La gnoseologia di Lutero - Prima Parte (1/2)

La gnoseologia di Lutero

Prima Parte (1/2)

«appartengo al partito di Ockham»[1]

La teologia di Lutero non ha preoccupazioni speculative e di indagine razionale come quella San Tommaso, ma è mossa da uno stato emotivo di entusiasmo e commozione davanti al mistero di Cristo Salvatore e quindi da interessi eminentemente soteriologici e kerygmatici.

Essa si muove sul solco della sensibilità agostiniana dell’io che si pone davanti a Dio nel dialogo, nell’ascolto, nella riflessione, nell’annuncio, nella testimonianza personale. Nasce dal dialogo personale con Dio. Il Dio di Lutero non è il Dio in sé, ma il Dio in-me e il Dio-per-me. Non è il Dio della ragione naturale, ma è Cristo, è lo Spirito Santo. È Dio Padre misericordioso che giustifica distogliendo lo sguardo dai nostri peccati e guardando alla giustizia del Figlio incarnato.

Lutero non s’interroga sulla natura della conoscenza; semplicemente pratica il suo modo d’intendere il sapere senza riflettere e senza chiedersi se il suo modo di pensare è o non è corretto. Per questo egli non ci offre una gnoseologia esplicita; non ci dice come funziona l’intelletto o la ragione nella conoscenza della realtà. La sua gnoseologia la ricaviamo dall’esame del modo col quale egli esercita il suo pensare.

Lutero non ha interessi filosofici o scientifici. Certamente è interessato a sapere che cosa è l’uomo, tuttavia non sotto il profilo filosofico, ma sotto quello  di ciò che deve normare la sua condotta morale. In particolare lo interessa il suo rapporto personale con Dio. Lo interessa non tanto ciò che egli trova nella realtà esterna, ma ciò che egli trova nella sua coscienza. E perché questo interesse per la coscienza? Perché essa gli denuncia di trovarsi in peccato, perché essa si sente rimproverata da Dio, perché essa gli fa notare la sua incapacità a fare il bene, perché essa gli fa temere la dannazione.

Come liberarsi da tutto ciò? Dalla Scrittura rettamente interpretata viene la luce, la consolazione, la pace. Lutero è fermamente convinto che la Scrittura è Parola di Dio, quindi verità assoluta sull’uomo, sulla morale, su Dio.  Egli ritiene tuttavia che per interpretare la Scrittura sia certamente utile essere dottori in teologia: egli è fiero del suo titolo di dottore e se ne vanta. Tuttavia egli sostiene anche che il semplice e comune fedele è anch’egli abilitato, grazie allo Spirito Santo presente in lui, a comprendere infallibilmente il senso della Scrittura. Ma nel contempo Lutero ritiene che il suo titolo di dottore sia sufficiente, e che quindi non occorra come ultima istanza il Magistero della Chiesa, che secondo lui non è infallibile, ed anzi uno dei punti fondamentali della sua teologia sta appunto nel sostenere che la Chiesa del passato si è sbagliata su alcuni temi, mentre lui è convinto di aver trovato la verità perché ispirato direttamente da Dio e quindi di essere un grado di smentire il Magistero della Chiesa.

Il grande tema della coscienza

Lutero nel sec. XVI ha fatto balzare in primo piano la questione della coscienza personale in teologia. Noi attingiamo alla verità del reale in due modi: inizialmente mediante la conoscenza diretta sperimentale delle cose e delle persone che ci circondano. Qui scopriamo con i sensi e con la ragione cose che, applicando il principio di causalità, ci portano alla scoperta della spiritualità dell’anima e dell’esistenza di Dio; e successivamente, riflettendo sui nostri atti e su noi stessi, attuiamo una conoscenza della verità mediante un sapere riflesso, guardando a ciò che c’è in noi e al nostro io. Abbiamo allora la coscienza e l’autocoscienza.

Qui ci troviamo davanti a certezze morali, che possono essere sbagliate ma noi non ce ne accorgiamo. Ebbene, San Tommaso insegna che comunque devono essere seguite[2]. Alla famosa Dieta di Worms del 1521 nella quale le autorità gli imposero di ritrattare i suoi errori, Lutero si rifiutò dicendo che non poteva andare contro la sua coscienza.

Noi però abbiamo motivo di chiederci se era sincero, dopo che in molti modi buoni teologi gli avevano mostrando che stava sbagliando. L’impressione che abbiamo è che qui Lutero sia partito da un concetto sbagliato, occamistico, di coscienza, come se in essa la regola della verità non fosse il dato oggettivo universale, ma la propria volontà individuale, il proprio io. La certezza soggettiva della coscienza, se non siamo leali con noi stessi, può diventare soggettivismo e allora non ci sono scuse per l’errore.

Il Papa, per Lutero, non ha il compito di chiudere definitivamente le questioni dottrinali così da stabilire per sempre il senso di una data proposizione della Scrittura o della Tradizione, ma semplicemente l’ufficio di pastore universale della Chiesa. Non è la guida dottrinale della Chiesa perché il Popolo di Dio, assistito dallo Spirito, sa già da sè qual è la verità e la conserva nella storia conducendola sempre meglio. Inteso così, Lutero non ha difficoltà ad accettare il Papa.

 Lutero crede fermamente nell’esistenza della verità e di una verità oggettiva, universale ed immutabile, ma solo per quanto riguarda la rivelazione biblica. Di tale verità è invece incapace la ragione. Egli infatti dubita che la ragione possa cogliere la verità nelle cose che riguardano Dio e il destino dell’uomo. Per lui la verità su Dio e l’uomo viene solo dalla Scrittura, nei confronti della quale occorre porsi in un atteggiamento di fede e di ascolto.

Lutero non ci dà mai una definizione della ragione, ma si vede che, alla scuola di Ockham, non vede nella ragione una facoltà di darci delle certezze religiose.  Essa ce le dà nell’ambito delle cose di questo mondo, ma non riguardo a quelle del cielo, a ciò che riguarda gli interessi della nostra salvezza eterna. Come osserva il Maritain, per Lutero

«la ragione vale in un ordine esclusivamente pragmatico, per l’uso della vita terrestre. Dio non ce l’ha data se non “perché essa governi quaggiù; che è quanto dire che essa ha il potere di legiferare e di comandare su tutto ciò che riguarda questa vita, come il bere, il mangiare, il vestirsi, come pure tutto ciò che riguarda la disciplina esteriore e una vita onesta”[3]. Ma nelle cose spirituali essa è non soltanto “cieca e tenebre”[4]; essa è veramente “la puttana del diavolo. Essa non può che bestemmiare e disonorare quanto Dio ha detto o fatto”[5]; essa è “il più feroce nemico di Dio”[6]»[7].

Lutero scambia il filosofo edificatore della teologia naturale, come fu Aristotele, con quell’«uomo psichico» (psychikòs) – potremmo dire «carnale» -, «che non capisce le cose dello Spirito» (I Cor 2, 14). La traduzione della CEI con uomo «naturale» è sbagliata, perché Paolo non se la prende con la ragione naturale come tale, ma contro un modo carnale e sofistico di usare la ragione. Se la ragione naturale di un uomo in buona fede non conosce il Vangelo, questa ragione non ha nessuna colpa, ma anzi è proprio nelle condizioni di ricevere la luce della fede.

Tutto sta a vedere che uso si fa della ragione: se la si usa bene, essa introduce alla fede; se la si usa male, blocca il cammino verso la fede o fa perdere la fede. Un conto è il modo di ragionare di Lucrezio, di Ockham, di Hobbes, di Cartesio, di Hume, di Kant, di Voltaire, di Hegel, di Darwin, di Spencer, di Comte, di Feuerbach, di Marx, di Carnap, di Bertrand Russell, di Severino; e un conto è il modo di ragionare di Socrate, di Platone, di Aristotele, di Seneca, di Cicerone, di San Giustino, di San Giovanni Crisostomo, di Sant’Agostino, di Boezio, di San Tommaso, del Gaetano, di Garrigou-Lagrange, del Maritain, del Maggiolo, del Daffara, del Tanquerey, del Nicolas, dello Zacchi, del Van Noort, del Cordovani, del Landucci o di Tomas Tyn.

La polemica di Lutero contro la ragione non sembra essere contro la ragione come tale, ma sembra che egli polemizzi contro quello che egli ne considera un uso sofistico, contro quella ragione superba e piena di se stessa che acceca la sguardo. L’intento non era male, perché è verissimo che nella storia della filosofia vi sono sempre stati filosofi che hanno dato troppo potere alla ragione o l’hanno usata come mezzo per diffondere l’errore.

Ma il guaio fu che Lutero nella sua polemica contro la ragione sbagliò completamente il bersaglio prendendosela con Aristotele e San Tommaso, i quali, se in tutta la storia della filosofia esistono maestri nell’uso della ragione, questi sono proprio quei due grandi maestri di sapienza. Viceversa Lutero s’impegolò nella gnoseologia di Ockham, basata su di un concetto empirista di ragione, sensibile solo all’individuo, alle emozioni e alla volontà ed ignorante rispetto ai diritti dell’intelletto e dell’universalità del sapere.

Contro Aristotele, ma non troppo

Nella sua polemica contro Aristotele, tuttavia, Lutero si muove con abilità ed astuzia. Per capire veramente l’atteggiamento di Lutero nei confronti di Aristotele non basta considerare le sue truculente esternazioni, ma occorre considerare la sua amicizia con Melantone, che era un raffinato umanista aristotelico. La cosa a tutta prima sorprende, ma se conosciamo bene il modo di condursi di Lutero, non ci stupiremo più di tanto, perché, a differenza dei santi, ai quali interessa solo la verità, indipendentemente dalle conseguenze incresciose che ciò può comportare, sapeva destreggiarsi a fare i suoi calcoli per evitare rischi o danni dall’ambiente teologico e politico del suo tempo, tuttora legato alla visione aristotelica del mondo, non come oggi in cui l’aristotelismo conta quanto l’asso di briscola.

Per questo Lutero non trascura del tutto Aristotele, ben consapevole dei vantaggi terreni e politici e scientifici che offre la sua filosofia. Per questo, nella storia del luteranesimo i seguaci del maestro, accanto alla polemica antiscolastica, terranno sempre un occhio rivolto ad Aristotele per il suo robusto realismo, la serietà della logica, il rispetto della scienza sperimentale, la promozione della tecnica e dell’economia, nonché l’organizzazione della società e l’amministrazione della giustizia. Dove Aristotele è trascurato è proprio là dove sarebbe più utile: nella psicologia, nella gnoseologia, nella metafisica e nella teologia.

La gnoseologia di Lutero subisce l’influsso di quella di Ockham, il quale, col pretesto che l’ente effettivamente esistente è l’ente singolo concreto, respingeva come oggetto dell’intelletto l’essenza astratta, che per lui era un impoverimento del dato reale e vantava una conoscenza intuitiva e sperimentale dell’ente singolo esistente, si trattasse della stessa sostanza spirituale o divina, mentre derideva il ragionamento metafisico e respingeva la dimostrazione della esistenza dello spirito mediante il principio di causalità e l’analogia dell’ente.

Dunque in Ockham, sotto le vesti di un rigoroso ragionatore che con la ragione infirma il potere della ragione, si nascondeva niente più che un sensista e un materialista incapace di elevarsi non solo alla trascendenza della realtà spirituale, ma neppure ad una vera scienza della realtà materiale, che egli riduceva a semplice conoscenza di una collezione di fatti empirici simili unificati e designati da un nome comune, mentre d’altra parte nel campo del sapere morale sostituiva la volontà all’intelletto come criterio di verità, sicchè veniva fuori che la legge morale non era basata sulla conoscenza del bene, ma il bene  dipendeva dalla volontà. In morale, quindi, non è bene ciò che è oggettivamente bene, ma è bene ciò che decido io essere bene.

Un simile modo di concepire la ragione che ignora l’oggettività dell’universale, di per sè impedisce la scienza e conduce allo scetticismo. Ockham fingeva di rimediare a questo gravissimo inconveniente appellandosi alla verità della fede, ma non sfuggiva comunque allo scetticismo, che non poteva non infirmare anche le sue vantate certezze di fede, giacchè, se è impossibile la verità di ragione, è impossibile anche la verità di fede.

Fine Prima Parte (1/2)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 21 giugno 2023

 

 

La polemica di Lutero contro la ragione non sembra essere contro la ragione come tale, ma sembra che egli polemizzi contro quello che egli ne considera un uso sofistico, contro quella ragione superba e piena di se stessa che acceca la sguardo.

L’intento non era male, perché è verissimo che nella storia della filosofia vi sono sempre stati filosofi che hanno dato troppo potere alla ragione o l’hanno usata come mezzo per diffondere l’errore.

Ma il guaio fu che Lutero nella sua polemica contro la ragione sbagliò completamente il bersaglio prendendosela con Aristotele e San Tommaso, i quali, se in tutta la storia della filosofia esistono maestri nell’uso della ragione, questi sono proprio quei due grandi maestri di sapienza.

Viceversa Lutero s’impegolò nella gnoseologia di Ockham, basata su di un concetto empirista di ragione, sensibile solo all’individuo, alle emozioni e alla volontà ed ignorante rispetto ai diritti dell’intelletto e dell’universalità del sapere.

Immagine da Internet: Lutero

[1] Famosissima ed esplicita dichiarazione di Lutero, estremamente significativa e che trova perfetto riscontro nel suo modo di ragionare ed argomentare, in barba al suo dichiararsi indipendente dalla filosofia ed unicamente vincolato alla Parola di Dio.

[2] Sum. Teol., I-II, qq.18-19.

[3] Weim, XLV, 621, 5-8 (1538).

[4] Weim.,XII, 319, 86 320, 12.

[5] Weim., XVIII164, 24-27 (1524-1525).

[6] Weim., XL, P.I, 363, 25.

[7] Tre Riformatori, Morcelliana, Brescia 1964, p.72.

2 commenti:

  1. Ockam respinge la dimostrazione della esistenza dello spirito mediante il principio di causalità. Cosa risponderebbe se gli si chiedesse l’origine dello spirito umano (e anche del mondo materiale?) Anche se rispondesse che sono eterni sia mondo che spirito umano non sarebbe sempre un’applicazione del principio di causalità? Nel senso che sarebbero causa sui, anche se la causa sui è in sé contraddittoria? Grazie padre. Francesco Orsi

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    1. Caro Francesco,
      Ockham non ammette una dimostrazione incontrovertibile dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima, perchè, preso com’è dall’eccessiva importanza che egli dà all’esperienza sensibile del singolo ente, non è capace di afferrare la necessità logica, che suppone la percezione dell’universale, per cui egli si rifugia nel mondo della probabilità e, per trovare la certezza, egli si appiglia in modo fideistico alla fede.
      Per quanto riguarda la causa sui, essa non esiste in Ockham, ma appare con Cartesio. Inoltre Ockham non ammette che il mondo esista ab aeterno, perché accetta il dato di fede che il tempo ha avuto inizio.
      Considerando tuttavia la causa sui, certamente si tratta di una assurdità, perché la causa dovrebbe essere simultaneamente prima e dopo l’effetto: prima dell’effetto, come causa, e dopo l’effetto, perché dovrebbe essere causata da se stessa.
      Quindi dire che il mondo e lo spirito umano sono causa sui, è chiaro che è una assurdità e c’è di mezzo la negazione di Dio.

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