Galileo, Cartesio e Giordano Bruno - Dominio tecnico e dominio magico sulla natura - Quarta Parte (4/5)

 Galileo, Cartesio e Giordano Bruno

Dominio tecnico e dominio magico sulla natura

 

Quarta Parte (4/5)

La magia è frutto della gnosi e promuove il panteismo

La fiaccola della magia non si spense col Rinascimento ed essa fu raccolta dalla massoneria che di lì a due secoli sarebbe sorta a Londra nel 1717, certamente non senza il ricordo della sua permanenza di Bruno ad Oxford[1]. Ed inoltre gli idealisti tedeschi, eredi anch’essi dei Fratelli della Rosa-Croce[2],  non mancarono di accorgersi di esser stati preceduti da Bruno, come per esempio Hegel e Schelling, che dedicò a Bruno addirittura un libro in forma di dialogo[3].  Schelling assume come Bruno dalla Kabbala, che Dio ha un corpo. È la stessa idea che si trova in Spinoza, di Dio come unica Sostanza composta di pensiero ed estensione. È, in fondo, il concetto stesso cartesiano dell’uomo, qui inteso come unica sostanza anziché abbinamento di res cogitans e res extensa.

Per Schelling Dio non è puro spirito distinto dalla natura e trascendente la natura, ma è spirito che si fa natura, mentre questa a sua volta è spirito primordiale o iniziale, germinale, inconscio e latente, che sale, evolve e si trascende per manifestarsi come spirito e come coscienza. Schelling in ciò riassume perfettamente la visione panteistica di Bruno quando illustra la sua concezione della natura in questi termini. Per questo egli può dire:

 

«Questa potenza divina che comprende l’insieme non contiene soltanto la natura, ma anche il mondo spirituale e l’anima che risiede sopra di loro. Così loro stessi ricevono con questa riunione una relazione spaziale. La vecchia credenza in un luogo, un domicilio degli spiriti ritrova la sua importanza e la sua conferma nuove. Questa è l’intenzione finale, che tutto sarà condotto e trasformato per quanto è possibile in forma visibile, figurata e corporale. La corporalità è secondo un detto degli antichi lo scopo delle vie di Dio, che vuole manifestare se stesso sia nello spazio o nel luogo che nel tempo»[4].

 

«Va da sé che lo stato generale della natura durante questo processo, nel quale la vita divina secondo la volontà suprema dovrebbe realizzarsi in questo mondo esteriore, non potrebbe essere uno stato fisso e stazionario, ma un divenire eterno, un’evoluzione permanente. Ma tuttavia questa evoluzione ha il suo scopo e questo scopo è per la natura il pervenire a un’essenza perfetta, di una corporalità spirituale.

 

Ma anche se la natura non può giungere alla sua espansione suprema che nell’ultima tappa della sua evoluzione, essa tuttavia non è in ogni momento di quest’ultima già come tale un essere corporale o spiritualizzato, che immergendosi nel superiore e abbandonandovisi totalmente, si trasforma vicino a lui, in materia, ma ben inteso una materia che è al confronto della nostra tutto spirito e tutta vita»[5].

 

«Quello di più profondo e di originale che noi vediamo procedere da questa ineffabilità dell’essere divino e divenire manifesto, è questa potenza dell’origine che attira e abbraccia l’essere e lo respinge nel nascosto e nel celato. Il testo originale della Scrittura chiama cielo e terra l’espansione della potenza divina e fa allusione con ciò al fatto che una volta l’universo intero visibile si trovava in questa negazione e che fu tirato fuori da un’evoluzione posteriore[6]. Ma è a causa di ciò che l’universo si trova ancora sempre in essa e ancora ora questa negazione primordiale è la madre e la nutrice dell’intero mondo visibile»[7].

 

«Dio non è senza spazio, non è senza tempo, non è senza automovimento, senza passività e senza recettività, non è senza specchio, senza splendore: tutto ciò che la creatura possiede di qualità, d’organismo, di figurazione, di trasformazione nel suo corpo, tutto ciò fino all’ultimo punto Dio lo ha nello spirito»[8].

 

Per Bruno, come sarà per Spinoza e per Schelling, tra Dio e la natura non c’è il rapporto causale che esiste tra il Creatore e la creatura. La natura non è creata da Dio dal nulla, né Dio potrebbe esistere senza la natura, perché Dio e natura sono un’unica Sostanza, un unico Ente, un unico Tutto, come già in Parmenide. E per Hegel sarà la stessa cosa: il Soggetto o il Concetto.

La natura si fa Dio e Dio si fa natura. L’uomo è il punto di passaggio fra i due termini. Egli sale verso Dio nello spirito; scende verso il basso come natura. Dio si fa natura nell’uomo e la natura si fa Dio nell’uomo. In tal senso il potere magico di operare e salire a Dio e di operare il divino caratterizza l’essenza stessa dell’uomo.

Mentre tuttavia l’uomo in Bruno e Schelling vuole ed agisce con forza divina, per cui ecco l’ideale magico, in Spinoza la volontà umana viene a coincidere con l’intelletto che contempla l’ordine necessario della Sostanza divina, per cui in Spinoza c’è la gnosi, ma non la magia. Mentre in Bruno e Schelling il sapere è ridotto al potere, in Spinoza il volere è ridotto al sapere.

A partire da Cartesio lo sviluppo dell’idealismo va di pari passo col progetto prometeico dell’uomo di sostituirsi a Dio o di essere un dio prima nel dominio della natura e alla fine, nella creazione stessa di se stesso e della natura. È chiaro che l’idealista resta comunque ben consapevole della falsità di questi suoi sogni. Ma gli piace farli ugualmente proprio per il fatto che gli piace vivere nella fantasia al di fuori della realtà, ovvero, come potremmo dire oggi nell’era telematica, gli piace vivere nella «realtà virtuale».

Così per esempio Fichte immagina che l’io pone se stesso in antitesi al non-io all’interno di se stesso. Marx concepisce l’uomo come effetto del suo stesso lavoro, per il quale egli, in forza dell’attività rivoluzionaria, «concilia la sua essenza con la sua esistenza».

Alla prospettiva della magia non sfugge nemmeno Hegel, laddove concepisce la natura come emanazione dello spirito:

 

«L’idea, la quale è per sé, considerata secondo questa sua unità, è intuire; e l’idea intuitrice è natura. Ma, come intuizione, l’idea è posta nella determinazione unilaterale dell’immediatezza o negazione, per mezzo della riflessione estrinseca. L’assoluta libertà dell’idea è però che essa non trapassa solo nella vita, né solo come conoscere finito lascia apparire la vita in sé; ma nell’assoluta verità di se stessa, si risolve a lasciar uscire liberamente da sé il momento della sua particolarità o del suo primo determinarsi e del suo essere altro: l’idea immediata che è il suo riflesso, come natura»[9].

L’idea ovvero lo spirito si nega come spirito, si estroflette, si esteriorizza, si autoparticolarizza, si autodetermina, si materializza come natura e torna in sé come spirito. Il che vuol dire che lo spirito umano come idea assoluta concepisce, progetta, pone, produce ed emana da sé la natura e quindi l’universo materiale.

Il filosofo che meglio di ogni altro ha esplicitato fino alle ultime conseguenze il significato del cogito cartesiano, è Giovanni Gentile, che riassume qui in potenti espressioni questo significato ultimo, che rappresenta l’aspirazione massima del pensiero magico e con ciò stesso della superbia dell’uomo:

 

«Se l’idea è idea o ragione della cosa, la cosa dev’essere prodotta dall’idea: il pensiero che è vero pensiero deve generare l’essere di cui è pensiero.  Questo è appunto il significato del cogito cartesiano: io – questa realtà che io sono, la più certa che io possa avere e, abbandonata la quale, smarrirò ogni possibilità di accertarmi di una realtà qualsiasi; il solo punto fermo, al quale io possa legare il mondo che penso – quest’io sono in quanto penso: lo realizzo, pensando, con un pensiero che è il pensiero (l’esatto pensiero) di me. L’Io, infatti, non è se non autocoscienza, non come coscienza che presuppone il Sé, suo oggetto, anzi come coscienza che lo pone»[10].

Gentile ci dice che la potenza del mio pensarmi è tale, che io pongo in essere il mio stesso io e con ciò tutto ciò che penso, ossia il reale nella sua totalità, che da questo io è dedotto e perciò fondato. È quella che Gentile chiama «autoctisi».

Senonchè, come ho dimostrato in miei precedenti studi, il cogito cartesiano non fonda nessuna certezza oggettiva, ma una certezza forzata, quindi falsa, provocata cioè non dall’intelletto necessitato dall’evidenza oggettiva dell’ente sensibile esterno che mi sta di fronte (ob-iectum), che sento con i miei sensi, intendo e concepisco con mio intelletto (quidditas rei materialis), ma dalla volontà arbitraria e ingiustificata di prender posizione a proprio favore.

Infatti Cartesio non è certo di pensare, come vorrebbe darci ad intendere, ma è certo di dubitare, dunque una certezza che non serve a niente. E come esce dal dubbio? Semplicemente tornando al realismo spontaneo della ragione, precedentemente e stoltamente messo in dubbio.

Da qui la certezza del sapere matematico, che lo conduce alle sue geniali scoperte di questo campo e in quello della fisica, a somiglianza di Galileo. Ma nel campo della gnoseologia e quindi della metafisica egli, a causa del suo soggettivismo scettico falsamente mascherato da certezza, torna all’antica sofistica greca, già confutata da Aristotele, come fece notare Heidegger a suo tempo, e per conseguenza apre nella prassi la strada alla magia, assegnando alla volontà umana un potere sui corpi ridotti a res extensae, potere che ad essa non compete, ed illudendo quindi l’uomo di raggiungere un potere sulla natura che compete solo a Dio.

Il problema del transumanesimo

Da alcuni decenni è entrato in circolazione nel linguaggio dell’antropologia e dell’etica il termine di «transumanesimo», che rappresenta un concetto di uomo, la cui forza  o potenza consisterebbe non solo nella possibilità di fare dell’infinito l’oggetto della sua scienza e della sua volontà, - cosa che effettivamente costituisce il pregio della dignità umana -, ma nella possibilità di diventare egli stesso infinito, ossia la possibilità di ottenere con le proprie forze la condizione di infinità come pienezza e perfezione finale della sua stessa esistenza, con evidente confusione tra il pensare e l’essere, che è la caratteristica dell’idealismo panteista, le cui origini si trovano in Occidente in Parmenide e in Oriente nel Vedanta della filosofia indiana.

Si confonde l’autotrascendenza gnoseologica con un’assurda autotrascendenza ontologica, che verrebbe a superare la finitezza della natura umana e a identificarla con l’infinità della natura divina. In questa visuale l’uomo avrebbe sulla sua natura e su quella della natura esterna non solo un potere di farne uso, cosa del tutto normale e legittima, ma anche un potere di determinazione ontologica, tale da renderlo capace di ottenere dalla natura umana ed esterna prestazioni e poteri superiori a quanto è attestato dall’ordinaria esperienza e dalla normale scienza fisica galileiana, poteri superiori,  che sarebbero la messa in pratica di una gnosi suprema, che l’uomo possederebbe celata nel subconscio, e che con un opportuno metodo maieutico, si tratterebbe di portare alla coscienza onde sfruttarla nelle sue applicazioni pratiche a beneficio dell’umanità. Non si tratta, in fondo, che dell’antico sogno gnostico nella conoscenza e magico nella prassi. È l’antica prospettiva suggerita dal serpente nell’eden ai nostri progenitori.

Il transumanesimo apre la possibilità dell’ipotesi dell’esistenza della persona extraterrestre, che si suppone dotata di un’intelligenza e potenza superiori a quella della persona terrestre. Ho già mostrato a più riprese in questo blog, anche nel dibattito con i lettori, come tale ipotesi è insostenibile sia per motivi filosofici, che per motivi teologici:

1) per motivi filosofici, perché non può esistere una persona ontologicamente intermedia fra l’animale ragionevole e l’angelo. Infatti, tra la forma spirituale sussistente, che caratterizza l’angelo e quella che dà forma al corpo, costituendo l’essere umano, non esistono forme intermedie, perché le due forme si distinguono per sic et non; o col corpo o senza corpo.

2) Per motivi teologici, la rivelazione cristiana ci ricorda il fatto del peccato originale, che colpisce l’intera umanità, peccato la cui colpa si trasmette per generazione, e il cui rimedio, la grazia di Cristo, è atto a raggiungere l’intera umanità. In base a questi dati risulta impensabile che in altri pianeti possano esistere persone che non siano provenienti da questa terra, dovendo anch’esse essere infette dal peccato e salvate dalla grazia.

Il transumanesimo si può confrontare col superuomo di Nietzsche. L’uno e l’altro vedono l’uomo come divinità della natura, che supera l’animalità con la potenza plasmatrice dello spirito in una instancabile scalata a gradi sempre più alti dell’essere. La differenza è data da due elementi: primo, il transumano mira a un’umanità superiore collettivamente presa; il superuomo è il dominatore della massa umana soggetta alla sua volontà di potenza. Secondo, il transumano è l’effetto della tecnica. Il superuomo è effetto della sua volontà di potenza.

In sostanza il transumanesimo, se si prescinde dai reali innegabili e grandi vantaggi che può offrire un saggio sviluppo ed uso dell’informatica, non è che il frutto di una mentalità idealista che ci conduce fuori della realtà e ci fa scambiare la realtà col sogno e con l’immaginazione.

L’uomo proposto dal transumanesimo, come quello di Nietzsche, di Darwin o di Hegel, derivato da Cartesio e dall’idealismo che da lui deriva, non è l’uomo reale, in carne ed ossa, con i suoi limiti e la sua grandezza, i suoi poteri e le sue debolezze, ma è un idolo o un dio pagano, un Apollo, un Ermete o un Mercurio, è un ente fantastico e sognato, un ente immaginario sorgente o di speranze illusorie o di terrori irragionevoli, un personaggio mirabolante e prodigioso e superdotato come quello dei film di fantascienza americani, come il «Batman» dei giornaletti che usavano quando era ragazzo, un essere sognato che ci conduce nella «realtà virtuale», fuori dalla coscienza dei nostri doveri, responsabilità e possibilità reali, è un mostro fatto per spaventare le persone fragili e per gonfiare di superbia gli smaniosi di primeggiare sugli altri e farsi la fama di geni e salvatori dell’umanità.

Benedetto XVI e Papa Francesco

mettono in guardia nei confronti del transumanesimo

 

Il Card. Ratzinger in un discorso ai preti e seminaristi a Palermo il 15 marzo del 2000, mise in guardia nei confronti della fiducia illusoria che la macchina possa sostituirsi all’uomo e denunciò con orrore la prospettiva di ridurre l’uomo a una macchina:

 “Le macchine che sono state costruite impongono questa stessa legge, questa stessa legge che era adottata nei campi di concentramento. Secondo la logica della macchina, secondo i padroni della macchina, l’uomo deve essere interpretato da un computer, e questo è possibile solamente se l’uomo viene tradotto in numeri. La Bestia è un numero, un essere, certo, ma un numero, e ci trasforma in numeri. Dio nostro Padre invece ha un nome, e chiama ciascuno di noi per nome. È una persona, e quando guarda ciascuno di noi vede una persona, una persona eterna, una persona amata”.  

Nel 2005 Benedetto XVI ai cardinali del Consiglio per la pastorale della salute ripeteva che

«occorre guardarsi dai rischi di una scienza e di una tecnologia che si pretendano completamente autonome nei confronti delle norme morali inscritte nella natura dell’essere umano», mentre nel 2015 - come sottolinea L’Osservatore Romano nel commento alla lettera apostolica  Laudato Si’ Papa Francesco propone, precisando il discorso di Benedetto “una ecologia integrale nel cui orizzonte l’umano viene investito del compito di cura complessiva del creato,” concetto di quella che il papa chiama “ecologia integrale”, che consiste nella piena armonia personale e comunitaria dell’uomo con la natura, razionalmente utilizzata mediante gli strumenti sempre più avanzati della tecnica  a lode e gloria di Dio creatore e saggio governatore del mondo»[11].

Wikipedia[12] dà altresì notizia di una serie di atti e di contatti avuti dal Sommo Pontefice con alti esponenti del transumanesimo, al fine di valorizzare quanto di positivo può trovarsi in esso per il bene dell’uomo, mentre il Santo Padre ci avverte con chiarezza dei pericoli che si celano nell’assunzione integrale, acritica ed indiscriminata del concetto e delle prospettive del transumanesimo.

Nessuno infatti dubita dei grandi benefìci e vantaggi che la cibernetica assicura alla cura della salute fisica e psichica, nella medicina e nella chirurgia, al buon funzionamento del sistema neurovegetativo, nonché della fisiologia del cervello, allo sviluppo e al perfezionamento della tecnologia in tutte le sue svariatissime forme ed applicazioni, alle prospettive dell’industria e dell’ingegneristica, delle comunicazioni e dei mezzi di trasporto, all’esplorazione dello spazio, all’indagine circa i costituivi elementari della sostanza materiale, al dominio e allo sfruttamento razionale delle forze della natura.

È ovvio che la Chiesa, avendo per compito precipuo la cura della salute spirituale dell’uomo, alla luce della divina rivelazione, non può disinteressarsi,  seppur indirettamente e lasciando ai competenti il loro legittimo spazio di azione e di decisione, anche della salute fisica di una creatura come quella umana, la quale, per volontà del suo creatore, in se stessa e nei suoi rapporti con la natura, non può non esercitare convenientemente la sua vita spirituale e morale, se non sulla base di un conveniente benessere fisico proveniente da una giusta cura per il corpo e per il buon governo ed ordinamento della natura, disciplina, questa, oggi chiamata «ecologia», considerando il fatto che per la rivelazione cristiana la condizione escatologica dell’uomo e della donna prevede la dimora in un universo fisico non più in conflitto con l’uomo, ma di nuovo all’uomo sottomesso, secondo il piano originario divino prospettato dalla Scrittura nella vita edenica.

Alla luce di questi princìpi Papa Francesco, oltre ad illuminarci con i suoi insegnamenti, ci ha mostrato una grande operosità al fine di affrontare e risolvere in modo fruttuoso, scansando i pericoli, questa delicatissima problematica anche con una serie di incontri e contatti ad alto livello, personali o mediante organi della Santa Sede, con personaggi di primo piano sulla scena internazionale ed esponenti di spicco del pensiero transumanistico e del cosiddetto «metaverso».

Papa Francesco ha realizzato una serie di contatti con i massimi responsabili a livello mondiale della salute del pianeta e della sua razionale utilizzazione a beneficio dell’umanità. Dò qui un breve resoconto di atti di Papa Francesco in merito al trattamento di questa delicatissima questione.

Nel 2016 trattò in un’udienza con Mark Elliot Zuckerberg, promotore del cosiddetto «metaverso»[13], che è un progetto di umanizzazione della natura mediante la telematica.

Nel 2018 il Papa ricevette la cospicua beneficienza di 15 milioni di dollari per tre associazioni cattoliche da Jeff Bezos di Amazon, colui che ha investito 3 miliardi di dollari in una startup transumanista sulle biotecnologie per incrementare la durata della vita.

Nel 2019 la Santa Sede ha promosso una conferenza su “etica e robotica”, siglata l’anno dopo con IBM e Microsoft la Carta etica sull’intelligenza artificiale, mentre il Papa ha definito “un dono di Dio” la tecnologia che popola la galassia digitale.

Nel 2020 la Santa Sede è entrata nel Consiglio per il capitalismo inclusivo in cui figurano anche la Fondazione Rockefeller (il banchiere David fondò il Club Bilderberg) e l’ereditiera bancaria Lynn Forester de Rothschild. Nel medesimo anno per la prima volta un Papa intervenne a Davos nel Forum Economico Mondiale inviando un messaggio direttamente a Klaus Schwab, il leader del transumanesimo e della Quarta Rivoluzione Industriale nella fusione del fisico col biologico e il digitale, cioè il cyborg, ed auspica:

«Che le vostre deliberazioni portino a una crescita in solidarietà, specialmente con i più bisognosi, che sperimentano ingiustizia sociale ed economica e la cui stessa esistenza è addirittura minacciata».

Nel 2021 nasce in Vaticano la Fondazione renAIssance, dall’inglese rinascimento, dove AI sta per Intelligenza artificiale e, presso il Collegio Teutonico in Vaticano, si tenne l’incontro «Il codice per il metaverso: programmare il nostro futuro per sempre», relatori gli autori del libro Il Codice del metaverso.

Infine nell’anno appena concluso si è incontrato col Santo Padre anche il magnate di Neuralink e Starlink, quell’Elon Musk promotore del microchip installato nel cervello umano, un congegno elettronico avente lo scopo di attivare le funzioni cerebrali.

Infine è importante il Discorso tenuto dal Papa alla Società Max Planck del 23 febbraio scorso:

«L’annuncio della nascita prossima del cosiddetto ‘pensiero ibrido’, risultante dalla ibridazione del pensiero biologico e di quello non biologico, che consentirebbe all’uomo di non essere soppiantato dall’Intelligenza Artificiale, solleva interrogativi di grande rilevanza sia sul piano etico sia su quello sociale».

La fusione tra la capacità cognitiva dell’uomo e la potenza computazionale della macchina modificherebbe in modo sostanziale la specie homo “sapiens”. Da qui il grido d’allarme del Papa, secondo il quale

«non possiamo allora non porci il problema del senso ultimo, cioè della direzione, di quanto va accadendo sotto i nostri occhi. … Se per coloro che si riconoscono nel progetto transumanista tutto ciò non desta preoccupazione, non altrettanto può dirsi per coloro che invece si spendono per far avanzare il progetto neo-umanista, secondo cui non può essere accettato il divario tra l’agire e l’intelligenza … Se si separa la capacità di risolvere problemi dalla necessità di essere intelligenti nel farlo, ciò che si annulla è l’intenzionalità e dunque l’eticità dell’agire».

Nel testo, il Papa stigmatizza infine il diffondersi,

«negli ambiti della grande scienza, un principio di responsabilità ‘tecnica’, che non ammette il giudizio morale di ciò che è bene e male. L’agire, specialmente delle grandi organizzazioni, andrebbe valutato in termini solo funzionali, come se tutto ciò che è possibile fosse, per ciò stesso, eticamente lecito. … La Chiesa mai potrà accettare una posizione del genere, delle cui tragiche conseguenze abbiamo già avuto fin troppe prove».

Ecco il monito finale di Francesco:

«È piuttosto la responsabilità come prendersi cura dell’altro, e non solo come dare conto di ciò che si è fatto, che oggi dobbiamo riportare al centro della nostra cultura. Perché si è responsabili non solo per quel che si fa, ma anche e soprattutto per quel che non si fa, pur potendolo fare».

Fine Quarta Parte (4/5)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 10 maggio 2023

Il transumanesimo si può confrontare col superuomo di Nietzsche. L’uno e l’altro vedono l’uomo come divinità della natura, che supera l’animalità con la potenza plasmatrice dello spirito in una instancabile scalata a gradi sempre più alti dell’essere. 

La differenza è data da due elementi: primo, il transumano mira a un’umanità superiore collettivamente presa; il superuomo è il dominatore della massa umana soggetta alla sua volontà di potenza. Secondo, il transumano è l’effetto della tecnica. Il superuomo è effetto della sua volontà di potenza.

 

In sostanza il transumanesimo, se si prescinde dai reali innegabili e grandi vantaggi che può offrire un saggio sviluppo ed uso dell’informatica, non è che il frutto di una mentalità idealista che ci conduce fuori della realtà e ci fa scambiare la realtà col sogno e con l’immaginazione.

L’uomo proposto dal transumanesimo, come quello di Nietzsche, di Darwin o di Hegel, derivato da Cartesio e dall’idealismo che da lui deriva, non è l’uomo reale, in carne ed ossa, con i suoi limiti e la sua grandezza, i suoi poteri e le sue debolezze, ma è un idolo o un dio pagano, un Apollo, un Ermete o un Mercurio, è un ente fantastico e sognato, un ente immaginario sorgente o di speranze illusorie o di terrori irragionevoli

Papa Francesco stigmatizza il diffondersi, «negli ambiti della grande scienza, un principio di responsabilità ‘tecnica’, che non ammette il giudizio morale di ciò che è bene e male. L’agire, specialmente delle grandi organizzazioni, andrebbe valutato in termini solo funzionali, come se tutto ciò che è possibile fosse, per ciò stesso, eticamente lecito. … La Chiesa mai potrà accettare una posizione del genere, delle cui tragiche conseguenze abbiamo già avuto fin troppe prove».

Immagini da Intenet:
- Hermes, affresco
- Transumanesimo, allegoria



[1] Come attesta Frances Yates nel suo Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Edizioni Laterza, Bari 1992.

[2] Società segreta esoterica nata agli inizi del sec.XVII in Francia con finalità umanitarie progressiste, basate su di una prassi razionale che comporta il dominio  magico sulla natura e la partecipazione del potere divino in forza di una concezione dell’uomo come spirito finito comunicante con lo Spirito infinito. La Massoneria ha assunto questo ideale ponendolo al 18° grado della gerarchia massonica col titolo di Cavaliere di Rosa Croce. Il simbolo della congiunzione della Rosa (positivo) con la Croce (Negativo) rappresenta il concetto che il positivo sorge dal negativo. In tal senso Hegel si mostra rusicrociano quando parlerà del «magico (ungeheuer) potere del negativo» (Fenom.dello Spirito, La Nuova Italia, Firenze 1988, vol.I, p.26). Hegel non manca di segnalare questo principio della magia bruniana nelle sue Lezioni di Storia della filosofia, La Nuova Italia, Firenze 1985, vol., I, pp.220, 225. Ma è possibile che Hegel si riferisca al sub contraria specie di Lutero, espressione con la quale egli intende dire che Dio sulla croce appare in modo contrario a quello che è. Comunque, in modo simile Bruno afferma che «profonda magia è saper trarre il contrario dopo aver trovato il punto dell’unione» (cit. da Michele Ciliberto, Giordano Bruno, Laterza, Bari 1992, p.100). La dialettica hegeliana è un’operazione magica. In tal senso Julius Evola ha ragione a parlare di «magia» a proposito dell’idealismo tedesco.

[3] Bruno o il divino e naturale principio delle cose, Edizioni Spano, Milano, senza data.

[4] Cit. da Ernst Benz, Le fonti mistiche della filosofia romantica tedesca, Edizioni Spano, Milano, senza data, p.78.

[5] Ibid., p.83.

[6] Qui Schelling allude probabilmente alla sua tesi che il male si trova originariamente in Dio, ma vinto dalla sua buona volontà. Sembra di trovare qui quella originarietà del negativo come fattore di positività che abbiamo visto nella magia di Bruno e tornare nella dialettica hegeliana.

[7] Benz, op. cit., p.85.

[8] Ibid., p.90.

[9] Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Laterza, Bari 1963, p.199.

[10] L’attualismo, Edizioni Bompiani, Milano 2015, p.167.

[11] Da Wikipedia.

[12] Alla voce TRANSUMANESIMO.

[13] Wikipedia alla voce METAVERSO  ci aiuta a capire di che si tratta. Si tratta in sostanza di una visione del mondo fisico e della prospettiva di operare su di esso su basi idealistiche, ossia del progetto di omologazione, in base al principio di Berkeley esse est percipi e mediante l’uso della cibernetica, della realtà fisica oggettiva, indipendente dalla nostra mente, con una realtà cosiddetta «virtuale», che è la riproduzione cibernetica abilissima della prima, tale per cui essa può essere manipolata in modo creativo ed illusorio così da darci l’impressione di sperimentare la realtà in sé così come esiste fuori di noi. Questo programma di rifondazione del contatto sensibile con la realtà mediante la cibernetica avrebbe lo scopo di sostituire la realtà esterna con una ricostruzione cibernetica della medesima realtà, in modo tale che il soggetto non vive più nella realtà ma in una finta realtà costruita dalla macchina. Da ciò ad immaginare una prospettiva di dominio magico sulla natura non ci corre molta distanza.

8 commenti:

  1. Caro Padre Cavalcoli,
    uno dei passaggi di questo articolo mi ha portato reminiscenze di cattolici pasattisti (di ogni tipo), che spesso vengono descritti come "viventi in una bolla", come se fossero nel XIII o XVII secolo.

    "È chiaro che l’idealista resta comunque ben consapevole della falsità di questi suoi sogni. Ma gli piace farli ugualmente proprio per il fatto che gli piace vivere nella fantasia al di fuori della realtà, ovvero, come potremmo dire oggi nell’era telematica, gli piace vivere nella realtà virtuale".

    Dopo aver letto quel brano, mi sembra che anche i pasattisti abbiano una componente idealistica. Parafrasando, padre Giovanni, le sue parole, si potrebbe dire che: è chiaro che il pasattista, però, resta ben consapevole della falsità dei suoi sogni di ritorno al passato e della sua impresa di restaurare la Chiesa del Medioevo. Sa che tutti questi sono sogni vani. Ma gli piace ugualmente sognarli, proprio perché gli piace vivere nella fantasia fuori dalla realtà, gli piace vivere nella realtà virtuale.
    È l'impressione che provo quando vedo lefebvriani o filolefebvriani contemplare, quasi in modo onirico, come se vivessero una realtà virtuale, le loro messe tridentine.
    Prendilo come uno scherzo (al di là del dramma ecclesiale che questo rappresenta) per rallegrare la nostra giornata.
    Buona Domenica.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Ross,
      io direi che i passatisti, più che vivere in una realtà virtuale, il che sarebbe patologico, sono dei nostalgici di una realtà passata, anche molto rispettabile, che però, per vari motivi, non può essere recuperata o perché superata dal progresso storico ecclesiale o perché ci si è accorti che ci si stava sbagliando o perché semplicemente la guida della Chiesa, in forza della sua discrezione patorale, decide di fare diversamente.
      Detto questo, riconosco che in questi atteggiamenti c’è una certa mancanza di aderenza alla realtà, per cui c’è il difetto degli idealisti, i quali pretendono di considerare come realtà le loro idee, trascurando quella che è la realtà vera.
      Per quanto riguarda il loro attaccamento alla Messa Vetus Ordo, uno sbaglio di alcuni di essi non è tanto l’amore verso il Vetus Ordo come tale, ma è l’idea gravemente erronea di non badare all’essenziale, nel senso che loro, a causa del loro attaccamento al vetus Ordo, non accettano il Novus Ordo, come se esso non fosse una Messa valida. Questo vuol dire che non sanno avere presente la vera essenza della Messa, che non muta al di là dei diversi riti con i quali viene celebrata, per cui alla fine danno più importanza al rito antico che non alla Messa come tale, che in quel rito viene celebrata.

      Elimina
  2. Caro padre Giovanni,
    tornando ai nostri discorsi, vi ringrazio ancora una volta per la vostra generosità nel conversare con me, che riesco a malapena a gestirmi con buon senso.
    Ho riflettuto sul modo in cui lei mi sembra di definire o delimitare l'atteggiamento del passatista essenzialmente nei confronti del fenomeno psicologico della "nostalgia".
    È interessante, e penso che la sua definizione meriti di essere riflessa nelle sue virtualità. Ci ho pensato un po'.
    Non sono un professionista in psicologia, figuriamoci in psichiatria. Ma non credo di sbagliare se faccio una distinzione (non so se qualcuno l'ha già fatta) tra "nostalgia naturale" e "nostalgia artificiale".
    Questa distinzione mi è nata per rispondere a un'argomentazione che i pasattisti sono soliti sollevare per respingere la critica che gli viene fatta di essere "nostalgici". Ad esempio, settimane fa è stato fatto un pellegrinaggio passatista alla cattedrale di Chartres, in Francia, e respingendo in anticipo la critica di essere nostalgici, qualcuno ha scritto che "presentando 16.000 pellegrini, con un'età media di 20-21 anni, come vecchi nostalgici le battute sarebbero state davvero impossibili".
    Bene, ecco perché faccio la distinzione.
    Chi in gioventù (diciamo a 15 o 20 anni) avrebbe potuto fare un'esperienza cosciente e ragionata della Messa secondo il Messale del 1962, ed era oggi un pasattista o un lefebvriano, oggi avrebbe, diciamo, circa 75 o 80 anni. Quella persona, se rimanesse attaccata a ciò che ha vissuto a 15 o 20 anni, e fosse pasattista, soffrirebbe di "nostalgia naturale", cioè più o meno riferita a un'esperienza vissuta realmente in gioventù.
    Mentre un giovane che oggi ha solo 20 o 30 anni, se fosse attaccato alla Messa secondo l'ordo del 1962, avrebbe una nostalgia "artificiale" o fabbricata.
    A prescindere da entrambe le categorie, la nostalgia, sia "naturale" che "artificiale", può essere più o meno "vera" (reale) o "falsa" (irreale), nella misura in cui risponde a quanto realmente vissuto nella Chiesa. cattolica di rito romano quando la Messa è stata celebrata prima del 1962 (o prima del 1969), o se la realtà di quella Messa, con i suoi chiaroscuri, era offuscata da aggregati fantasiosi o sentimentali o soggettivi o idealistici, del singolo, che ne fanno il suo la memoria nostalgica ha risposto o meno alla realtà di ciò che è accaduto in passato.
    Penso che la riflessione sul fenomeno della "nostalgia" (che lei, padre, sembra collocare nel cuore o nell'essenza del pasattismo) sia molto ricca e meriti ulteriori riflessioni.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Ross,
      molto interessanti le sue riflessioni sulla nostalgia.
      Effettivamente, nel mio ambiente italiano, ricordo come qualche decennio fa i modernisti chiamavano nostalgici con un fare ironico non solo i passatisti, ma anche coloro che desideravano il recupero di valori perduti, confondendo gli uni con gli altri, come è loro abitudine.
      Vorrei partire da una definizione di quella che mi sembra essere la nostalgia in generale, a prescindere dal fatto che essa sia o non sia giustificata. Essa è uno stato d’animo di tristezza affettuosa, che va col pensiero a valori del passato, che appaiono come perduti e bisognosi di essere recuperati.
      Ci sono delle forme di nostalgia costruttiva, che desidera il recupero di valori autentici ed ancora attuali. D’altra parte esiste una nostalgia sterile, che è il desiderio di ripristinare cose o usanze o idee ormai definitivamente passate o perché superate dal progresso o perché la storia non si ripete.
      La sua distinzione tra nostalgia naturale e nostalgia artificiale è molto comprensibile e la accetto senz’altro.
      Vorrei usare però due espressioni diverse: la nostalgia naturale la chiamerei esistenziale, mentre quella artificiale la chiamerei ideale. Un uomo come me, di 81 anni, potrebbe avere nostalgia della Messa preconciliare in modo esistenziale, ossia per esperienza diretta o per averla vissuta.
      Invece la nostalgia ideale sarebbe quella dei giovani lefevriani di oggi, i quali non l’hanno affatto vissuta, per cui non hanno nostalgia di una esperienza vissuta, ma hanno nostalgia di una prassi liturgica, che hanno imparato mediante studi storici o apprendendo da anziani, che l’hanno vissuta.
      Per questa la chiamerei ideale, perché è la nostalgia di un gruppo di valori ideali, che a loro piace e che vorrebbero oggi mettere in pratica.

      Elimina
  3. Mi piace questo sviluppo di idee, caro Padre.
    Sbaglio se penso che l'urgente necessità di risolvere la spaccatura che esiste oggi nella Chiesa, tra modernisti e pasattisti, debba essere risolta non solo dalla confutazione filosofica e teologica dei suoi errori e dalla scoperta scientifica degli aspetti preziosi o delle verità delle due posizioni, ma anche da una cura delle deficienze o dei disagi psicologici di entrambe le correnti estreme e devianti?
    Il sentimento malato del pasattisti sarebbe, quindi, nostalgia. (Forse dovremmo parlare qui delle differenze e delle somiglianze tra nostalgia e malinconia).
    Quale sarebbe allora, il sentimento di malessere che colpirebbe il modernismo, che dovrebbe essere risolto? Forse l'esacerbato sentimento di conformità con il presente, o forse, poiché il modernista non si conforma al presente (a causa dei suoi evidenti limiti), afferma ciecamente che il futuro e l'inevitabile progresso risolveranno i suoi problemi?

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Ross,
      la sua proposta di lavoro per una pacificazione tra passatisti e modernisti è molto bella, perché non si ferma solo agli aspetti dottrinali, ma considera anche quelli pastorali e psicologici, e quindi la trovo dettata da una grande carità e saggezza.
      Molto interessante è l’accostamento che lei fa della nostalgia con la malinconia. Io trovo che siano due stati d’animo molto simili tra di loro. Dico subito tuttavia che nei passatisti non trovo tanto dei malinconici, quanto dei nostalgici. Più che persone malinconiche mi sembrano persone anche troppo sicure di se stesse e spesso prese da uno sdegno moralistico indiscreto e incontrollato.
      Detto questo, vediamo meglio questa affinità tra i due stati d’animo. San Filippo Neri diceva: “Scrupoli e malinconia, fuori di casa mia”. La malinconia è una forma di tristezza per la perdita o per la mancanza di qualcosa di molto prezioso, che per colpa nostra abbiamo perduto e che non abbiamo speranza di poter recuperare.
      Da questa descrizione si capisce che essa suppone una certa sfiducia nella provvidenza divina, che può restituirci quello che abbiamo perduto, a patto che ci pentiamo del peccato che abbiamo commesso e che ha causato la perdita del bene che amiamo.
      È chiaro che la malinconia comporta la nostalgia. Tuttavia ripeto che occorre distinguere una nostalgia buona da una nostalgia cattiva. Quest’ultima è legata alla malinconia, perché in questo caso lo stato d’animo comporta una mancata corrispondenza alla volontà divina, in quanto essa comanda qualchecosa che comporta la rinuncia a quel certo passato irrecuperabile - ecco il passatismo -, che non dobbiamo e non possiamo riattualizzare.
      Invece la nostalgia buona non è legata alla malinconia, ma ad una profonda serenità d’animo, anche se c’è un certo dispiacere, una serenità legata alla percezione di valori sacri, oggi purtroppo dimenticati. Perché serenità d’animo? Perché, mentre il malinconico non ha speranza di ritrovare quello che ha perduto, per mancanza di fiducia nella provvidenza, il nostalgico nel senso buono è sereno, perché sa che i valori perduti, essendo valori essenziali alla salvezza, potranno e dovranno essere recuperati sia per la nostra operosità e sia soprattutto per la fiducia nella provvidenza divina.
      Per quanto riguarda i modernisti, sono nostalgici? No, certamente, essi prendono in giro chiunque abbia nostalgia del passato, sia che si tratti di un passato recuperabile o sia di un passato non recuperabile. Possiamo dire che sono dei malinconici? Penso di sì. Per quale motivo? Perché essi stessi in fondo sono consapevoli che le loro manie di grandezza sono pure illusioni senza fondamento, in quanto sono idee non fondate sulla realtà della natura umana, ma su di un’autoesaltazione del proprio io gonfiato al massimo, come si può ottenere dall’io cartesiano.
      Essi quindi sanno che questo gonfiamento è come una bolla di sapone, che basta un nulla per farla scomparire. Oppure mi viene in mente l’avvertimento di Nietzsche, il quale diceva: “Non ti gonfiare, perché poi basta uno spillo per farti scoppiare”. Che cosa significa tutto ciò? Che dietro tutta la loro retorica dell’Io Assoluto o dell’Essere Assoluto, c’è il nulla.
      Quindi ha detto bene un nostro filosofo italiano, Vittorio Possenti, il quale ha dimostrato come l’idealismo tedesco nasconda il nichilismo. Ecco allora le radici della malinconia. L’idealista modernista è un malinconico, perché sente che gli manca quello a cui terrebbe di più, cioè poter identificarsi con l’Assoluto, ma nello stesso tempo si rende conto che questa è una vana aspirazione.

      Elimina
    2. Caro Padre Cavalcoli,
      sono contento che il mio suggerimento di curare anche gli aspetti psicologici e sociologici, oltre che dottrinali, vi abbia fatto piacere, nel cercare di realizzare la conversione tra modernisti e passatisti. La svolta pastorale che il Concilio Vaticano II ha imposto alla Chiesa, in tutti i suoi aspetti, credo implichi anche tener conto dei progressi della psicologia per comprendere le cause delle eresie (passatiste e moderniste), diagnosticate che, cercarne la cura.
      Ecco perché l'attenzione che hai posto sulla nostalgia come nucleo psicologico del passatismo ha attirato la mia attenzione.
      Quanto ci sarebbe da riflettere su questo argomento!
      Poi, la distinzione che fai tra nostalgia e malinconia è molto illuminante. Anche tra la buona e la cattiva nostalgia.
      Qualcosa che trovo difficile da capire è quello che dici qui sotto, che i modernisti sono malinconici perché sono profondamente consapevoli che le loro manie di grandezza sono pure illusioni senza fondamento, idee non basate sulla realtà.
      Conosci meglio di me l'idealismo e la psicologia che spesso lo accompagna. Saprai perché lo dici. Ma faccio fatica ad accettarlo. Faccio fatica a credere che i modernisti siano così perseveranti nel loro buon ottimismo, quando in fondo non ci credono nemmeno loro stessi. Non ci sono modernisti sinceri e in buona fede?

      Elimina
    3. Caro Ross,
      io distinguerei un modernismo colpevole da un modernismo in buona fede.
      Il primo è la forma più grave, già denunciata a suo tempo da San Pio X e bollata col titolo di superbia. Questo tipo di modernista presenta un ottimismo di facciata, che è una maschera che egli si crea per darci ad intendere che egli è in possesso di una verità suprema.
      Tuttavia, dato che qui nell’ipotesi si tratta di persone che hanno ricevuto un’accurata formazione teologica, da una parte sono inescusabili e dall’altra hanno una più o meno chiara percezione del loro stato di colpa. Da qui la malinconia.
      Invece in buona fede possono essere persone, le quali conservano un fondo moralmente buono e di idee sostanzialmente ortodosse, e tuttavia sono vittime di insegnanti o di ambienti infetti, dai quali hanno preso una certa infezione, che però tutto sommato resta alla superficie. Da qui la possibilità della loro buona fede e della loro innocenza almeno davanti a Dio. È più facile che qui si tratti di soggetti giovani.

      Elimina

I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.