Una interpretazione modernista delle risposte del Papa ai cinque Cardinali

 

Una interpretazione modernista

delle risposte del Papa ai cinque Cardinali

Un grave fraintendimento

Il teologo Giuseppe Lorizio su Avvenire di oggi, 7 ottobre, in un articolo* dal titolo La via per sciogliere i «dubia» afferma tra l’altro che il Papa, nella risposta al primo dubbio dei Cardinali concernente il rapporto fra le verità rivelate e il pensiero contemporaneo, avrebbe affermato «la necessità di reinterpretare la Parola di Dio alla luce del contesto contemporaneo».

Ho già spiegato come vanno interpretate le parole del Papa in un articolo che ho pubblicato pochi giorni fa. Lorizio nel suo articolo, valendosi del metodo sofistico di interpretare gli insegnamenti del Papa secondo un metodo tipicamente modernista, vorrebbe mettere in bocca al Santo Padre la classica tesi modernista, secondo la quale non è il Vangelo che seleziona nel pensiero moderno ciò che è conforme al Vangelo, ma è il pensiero moderno che deve scegliere nel Vangelo ciò che si conforma a lui.

Il modernismo è appunto l’idolatria e l’assolutizzazione della modernità, atteggiamento tipicamente gnostico, come se essa fosse la verità suprema ed assoluta e dovesse essere assunta in blocco ed ogni sua tesi fosse oro colato, tanto da far scegliere (airesis!) nella Tradizione, nella Scrittura, nelle verità rivelate e nei dogmi solo ciò che è conforme alla modernità, oppure, mutandone il significato, conformandolo alla dea modernità.

Ora il lettore, rileggendo le parole del Papa, si accorgerà che quanto gli attribuisce Lorizio non c’è assolutamente, ma anzi c’è proprio il contrario, che è il dovere del teologo di scegliere alla luce della divina immutabile rivelazione quanto nel pensiero moderno, per la sua compatibilità col dato rivelato ossia col dogma, può essere utilizzato per un approfondimento continuo ed indefinito dell’inesauribile ricchezza della Parola di Dio.

Lorizio confonde i due termini del rapporto l’uno con l’altro e scambia ciò che illumina (il Vangelo) con ciò che dev’essere illuminato (il pensiero moderno) e quindi giudicato,  separando il grano dalla pula, e i pesci buoni da quelli cattivi.

Abbiamo qui un chiaro esempio del metodo modernista, che scambia il criterio di giudizio con la materia da giudicare, il principio del discernimento con quanto dev’essere oggetto di vaglio e di discernimento, con la pretesa di avere in questa disonesta operazione l’avallo dell’autorità del Papa.

Le parole del Papa

 Rileggiamo allora con attenzione quanto ha detto il Papa:

«La risposta dipende dal significato che attribuite alla parola "reinterpretare". Se è intesa come "interpretare meglio", l'espressione è valida. In questo senso, il Concilio Vaticano II affermò che è necessario che, con il lavoro degli esegeti - e aggiungo, dei teologi - "maturi il giudizio della Chiesa" (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Dei Verbum, 12).

Pertanto, se è vero che la divina Rivelazione è immutabile e sempre vincolante, la Chiesa deve essere umile e riconoscere di non esaurire mai la sua insondabile ricchezza e di avere bisogno di crescere nella sua comprensione.

Di conseguenza, cresce anche nella comprensione di ciò che essa stessa ha affermato nel suo Magistero.

I cambiamenti culturali e le nuove sfide della storia non modificano la Rivelazione, ma possono stimolarci a esprimere meglio alcuni aspetti della sua traboccante ricchezza che offre sempre di più.

È inevitabile che ciò possa portare a una migliore espressione di alcune affermazioni passate del Magistero, ed è infatti successo così lungo la storia.

D'altra parte, è vero che il Magistero non è superiore alla Parola di Dio, ma è anche vero che sia i testi delle Scritture che le testimonianze della Tradizione necessitano di un'interpretazione che permetta di distinguere la loro sostanza perenne dai condizionamenti culturali. Questo è evidente, ad esempio, nei testi biblici (come Esodo 21, 20-21) e in alcuni interventi magisteriali che tolleravano la schiavitù (Cfr. Niccolò V, Bolla Dum Diversas, 1452). Non è un argomento secondario dato il suo intimo legame con la verità perenne della dignità inalienabile della persona umana. Questi testi hanno bisogno di un'interpretazione. Lo stesso vale per alcune considerazioni del Nuovo Testamento sulle donne (1 Corinzi 11, 3-10; 1 Timoteo 2, 11-14) e per altri testi delle Scritture e testimonianze della Tradizione che oggi non possono essere ripetuti così come sono.

È importante sottolineare che ciò che non può cambiare è ciò che è stato rivelato "per la salvezza di tutti" (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Dei Verbum, 7). Perciò la Chiesa deve discernere costantemente ciò che è essenziale per la salvezza e ciò che è secondario o è meno direttamente connesso a questo obiettivo.

Mi interessa ricordare ciò che San Tommaso d’Aquino affermava: «quanto ai princìpi comuni della ragione speculativa e pratica, è la stessa la verità o rettitudine da tutti ugualmente nota. Ma ciò si verifica tanto di meno, quanto più si discende nei casi particolari» (Summa Theologiae, I-II, q. 94, art. 4).

Infine, una sola formulazione di una verità non potrà mai essere adeguatamente compresa se viene presentata solitaria, isolata dal ricco e armonioso contesto dell'intera Rivelazione. La "gerarchia delle verità" implica anche collocare ciascuna di esse in adeguata connessione con le verità più centrali e con l'insieme dell'insegnamento della Chiesa. Ciò può infine portare a diversi modi di esporre la stessa dottrina, anche se “a quanti sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature, ciò può sembrare un’imperfetta dispersione. Ma la realtà è che tale varietà aiuta a manifestare e a sviluppare meglio i diversi aspetti dell’inesauribile ricchezza del Vangelo (Evangelii gaudium, 40). Ogni corrente teologica ha i suoi rischi, ma anche le sue opportunità».

 

Osservazioni

Alcune osservazioni. Prima. Quando il Papa dice che 

«i cambiamenti culturali e le nuove sfide della storia non modificano la Rivelazione, ma possono stimolarci a esprimere meglio alcuni aspetti della sua traboccante ricchezza che offre sempre di più», 

è ovvio che si riferisce a cambiamenti compatibili con la Rivelazione, evidenziati alla luce della stessa Rivelazione, che può trarli da un contesto ad essa contrario e quindi da scartare.

Seconda. Quando il Papa dice che 

«i testi delle Scritture e che le testimonianze della Tradizione necessitano di un'interpretazione che permetta di distinguere la loro sostanza perenne dai condizionamenti culturali. Questo è evidente, ad esempio, nei testi biblici (come Esodo 21, 20-21) e in alcuni interventi magisteriali che tolleravano la schiavitù (Cfr. Niccolò V, Bolla Dum Diversas, 1452)», 

è chiaro che, facendo riferimento a tesi o prassi superate, sottintende che la loro cessata attualità è stata scoperta e giudicata non alla luce delle idee di allora, ma alla luce della «sostanza perenne dei testi delle Scritture e delle testimonianze della Tradizione».

Terza. Quando il Papa dice che 

«ciò che non può cambiare è ciò che è stato rivelato "per la salvezza di tutti" (Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Dei Verbum, 7). Perciò la Chiesa deve discernere costantemente ciò che è essenziale per la salvezza e ciò che è secondario o è meno direttamente connesso a questo obiettivo», 

è chiaro che egli si riferisce al fatto che la Chiesa, sempre conservando intatto ciò che è essenziale per la salvezza di tutti, cioè i dogmi e le verità di fede, alla loro luce discerne, vaglia e giudica,  tra le mutevoli dottrine e prassi del tempo, quello che è «secondario o è meno direttamente connesso a questo obiettivo», ossia quello di trasmettere integro il patrimonio della divina Rivelazione a tutti i secoli e a tutti i popoli.

Quarta. Quando il Papa afferma che 

«una sola formulazione di una verità non potrà mai essere adeguatamente compresa se viene presentata solitaria, isolata dal ricco e armonioso contesto dell'intera Rivelazione. La "gerarchia delle verità" implica anche collocare ciascuna di esse in adeguata connessione con le verità più centrali e con l'insieme dell'insegnamento della Chiesa.

Ciò può infine portare a diversi modi di esporre la stessa dottrina, anche se “a quanti sognano una dottrina monolitica difesa da tutti senza sfumature, ciò può sembrare un’imperfetta dispersione», 

chiaramente non vuol negare la possibilità e il dovere della Chiesa di insegnare verità di fede dal contenuto univoco e preciso, uno e vero per tutti e per sempre, ma semplicemente si riferisce al fatto che una medesima verità di fede, una e vera per tutti, nel contempo può essere espressa in diversi modi e in diversi gradi di perfezione, in quanto la Chiesa, nel  comunicare col proprio tempo e con le varie culture – ecco l’inculturazione -, assume quei modi di esprimersi, di pensare o di comunicare, che meglio di altri manifestano agli uomini del proprio tempo l’eterna universalità, unità ed inesauribile  ricchezza della Parola di Dio.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 7 ottobre 2023.

* https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/tra-principi-dottrinali-e-cura-pastorale-delle-persone-la-via-per-sciogli


 

Il lettore, rileggendo le parole del Papa, si accorgerà che quanto gli attribuisce Lorizio non c’è assolutamente, ma anzi c’è proprio il contrario, che è il dovere del teologo di scegliere alla luce della divina immutabile rivelazione quanto nel pensiero moderno, per la sua compatibilità col dato rivelato ossia col dogma, può essere utilizzato per un approfondimento continuo ed indefinito dell’inesauribile ricchezza della Parola di Dio.

 Immagine da : https://www.vatican.va/content/francesco/it/events/event.dir.html/content/vaticanevents/it/2023/10/4/apertura-sinodo.html

13 commenti:

  1. Caro Padre, capisco la sua buona intenzione di spiegare le parole scritte di Papa Francesco. Di difenderlo. Lo ha fatto anche nel suo recente articolo "Alle radici del sinodo", dove ugualmente spiega le intenzioni del Papa ed il retroterra culturale e storico dietro la risposta alla prima delle cinque prime domande (sulle seconde domande, quelle riformulate non sappiamo niente). Ben venga il tutto, lo leggiamo volentieri. Per capire meglio.
    Quello che però si può notare é il fatto che la confusione creata da Papa Francesco é grande, al punto che c'é chi lo tira dalla propria parte anche a sproposito. Ma il Papa, non dovrebbe essere una guida? Certe sparate che prendono la tangente le dovrebbe evitare. Sta a lui indicare un cammino chiaro più che farsi correggere continuamente per esempio da Lei., mi pare. Il Papa Francesco, non ha collaboratori che gli fanno notare come molte sue espressioni (per non dire delle sue iniziative) sono poco chiare, farraginose, come nella prima risposta che ha dato (senza contare le successive)?
    Inoltre, per quanto riguarda l'attuale sinodo, chi lo capisce e perché improvvisamente il Papa ha chiesto (o ordinato, non ho capito) ai partecipanti di non concedere interviste di non parlare alla stampa? Sembra che si stiano nascondendo. Alla fine tutto il Vaticano non finisce per fare una bella figura, tanto più che ha continuamente annunciato e affermato che questo sinodo speciale é fatto da "tutta la chiesa" (ma quale sarebbe questa "Chiesa tutta" se pochi tra fedeli e presbiteri lo hanno appoggiato, stando ai dati forniti, e se ora i partecipanti mandati a Roma sono sotto chiave?).
    E che differenza con la Sala Stampa vaticana di una volta dove si vedeva la trasparenza ed il rispetto verso i giornalisti e verso tutti che Navarro Vals e Padre F. Lombardi, ad esempio, avevano in tutte le occasioni. A domanda si rispondeva, senza nascondersi. Anche dicendo "non sono stato informato". O mi sbaglio?

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    1. Caro Alessandro,
      lei tocca due gravi problemi. Uno è quello della qualità dei collaboratori del Papa. L’altro è quello della professionalità dei giornalisti.
      Riguardo al primo problema, è noto da tempo come purtroppo il Santo Padre dispone sì di buoni collaboratori, ma ce ne sono altri i quali, probabilmente per astuzia o per ambizione, gli prendono la mano, ed egli probabilmente non se ne accorge, oppure è lui che sceglie collaboratori non adatti, che gli procurano poi dei problemi. Si tratta di collaboratori filo-modernisti, verso i quali egli è troppo indulgente.
      Per quanto riguarda i giornalisti, purtroppo dai tempi di San Giovanni Paolo II è avvenuta una spaccatura nel mondo dei giornalisti, una divisione che riflette il contrasto che c’è tra filo-lefevriani e i filo-modernisti. Da qui l’opportunità che la Santa Sede attui una supervisione, in modo tale che i giornalisti stessi sappiano con obiettività quello che è successo al Sinodo, senza lasciarsi influenzare da idee, interpretazioni, sospetti, critiche e speranze senza fondamento.

      Riporto le parole del Santo Padre, che lei può trovare dai link sottoindicati:
      «Poi, voglio dire che in questo Sinodo – anche per fare posto allo Spirito Santo – c’è la priorità dell’ascolto, c’è questa priorità. E dobbiamo dare un messaggio agli operatori della stampa, ai giornalisti, che fanno un lavoro molto bello, molto buono. Dobbiamo dare proprio una comunicazione che sia il riflesso di questa vita nello Spirito Santo. Ci vuole un’ascesi – scusatemi se parlo così ai giornalisti – un certo digiuno della parola pubblica per custodire questo. E quello che si pubblica, che sia in questo clima. Qualcuno dirà – lo stanno dicendo – che i vescovi hanno paura e per questo non vogliono che i giornalisti dicano. No, il lavoro dei giornalisti è molto importante. Ma dobbiamo aiutarli affinché dicano questo, questo andare nello Spirito. E più che la priorità di parlare, c’è la priorità dell’ascolto. E ai giornalisti chiedo per favore di fare capire questo alla gente, che sappia che la priorità è dell’ascolto. Quando c’è stato il Sinodo sulla famiglia, c’era l’opinione pubblica, fatta dalla nostra mondanità, che fosse per dare la comunione ai divorziati: e così siamo entrati nel Sinodo. Quando c’è stato il Sinodo per l’Amazzonia, c’era l’opinione pubblica, la pressione, che fosse per
      fare i viri probati: siamo entrati con questa pressione. Adesso ci sono alcune ipotesi su questo Sinodo: “cosa faranno?”, “forse il sacerdozio alle donne” …, non so, queste cose che dicono fuori. E dicono tante volte che i vescovi hanno paura di comunicare quello che succede. Per questo chiedo a voi, comunicatori, di fare la vostra funzione bene, giusta, così che la Chiesa e le persone di buona volontà – le altre diranno quello che vogliono – capiscano che anche nella Chiesa c’è la priorità dell’ascolto. Trasmettere questo: è tanto importante.
      Vi ringrazio di aiutare tutti noi in questa “pausa” della Chiesa. La Chiesa si è fermata, come si sono fermati gli Apostoli dopo il Venerdì Santo, quel Sabato Santo, chiusi, ma quelli per paura, noi no. Ma è ferma. È una pausa di tutta la Chiesa, in ascolto. Questo è il messaggio più importante».
      Da:
      https://www.vatican.va/content/vatican/it.html
      https://www.synod.va/it.html
      https://www.synod.va/content/dam/synod/assembly/0410/01_CG_01_Saluto-del-Santo-Padre_Papa-Francesco_ITA.pdf

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  2. Carissimo Alessandro, io penso che l’agire pastorale di Francesco sia in diretta continuità con il dettato conciliare e con la sua ricezione da parte dei suoi predecessori: Giovanni XXIII, Paolo VI, i due Giovanni Paolo e di Benedetto XVI e a mio parere su questo dobbiamo concentrarci.
    Francesco afferma, infatti, in Evangelii Gaudium: “Il Concilio Vaticano II ha presentato la conversione ecclesiale come l’apertura a una permanente riforma di sé per fedeltà a Gesù Cristo […] La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di ‘uscita’ e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia. Come diceva Giovanni Paolo II: ‘ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale’ (Eg 26s)”.
    La storia della Chiesa ha visto diversi contesti o scenari entro cui realizzare il proprio mandato. L’annuncio oggi deve dialogare con i segni della cultura del nostro tempo. Il processo di evangelizzazione e di inculturazione del messaggio è segnato da queste caratteristiche lette alla luce della presenza di Dio nella storia, come ci insegna il Concilio Vaticano II. In questa prospettiva penso che prima di tutto, la Chiesa è chiamata a custodire, prima di tutto, il deposito della fede.
    Al Concilio il Papa Giovanni XXIII aveva assegnato come compito principale di meglio custodire e presentare il prezioso deposito della dottrina cristiana, per renderlo più accessibile ai fedeli di Cristo e a tutti gli uomini di buona volontà. Per svolgere al meglio il suo mandato la Chiesa a mio parere ha bisogno di riqualificare il suo approccio pastorale, al suo interno e al suo esterno.
    Ad intra la Chiesa è chiamata, al suo interno, a compiere una vera e propria risignificazione delle identità ecclesiali e delle modalità di partecipazione alla missione della Chiesa e, di conseguenza, una nuova ermeneutica ecclesiologica basata sullo specifico ordine di sequenza proposto dalla Lumen gentium – prima il popolo di Dio (tutti), poi i vescovi (alcuni) e infine il vescovo di Roma (uno) – che supera la visione esistente di tre soggetti ecclesiali distinti e separati (papa, vescovi e popolo di Dio). I soggetti ecclesiali sono riqualificati all’interno della totalità dei fedeli battezzati in modo tale che la loro continua e reciproca interazione li costituisce come popolo di Dio – compreso il collegio dei vescovi e il successore di Pietro. Così, il popolo di Dio è l’unico soggetto attivo e fondamentale di tutta l’azione e la missione della Chiesa.
    Per la Chiesa del terzo millennio impegnata nella sua missione evangelizzatrice si pone un problema ad extra di come comunicare e testimoniare e rendere sempre più comprensibile, il deposito della fede all’uomo e alla donna di oggi, considerando che abbiamo a che fare, come ci ricorda Papa Francesco, non tanto con cambiamenti epocali ma con un vero e proprio cambiamento d’epoca. Oggi siamo chiamati ad annunciare e testimoniare la nostra fede in una società, che come ci ricorda Papa Francesco, è profondamente segnata dal processo di secolarizzazione che: “Tende a ridurre la fede e la Chiesa all’ambito privato e intimo. Inoltre, con la negazione di ogni trascendenza, ha prodotto una crescente deformazione etica, un indebolimento del senso del peccato personale e sociale e un progressivo aumento del relativismo, che danno luogo ad un disorientamento generalizzato, specialmente nella fase dell’adolescenza e della giovinezza, tanto vulnerabile dai cambiamenti”. (Evangeli gaudium, n.64)
    Infine non credo che Papa Francesco abbia bisogno di essere corretto per indicarci un cammino di Chiesa più chiaro, lo sta già facendo con il suo Magistero.

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  3. Benissimo, da quanto ho capito di quanto mi ha appena spiegato, siccome prima vengo io (o sono ad uguale livello), perché sono parte del "Popolo di Dio", e poi i parroci ed i vescovi, infine il Papa, allora chiederò alla diocesi di pagarmi un salario.
    Veramente, non sono solo io ma il giornalista del giornale che leggo che scriveva "ma cosa voleva dire Papa Francesco?". E non solo lui...e non solo in un'occasione, scusi.

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    1. Caro Alessandro,
      non è il caso di fare dell’ironia.
      La questione è molto seria, perché mette in gioco due diverse scale di valori, dove in esse ciò che è superiore nella prima è inferiore nella seconda, e ciò che è inferiore nella prima è superiore nella seconda.
      Una infatti è il rapporto tra Popolo di Dio e Pastori, che può essere paragonato a quello tra un organismo e i suoi organi vitali. Questa è l’ecclesiologia del Corpo Mistico, che troviamo in San Paolo. Qui possiamo dire che l’insieme del Popolo di Dio è più importante dei Pastori, così come un corpo vivente è più importante degli organi vitali che lo mantengono in vita.
      L’altra scala di valori rovescia questo rapporto. Qui sono i Pastori che stanno al di sopra del Popolo di Dio, certo non per dominarlo, ma per servirlo. Tuttavia dobbiamo parlare di un primato, in quanto i Pastori sono le nostre guide e quindi ci guidano nella verità del Vangelo, ci indicano il cammino, ci governano, regolano la disciplina ecclesiale, ci amministrano i Sacramenti.

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  4. Caro Alessandro,
    non è il caso di fare dell’ironia.
    La questione è molto seria, perché mette in gioco due diverse scale di valori, dove in esse ciò che è superiore nella prima è inferiore nella seconda, e ciò che è inferiore nella prima è superiore nella seconda.
    Una infatti è il rapporto tra Popolo di Dio e Pastori, che può essere paragonato a quello tra un organismo e i suoi organi vitali. Questa è l’ecclesiologia del Corpo Mistico, che troviamo in San Paolo. Qui possiamo dire che l’insieme del Popolo di Dio è più importante dei Pastori, così come un corpo vivente è più importante degli organi vitali che lo mantengono in vita.
    L’altra scala di valori rovescia questo rapporto. Qui sono i Pastori che stanno al di sopra del Popolo di Dio, certo non per dominarlo, ma per servirlo. Tuttavia dobbiamo parlare di un primato, in quanto i Pastori sono le nostre guide e quindi ci guidano nella verità del Vangelo, ci indicano il cammino, ci governano, regolano la disciplina ecclesiale, ci amministrano i Sacramenti.

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  5. Carissimo Alessandro se ti va, vai a rileggerti la Costituzione dogmatica sulla Chiesa “Lumen Gentium” del Concilio Vaticano II nell’esporre il mistero della Chiesa è strutturata secondo questi capitoli che ne definiscono l’ordine, non solo in termini di trattazione: cap.I appunto, il mistero della Chiesa. Cap II Il popolo di Dio. Cap. III Costituzione gerarchica della Chiesa ed in particolare dell’Episcopato.
    Nel Proemio del Cap III si legge.
    “Cristo Signore, per pascere e sempre più accrescere il popolo di Dio, ha stabilito nella sua Chiesa vari ministeri, che tendono al bene di tutto il corpo. I ministri infatti che sono rivestiti di sacra potestà, servono i loro fratelli, perché tutti coloro che appartengono al popolo di Dio, e perciò hanno una vera dignità cristiana, tendano liberamente e ordinatamente allo stesso fine e arrivino alla salvezza”.
    È intorno allo stesso Gesù che nasce la prima comunità del Nuovo Testamento, il nuovo Popolo di Dio, la comunità modello che va crescendo lungo i tre anni della sua attività pubblica. All’inizio, sono appena quattro (Mc 1,16-20). Poi la comunità cresce nella misura in cui aumenta la missione nei villaggi della Galilea. Arrivano al punto di non avere tempo per mangiare e per riposare (Mc 3,2). Per questo, Gesù si preoccupa di dare un riposo ai discepoli (Mc 6,31) e di aumentare il numero dei missionari e delle missionarie (Lc 10,1). Così, Gesù cerca di mantenere il duplice obiettivo della chiamata: stare con lui ed andare in missione. La comunità che si forma attorno a Gesù ha tre caratteristiche fondamentali che appartengono alla sua natura: è formatrice, è missionaria ed è inserita in mezzo ai poveri della Galilea.
    Solo dopo Gesù crea un nucleo più stabile di dodici persone per dare più consistenza alla missione. Anche per significare la continuità del progetto di Dio. Come sappiamo i dodici apostoli del NT sono i successori delle dodici tribù d’Israele.

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  6. Carissimi tutti
    qui non stiamo parlando del Popolo di Dio della Lumen Gentium, ma dell'accezione dell'uso/abuso del termine nel sinodo corrente. Sinodo, che già di partenza stravolge molte cose sia nei modi di attuazione, che nei contenuti. Intanto si parla di dare ascolto alla "base della piramide", al "Popolo di Dio" ma la cosa proprio non é stata fatta perché solo una minima percentuale dei fedeli in tutte le nazioni é stata consultata nella fase iniziale (le statistiche sono state fornite). Secondo, per Papa Francesco il Popolo di Dio non si può mai sbagliare. Ma questo non é vero nel senso aritmetico, ma solo nel senso specifico, cioè di restare fedeli a quella fede che tutti, sempre ed in ogni luogo hanno creduto. L' Arianesimo insegna: a quel tempo la maggioranza dei fedeli era caduta nell'errore. Allora, se, ad esempio, al sinodo in corso la maggioranza dei presunti rappresentanti "di tutta la Chiesa" (?!) pensa che ordinare le donne sia giusto (perché oggi la cultura impone di non discriminarle) , nonostante la risposta definitiva in senso opposto non di uno, non di due , ma di tre Papi (l'ultimo proprio Papa Francesco, vallo a capire), chi avrà ragione: la nuova chiesa democratica o la "vecchia" Chiesa gerarchica?
    Ma non vi accorgete che questo sinodo fa acqua da molte parti e che Papa Francesco, con il suo continuo richiamo allo Spirito Santo, sta cercando di darne una legittimazione fuori luogo? Sta sbagliando, insomma. Sullo Spirito Santo, il Card. Zen ha pure lui scritto nella stessa direzione una lettera confidenziale a tutti i partecipanti del sinodo. E poi perché non si sa niente di cosa stiano discutendo mentre stiamo qui a parlare tra di noi? Perché tutto questo ermetismo? Io mi ricordo benissimo quando di Papa Francesco venne riferita, non ricordo più da quale suo vicino collaboratore, la frase "meglio non dire niente in giro, sennò che guai che avremo...". Faccio notare, che, mi pare che stia facendo lo stesso. Del resto é proprio Papa Francesco che dice di se stesso "io sono un po' furbo, un po' ingenuo". Con calma, vi inviterei a stare più accorti sul piano pratico, mettendo per un attimo in secondo piano quello intellettuale. Questo sinodo, con tutto il rispetto, a me sembra più un errore madornale.

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    1. Caro Alessandro,
      le ripeto ancora una volta che noi possiamo accompagnare il lavoro del Sinodo, seguendo l’agenda indicata nel sito ufficiale: https://www.synod.va/it.html, come può vedere indicato nel sito della Santa Sede: https://www.vatican.va/content/vatican/it.html .
      Che poi il Popolo di Dio, nel professare la sua fede sia infallibile, non è una opinione del Papa, ma è dottrina del Concilio Vaticano II (LG 12). Questa infallibilità noi la esercitiamo per esempio quando recitiamo il Credo nella Messa, oppure quando assentiamo ad un pronunciamento infallibile del Magistero.
      Inoltre questo Sinodo, convocato e riunito attorno al Papa, in quanto tratta questioni dottrinali, non può sbagliare. Eventualmente può sbagliare nel prendere alcune decisioni pastorali o disciplinari meno prudenti, che comunque non potranno essere contrarie alla legge di Dio o della Chiesa.

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    2. Caro padre Giovanni Cavalcoli, nel suo commento precedente dici che questo Sinodo non può sbagliare.
      Si riferisce al Concilio Vaticano II o all'attuale Sinodo della sinodalità?
      Se si riferisci al Vaticano II, sono d'accordo, ovviamente.
      Ma se si riferisce a questo Sinodo attuale, no. Direi addirittura che non ha la competenza per trattare questioni dottrinali, ma piuttosto pastorali.
      E se si trattasse di qualsiasi questione dottrinale, penso che non dovrebbe decidere nulla al riguardo, poiché non ha giurisdizione per farlo. In ogni caso, potrebbe sollevare qualche questione dottrinale che il Papa dovrà risolvere.

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    3. Caro Paolo,
      quando ho detto che il Sinodo non può sbagliare in temi di carattere dottrinale, intendevo riferirmi al fatto che esso lavora sotto la sorveglianza del Papa.
      Una domanda che potremmo farci è se un Sinodo come questo possa affrontare delle questioni di carattere dottrinale, come per esempio chiedere al Papa che chiarisca l’espressione secondo la quale egli più volte ha detto che siamo tutti figli di Dio.
      Infatti noi possiamo distinguere un essere figli in un senso naturale, come esseri umani, dall’essere figli in un senso soprannaturali, come cristiani.

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  7. Caro padre Cavalcoli: il suo articolo è preciso, perché è una critica puntuale, breve e chiara a quella che lei definisce una "interpretazione modernista" delle risposte del Papa ai cinque cardinali.
    Sono perfettamente d'accordo con tutto quello che dici.
    Vorrei però aggiungere solo una cosa, anche se credo sia importante collocarci nella corretta posizione cattolica riguardo a qualsiasi espressione del Papa.
    Il suo articolo potrebbe servire anche a criticare i numerosi articoli che circolano oggi da posizioni “indietriste” o “passatiste”, criticando come moderniste le espressioni del Papa. Ma dicendo la stessa cosa che dice padre Giuseppe Lorizio!
    In altre parole: ancora una volta è dimostrato che, in casi simili a questo, in cui si vuole interpretare la parola del Papa, l'interpretazione dei modernisti e quella dei passatisti è la stessa, cioè è la stessa "interpretazione modernista": i modernisti lodano il Papa, e i passatisti lo rifiutano.
    Invece di entrambe le correnti ereticali, la posizione cattolica è quella di sforzarsi di interpretare le parole del Papa riconoscendo chi le ha espresse: il Vicario di Cristo.

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    1. Caro Silvano,
      sono perfettamente d’accordo con la sua analisi.
      La nostra speranza è che, sia gli indietristi che i modernisti, si decidano una buona volta a interpretare quello che dice il santo Padre con onestà e benevolenza, senza faziosità, senza pregiudizi, senza strumentalizzare, senza interpretazioni maligne, ma con disponibilità a comprendere e ad obbedire.
      Con questo non nego la legittimità di qualche critica prudente e costruttiva in relazione a qualche dichiarazione non magisteriale, a qualche esternazione improvvisata o a qualche opinione privata.

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