La pace è una conquista umana ed è un dono di Dio

 La pace è una conquista umana ed è un dono di Dio

«Pace! E la pace non c’è» (Ez 13,10)

Da ogni parte si sente oggi invocare la pace. Tutti sono contro la guerra. Gli Ucraini vogliono la pace. I Russi vogliono la pace. L’UE vuole la pace. L’ONU vuole la pace. Erdogan vuole la pace. Gli Americani vogliono la pace. I Cinesi vogliono la pace. Il Papa invoca la pace.

Chi è che oggi fa l’apologia della guerra? Chi è che oggi come Hegel sostiene la necessità della guerra per la promozione del progresso umano? Chi oggi si dichiara d’accordo con Nietzsche nelle lodi del superuomo che schiaccia i deboli ed elimina i malati? «La guerra – si dice – è sempre una cosa orribile. Non esistono guerre giuste».

Gli stessi Russi, nel muover guerra all’Ucraina, non hanno voluto che si usasse la parola «guerra», ma «operazione militare». Intanto, si può negare che adesso in Ucraina c’è la guerra? Dunque, che cosa ciò vuol dire? Che tutti quelli che adesso in Ucraina usano le armi sono dei criminali?  Quando il Papa dice che non esiste guerra giusta non intende certo dire questo, ma si riferisce al fatto che non c’è guerra nella quale non giochi l’ingiustizia, anche se in essa vengono commessi atti eroici e si deve esser pronti a difendere la patria a rischio della vita.

Così adesso in Ucraina c’è la guerra e non riusciamo a trovare la strada per venirne fuori. Le domande si affollano. È così sicuro che tutti coloro che invocano la pace la vogliano veramente? Sanno che cosa è la pace? Come la si ottiene? Come la si conserva? Come la si difende?

L’egoismo, l’avarizia, il genderismo, la cultura dell’aborto, la dissoluzione della famiglia, l’edonismo, la superbia, il voler primeggiare, l’ateismo, la doppiezza, la menzogna, il relativismo, il panteismo, il modernismo, il passatismo, la massoneria, la concezione dialettico-conflittuale del pensiero e dell’esistenza, il polemizzare sistematico, il favorire le divisioni, l’incredulità in Dio, lo spezzare l’unità, la negazione dei valori universali, l’odio per l’avversario, il seminare discordie, la disobbedienza all’autorità, la libertà sfrenata, la negazione del principio di non-contraddizione e del terzo escluso favoriscono, garantiscono, fondano, assicurano la pace? Sono testimonianze di pace? Eppure, se interrogate tutti quelli che sostengono queste idee e queste pratiche, vedrete che tutti vi diranno che sono per la pace contro la guerra.

Una cosa dovrebbe essere chiara: che l’apprezzamento della pace implica un fondamento teologico della visione della realtà, perchè il concetto di pace porta con sé tutti i valori fondamentali dell’esistenza: l’apprezzamento della bontà e dell’onestà morale, la convinzione dell’esistenza della verità, della sua conoscibilità e della sua comunicabilità nel linguaggio, l’idea di una felicità eterna, di una concordia universale, di una tranquillità assoluta, di un ordine e di una giustizia perfetti. L’ateo, lo scettico, il soggettivista, l’ipocrita, l’agnostico, il furbo, l’egoista non possono amare la pace, perchè essi stessi non sono in pace.

Per chiarire la questione, facciamoci alcune domande: la pace può stare assieme con la guerra o è pura assenza di guerra? La guerra può servire a trovare la pace o impedisce sempre la pace? È sempre peccato volere la guerra o Dio può volere la guerra? Bastano le forze umane a spegnare una guerra od occorre il soccorso divino? Esiste una pace sovraumana, donata da Dio, pace superiore ad ogni umana forza o capacità, ma anche ad ogni umana immaginazione o aspirazione?

La pace comporta l’unità o è sintesi di opposti? L’identità esclude o include la contraddizione? Si deve dire sì ed escludere il no o si può al contempo dire sì e no? Si può ridurre l’aut-aut all’et-et? Il contrario è semplicemente il diverso? Il bene può stare senza il male o ha bisogno del male per essere bene? Il male è contro il bene o è semplicemente diverso dal bene? L’eresia è contro la verità o è una verità diversa? La pace è armonia tra diversi o convivenza di contradditori? La pace è soluzione del conflitto o legittimazione del conflitto?

La realtà scaturisce da un unico principio o da un principio doppio? Dobbiamo servire ad un solo padrone o conviene servirne due? Non potrebbero farci comodo tutti e due, così da passare dall’uno all’altro a seconda di come ci conviene? Il vero è quello che sembra a me o è ciò che è? Tra Cristo e Beliar dobbiamo scegliere o possiamo servire all’uno e all’altro? Oppure ritenerci neutrali? Oppure rifiutare entrambi e fare per conto nostro? Tutte queste domande sono strettamente congiunte col problema della pace e di che cosa è la pace.

Le parole del Papa

Il Papa è venuto un’infinità di volte sul tema della guerra in Ucraina, ripetendo sempre le stesse formule, che tutti conosciamo.  Su di esse, certo, tutti possiamo essere d’accordo. Ma forse vorremmo che il Papa entrasse di più nel merito di questa terribile complicatissima guerra, per indicarci con più precisione, con la sua parola di Pastore universale della Chiesa, ministro del Principe della pace, assistito dallo Spirito Santo, che cosa potremmo fare, o che cosa i belligeranti dovrebbero fare, come spiegare le cause della guerra, dove sono i torti e dove le ragioni, dove le scusanti e dove le aggravanti, quali le tesi giuste e quali quelle sbagliate, dove c’è la violenza o dove l’uso giusto della forza, e quali possono essere i punti di convergenza dei due belligeranti, perché non c’è pace se non nell’accordo su valori comuni.

Alcuni osservano: il Papa dispone di tanti canali d‘informazione su quello che sta succedendo. Non potrebbe entrare di più nel dettaglio? I princìpi astratti in morale sono certo fondamentali, ma per sapere che cosa fare, abbiamo bisogno di conoscenze concrete da parte di fonti sicure. E forse che il Papa non sarà informato su ciò che realmente sta succedendo e perché sta succedendo? O forse è tenuto all’oscuro e qualcuno cerca di ingannarlo? Certamente. Ma le tenebre possono vincere la luce?

Altri dicono; il Papa sta favorendo segretamente trattative tra le parti, con atti che è bene che non siano di dominio pubblico, perché ciò potrebbe recar disturbo alle trattative stesse. Capisco. Non si pretende di venir a conoscenza di notizie riservate; tuttavia quanto succede in Ucraina è materia gravissima d’interesse comune, che tutti ci angoscia.

E allora, possibile che il Vicario di Cristo, custode e dispensatore della pace di Cristo, giudice di giustizia e di verità, nemico di Beliar il re della menzogna, dell’omicidio, dell’odio, della violenza e della divisione, non possa dire apertamente a tutto il mondo e alle due parti: fate così, fate questo e quello? Ma può essere che neppure il Santo Padre sia in grado di entrare in questo merito.

In ogni caso, il Papa non risparmia gli aggettivi per suscitare orrore nei confronti della guerra nella sua esistenziale atrocità. E questo lo sappiamo tutti. Nella sua predicazione esorta i governi di rinunciare alla guerra come mezzo di soluzione delle controversie internazionali. Ha esortato gli stessi belligeranti della guerra in Ucraina a deporre le armi.

Potremmo tuttavia chiederci: è realistico pensare che oggi la coscienza morale bandisca come crimine qualunque pratica della guerra? L’umanità è in grado oggi di bandire per sempre il ricorso alla guerra, di cessare di far guerra così come si smette di fumare o bere alcoolici? Non è questo un pensiero troppo semplicistico? Può oggi un’autorità internazionale intervenire circa due paesi in guerra tra di loro intimando loro di smettere come la mamma intìma a due figlioletti che litigano tra di loro di cessare immediatamente senza sentire le ragioni dell’uno e dell’altro? La Scrittura c’insegna che sarà solo nella Gerusalemme celeste ad esserci quella pace perfetta che esclude tutte le guerre.

L’umanità nella vita presente sente certamente un bisogno di pace; tuttavia non è che viva spontaneamente una vita tranquilla, che porterebbe avanti tranquillamente, se non fosse per l’insorgere di popoli bellicosi che si aggrediscono a vicenda. La malvagità che sta all’origine della guerra non è un fatto incidentale in un’umanità sostanzialmente buona e pacifica, che vuol vivere in pace, ma purtroppo in ognuno di noi, a seguito del peccato originale, esiste un impulso mai totalmente dominabile a danneggiare il prossimo, sia pur insieme ad una più radicale inclinazione alla socialità e alla benevolenza.

Comunque sia, finché viviamo in questa vita che soffre delle conseguenze del peccato originale e dei nostri stessi peccati, per quanti progressi da un lontanissimo passato ad oggi siano stati fatti dall’umanità sulla via di un superamento della guerra per una convivenza giusta e pacifica, e nonostante tutto l’apporto del cristianesimo per la realizzazione di un’umanità pacifica, resta insopprimibile questo istinto di aggressività che è la causa della guerra e pertanto si rende sempre necessario l’uso della forza e quindi, di nuovo, la guerra, per frenare e rendere innocuo questo istinto. La guerra, quindi, quando la trattativa non produce risultati, si vince con la guerra. In questo senso, la guerra condotta per questo scopo ed entro questi limiti, si rivela essere un mezzo per il conseguimento della pace.

Ora il Papa sa meglio di noi qual è la condizione dell’umanità conseguente al peccato originale, per cui l’invito che egli fa agli Stati a bandire per sempre il ricorso alla guerra non va interpretato secondo il modulo razionalista e pelagiano russoiano-massonico di cosa da farsi in quattro e quattr’otto. Il Papa non è così ingenuo da non conoscere il peso della malizia umana. È chiaro allora che la sua proposta va intesa non come un decreto governativo da applicare dall’oggi al domani, ma come prospettiva escatologica in senso biblico.

Il Papa, inoltre, per persuaderci a rinunciare alla guerra, più volte ha esortato «ad imparare dalla storia», la quale insegna che le guerre sono sempre delle sciagure. Tuttavia, andando con la memoria ad eventi decisivi per la sopravvivenza della civiltà cristiana o della stessa libertà dell’Europa, non possiamo negare che la battaglia di Lepanto del 1571 o quella di Vienna del 1682 o le crociate o lo sbarco americano in Normandia nella seconda guerra mondiale siano eventi bellici che devono suscitare in noi gratitudine per aver difeso la libertà e l’esistenza stessa della civiltà europea formata dal cristianesimo. O forse sarebbe stato meglio che l’Europa fosse dominata dalla Mezzaluna o dal nazismo? Con le sue parole il Papa non intende quindi misconoscere l’utilità di una guerra di difesa, come ha fatto ben capire anche per quanto riguarda la guerra in Ucraina.

Il Santo Padre ha inoltre denunciato con chiarezza l’invasione militare russa dell’Ucraina lasciando chiaramente intendere la legittimità della sua difesa armata finalizzata a far cessare l’occupazione russa. Nel sostenere la crudeltà dell’azione russa il Papa ha parlato del popolo ucraino come «popolo martire». Anche queste parole del Papa vanno rettamente intese.

Cose utili che forse il Papa potrebbe ricordarci

Sappiamo come in ogni guerra, anche quando si deve distinguere, come in questo caso, l’aggressore dall’aggredito, non si può mai porre tutta la ragione da una parte e tutto il torto dall’altra. Anche qui occorre evitare il semplicismo, che finirebbe per mettere l’aggressore in una luce troppo sfavorevole e renderlo così odioso da mettere in seria difficoltà l’applicazione del precetto cristiano dell’amore del nemico, che invece è un espediente efficacissimo per ammansire il nemico e favorire la pace con lui.

Un’aggressione militare non ha la stessa semplicità che può avere l’aggressione di un borsaiolo nei confronti di un passante che pacificamente se ne va per la sua strada. Il poliziotto che dovesse accorgersi della disavventura occorsa al malcapitato, avrebbe da fare una cosa molto semplice: bloccare il ladro e costringerlo a restituire il maltolto.

Ora, nelle guerre le situazioni sono molto più complesse, e particolarmente complessa ed intricata, mista da ambo le parti, di ragioni e di torti, è la situazione del rapporto fra Russia ed Ucraina. Nella presente guerra, infatti, vengono alla luce drammaticamente o tragicamente, fraintendimenti, veleni, incomprensioni e rancori che si sono accumulati nel passato, andando indietro nei secoli fino ad arrivare allo scisma d’Oriente del 1054, allorchè la cristianità soggetta a Costantinopoli si separò dall’obbedienza al Vescovo di Roma e sorse la cosiddetta Chiesa ortodossa, ancor oggi esistente.

Allora la Chiesa di Kiev, madre della Chiesa di Mosca, entrambe soggette a Costantinopoli, ruppero la comunione con la Chiesa di Roma. Ma le cose non finirono qui: nel 1589 Mosca a sua volta si separò da Costantinopoli, sicchè Costantinopoli subì ai suoi danni quella stessa ribellione della quale si era macchiata ai danni di Roma. A seguito della sua ribellione a Costantinopoli, la Chiesa di Mosca, vieppiù inorgoglitasi nei secoli seguenti per il famoso titolo assegnatosi di «Terza Roma», cominciò a spadroneggiare su Kiev in modo sempre più umiliante e insopportabile.

In tal modo il popolo russo diminuì gradatamente quell’unione che aveva con quello ucraino e vi sostituì progressivamente un atteggiamento di dispotismo e di dominio. Ciò provocò comprensibilmente un moto di insofferenza e di rancore degli Ucraini verso i Russi, che fece gradatamente dimenticare la loro antica origine comune nel sec. IX col battesimo di San Vladimiro, Re di Kiev e dei Russi.

Ma nel contempo non tutta l’Ucraina accettò l’ortodossia. Nel sec. XVII con San Giosafat molti Ucraini dell’ovest si unirono a Roma, formando la cosiddetta Chiesa Uniate, tuttora esistente. In tal modo l’Ucraina, da quando Kiev seguì lo scisma d’Oriente, fu sempre divisa fra cattolici ed ortodossi, prima, fino al secolo XVI, primeggianti su Mosca, ma poi, da quando Mosca si staccò da Costantinopoli, soggetti a Mosca. In tal modo quei Russi che nel sec. IX avevano avuto origine da Kiev, col sorgere della Terza Roma, si considerarono adesso dominatori dei Russi di Kiev, i quali, pertanto, cominciarono a sentirsi sempre meno Russi e sempre più Ucraini, visto che adesso erano i moscoviti a vantare di essere il modello dell’esser russo.

Col sorgere dell’Unione Sovietica, i Russi, influenzati dai comunisti, accentuarono la loro arroganza nei confronti degli Ucraini, sino al punto che negli anni 1932-33 il regime sovietico impose un piano economico di collettivizzazione della produzione agricola ucraina con tale cieca violenza, che causò una spaventosa carestia che provocò circa sei milioni di morti.

Possiamo immaginare quale spaventosa ferita da allora è rimasta nel popolo ucraino nei confronti dei Russi, quale bruciante volontà sorse negli Ucraini di scuotere il giogo sovietico, benché una parte degli Ucraini fosse comunista e non rifiutasse l’appartenenza all’Unione Sovietica.

Si ebbe allora un nuovo motivo di divisione nel popolo ucraino dopo la divisione fra cattolici e ortodossi. Adesso nasceva il contrasto fra comunisti e anticomunisti, strettamente congiunto col corrispondente contrasto fra filosovietici e antisovietici. Nel contempo emergeva come non mai l’istanza nazionalistica, coltivata in Ucraina fin dall’‘800 da poeti e letterati, in armonia con la tipica diffusione dei nazionalismi romantici ottocenteschi.

Disgrazia ha voluto che la rivendicazione nazionale Ucraina per impulso di Stepan Bandera sia avvenuta sulla falsariga del nazionalismo nazista, che allora apparve a molti Ucraini, capeggiati da Bandera, non solo come esempio di nazionalismo, ma anche come occasione per vendicare il genocidio perpetrato da Stalin, detto «holodomor», che significa «morte per fame». Fu così che Bandera appoggiò l’occupazione nazista dell’Ucraina, nella speranza, poi delusa, che i nazisti fossero i liberatori dal giogo sovietico e sollecitò le truppe ucraine ad accompagnare i nazisti nella campagna di Russia.

Si capisce che oggi i Russi abbiano un brutto ricordo di Bandera e dispiace che in Ucraina ci siano ancora molti nostalgici di Bandera. Oggi i russofoni abitanti nel Donbass e in Crimea possono lamentare una condizione di discriminazione e maltrattamento da parte del governo ucraino, mentre Bandera è considerato eroe nazionale dagli Ucraini dell’ovest, che conservano il ricordo dell’holomodor e aspirano all’indipendenza ucraina. Gli Ucraini dell’ovest, filoccidentali, viceversa lo respingono come nazista.

Bandera è odiato come nazista anche dagli Ucraini dell’est, vicini ai Russi, ormai tornati alla democrazia, per quanto ancora con accenti di dispotismo, difetto endemico del popolo russo. Occorre ricordare infatti che oggi la Russia ha abbandonato il regime sovietico ed ha introdotto la libertà politica, religiosa ed economica. Indubbiamente essa mantiene un atteggiamento imperialistico, ma non bisogna dimenticare che è arrivata la democrazia. Si è in parte realizzata la profezia di Fatima.

Oggi i nazionalisti antirussi non sono nazisti, come crede Putin, benchè simpatizzino per Bandera. Sono semmai filoccidentali, cattolici e non cattolici. Gli ortodossi ucraini restano in parte fedeli a Mosca, in parte a Kiev. Molti si sono ribellati a Mosca nel constatare la crudeltà dell’invasione russa, appoggiata dal Patriarca Cirillo.

Gli ortodossi di Kiev si sono ribellati a Cirillo e si sono accostati a Bartolomeo, Patriarca di Costantinopoli. Dunque vediamo quanto è intricata e contradditoria la situazione. Il popolo ucraino non è unito in se stesso né dal punto di vista nazionale, né dal punto di vista religioso. I filorussi si scontrano con gli antirussi.

È un popolo in conflitto con se stesso, in contrasto con se stesso. È un popolo ancora alla ricerca della propria identità ed unità. Come capita ai popoli che si trovano in mezzo ai grandi imperi: siccome fanno gola ad entrambi, sono popoli contesi. Ma ciò va tutto a loro danno. L’ideale sarebbe che proprio per trovarsi in mezzo, facessero da mediatori. Le grandi potenze Russia e Stati Uniti dovrebbero assieme mettersi a studiare la situazione dell’Ucraina, così come due medici si pongono al letto di un malato per vedere che cosa possono fare.

 Quello che auguriamo di tutto cuore all’Ucraina è che essa possa mediare fra Oriente ed Occidente, fra cattolici ed ortodossi, tra credenti e non credenti. È un popolo che ha patito in una maniera terribile nella propria carne gli orrori del comunismo e del nazismo. Parliamo pure di «popolo martire», martire dei Russi, ma anche martire di se stesso. Secondo me non sarebbe male che il Papa dicesse queste cose, per far capire il perché di questa guerra e cose che possano aiutare a trovare l’accordo e la pace.

Costruttori di pace

La pace è quella condizione di spirito che corrisponde alla piena fruizione fino alla tranquilla sazietà del bene perfetto, sì che altro non ci sia da desiderare. Per la Scrittura la pace (shalom) è in certo modo la somma di tutti i beni. Indica abbondanza, ricchezza, benessere, certezza, sicurezza, solidità, robustezza. Si basa sulla verità; nella menzogna non c’è pace. È sposa della pietà, del timor di Dio: non c’è pace per gli empi.  Richiede onestà e limpidezza; le persone doppie sono inquiete.

È innanzitutto un bene interiore che dipende dall’essere in pace con Dio e per conseguenza col prossimo. Comporta un ordine interiore di tutte le nostre forze ben connesse e in armonia fra di loro. Essa dal nostro intimo si spande all’esterno e genera pace attorno a noi.  Impossibile creare la pace se non si è in pace.

Come ho già detto, nella vita presente la pace non è un dato di fatto, ma una meta da raggiungere o un bene da conservare e difendere, perché messo continuamente in pericolo o in discussione da forze contrarie. Può essere una condizione stabile, ma va mantenuta, perché da sola non resta, ma tende a corrompersi.

Certo, si può parlare di pace anche riguardo all’ambiente nel quale viviamo: un luogo di pace, un fiume pacifico, un tempo pacifico, un clima pacifico. Ma è chiaro che queste sono solo immagini di ciò che è veramente la pace: un fatto dello spirito. La pace può riguardare la natura o anche la vita sensitiva, le passioni ma soprattutto la vita dello spirito; una coscienza pacifica, una mente pacifica, una persona pacifica, una società pacifica.

La pace è un’ardua conquista. Richiede disciplina, sforzo, fatica, coraggio, perseveranza, tenacia, avvedutezza, discernimento, prudenza, giustizia, magnanimità. Arte somma dell’uomo santo e prudente è il saper trovare e indicare le vie della pace, le condizioni della pace. Bisogna saper conoscere a fondo l’animo umano.

La pace, come la guerra, hanno delle ragioni profonde. Il costruttore di pace deve saperle scoprire. L’ideale della pace impegna tutta la propria vita. Il soldato non mette in gioco la propria vita per cose di poco conto. Per ottenere la pace occorre individuare e dissolvere o risolvere i motivi profondi che inducono un uomo a uccidere un altro uomo rischiando la propria vita. Così pure bisogna mettere in gioco la propria vita nella conquista della pace: è un bene troppo prezioso; ne vale la pena.

Quando scoppia una guerra ci si appella generalmente alla diplomazia come mezzo per la soluzione pacifica del confitto. Ma per la verità, la diplomazia serve quando i rapporti sono pacifici. Per spegnere un conflitto e procurare la pace più che la diplomazia occorre l’arte della persuasione e dell’argomentazione. Il diplomatico mette semplicemente in buona forma come rappresentante di un governo le comunicazioni fra gli Stati nei periodi di pace.

Ma se la pace è turbata dalla guerra, le passioni ribollono, gli animi sono agitati, le tragedie si moltiplicano, occorrono ben altre virtù di tempestività, saggezza, perspicacia, coraggio, autocontrollo, franchezza, prudenza, preveggenza, astuzia, riservatezza.

Un Papa, che può valersi di molti e qualificati informatori e saggi consiglieri,  può far molto nel riconoscere i motivi o le ragioni profonde morali e spirituali che inducono gli Stati a farsi guerra e a trovare le vie della pace e quindi per indicare alle parti come e perché accordarsi, su che cosa convergere, a che cosa rinunciare, che cosa possono chiedere, che cosa possono dare.

Se un Papa ha da Cristo le chiavi del regno dei cieli, se può legare e sciogliere, se è pastore, medico, giudice e maestro universale della Chiesa e luce del mondo, ambasciatore e ministro del Principe della pace, deve, in linea di principio, poter giudicare imparzialmente tra le parti, indicare le ragioni e i torti e quindi indicare le vie della pace e della riconciliazione, proporre un piano di pace.

Il problema è quello di essere ascoltato, perché purtroppo i poteri di questo mondo spesso non misurano la loro azione bellica o non bellica con la stessa unità di misura umana ed evangelica usata dal Papa. Se coloro che hanno scatenato le due guerre mondiali avessero dato ascolto agli avvertimenti ed alle esortazioni rispettivamente di San Pio X e di Pio XII su come riparare alle ingiustizie e risolvere pacificamente i gravi problemi dell’Europa, le due guerre mondiali non sarebbero scoppiate.

Ma quando i Papi si trovano davanti a potenze orgogliose fondate sulla superbia, sulla volontà d potenza e sul disprezzo per la legge divina, che cosa possono fare se non invocare la pace e condannare la guerra? Minacciare i castighi divini li farebbe ridere. Non resta loro che invocare la pace e condannare la guerra auspicando trattative di pace.

Ma siccome la pace la vogliono non secondo giustizia e clemenza, ma secondo le loro mire imperialistiche o espansionistiche, il Papa non entra a definire come dovrebbe essere quella pace, perché sa che non sarebbe ascoltato. Per questo Papa Francesco si limita alle stesse frasi generiche, non perché non sappia che l’azione non discende immediatamente dall’astratto, ma perché sa che quel concreto che egli auspicherebbe non sarebbe accettato.

E ciò gli arreca tanto più dolore, quando vede che la guerra è promossa e per giunta con crudeltà da un capo di governo che si dice cristiano ed è approvata niente meno che dal Patriarca di tutte le Russie, Cirillo. Sono certo tuttavia che un fatto sconcertante come questo non scoraggia il Papa, il quale ha di recente inviato il Card.Zuppi come suo rappresentante da Cirillo per un colloquio ecumenico nel quale certamente i due hanno parlato del significato della guerra, senza che però nulla sia trapelato del contenuto del colloquio.

In ogni caso dobbiamo pensare che il detto colloquio sia servito per il raggiungimento della pace attraverso un fraterno e franco confronto della posizione cattolica, che sostiene la difesa ucraina, con la posizione ortodossa, che appoggia l’intervento russo.

«Vi lascio la pace, vi do la mia pace» (Gv 14,27)

La pace che Cristo lascia ai suoi prima di tornare al Padre, è «il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome. Egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (vv.26-27).

Gli apostoli restano turbati nell’apprendere che Gesù si accinge a lasciarli. Perdono la loro pace, che era data dalla presenza del Signore. Gesù suppone che la pace s’identifichi con la tranquillità dell’animo che sorge dalla nostra percezione della sua presenza. La tranquillità è data dal fatto che le cose sono nell’ordine, stanno al loro posto, sono come devono essere. Opera della giustizia è la pace.

La giustizia comporta la convenienza di due termini: ciò che fa da regola e ciò che è regolato secondo quella regola. Comporta dunque un accordo, una corrispondenza, un’armonia. Ecco perché il contrario della pace è quel turbamento o sconvolgimento che nasce dal disordine, dalla mancata conformità del regolato alla regola, dal conflitto del regolato con la regola perchè il regolando non è regolato.

Ecco dunque la guerra, L’animo turbato patisce una guerra interiore, la perdita o la rottura dolorosa dell’ordine e della tranquillità interiori che sperimentava nella sua unione con la persona amata, che adesso sembra abbandonarlo. Una forza ostile sembra intervenire a togliere la pace.

L’animo degli apostoli si turba e si spaventa. Sono questi i momenti nei quali suole intervenire il divisore, l’omicida, il menzognero, lo spirito dell’odio e della guerra. Ma Gesù prontamente interviene: «Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (v.27). Gesù deve separarsi da loro, la sua separazione è proprio la condizione che Gli consentirà di inviare lo Spirito da presso il Padre. Ma nell’intervallo della sua assenza, fino a che tornerà, sarà presente lo Spirito della Pace, al posto di quella pace che già emanava dalla presenza del Signore.

Ma qual è il contenuto o il valore di questa pace che non è più semplice conquista umana, ma dono del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo? Anzi questo stesso Spirito è la Pace che Cristo dona ai suoi? È la stessa Pace divina. È Dio stesso, Dio Figlio e Dio Spirito, da parte del Padre, Dio della pace.

La pace che dona Cristo non è la pace che dà il mondo. Questa è falsa e ingannevole. Essa è inclusione di ciò che dev’essere escluso, è accoglienza di ciò che dev’essere respinto, è un ponte laddove ci dev’essere il muro, è accordo laddove dev’esserci il dissenso, è l’approvazione di ciò che dev’essere condannato, è l’amore di ciò che dev’essere odiato, è il gusto di ciò che deve fare schifo, è l’abbraccio a ciò che dev’essere fuggito, è la lode di ciò che dev’essere combattuto. È la mescolanza di Cristo e Beliar.

«Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio!» (Mt 5,9). È l’unica delle beatitudini evangeliche che fanno riferimento alla figliolanza divina. Qui Gesù per la prima volta annuncia la possibilità di diventare figli di Dio, che è tutta l’essenza della vita cristiana, in mezzo ad altre beatitudini, che si limitano a citare virtù umane, se si esclude quella circa la visione di Dio riservata ai puri di cuore, visione che suppone la figliolanza divina e quella relativa agli umili nello spirito (v.3), perché solo ai figli di Dio è riservato il regno dei cieli.

Gesù vuol mettere in evidenza che operare la pace è opera divina. È qui che si misura la virtù del cristiano. Tanto più scandalosa è la guerra in Ucraina, la quale, come purtroppo già avvenne nelle guerre di religione e nelle stesse due guerre mondiali, oppone cristiani a cristiani.

Ma la guerra decisiva è la guerra della Donna contro il Drago della quale parla il c.12 della Apocalisse, la guerra decisiva è quella di Cristo contro Satana. In questa guerra il trionfo finale spetta a Cristo ed alla sua Chiesa e «le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Mt 16,18).

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 20 luglio 2023

 

La pace è quella condizione di spirito che corrisponde alla piena fruizione fino alla tranquilla sazietà del bene perfetto, sì che altro non ci sia da desiderare.

È innanzitutto un bene interiore che dipende dall’essere in pace con Dio e per conseguenza col prossimo. Comporta un ordine interiore di tutte le nostre forze ben connesse e in armonia fra di loro. Essa dal nostro intimo si spande all’esterno e genera pace attorno a noi.  Impossibile creare la pace se non si è in pace.

Nella vita presente la pace non è un dato di fatto, ma una meta da raggiungere o un bene da conservare e difendere, perché messo continuamente in pericolo o in discussione da forze contrarie. Può essere una condizione stabile, ma va mantenuta, perché da sola non resta, ma tende a corrompersi.

Certo, si può parlare di pace anche riguardo all’ambiente nel quale viviamo: un luogo di pace, un fiume pacifico, un tempo pacifico, un clima pacifico. Ma è chiaro che queste sono solo immagini di ciò che è veramente la pace: un fatto dello spirito. La pace può riguardare la natura o anche la vita sensitiva, le passioni ma soprattutto la vita dello spirito; una coscienza pacifica, una mente pacifica, una persona pacifica, una società pacifica. 

La pace è un’ardua conquista.

Immagini da Internet:
- “Madonna della Pace”, Pinturicchio
- Dipinto, Manuel Pablo Pace

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