Il dialogo di Gesù con l’uomo

Il dialogo di Gesù con l’uomo

Un Lettore mi ha sottoposto una questione molto interessante, cioè quella del rapporto del pensiero nostro e di quello divino nei confronti della Rivelazione.

In questa risposta io intendo mettere in luce che, se da una parte il nostro intelletto, illuminato dalla fede, può essere elevato ad adeguarsi al dato rivelato, il Verbo divino, che è Dio come lo è il Padre, essendo l’ideatore del piano della salvezza, rivelato nel messaggio evangelico, è invece quella mente che non si deve adeguare al dato rivelato, ma è questo stesso dato rivelato che è adeguato alla mente divina, che lo ha ideato e progettato.

Cf. https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/san-tommaso-riconfermato-dottore-comune.html

Carissimo p. Giovanni sono felice che Papa Francesco abbia confermato e raccomandato la filosofia e la teologia di San Tommaso a tutta la Chiesa e devo confessarti che nei miei studi in preparazione al sacerdozio, purtroppo, il suo pensiero l’ho incontrato raramente, quasi di passaggio nei corsi frequentati.

 Nonostante questa carenza, come le scrissi a suo tempo, ho raccolto in un mio libro le mie riflessioni che mi hanno accompagnato nei miei studi filosofici e teologici e poi nella mia formazione permanente, raccogliendo il tutto in un “piccolo trattato sulla Conoscenza della verità” in cui ho cercato di mettere in relazione la verità della Rivelazione divina, incarnata dal Verbo divino, con la definizione di verità elaborata da san Tommaso: “veritas est adæquatio rei et intellectus”, in cui si stabilisce una conformità fra ciò che si pensa e ciò che è nella realtà.

Caro V., le faccio i miei vivi complimenti per questo suo intervento che esprime quella devozione per San Tommaso che ogni sacerdote cattolico dovrebbe avere.

È anche interessante l’applicazione che lei intende fare del principio tomistico della adaequatio intellectus et rei al rapporto del nostro intelletto col dato rivelato. Al riguardo noi possiamo dire che il nostro intelletto di fede si adegua al dato rivelato.

Ora, bisogna tenere presente che nel principio tomistico, che ho citato sopra, c’è un rapporto biunivoco nel senso che l’intellectus dipende dalla res nella conoscenza speculativa, mentre la res dipende dall’intelletto nella conoscenza pratica.

Le faccio un esempio: se lei vuole conoscere che cosa è la luna, deve adeguare il suo intelletto alla realtà della luna, ma se lei vuole soccorrere un povero deve anticipatamente concepire l’azione che intende fare. In questo caso è la res che dipende dall’intellectus, ossia la realizzazione della sua azione, cioè il povero da lei beneficato è possibile in quanto in precedenza lei ha ideato o progettato ciò che intendeva fare, cioè l’elemosina fatta al povero.

Nel caso del rapporto tra il nostro intelletto e la Rivelazione si può parlare di una sua adeguazione al nostro intelletto? Se l’adeguazione comporta il fatto che ciò a cui ci adeguiamo ci fa da regola al nostro adeguarci, allora, dato che non è la Rivelazione che si deve adeguare a noi, ma siamo noi che dobbiamo adeguarci alla Rivelazione, non si può parlare del fatto che la Rivelazione si adegui al nostro intelletto.

Quello che semmai possiamo dire è che la Parola di Dio in qualche maniera discende verso di noi. È ciò che ha fatto lo stesso Verbo, scendendo dal cielo. Questo atto divino, San Giovanni Crisostomo lo chiama accondiscendenza (synkatabasis).

Si può parlare anche della Parola di Dio, che in qualche modo si proporziona a noi, un po’ come un padre si china sul suo bambino usando parole adatte a lui, affinchè egli possa capire. In tal modo noi possiamo partecipare della verità del Verbo divino. Suppongo che lei intendesse dire questo.

Questa definizione di verità, mi ha permesso di comprendere come l’evento dell’Incarnazione, inteso come l’auto-comunicazione di Dio, modalità con la quale Dio entra, in modo umano, rappresenti un’adeguazione del divino all’essere umano, creato a Sua immagine e somiglianza, con il quale condivide, in forma di partecipazione, l’intelligenza, la volontà e la libertà.

Indubbiamente nel mistero dell’Incarnazione possiamo applicare la definizione tomistica della verità, dato che essa ha un carattere trascendentale e quindi viene applicata anche nella teologia cristiana.

Al riguardo vale sempre che il nostro intelletto si adegua alla realtà del mistero dell’Incarnazione. Quanto all’intelletto umano di Gesù, anche per lui vale questo principio, cioè Gesù, quando era tra noi, adeguava il suo intelletto umano alla realtà. Anche per quanto riguarda l’intelletto pratico di Gesù, esso evidentemente funzionava come il nostro, cioè avveniva l’adeguazione del reale al suo pensiero.

Invece, per quanto riguarda l’intelletto divino di Gesù, cioè il Verbo o Logos, vale soltanto l’adeguazione del reale all’intelletto divino e non viceversa. Tuttavia il Verbo, nella sua misericordia, in nome del Padre, accondiscende alla limitatezza del nostro intelletto esprimendosi in concetti e parole tale per cui noi abbiamo la possibilità di comprendere in qualche modo i misteri rivelati, benchè essi trascendano infinitamente il nostro intelletto.

Per questo è meglio non usare il termine “adeguazione”, perché esso significa dipendenza dal reale, mentre il Verbo divino non si adegua alle cose, ma sono queste che si adeguano a Lui, perché ne è il Creatore.

Quindi, anziché parlare di adeguazione, è meglio parlare di proporzione o di abbassamento, per i quali il nostro intelletto partecipa della Verità del Logos divino.

Si potrebbe descrivere questo processo come un adaequatio Revelationis et intellectus in cui la Rivelazione divina si fa oggetto della nostra conoscenza, affinché il nostro intelletto e la nostra volontà a loro volta, con un atto libero, accolgano e si adeguino alla Rivelazione: adaequatio intellectus et Revelationis.

In base a quanto ho detto, noi non possiamo applicare integralmente il principio della adaequatio intellectus et rei al rapporto tra il nostro intelletto e la Rivelazione. Lo possiamo applicare rispetto al nostro intelletto, in quanto esso si adegua al dato rivelato. Tuttavia è evidente che non è la Rivelazione ad adeguarsi al nostro intelletto, finito com’è, ma essa propriamente si adegua a se stessa, così come Dio è per essenza coscienza di Se Stesso, una cosa che aveva intuito vagamente Aristotele quando parlava di Dio come Pensiero del Pensiero (Noesis Noeseos).


La Rivelazione divina giunge a noi come realtà altra, extramentale e rendendosi conoscibile, adeguandosi così al nostro intelletto, il Verbo si fa carne, si rende visibile, udibile, toccabile, cade sotto i nostri sensi.

Seguendo l’insegnamento di san Tommaso, l'oggetto non è da intendere come qualcosa di assolutamente indipendente dal soggetto, ma lo giudica, appunto, in relazione al soggetto, cioè in rapporto alla coscienza con cui detto oggetto è appreso e giudicato.

Quello che lei dice sulla Rivelazione divina è senz’altro vero. Per quanto riguarda la questione dell’oggetto bisogna vedere che cosa intendiamo con questa parola. Se per oggetto intendiamo la cosa extramentale, è chiaro che il nostro intelletto si deve adeguare a quella cosa.

Ma se per oggetto intendiamo gli enti mentali, il concetto, il giudizio e il ragionamento, certamente in questo caso l’oggetto dipende da noi, perché lo costruiamo noi, in base a ciò che del reale, fosse il creato o fosse l’increato, ossia la divina Rivelazione, abbiamo capito.

Pertanto la Verità della Rivelazione divina, pur rimanendo tale, si conforma alla realtà delle cose, si rende presente per essere colta dalla nostra intelligenza e dalla nostra volontà con un atto di assenso libero, l’atto di fede.

Possiamo dire che la mente umana di Gesù, quando ci spiegava le parabole, si rifaceva a concetti che Egli stesso, come uomo, si era formato osservando la realtà, quindi adeguando il suo intelletto alle cose, mano a mano che ne faceva esperienza mediante i sensi, riceveva una istruzione da sua Madre e da Giuseppe, e faceva delle deduzioni e dei ragionamenti su quello che aveva imparato.

A questo punto però interveniva la mente divina di Gesù, cioè il Logos o Verbo. In che senso? Nel senso che, partendo dal paragone che è oggetto della parabola, Gesù, con la sua mente divina, eleva la nostra mente dalla percezione delle cose umane e terrene a quelle celesti, che sono l’oggetto della Rivelazione.

Questa operazione della mente divina di Gesù suppone che in questo caso non sia la mente che si adegua al reale, ma è il reale, cioè il contenuto dei divini misteri rivelati, che è adeguato alla mente divina, la quale li ha ideati o progettati o determinati o comunque voluti.

Per quanto riguarda l’attività della nostra mente nei confronti delle parabole evangeliche, noi cominciamo col percepire l’intelligibilità naturale del contenuto della parabola e poi, se abbiamo la fede, la nostra mente si eleva alla comprensione del contenuto di fede, che è il dato rivelato.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 01 ottobre 2022

 

 

Possiamo dire che la mente umana di Gesù, quando ci spiegava le parabole, si rifaceva a concetti che Egli stesso, come uomo, si era formato osservando la realtà, quindi adeguando il suo intelletto alle cose, mano a mano che ne faceva esperienza mediante i sensi, riceveva una istruzione da sua Madre e da Giuseppe, e faceva delle deduzioni e dei ragionamenti su quello che aveva imparato.


 



Immagini da Internet:
- Gesù a scuola, dipinto, Cripta del Duomo di Siena
- Maria accompagna Gesù a scuola, vetrata, Frauenkirche di Esslingen, presso Stoccarda,

3 commenti:

  1. Grazie Padre. Ha reso più chiaro quello che intuivo e cioé che all'Uomo Gesù subentra poi Gesù-Dio. L'incarnazione é un mistero che credo non capiremo mai fino in fondo ed é giusto che sia così. Ci sono cose al di fuori della nostra portata riguardo l'essenza di Dio e quindi della Trinità. Del resto ho letto che San Tommaso d'Aquino ha smesso di scrivere dopo la contemplazione di Dio un anno prima della sua morte...

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    1. Caro Alessandro,
      Gesù quand’era su questa terra alternava le manifestazioni proprie della sua umanità a quelle proprie della sua divinità.
      In alcune circostanze manifesta la sola umanità, mentre nelle altre unisce le due manifestazioni in un’unica azione.
      In questo caso Gesù unisce l’azione divina a quella umana, come per esempio quando fa il miracolo narrato in Gv 9,4-7.
      Gesù spalma del fango inumidito con la sua saliva sull’occhio del cieco nato e gli comanda di vedere. È evidente in questo caso la congiunzione dell’azione umana con l’azione divina.

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  2. Carissimo p. Giovanni, nelle mie riflessioni sul principio e sull’evento dell’Incarnazione, fatte alla luce della definizione di San Tommaso di verità, mi è sembrato di cogliere proprio nell’abbassamento di Dio, un adeguarsi, un conformarsi in tutto, tranne che nel peccato alla nostra condizione umana, per rendersi a noi accessibile e comprensibile in pensieri, parole ed opere affinché potessimo a nostra volta adeguarci e conformarci alla verità del Verbo di Dio e poter partecipare, in pienezza, alla vita divina.
    Certamente la verità di Dio si colloca in un ambito diverso della nostra realtà, pur avendola creata, in quanto appartiene ad un ordine della realtà che non è il nostro. La grandezza, la bellezza e la verità di questa realtà divina è che diventa a noi comunicabile perché si “umanizza”. E questo è accaduto o avvenuto quando “Dio si è fatto uomo”, quando il “trascendente” è diventato “immanente”. Per questo Gesù ha potuto dire a uno dei suoi discepoli: “Filippo, chi ha visto me ha visto Dio” (Gv 14, 8-11; cf. 1,18; Fil 2, 6-8...) In Gesù vediamo, ascoltiamo, parliamo, tocchiamo Dio. In ciò che dice e fa Gesù vediamo e sentiamo ciò che dice e vuole Dio.
    In altre parole, che non sono le mie, come ci ricorda San Paolo:
    “Cristo, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini. Apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre”.(Fil 2,6-11)
    Grazie ancora carissimo padre per le sue osservazioni e considerazioni per quanto le ho scritto.

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