti:

  1. Caro padre Cavalcoli,
    Grazie per questo articolo: chiaro e sintetico.
    Per me è stata una novità trovare spiegato che nei tre gradi di autorità (secondo Ad tuendam fidem) il Papa parla sempre “ex cathedra”. Forse è stato un mio malinteso, ma mi sembra che l'espressione “ex cathedra” sia stata precedentemente assimilata all'espressione per proclamazione solenne o per definizione dogmatica.
    Si tratta da parte vostra di una nuova chiarificazione della dottrina? Perché mi sembra che sia la prima volta che lo leggo.
    Grazie!, perché è un ottimo argomento contro il trucco lefebvriano di escludere la dottrina dal Concilio Vaticano II e dal magistero pontificio.
    Grazie!

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    1. Caro Ross,
      nel mio discorso sui gradi di autorità del Papa, dobbiamo fermarci sul significato di due parole: “ex cathedra” e “infallibilità”. Qual è il loro preciso significato?
      La prima parola significa “dalla cattedra di Pietro”, ossia in quanto Successore di Pietro, dotato del carisma petrino di confermare i fratelli nella fede. La parola “infallibilità” si riferisce invece al fatto che ciò che il Papa insegna è sempre vero e non può mai essere smentito o mutare o essere falsificato.
      La novità di quanto dico, come lei ha notato bene, consiste semplicemente nella spiegazione del significato di questi termini e nell’uso di questi termini in riferimento non soltanto al primo grado di autorità, ma anche negli altri due.
      Ora, io credo che questa mia operazione non abbia fatto nulla di illegittimo, ma di essermi mosso con piena legittimità col risultato positivo di sventare il procedimento disonesto dei passatisti o filolefevriani di attribuire l’infallibilità e l’ex cathedra soltanto al primo grado.
      I passatisti certamente possono obiettare che di fatto nel linguaggio della Chiesa questo uso dei due termini, che io propongo non ricorre neppure nell’Ad tuendam fidem.
      Che cosa posso rispondere? Che se noi esaminiamo attentamente l’autorevolezza dei due gradi inferiori ci accorgeremo che il Papa, anche in questi due gradi, parla come Successore di Pietro e Maestro della fede in materia di fede e di morale.
      Allora, che differenza c’è tra i tre gradi? E perché tre gradi? La differenza non sta nel fatto che il Papa parla ex cathedra, cioè come Successore di Pietro, soltanto al primo grado e non negli altri due, perché egli parla in questo modo anche negli altri due.
      Discorso simile per quanto riguarda l’infallibilità: il Papa non è infallibile, ossia non dice la verità soltanto al primo grado potendo sbagliare negli altri due, in modo tale che possa essere accusato di eresia. No, dice sempre la verità.
      La differenza sta in due cose: prima, nella forza con la quale il Papa proclama la verità; seconda, i contenuti dottrinali insegnati.
      Per quanto riguarda la prima cosa, il primo grado sta nel fatto che il Papa insegna la verità col massimo della solennità. Nel secondo grado l’insegnamento pontificio raggiunge un livello di autorevolezza che si pone sul piano della comune comunicazione. Si tratta del cosiddetto magistero ordinario, come possono essere per esempio le Udienze Generali o le Omelie alla Santa Messa. Nel terzo grado il Papa parla in tono sommesso e allusivo, ma sempre dicendo la verità come Successore di Pietro.
      Per quanto riguarda la seconda cosa, cioè i contenuti, nel primo grado il Papa insegna un nuovo dogma in modo solenne definendo che ciò che insegna è di fede. Nel secondo grado il Papa insegna un dogma definibile, cioè una verità di fede o connessa con la fede, senza dichiararla di fede. Nel terzo grado il Papa insegna sempre una verità di fede, non in modo esplicito e tuttavia facendo capire che è una verità di fede.
      Questi tre gradi corrispondono allo stesso stile che ha usato Gesù nell’insegnarci la sua dottrina. Al primo grado corrispondono quegli insegnamenti di Cristo che egli fa precedere dalla formula “In verità in verità vi dico”, e queste corrispondono alle formule tradizionali delle proclamazioni dogmatiche, come per esempio: “Noi crediamo che”; “E’ di fede che”; “E’ dato rivelato che”; ecc.
      Al secondo grado corrispondono quelle dichiarazioni di Gesù dove egli si limita semplicemente ad insegnare, come per esempio dice: “Io sono il Buon Pastore”; oppure “Io sono la Verità”; ecc.
      Al terzo grado corrispondono quegli insegnamenti che Gesù propone in forma allusiva o implicita, come quando dice: “Chi ha orecchi da intendere intenda”; per esempio le parabole o i proverbi.
      Su questo argomento esiste un’opera di alto valore, che è il libro del Padre Sisto Cartechini SJ, “Dall’opinione al dogma”, Ed. Civiltà Cattolica, del 1953.

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    2. Caro padre Cavalcoli,
      ho letto e riletto la sua generosa spiegazione, della quale li ringrazio, e per il momento non trovo obiezioni da fare, dal mio modesto punto di vista.
      La sua spiegazione non sembra avere buchi. La sua inedita elaborazione sembra confermare ancora una volta quanto è avvenuto nel corso della storia di questi duemila anni della Chiesa, e cioè che l'errore, l'eresia, è uno stimolo per una maggiore riflessione teologica, che lo Spirito Santo provoca in coloro, teologi docili alle sue mozioni, per promuovere l'opera di difesa della Chiesa contro gli errori e la loro diffusione.
      Prego affinché questo aiuto arrivi a tante anime che si trovano imprigionate (molte in buona fede) dagli errori diffusi da Marcel Lefebvre e dai suoi seguaci, per i quali anch'io prego.

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    3. Caro Ross,
      la ringrazio per le sue parole di consenso.
      Spero anch’io che quanto ho detto serva ai filolefevriani a comprendere meglio quella che è l’autorità del Papa evitando la troppo facilità con la quale essi gli rivolgono critiche in campo dottrinale.
      Potrei aggiungere un nuovo elemento, e cioè il fatto che il Papa, a sua discrezione, esprime ogni tanto delle semplici opinioni personali, che hanno sì un riferimento alle verità di fede, ma non intendono esprimere un insegnamento ufficiale utilizzando il carisma petrino.
      Un esempio di questi modi personali di pensare è dato dalle recenti parole del Santo Padre nell’intervista concessa a Fazio, quando ha parlato di inferno vuoto.

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  2. La ringrazio Padre per l'articolo. Ho letto anche le sue risposte all'articolo, e ho visto che lei ha scritto che le Omelie e le Udienze generali fanno parte del Magistero ordinario e sono del secondo grado. Mi è venuto in mente quando il Papa in un'Omelia ha detto che Maria non è Corredentrice. Quindi non questo titolo non si può più usare?
    E in una occasione il Papa ha detto che «dopo questo magistero, dopo questo lungo cammino possiamo affermare con sicurezza e con autorità magisteriale che la riforma liturgica è irreversibile». Che cosa significa?

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    1. Caro Cristian,
      la questione del titolo di Corredentrice ha una storia molto lunga, nata nel XV secolo. Tutto sta a vedere che cosa intendiamo con questa parola. La preoccupazione di Papa Francesco è che non ci sia il rischio di vedere l’opera salvifica della Madonna quasi alla pari con quella di Cristo e quasi a condividere con lui la sua opera.
      Il Papa ci vuole ricordare che Cristo, in quanto Dio, è l’unico Mediatore e Redentore e Maria, sua Madre, in quanto creatura, va collocata al di sotto di suo Figlio, benchè ella sia mediatrice di tutte le grazie. Tuttavia bisogna ricordare che questo titolo è piaciuto anche ad alcuni Pontefici, come per esempio a San Giovanni Paolo II.
      Vediamo per quale motivo e in che senso. Occorre infatti tenere presente che il concetto di redenzione è un concetto analogico, dove il sommo analogato è occupato dall’atto redentivo di Cristo. Tutti i discepoli di Cristo, a cominciare dalla Madonna, partecipano di questa attività in vari gradi. Maria occupa il primo grado. Da questo punto di vista possiamo dire che siamo tutti corredentori.
      La differenza tra San Giovanni Paolo II e il Papa attuale evidentemente non è di contenuto dottrinale, ma si tratta soltanto di una scelta terminologica, nel senso che mentre il primo Papa accetta l’attributo, il secondo non l’accetta, ma soltanto per i motivi che ho detto sopra, per cui questa scelta non mette in gioco nessun grado del magistero, ma rappresenta una preferenza personale.
      Per quanto riguarda il grado di autorità delle omelie, in ogni omelia occorre verificare se eventualmente è presente qualche espressione che non appartiene al magistero. Il caso del termine corredentrice è appunto un caso di questo tipo.
      Le scelte terminologiche sono di carattere squisitamente pastorale, ma non hanno un carattere dottrinale. Però quando un termine viene inserito in una formula dogmatica, allora l’uso del termine diventa obbligatorio, in quanto diventa parte del dogma, un termine dogmatico, e non può mutare di significato.
      Nei due Papi il dogma mariano evidentemente è lo stesso, tuttavia adesso come adesso ognuno è libero di usare o non usare il termine Corredentrice, facendo però attenzione ai due possibili significati diversi del termine: uno valido, che mette in gioco la partecipazione alla redenzione operata da Cristo; l’altro sbagliato, che vorrebbe mettere l’opera di Maria al livello di quella di Cristo.
      Se desidera approfondire il tema della Corredentrice la consiglio di consultare il trattato del Padre Gabriele Roschini, “Mariologia”, Casa Ed. Ancora, Milano 1942, Vol. II, pp. 297-479.

      Per quanto riguarda la riforma liturgica, la dichiarazione di Papa Francesco è di carattere magisteriale, perché nella riforma liturgica appare maggiormente il riferimento escatologico-pasquale della liturgia e anche l’aspetto sinodale ecclesiale.
      A quale grado potremmo porla? Penso si potrebbe porla al terzo grado di autorità, in quanto non c’è un riferimento esplicito al dato di fede, ma si fa immediato riferimento solamente alla forma liturgica promossa dal Concilio Vaticano II.

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    2. Caro padre Cavalcoli,
      mi sorprendi ancora oggi e sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla sua risposta al signor Cristian.
      Ottima la sua sintesi riguardo a Maria Coredentora, argomento sul quale avevi già trattato anni fa, con ampiezza e chiarezza. Perfettamente d'accordo.
      Ciò che mi ha sorpreso è la sua risposta alla seconda domanda.
      Qualcuno potrebbe pensare che l'espressione di papa Francesco di anni fa, "la riforma liturgica è irreversibile", si riferisca all'aspetto della disciplina liturgica, cioè al rito contingente, che senza ulteriori indugi un futuro Papa, o lo stesso Papa Francesco, potrebbe cambiare per un altro.
      I filolefebvriani, infatti, hanno preso l'espressione di Francesco come uno scherzo, sostenendo che la riforma era “reversibile” perché qualunque altro Papa avrebbe potuto ripristinare il rito precedente.
      Ma!.... Padre Cavalcoli, teologo dogmatico quale è, avverte che l'espressione di Francesco può benissimo essere intesa nel senso che la Riforma liturgica del Concilio Vaticano II si riferisce ad una spiegazione dottrinale di ciò che celebriamo nella Santa Messa: in oltre all'aspetto sacrificale, che è ancora presente nel Novus Ordo Missae, sono ora più evidenti l'aspetto escatologico pasquale e quello sinodale ecclesiale. E certamente non vi è alcuna possibilità di “indietrismo” in questo progresso dottrinale.
      Molto ben detto, Padre Cavalcoli!
      Grazie mille!

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    3. Caro Ross,
      la ringrazio per il suo consenso, che mi incoraggia a proseguire secondo i concetti che ho espresso in queste mie riflessioni.

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    4. La ringrazio per la sua risposta. Volevo chiederle altri chiarimenti.
      Ma è errato affermare che Maria ha cooperato alla nostra Redenzione unendo i suoi dolori a quelli di Gesù ed è errato affermare che Maria sul Calvario ha partorito la Chiesa e ha avuto i dolori che non ha avuto quando partorì Gesù perché rimase sempre Vergine?

      Quell'espressione del Papa sulla riforma liturgica cosa significa in concreto? Che non si può tornare al Vetus Ordo? O esclude anche la possibilità di una "riforma della riforma"?

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    5. Caro Cristian,
      credo che si possa dire che Maria presso la croce rappresenta già la Chiesa ed anzi si presenta come Madre della Chiesa nel momento in cui Gesù dice a Giovanni: “Ecco tua madre”.
      Secondo i Santi Padri, San Giovanni presso la croce è il paradigma del cristiano, rappresenta il Popolo di Dio e quindi la Chiesa. Pertanto Gesù, presentando sua Madre a Giovanni, come sua madre, istituisce Maria come Madre della Chiesa.
      Maria, presso la croce, ha unito la sua sofferenza a quella del Figlio collaborando così all’opera della redenzione. Infine non si può dire che Maria abbia partorito la Chiesa, perché Maria presso la croce è già Madre della Chiesa in quanto si può dire che Maria ha partorito la Chiesa quando ha partorito Gesù, che è lo Sposo e il Capo della Chiesa.
      Nel contempo dobbiamo ricordare che Gesù è il fondatore della Chiesa. Ora, essendo Gesù figlio di Maria, torna quello che ho già detto e cioè che Maria è Madre della Chiesa attraverso Gesù, in quanto è Madre del fondatore della Chiesa.

      Per quanto riguarda la riforma liturgica, io ritengo che Papa Francesco abbia detto che è irreversibile perché essa ha apportato un progresso dogmatico circa la natura della Messa.
      Ora, quando avviene un progresso dogmatico è chiaro che non si torna indietro, altrimenti sorge il difetto dell’indietrismo, che è un fenomeno regressivo. Infatti il progresso è obbligatorio perché avvicina gradualmente al Regno di Dio, che è la nostra meta ultima. Se quindi torniamo indietro ci allontaniamo dalla meta e quindi ciò non può corrispondere alla volontà di Dio.
      Comunque sappiamo che oggi come oggi Papa Francesco ha concesso a determinate condizioni la celebrazione della Messa Vetus Ordo.
      Per quanto riguarda l’idea di Papa Ratzinger di attuare la cosiddetta riforma della riforma liturgica, in riferimento al rito della Messa, probabilmente il Papa si riferiva alla eventualità di reintrodurre alcuni elementi del Vetus Ordo, soprattutto in riferimento al valore del sacro, che implica le vesti, i gesti, i canti, la musica, il silenzio, l’adorazione.
      Naturalmente è sottinteso che questi elementi siano in armonia con il Novus Ordo e le attuali indicazioni della Chiesa.

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    6. Ratzinger in una lettera privata nel 2003 scrisse che "Il rito romano del futuro dovrebbe essere uno solo, celebrato in latino o in vernacolo, ma completamente nella tradizione del rito che è stato tramandato. Esso potrebbe assumere qualche elemento nuo¬vo che si è sperimentato valido, come le nuove feste, alcuni nuovi prefazi della Messa, un lezionario esteso - più scelta di prima, ma non troppa -, una «oratio fidelium», cioè una litania fissa di intercessioni che segue gli Oremus prima dell’offertorio dove aveva prima la sua collocazione". Oggi tale proposta non sarebbe più possibile? Contraddirrebbe l'irreversibilità della riforma liturgica?

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    8. La ringrazio. Riguardo quella lettera Ratzinger l'ha scritta quando era ancora prefetto nel 2003. La lettera completa si trova qui: https://papabenedettoxvitesti.blogspot.com/2009/08/joseph-ratzinger-heinz-lothar-barth.html?m=1

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    9. Caro Cristian,
      ringrazio per l’invio della lettera.

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  3. Una piccola nota: Benedetto XVI mai parlo di riforma della riforma. Mai. Joseph Ratzinger parlo di riforma della riforma prima di essere Papa.

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    1. Caro Julio,
      prendo della informazione e ringrazio.
      Tuttavia, se Benedetto XVI non ha usato l’espressione “riforma della riforma”, si può comunque ritenere che col Decreto Summorum Pontificum egli abbia implicitamente voluto richiamare l’attenzione su alcuni elementi di sacralità, che si trovano nel Vetus Ordo e non sono presenti nel Novus Ordo.
      Quello che sarebbe auspicabile, a mio modo di vedere, è la formazione di un Rito della Santa Messa, il quale da una parte mantenga le conquiste dottrinali del Concilio Vaticano II e dall’altra venga arricchito dai suddetti elementi che troviamo nel Vetus Ordo, che sono l’espressione della ricca Tradizione della Chiesa Cattolica da conservare anche oggi.

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    2. Caro padre,
      senza voler esprimere qui altro che un'opinione, devo dirli che sono stato informato a lungo e abbondantemente su questo argomento.
      Ho indagato e mi sono accertato che Papa Benedetto non ha mai e poi mai parlato di “riforma della riforma”. Anche se lo aveva fatto prima di diventare Papa.
      Purtroppo, coloro che hanno continuato ad usare l'espressione “riforma della riforma”, con un significato chiaramente indietrista (sarebbe fuori luogo nella brevità di questo spazio provare a darne prove) sono stati i “collaboratori” di Papa Benedetto nel defunta Commissione Ecclesia Dei e nel Dicastero del Culto, alcuni dei quali continuarono la loro opera indietrista durante il pontificato di Francesco.
      D’altro canto, personalmente mi pongo al di là della discussione novus ordo vs vetus ordo, alimentata dai filolefebvriani. E vado oltre perché lo ritengo insensata, visto che il NO Missae è stato promulgato dalla Chiesa per riformare il Messale precedente, per tutte le sue carenze. Non è prevista alcuna possibilità di indietrismo liturgico.
      Il modo più benevolo di interpretare quella che considero l'imprudente decisione pastorale liturgica di Benedetto XVI nel promulgare il Summorum pontificum è quello da lei citato: nel senso che Benedetto ha voluto che alcuni aspetti del VO fossero presi ad esempio per il NO . E su questo sono d'accordo con lei.
      Ma ciò è facile da proporre in altro modo, senza alcuna traccia o sapore indietrista. Ed è il seguente.
      Così come nacque subito, nel XVI secolo, il Messale di Trento, si sentì l'esigenza di forgiare una "lingua rituale non parlata" a causa dell'incomprensione della "lingua rituale parlata", poiché il latino aveva già cessato di essere la lingua del popolo cinque secoli fa, e visto che questo compito venne dal XVI secolo per circa altri cinque secoli; ebbene, allo stesso modo (ed è quanto suggerisce Francesco nel Desiderio desideravi quando parla dell'"ars celebrandi"), è necessario che la riforma liturgica continui anche oggi, per giungere ad un "linguaggio rituale non parlato" che corrisponda alla dottrina progressi avvenuti con il NO Missae.
      Penso che sia più o meno quello che intendi anche lei.

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    3. Caro Julio,
      quello che lei dice mi trova sostanzialmente d’accordo.
      L’unica cosa circa la quale vorrei farle una domanda è la seguente: che cosa ha inteso dire quando ha scritto: “per giungere ad un "linguaggio rituale non parlato" che corrisponda alla dottrina progressi avvenuti con il NO Missae”?

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    4. Caro padre Cavalcoli,
      sono felice che lei condivida sostanzialmente le mie opinioni e ne sono onorato.
      Per quanto riguarda la sua domanda su cosa intendo per "linguaggio rituale non parlato", che corrisponde ai progressi (anche dottrinali) prodotti con la Riforma liturgica promossa dal Concilio Vaticano II, cercherò di spiegarmi un po' di più.
      Tenendo conto del cammino compiuto dal Movimento Liturgico, dal Concilio Vaticano II e dalla successiva Riforma Liturgica, con tutti i suoi documenti, sperimentazioni e orientamenti a partire dalla Costituzione Sacrosanctum Concilium, è chiaro che la preoccupazione primaria di questo cammino, guidato dalla La Santa Sede (salvo qualche passo indietro negli anni immediatamente precedenti al pontificato di Francesco), non si è occupata principalmente di evitare gli abusi liturgici, ma di recuperare usi liturgici di una Messa e di una Liturgi (in generale) che non erano più compresi come celebrata solo dal sacerdote, e alla quale il popolo "assisteva", ma una Messa che viene celebrata dall'"assemblea celebrante".
      Concentrarsi sul compito di evitare gli abusi liturgici presuppone che gli usi liturgici siano chiari. Ma il Concilio capisce che non è così. Al contrario, nei nuovi riti emersi dalla Riforma liturgica si tratta di entrare in una dinamica in cui anche la norma è al servizio di qualcosa di più grande, che potremmo definire la costituzione della Chiesa (Ecclessia de Eucharistia) attraverso "ritus et preces" (Sacrosanctum Concilium n.48).

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    5. Nei cinque secoli "preconciliari", dal Messale di San Pio V al Messale di San Paolo VI, gli usi erano stati chiari, e quindi, chiarissimi erano stati gli abusi. Nonostante (o anzi a causa) il riduzionismo "clericale" della celebrazione, il popolo si era abituato ad atteggiamenti, gesti, posture, silenzi, devozioni private! (incoraggiate anche da Pio XII in modo suppletivo!) che costituivano un "linguaggio rituale non parlato" tipico della Messa preconciliare, giunto al Messale del 1962.
      In quei cinque secoli della Messa di san Pio V, il progressivo emergere di quel "linguaggio rituale non parlato" era una necessità. E per un motivo molto semplice: la "lingua rituale parlata" non era più parlata dal popolo (e, a dire il vero, nemmeno dai preti). In ogni caso, la lingua parlata non è l'unica nella Messa, quindi nel caso ipotetico che il popolo avesse continuato a parlare latino per la vita quotidiana, anche così sarebbe naturalmente emersa una necessaria lingua rituale non parlata, che accompagnasse le preghiere.
      Pertanto non bastano le rubriche della Messa o del Rituale. Non si tratta, in primo luogo, di osservare delle regole, ma di dare la parola a linguaggi diversi. È ciò a cui si riferisce Papa Francesco nel Desiderio desideravi quando parla di formare, nel clero e nei celebranti, una corretta "ars celebrandi" che corrisponda alla nuova Messa.
      Ma questa non è una novità di Francesco, ma la troviamo espressa chiaramente anche nell'esortazione apostolica Sacramentum caritatis di Benedetto XVI, quando afferma: "Altrettanto importante per una giusta ars celebrandi è l'attenzione verso tutte le forme di linguaggio previste dalla liturgia: parola e canto, gesti e silenzi, movimento del corpo, colori liturgici dei paramenti. La liturgia, in effetti, possiede per sua natura una varietà di registri di comunicazione che le consentono di mirare al coinvolgimento di tutto l'essere umano" (n.40).
      La Riforma liturgica, quindi, non è finita: la celebrazione con il Messale di san Paolo VI deve generare progressivamente (in tutti i fedeli, clero e laici) una nuova ars celebrandi, che comprende un "linguaggio rituale non parlato", che deve gradualmente configurarsi. Sono passati solo 60 anni dalla Sacrosanctum Concilium. Questo non è niente in confronto ai 500 anni necessari per affermarsi e a quel linguaggio non parlato del popolo nella Messa della modernità del XVI secolo. Ora si tratta di recuperare usi forse più antichi (perché la messa di Paolo VI è successiva a quella di Pio V, ma è sostanzialmente più antica), ma anche di creare altri usi che corrispondano ai nostri tempi.

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    6. Caro Julio,
      la ringrazio vivamente per questa ricca esposizione, che denota la sua competenza e che va anche al di là della domanda che le avevo fatto, alla quale lei risponde più che abbondantemente.
      Concordo pienamente con quello che lei dice, precisando che io non sono liturgista e quindi ho avuto solo da imparare.
      Non mi resta che dirle di continuare assieme nel culto del Signore, che ci conduce a quell’esperienza spirituale che proviene dalla Liturgia Fons et Culmen totius vitae christianae.

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  4. Caro padre Cavalcoli:
    Apprezzo il suo articolo, che ho letto e riletto. E sono sostanzialmente d'accordo con quello che dici.
    Ho però qualche dubbio su quanto ha commentato qualche lettore, e credo anche lei, circa l'interpretazione dell'“ex cathedra” come ridotta solo al primo grado di autorità, caratteristica tipica del discorso lefebvriano. Mi sembra che sia un'interpretazione antecedente a loro, e addirittura molto diffusa, anche in tempi successivi al Concilio Vaticano II.
    Ho cercato in alcuni libri degli anni '50, '60 e anche '70 e ho scoperto che questa interpretazione dell'"ex cathedra" solo per il primo grado di autorità è ciò che veniva comunemente insegnato.
    Ciò significa che solo nel 1998, con Ad tuendam fidem, la questione si è chiarita?
    Grazie.

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    1. Caro Pierino,
      è vero che in passato l’espressione ex cathedra si è sempre riferita al solo primo grado e tuttora è ancora questo il linguaggio della Chiesa.
      Uno mi potrebbe chiedere come mi permetto io, semplice teologo, di usare questa espressione anche per gli altri due gradi.
      È stata una mia iniziativa per fermare la mossa sleale dei passatisti o filolefevriani, i quali utilizzano la suddetta espressione solo per il primo grado, in modo da avere campo libero per accusare il Papa di eresia, quando parla nei gradi inferiori.
      Viceversa, col mio chiarimento che il Papa insegna sempre la verità irreformabile, e quindi infallibile, anche nei gradi inferiori, io rivolgo una esortazione a questi fratelli a cessare da un comportamento che non è consono all’essere cattolico.
      Questa dottrina dei tre gradi non è solo propria della Ad Tuendam Fidem, ma è tradizionale della Chiesa.

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    2. Caro padre Cavalcoli,
      li ringrazio per la risposta e i chiarimenti. Ma ora sorgono altre domande che devo farli.
      Se ora lei mi dite che non solo in passato l'espressione ex cathedra si è sempre riferita solo al primo grado, ma che questo continua ad essere anche il linguaggio della Chiesa, allora: è lecito a un teologo usare l'espressione ex cathedra in senso lato, come l'hai usata lei, e non nel senso stretto in cui l'ha usata il Magistero della Chiesa?
      Mi è molto chiaro che la sua intenzione è perfettamente buona: confutare i filolefebvriani e i lefebvriani che rifiutano l’insegnamento del Papa perché, secondo loro, l’insegnamento del Papa dovrebbe essere obbedito solo quando parla ex cathedra, e l’ultimo ad aver parlato così era Pio XII nel secolo scorso... Ma i lefebvriani non le possono obiettare che il suo ragionamento, padre Cavalcoli, è falso perché non è quello il significato di ex cathedra come usa questo termine il Magistero della Chiesa?
      D'altro canto, mi ha sorpreso che lei affermi che questa dottrina dei tre gradi non è solo specifica di Ad Tuendam Fidem del 1998, ma è tradizionale della Chiesa. Non posso fare a meno di chiedervi: in quali altri atti del magistero la Chiesa ha fatto riferimento a questi tre gradi?

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    3. Caro Pierino,
      nella sua domanda mi dà l’occasione di chiarire qual è il mio compito di teologo e i limiti che mi sono consentiti dalla mia attività di teologo.
      Uno dei compiti del teologo è quello di fare proposte innovative, che possono riguardare sia i contenuti della teologia sia anche il linguaggio. Certamente regola del linguaggio per il teologo è il linguaggio del Magistero. Tuttavia al teologo non è proibito, sempre rispettando questo linguaggio, dare a certi termini un significato più ampio di quello precedentemente usato dal Magistero.
      La cosa importante, per il teologo, è fare capire ai credenti del suo tempo che cosa intende dire il Magistero, aiutandolo a bloccare certe manovre aventi lo scopo di limitare l’autorità del Magistero. L’allargamento di significato ai termini “ex cathedra” ed “infallibilità”, senza negare il significato dei termini, ha il vantaggio di impedire quella mossa disonesta che dà la possibilità di accusare falsamente il Papa, per il semplice fatto che fa capire che il Papa dice la verità e non mentisce mai a tutti e tre i gradi di autorità del suo Magistero.
      Quini, in fin dei conti, un’operazione di questo genere come la mia, ben lungi dal discostarsi dalla tradizione linguistica del Magistero, rende un servizio all’autorità dottrinale del Papa, impedendo che egli venga accusato in modo irriverente di errare o addirittura di cadere nell’eresia.
      Come ho già detto, “ex cathedra” significa “dalla cattedra” di Pietro, cioè come Successore di Pietro.
      Ora, nei due gradi inferiori abbiamo degli insegnamenti pontifici, dove il Papa parla come Maestro della fede e Pastore Universale della Chiesa.
      Lo so che attualmente il Magistero della Chiesa riferisce il termine “ex cathedra” soltanto al primo grado. Tuttavia considerando che anche nei due gradi inferiori il Papa insegna come Successore di Pietro, cioè dalla cattedra di Pietro, non c’è alcuna difficoltà ad affermare che egli insegna ex cathedra anche nei due gradi inferiori.

      Le ripeto che “ex cathedra” significa “dalla cattedra di Pietro”, quindi io applico questa espressione latina anche ai due gradi inferiori, nei quali il Papa parla dalla cattedra di Pietro, io non cambio assolutamente il significato della espressione ex cathedra.
      Semplicemente allargo il significato del termine, ma non lo muto.
      Quanto alla distinzione tradizionale del Magistero tra Magistero ordinario e Magistero straordinario, essa fa da sfondo alla triplice distinzione fatta dalla Ad Tuendam Fidem di San Giovanni Paolo II del 1998. Ciò significa che questa triplice distinzione, prima che fosse stata assunta dal Magistero nella Ad Tuendam Fidem, era già una distinzione nota ai teologi, come è testimoniato dal libro del Padre Sisto Cartechini SJ, “Dall’opinione al dogma”, Ed. Civiltà Cattolica, 1953.

      A proposito della questione se la triplice distinzione sia tradizionale, io non mi riferivo alla Tradizione della Chiesa, che è Magistero, ma a quella dei teologi. Quindi, come ho detto sopra, con la Ad Tuendam Fidem, la Chiesa ha fatto propria questa dottrina, che era già tradizionale nei teologi.

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    4. Carissimo padre Cavalcoli, non posso fare a meno di essere profondamente grato per questa sua risposta ampia, chiara e, per me, rassicurante.

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  5. Caro padre. Ciò che mi hanno insegnato e che io insegno ai fedeli è che, innanzitutto, si deve sapere che il Magistero ha due modalità di esercizio: ordinario e straordinario. Il primo può essere singolare (il magistero esercitato da ciascun vescovo nella sua diocesi, compreso il vescovo di Roma) o universale (il magistero dell'episcopato nel suo insieme e in piena coerenza lungo i secoli, in comunione con la tradizione apostolica). non identificarsi, quindi, con la maggioranza “democratica” dei vescovi di un certo settore o epoca–). La seconda può essere collegiale o personale.
    Il Magistero straordinario è infallibile QUANDO DEFINISCE: un concilio ecumenico soddisfa le condizioni di infallibilità, ma è infallibile solo quando definisce e solo in ciò che definisce. Ad esempio, il Concilio Vaticano II soddisfa le condizioni per l'esercizio di Magistero straordinario autentico, ma non ha proposto esplicitamente e formalmente alcuna definizione di fede; ma il Concilio Vaticano I lo ha fatto, così come il Papa è infallibile quando definisce una verità in modo solenne e formale, facendo uso esplicito della sua autorità di successore di Pietro. Ad esempio, ciò che ha fatto Giovanni Paolo II quando ha definito l’impossibilità del sacerdozio femminile.
    Il magistero ordinario singolare è fallibile: ciò non significa che commetta sempre errori, ma che vi sia sempre la possibilità di qualche errore. D'altra parte, il Magistero ordinario universale è infallibile. Pertanto, una innovazione, qualunque essa sia, che si opponga al Magistero ordinario universale non può e non deve essere ascoltata, accolta o seguita, sia essa proposta da un sacerdote, da un vescovo, da un Papa o anche da «un angelo del Cielo» (Gal 1, 8).

    Don Roberto

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    1. Caro Don Roberto,
      la distinzione tra magistero ordinario e magistero straordinario risulta dal significato delle stesse parole. Il primo attiene a contenuti che vengono continuamente proposti al Popolo di Dio. Il secondo si riferisce a contenuti aventi un carattere di novità o rarità, e quindi contenuti più importanti di quelli del Magistero ordinario.
      Sono d’accordo che Magistero straordinario è quando il Papa definisce solennemente un nuovo dogma. Tuttavia, per quanto riguarda l’infallibilità, bisogna che ci intendiamo sulla parola. Magistero infallibile vuol dire semplicemente che è sempre vero e che non può mai venire meno.
      Da come invece lei si esprime, mi pare che lei sostenga che il Papa può sbagliare tutte le volte che non definisce un nuovo dogma. Stando alla dottrina del Vaticano I, uno potrebbe avere effettivamente questa impressione.
      Senonché la Nota illustrativa della CDF alla Ad Tuendam Fidem del 1998 (https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_1998_professio-fidei_it.html) mette in chiaro che il Magistero ordinario della Chiesa insegna la verità tutte le volte che tratta di fede e di morale, e in questo senso è infallibile, anche quando il Papa non proclama un nuovo dogma nel suo Magistero straordinario.
      Se invece un vescovo o un Papa esprime, sia pure nel campo della fede e della morale, una sua semplice opinione, allora è chiaro che può sbagliare.
      Ma se il Papa parla come Maestro della Fede è infallibile, in tutti e tre i gradi di autorità.
      Per quanto riguarda la nozione di Magistero ordinario universale, esso consiste nell’insegnamento ordinario in materia di fede e di morale del Papa in unione con i vescovi sparsi nel mondo oppure riuniti in Concilio. Preciso che, mentre il Papa è infallibile da solo, indipendentemente dall’episcopato, l’episcopato è infallibile solo in unione col Papa e sotto il Papa.

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    2. Caro Padre Cavalcoli:

      Lei dici: "Il primo attiene a contenuti che vengono continuamente proposti al Popolo di Dio. Il secondo si riferisce a contenuti aventi un carattere di novità o rarità, e quindi contenuti più importanti di quelli del Magistero ordinario".

      Tuttavia Pio XII, nella Munificentissimus Deus, riconosce che l'Assunzione della Beata Vergine, da lui stesso definita straordinaria, apparteneva già all'insegnamento del magistero ordinario. Alla luce di ciò quanto da te sostenuto non mi sembra corretto.

      Dio vi benedica.

      In Domino,

      Federico Ma.

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    3. Se sono novità o rarità, non sono magistero.

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    4. È logicamente contraddittorio che una proposizione non definitiva e riformabile siano entrambe infallibili. Se è riformabile o se non è definitiva, non è infallibile.

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    5. Caro Federico,
      quando la Chiesa eleva di grado una proposizione dottrinale e passa dal secondo grado al primo, quello che prima era magistero ordinario diventa straordinario, nel senso che il fatto, che la proposizione venga definita come dogma, è un fatto straordinario.
      Questa straordinarietà è relativa al fatto che, definendo un dogma, la Chiesa intende dare ancora più importanza a una proposizione dottrinale che già apparteneva al magistero ordinario.
      Il magistero straordinario è un magistero che si pronuncia assai raramente e attiene a quelle che sono le definizioni dei nuovi dogmi.

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    6. Caro Alessandro,
      le ricordo che una delle funzioni essenziali del magistero è quella di aiutarci a conoscere sempre meglio il dato rivelato. Ciò comporta la definizione di nuovi dogmi, la cui novità non consiste nel fatto che si tratti di una dottrina nuova, che si aggiunga alla precedente rivelazione, per il fatto che il magistero non ci rivela nuove verità, ma ci fa conoscere sempre meglio quelle verità che Cristo ha consegnato agli Apostoli.
      Ma la novità di un nuovo dogma sta nel fatto che veniamo a conoscere meglio una medesima verità, che già veniva insegnata dal magistero ordinario.
      Per esempio il dogma dell’Immacolata era già contenuto, ad un livello inferiore di autorevolezza, nel magistero ordinario derivato dalla divina rivelazione. Si è trattato di un nuovo dogma nel senso che si è aggiunto ai dogmi precedenti.
      Per quale motivo la Chiesa proclama un nuovo dogma? Per due motivi. Uno, per un motivo pastorale, perché tiene in modo speciale a che quella data verità venga proclamata. Secondo, per dare maggior certezza, soprattutto a verità di fede particolarmente importanti.
      Per esempio una verità come il purgatorio è certamente di fede, ma non si può dire che sia tra le più importanti. Dunque non sembra opportuno elevarla al primo grado.
      Per quanto riguarda la rarità, essa è un dato di fatto, che riguarda proprio il magistero più solenne e straordinario, ossia di primo grado, vale a dire quando la Chiesa definisce un nuovo dogma.

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    7. Caro Alessandro,
      il fatto che al terzo grado la Chiesa parli di proposizioni non definitive non vuol dire che siano riformabili o che siano fallibili. Semplicemente la Chiesa si astiene dal dire che sono definitive.
      Perché al terzo grado si astiene dal dire che sono definitive, mentre lo dice al secondo grado? Perché il dire che sono definitive è importante pastoralmente in quanto stimola maggiormente l’attenzione dei fedeli. L’astenersi invece dal dirlo è segno che la Chiesa tiene a quella data verità in modo minore, ci tiene ma non tanto quanto le verità definitive.
      Importante anche la distinzione tra il definito e il definitivo. Il definito appartiene al primo grado, nel quale avvengono le cosiddette definizioni dogmatiche, per cui si ha il dogma definito.
      Invece il definitivo, come ho detto, appartiene al secondo grado. Anche qui abbiamo lo stesso espediente pastorale. Quando la Chiesa definisce vuol dire che in questo momento essa pronuncia una verità di fede, alla quale tiene al massimo grado. Invece col definitivo essa impegna un grado inferiore di autorità.
      Il passaggio della verità dal 3°, al 2°, al 1°, assomiglia, come diceva il Beato Henry Newman, alla crescita di un organismo vivente che via via si irrobustisce. Similmente il passaggio ai gradi superiori fa sì che una verità assuma maggiore importanza, sia proclamata con maggior forza e sia oggetto di particolare cura da parte della Chiesa.

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    8. Caro Padre, mi stupisce che lei scriva che il Purgatorio non è dogma o verità di “primo grado” come lo chiami lei. Ci sono almeno due concili con definizioni dogmatiche al riguardo. Ed è un dogma della massima importanza sia dottrinalmente che pastoralmente.

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    9. Caro padre. Non so come lei possa convincersi che questo paragrafo dell'Ad Tuendam Fidei indichi che anche le dottrine del terzo grado sono infallibili. È chiaro che il cardinal Ratzinger dice che non lo sono:
      "Come esempi di dottrine appartenenti al terzo comma si possono indicare in generale gli insegnamenti proposti dal magistero autentico ordinario in modo non definitivo, che richiedono un grado di adesione differenziato, secondo la mente e la volontà manifestata, la quale si palesa specialmente sia dalla natura dei documenti, sia dal frequente riproporre la stessa dottrina, sia dal tenore della espressione verbale."

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    10. Caro Arcadio,
      la ringrazio per la correzione. Effettivamente l’esistenza del purgatorio è dogma di fede, quindi verità di 1° grado, definito dal Concilio di Lione II del 1274 e contenuto nella Professione di fede prescritta all’Imperatore bizantino Michele Paleologo, con la seguente dichiarazione: “i fedeli che veramente pentiti muoiono nella carità, prima di aver soddisfatto con degni frutti di penitenza per i peccati commessi e per le omissioni, vengono purgati dopo la morte con pene purificatrici” (Denz.856) e ribadito al Concilio di Firenze del 1439 (Denz.1304).
      Il dogma del purgatorio è stato ulteriormente ribadito dal Concilio di Trento nel 1547 con le seguenti parole: “dopo aver ricevuto la grazia della giustificazione concessa a qualunque peccatore penitente, è rimessa la colpa e distrutto il reato della pena eterna, così che prima che si apra l’adito al regno dei cieli, resta un reato di pena da scontare o in questo mondo o in purgatorio” (Denz.1580).

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    11. Caro Alessandro,
      la mia affermazione, secondo la quale anche le dottrine del 3° grado sono infallibili, si basa sul fatto che si tratta di materia di fede o di morale.
      Come ho già detto, il termine “infallibile” significa “sempre vero”. Ora, è evidente che, se la Chiesa insegna in materia di fede o di morale, quello che insegna è sempre vero.
      Per quanto riguarda le parole di Ratzinger, l’espressione “in modo non definitivo” fa riferimento semplicemente al 2° grado, dove si parla di “modo definitivo”, ma il fatto che manchi nel 3° grado il modo definitivo, è solo una maniera per definire il 3° grado e per differenziarlo dal 2°.
      Il 3° rappresenta una forma inferiore di autorità, ma non significa affatto che le dottrine del 3° grado possano essere fallibili, tanto è vero che se a questo grado la Chiesa chiede l’ossequio religioso dell’intelletto e della volontà, in quanto sono “insegnamenti proposti dal magistero autentico ordinario”, insegnando materia di fede o di morale, vuol dire che questo ossequio non può essere disdetto per il fatto che si tratta di verità irreformabili ovvero infallibili.

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    12. Caro Alessandro e Caro Arcadio,
      a breve pubblicherò un mio articolo sul purgatorio, dove cercherò di chiarire il posto che il dogma del purgatorio ha nel sistema delle verità di fede, mettendolo in rapporto con la vita presente, che si può considerare come un purgatorio, col paradiso, perché le anime purganti sono già salve, con l’inferno, solo che la pena del purgatorio è temporanea, mentre quella dell’inferno è eterna.
      Nel mio precedente commento ho detto che il dogma del purgatorio non è tra i più importanti, perché, mentre il paradiso e l’inferno dureranno per sempre, il purgatorio cesserà alla venuta di Nostro Signore Gesù Cristo.

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  6. Caro padre Giovanni,
    il mio commento precedente prende spunto da alcuni commenti di alcuni lettori di suo blog e facebook che ammettono di trovarsi in una situazione di perplessità di coscienza nel verificare che ci sono affermazioni del "magistero" della Chiesa che sembrano opporsi tra loro. Mi sembra che la soluzione a tale perplessità sia relativamente facile e non obbedisca a preferenze soggettive, ma piuttosto alla natura stessa del Magistero.

    Per quanto riguarda la natura del Magistero, intendo Magistero ecclesiastico come l'esercizio dell'autorità di insegnare che Gesù Cristo ha affidato alla Chiesa, nei suoi pastori (il Papa, i Vescovi e, a loro carico, gli altri sacri ministri. ).
    Quindi il Magistero è al servizio della trasmissione del messaggio di Gesù Cristo. Pertanto, non ha alcuna autorità per proporre qualcosa che possa modificare quel messaggio. In altre parole: il Magistero non è al di sopra né della Bibbia né della Tradizione, ma è al loro servizio come garante della conservazione inalterata del “deposito” e della sua corretta interpretazione, sempre coerente con se stessa e mai contraddittoria o “caleidoscopica” (1Tim 6 ,20; 2Tim 1,14), perché Gesù Cristo «è lo stesso ieri, oggi e sarà sempre» (Eb 13,8), in modo tale che la Chiesa, quale fedele trasmittente del suo messaggio, è «la colonna e fondamento della verità” (1Tm 3,15).

    Don Roberto

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  7. Ora, per i fedeli c'è l'obbligo di ascoltare il Magistero: in quanto, attraverso i ministri che hanno ricevuto il sacramento dell'ordine sacro, la Chiesa esercita l'ufficio di insegnare, la Chiesa è detta “Chiesa docente”; Quanto ai membri che ascoltano e ricevono l'insegnamento del Magistero, la Chiesa è chiamata “Chiesa discendente”, cioè una Chiesa che è discepola, che impara.
    C'è l'obbligo serio e grave di ascoltare e obbedire alla Chiesa docente, pena non poter accedere alla salvezza. Infatti, rifiutare il Magistero della Chiesa equivale a rifiutare Gesù Cristo; e rifiutare Gesù Cristo equivale a rifiutare Dio Padre. Per questo Gesù ha detto ai suoi apostoli: «Chi ascolta voi, ascolta me; e chi respinge te, respinge me; e chi respinge me, rifiuta colui che mi ha mandato» (Lc 10,16).

    Ma ci sono diversi tipi di ascolto a seconda dei diversi pronunciamenti del Magistero: ci sono pronunciamenti definitivi e, quindi, immutabili; Ce ne sono altri che non sono definitivi e che, quindi, potrebbero cambiare, tenendo conto di alcune circostanze.
    In tutto ciò che è chiaramente definito dal Magistero occorre dare un'adesione di fede; Chi non lo fa, non possiede la fede cattolica (sia vescovo, sacerdote, suora, monaca, laico...) - ad esempio, l'impossibilità del sacerdozio femminile è una dottrina già esplicitamente definita da Giovanni Paolo II: tutte quelle che pensano diversamente si trovano al di fuori della fede cattolica.
    Per tutto ciò che non è chiaramente definito e dove il Magistero esprime solo una considerazione che resta aperta a ulteriori chiarimenti ed eventuali correzioni, deve essere fatto un dono religioso. L'espressione "dono religioso" significa che questo insegnamento viene accolto con buona volontà e non solo all'esterno ma, soprattutto, all'interno, con la positiva stima che, in linea di principio, deve trattarsi di un insegnamento corretto, anche se non vi è stata alcuna intenzione di farlo. definire. Questa disposizione interiore è una disposizione di obbedienza rispettosa e sincera che nasce dalla fede.

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  8. Ora, ci sono diverse modalità di esercizio del Magistero: ma è proprio qui che nasce la perplessità, è qui che nasce quella situazione difficile della coscienza. Ci sono vescovi che promuovono la teologia della liberazione, chiaramente marxista; altri, che promuovono la teologia popolare, chiaramente sincretisti. Ci sono preti che dicono che la dottrina è cambiata; altri che dicono di no. Ci sono preti o vescovi che dicono che la Chiesa ha sbagliato per quasi duemila anni, mentre altri sostengono il contrario. Quali seguire? Tutto ciò che dicono appartiene a quel “Magistero avvincente”, che riflette la voce di Gesù Cristo? NO. Come ho spiegato nel primo dei miei commenti, al quale lei hai gentilmente risposto.
    Grazie.

    Don Roberto

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    1. Caro Don Roberto,
      nell’insieme della sua esposizione io sono d’accordo.
      Farei solo alcune osservazioni.
      La prima. Le faccio presente che nel 1998, San Giovanni Paolo II, nella Lettera Apostolica Ad Tuendam Fidem e la Nota della CDF, ha insegnato che l’autorità dottrinale della Chiesa è soggetta a tre gradi:
      https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_1998_professio-fidei_it.html.
      La seconda. La dottrina definita come di fede appartiene al primo grado. Nel secondo grado si parla di dottrine definitive. Nel terzo grado si tratta ancora di materia di fede e di morale, e tuttavia sono dottrine che non sono dichiarate definitive, ma ciò non impedisce che siano perennemente vere e quindi non falsificabili.
      Per quanto riguarda la sua perplessità nel constatare contrasti dottrinali tra vescovi o sacerdoti, lei e i fedeli possono risolvere tali perplessità confrontandosi con quanto insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC): https://www.vatican.va/archive/ccc/index_it.htm.
      La terza. Ricordo che è vero che il Magistero è a servizio della Tradizione e della Scrittura, in quanto Parola di Dio. Tuttavia, per volontà di Cristo, il Magistero ci interpreta infallibilmente i dati della Scrittura e della Tradizione.

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  9. Perdonami, padre Cavalcoli, lei afferma che il Magistero della Chiesa insegna sempre ciò che è vero, cioè è infallibile, il suo insegnamento non si può negare, è vero e non può essere falsificato.
    Ma. Primo: dove si collocano le affermazioni climatologiche della Laudato Si? Dov’è l’affermazione del Pontefice secondo cui l’esistenza del cambiamento climatico di origine antropica è infallibile?
    Secondo, cosa facciamo con le contraddizioni? Ad esempio quello dell'affermazione di Papa Francesco secondo cui la pena di morte è inammissibile con la proclamazione dell'anatema per chi nega che il potere temporale possa uccidere? Entrambe le proposizioni sono infallibili oppure solo la seconda è infallibile, come sembra evidente?
    Il cardinale Fernández ha affermato che la Chiesa ha sbagliato per secoli. Dov’è l’infallibilità?
    La Chiesa è infallibile? Ovviamente no.

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    1. Caro Arcadio,
      ho detto in modo dettagliato e motivato che l’infallibilità del magistero riguarda materie di fede o connesse con la fede.
      Ora, tutte le materie che lei ha citato esulano da questa materia.
      Si tratta di direttive di carattere pastorale, disciplinare, giuridico e prudenziale, che indubbiamente vanno considerate con rispetto e in linea di massima devono essere messe in pratica. Tuttavia è chiaro che non fruiscono del dono divino dell’infallibilità.

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    2. Caro Arcadio,
      a breve pubblicherò un mio articolo sul purgatorio, dove cercherò di chiarire il posto che il dogma del purgatorio ha nel sistema delle verità di fede, mettendolo in rapporto con la vita presente, che si può considerare come un purgatorio, col paradiso, perché le anime purganti sono già salve, con l’inferno, solo che la pena del purgatorio è temporanea, mentre quella dell’inferno è eterna.
      Nel mio precedente commento ho detto che il dogma del purgatorio non è tra i più importanti, perché, mentre il paradiso e l’inferno dureranno per sempre, il purgatorio cesserà alla venuta di Nostro Signore Gesù Cristo.

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  10. Caro padre Cavalcoli:
    Ciò che accade è che l'attribuzione dell'infallibilità all'insegnamento riguardo alle dottrine della “terza comma” o del “terzo grado” è qualcosa che si difende senza fondamento nell'insegnamento stesso. Infatti non lo ha dato e, quando glielo viene chiesto, non lo dà. È una sua interpretazione che non ha alcun sostegno.

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    1. Caro Arcadio,
      l’infallibilità degli insegnamenti di questo grado risulta chiaramente dalla seguente citazione: https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_1998_professio-fidei_it.html - n. 10:
      “10. La terza proposizione della Professio fidei afferma: «Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell'intelletto agli insegnamenti che il Romano Pontefice o il Collegio episcopale propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo ».
      A questo comma appartengono tutti quegli insegnamenti — in materia di fede o morale — presentati come veri o almeno come sicuri, anche se non sono stati definiti con giudizio solenne né proposti come definitivi dal magistero ordinario e universale.”

      Bisogna che noi notiamo come in queste parole si parla chiaramente di insegnamenti veri in materia di fede e di morale.
      Dire insegnamenti veri o dire insegnamenti infallibili è la stessa cosa, in quanto insegnamenti di fede e di morale attengono a una verità che evidentemente non può essere falsificata, non può mutare e non può essere smentita.

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    2. Padre Cavalcoli:

      La nota dice: "o almeno come sicuri".

      Quindi si attribuisce l'infallibilità quando la Nota né lo dice né lo implica.

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    3. "Dire insegnamenti veri o dire insegnamenti infallibili è la stessa cosa" No. Questo è un sequitur logico. Sarebbero necessariamente veri se fossero infallibili, ma l'infallibilità non può derivare dal loro essere "veri o almeno come sicuri". Il suo errore è quello di ammettere "gradi di infallibilità", che è anche un errore logico e filosofico.

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    4. Caro Anonimo,
      sì, lo so che al 3° grado si parla di insegnamenti dati almeno come sicuri, ma qui la Chiesa si esprime in materia di fede e di morale.
      Ribadisco che, quando il Magistero insegna in campo dottrinale, non può sbagliare, ma dice sempre una verità che non passa.
      Dunque l’aggettivo “sicuro” si riferisce al fatto che si tratta di insegnamenti veri, giacchè è la verità che dà la sicurezza. L’opposto alla sicurezza è l’incertezza o la insicurezza. Dunque, se anche a questo grado la Chiesa non ci insegnasse la verità, non parlerebbe di sicurezza.
      Ciò che è motivo di insicurezza non è la conoscenza della verità, che è legata al sapere e alla fede divina, cioè alla fede teologale, ma è l’opinione, la quale consiste nel fatto che io sostengo una tesi, ma col timore di sbagliare.
      Invece, quando noi accettiamo le dottrine di 3° grado, siamo sicuri di non sbagliare, non perché siamo davanti ad un dogma definito o definibile, ma perché siamo davanti alla verità, e quindi davanti all’infallibilità.

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    5. Caro Arcadio,
      come le ho già detto, il termine “infallibile” è usato dalla Chiesa semplicemente per fare riferimento ad una verità che non può fallire, cioè perenne ed immutabile.
      Quindi il discorso giusto da fare è che questi insegnamenti sono infallibili perché sono veri e non viceversa. Per questo è del tutto legittimo parlare di gradi di infallibilità, così come si parla di gradi nella certezza della conoscenza della verità.
      In questo senso possiamo parlare di gradi di verità, non in relazione a gradi di realtà, ma in riferimento a diversi gradi di certezza con la quale noi aderiamo alla verità o alla realtà.
      Lei sembra sostenere che l’infallibilità c’è o non c’è e da qui deduce che non esistono gradi di infallibilità. Da quello che le ho detto, credo di essermi spiegato nel chiarirle in che senso invece si può parlare di gradi di infallibilità.
      A questo punto noi potremmo collegare la questione dei gradi di certezza dottrinale con lo sviluppo del dogma. Voglio dire che i tre gradi certezza o di infallibilità, non si riferiscono soltanto ad una proposizione della quale noi conosciamo la verità, ma questi tre gradi di certezza accompagnano anche lo sviluppo del dogma nel senso che il lavoro di esplicitazione del dato rivelato si accompagna con una crescita della certezza.
      Le faccio un esempio. La verità della immacolatezza di Maria si è sempre saputa fin dall’inizio della storia della Chiesa. Eravamo al 3° grado di autorità della Chiesa. Ma poi, che cosa è successo? È successo che il popolo cristiano e il Magistero, meditando su questo mistero, ha conseguito via via una maggiore certezza e chiarezza circa la verità dell’Immacolata.
      A questo punto la Chiesa ha promosso questa verità dal 3° al 2° grado, il che ha significato che questa verità, inizialmente approvata dal Magistero, è entrata nel Culto Liturgico, il quale è una lex credendi.
      Nel 1854 Pio IX ha ritenuto che fosse giunto il momento di dare una definizione dogmatica, per il fatto che la certezza del Magistero e del Popolo di Dio era ulteriormente maturata. E così questa verità è passata dal 2° grado al 1° grado.
      Tutto questo processo conoscitivo è seguito e promosso dal Magistero della Chiesa, in modo tale che essa, quando si accorge che la certezza è matura per essere definita in modo solenne come di fede divina, allora proclama una definizione dogmatica (https://www.vatican.va/content/pius-ix/it/documents/18541208-costituzione-apostolica-ineffabilis-deus.html ).
      Una domanda che possiamo porci è la seguente: se prima della definizione dogmatica esisteva già il Magistero della Chiesa su questo punto, come mai la Chiesa permetteva ai teologi di discutere tra di loro se Maria era o non era immacolata?
      Si tratta di un fenomeno che manifesta la liberalità materna della Chiesa, perché da una parte essa ammetteva la Tradizione che l’aveva portata a istituire il Culto dell’Immacolata, però dall’altra guardava con benevolenza alla discussione tra teologi, considerandoli in buona fede ed ugualmente devoti della Madonna. Infatti era necessario chiarire come era avvenuta la redenzione dal peccato originale nel caso della Vergine Maria.
      Pio IX ritenne che ai suoi tempi fosse ormai maturo un giudizio definitivo, sotto forma di definizione dogmatica, in modo tale da rendere inutile alcuna discussione teologica.
      Detto questo, bisogna ribadire che l’infallibilità del Magistero non si realizza solo al 1° grado, ma anche al 2° e 3° grado. Infatti, in questo caso Pio IX, per definire il dogma, si basa sulla Sacra Scrittura, sui Padri, sulla Tradizione e sul Magistero precedente.

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  11. Caro padre Cavalcoli:
    ammiro la sua esposizione sul dogma dell'infallibilità pontificia, e il modo semplice e di buon senso con cui ci spieghi il progresso dottrinale avvenuto nella Chiesa su questo argomento, in particolare con la Lettera Ad tuendam Fidem di Papa San Giovanni Paolo II e la Nota dottrinale illustrativa della CDF.
    È mia opinione, una vecchia opinione che ho da molti anni, che l'indietrismo sia in qualche modo associato alla superstizione e alla magia (in un certo senso, dico).
    Così come gli indietristi sono tanto attaccati a certi riti della Messa secondo liturgie ormai abrogate, ritenendo che la Messa debba essere sine qua non celebrata con tali e tali riti, alla maniera di un mago o di uno stregone che, se non ripete certi gesti e in altre parole non esegue bene l'incantesimo per "dominare" il suo dio (è proprio questa la magia); allo stesso modo mi sembra che gli indietristi ritengano che l'"infallibilità" sia un certo "potere" che Dio ha concesso al Papa (in effetti lo è), ma concepito alla maniera del potere che è stato concesso fin dalla nascita al Papa la strega o fattucchiera affinché, esprimendo certe parole in un certo modo (“ex cathedra”, altra espressione che gli indietristi intendono in modo magico) si produca l'incantesimo, cioè il dogma.

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    1. Caro Silvano,
      la magia è un peccato gravissimo, perché suppone il panteismo, ossia la convinzione dell’identità del proprio io empirico con l’Io Assoluto.
      In questa visione l’uomo attribuisce a sé dei poteri divini, in modo tale che, con questa presunzione, attira a sé le potenze demoniache e compie effettivamente prodigi, grazie alla presenza di queste forze.
      Secondo me, nei filolefevriani non è tanto presente una mentalità magica, quanto piuttosto una forma di rigidità mentale e di pedanteria, per la quale mancano di elasticità e di apprezzamento per ciò che è nuovo, che essi vedono in rottura con l’antico e non lo vedono quindi come una esplicitazione e uno sviluppo dell’antico.
      Per loro, una prassi o una dottrina, che abbia carattere di novità, non la vedono sostanzialmente identica alla prassi o dottrina ancora prima di questa novità, ma la vedono come un’altra dottrina oppure una dottrina erronea.
      Inoltre, secondo me, il loro conservatorismo dipende anche dalla presunzione di conoscere la Tradizione meglio del Papa, per cui, a questo punto, il loro rischio, secondo me, non è tanto la magia, quanto piuttosto lo gnosticismo.
      Semmai io la mentalità magica la vedrei di più nei modernisti, perché il loro gnosticismo è legato alla prassi. Per esempio, la dialettica hegeliana comporta un agire di opposizione basato su di un concetto di Dio, che nega se stesso. In questa visuale il filosofo si considera come manifestazione divina in questo processo dialettico, che egli intende e pratica come manifestazione della divinità, che, opponendo sé a se stessa, torna a se stessa negando se stessa.
      Qui, la magia dov’è? La magia qui sta nella convinzione del filosofo di possedere un potere divino.

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