Il valore del martirio cristiano.


Articolo pubblicato il 24 luglio 2019 su Crux Fidelis : 
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Il valore del martirio cristiano.
                                                                                              Venne tra i suoi e i suoi non lo hanno accolto
                                                                                                                                             Gv 1,11

Spesso oggi sentiamo parlare di martiri, in particolare di cristiani in paesi islamici. E spesso il Papa ne parla. Che cosa evoca in noi la parola «martire»? Ripugnanza ed attrazione ad un tempo. Ripugnanza, per non dire orrore, per la violenza subìta. Attrattiva per l’eroismo e la fortezza.

Come fanno i martiri - a volte anche fanciulli -  ad affrontare e sopportare simili prove? Come essi giungono a quel punto? E come possono i carnefici giungere a tal punto di crudeltà? Come, in quali circostanze, in base a quali considerazioni  il martire giunge alla decisione di morire per Cristo? Come sa di morire per Cristo?

Sono domande alle quali è difficile rispondere, perché dovremmo interrogare lo Spirito Santo, che ispira il martire, gli fa capire che è giunto il momento, lo illumina nel prendere la decisione, gli comanda l’atto eroico, lo spinge all’azione, anzi alla passione. Ma quello Spirito che soffia dove vuole, credo che non ci risponderebbe.

Come infatti si creano le circostanze del martirio resta un mistero. Come uno giunge ad affrontare il martirio proprio in quelle circostanze resta un mistero. Riconosciamo il martirio avvenuto, il fatto del martirio, ma non sappiamo perchè è avvenuto proprio in quella persona, in quelle circostanze e non in altre. È il mistero della libertà: libertà del martire, libertà del carnefice. Domanda simile potremmo farcela riguardo al carnefice: perché sceglie proprio quelle circostanze e non altre? Si incontrano due misteri: quello dello Spirito Santo con quello del demonio.

Non ci resta che affrontare il nostro tema da un punto di vista teologico speculativo, il quale però ci illumina sul valore del martirio e ci offre il criterio, benché remoto ma necessario, per sapere se è giunto il momento, il kairòs. Remoto, perché solo teorico. Necessario, perché senza la teoria non esiste la prassi.

Ma il passaggio dalla teoria alla prassi, se prassi ci sarà, benché legato alla nostra responsabilità, è operato dallo Spirito. Il vuoto conoscitivo-volitivo fra la teoria e la prassi non è colmato da un processo deduttivo-intenzionale, ma è riempito dalla luce e dalla forza dello Spirito. Lo Spirito muove, la volontà segue. L’agone prepara il martirio, ma quando giunge il momento, le cose diventano facili. Per questo, i martiri sono gioiosi, perché sono trasportati dallo Spirito. Il martirio è atto d’amore e l’amore dà gioia. Per questo S.Tommaso Moro ha potuto scherzare sull’innocenza della sua barba sotto la mannaia del boia.

Cominciamo dunque col dire, per chi non l’avesse ancora capito,  che il martirio è un eccellente dono dello Spirito. Per S.Tommaso è il più alto atto d’amore per il prossimo, come dice Gesù: «Non c’è amore più grande di quello di colui che dà la vita per gli amici». Ma amore in che senso? Tommaso spiega che il martire, pur di non cedere nella verità, è pronto a rinunciare alla vita.

Dove sta allora l’amore? Sta nel fatto che il martire, stando fermo nella sua fedeltà a Cristo Verità, mostra al prossimo il valore immenso della verità di fede, per la quale è pronto a rinunciare alla vita. Ora, amare vuol dire donare all’altro ciò che si ha di prezioso. E tanto maggiore è l’amore, quanto più prezioso è il dono fatto alla persona amata e quanto è più grande il bene, al quale l’amante rinuncia per beneficare l’amato.   

Ora, nulla è più prezioso sul piano umano della propria vita, alla quale il martire rinuncia e ancor più, perchè qui siamo sul piano soprannaturale, nulla è più prezioso della testimonianza di fede del martire, il quale, col suo martirio, rende il messaggio della fede soprannaturale, che egli proclama, estremamente credibile, se il restarvi attaccato lo ha pagato al prezzo della sua stessa vita.

La parola «martire», come sappiamo, deriva dal greco martyr, che significa «testimone». Il testimone è uno che è stato presente ad un dato fatto, per cui ha appreso quello che narra o riferisce, di cui testimonia, non per sentito dire o perché ha letto di esso o per una deduzione personale, ma per esperienza diretta. De visu. Il martire dà testimonianza di avere incontrato Cristo e di avere sperimentato il suo amore e gli effetti della sua grazia nella propria vita.

Lo ha incontrato non necessariamente in modo fisico, come è avvenuto per gli uomini del tempo di Gesù, ma in senso interiore, nella propria coscienza o in coloro nei quali Cristo dice di essere presente, nei poveri, nei piccoli, nei semplici, nei sofferenti, nei perseguitati per il suo nome, nei pastori, nella Chiesa. Lo ha incontrato nella Scrittura, nella sua Parola, nella liturgia, nell’ascolto del suo Spirito.

Il testimone sa chi è Cristo certamente per mezzo di una conoscenza intellettuale e ragionata, con la quale coglie, nella fede, la sua verità storica, la verità della sua dottrina e della sua Persona, così come è stata definita dal dogma ecclesiale. Ma sa tutto questo non fermandosi alla conoscenza astratta, ma in base all’esperienza della sua stessa vita cristiana come esperienza dell’amore di Cristo, come esperienza della pratica dei suoi comandamenti e del suo amore perdonante e salvifico.

Ora, l’esperienza della pratica dell’amore di Cristo dà un’evidenza  e una certezza di conoscere Cristo superori a quelle che nascono da una conoscenza semplicemente speculativa, per quanto necessaria, soprattutto se dogmatica. Il martire è dunque uno che ci insegna chi è Cristo, ci indica Cristo, ci persuade dell’amabilità di Cristo, ci conduce a Cristo, perché è immagine viva di Cristo, perché Ne riproduce il fascino e il «profumo», come dice S.Paolo, nella sua stessa vita e non è solo l’apostolo o il maestro che ci parla a Suo nome, per quanto necessario sia ascoltarli per non cadere vittime di falsi cristi.

Perché il persecutore uccide il martire? Che cosa occorre nel persecutore perché egli faccia un martire? Quale dev’essere il motivo dell’omicidio? Se uno giunge ad uccidere è perché odia la persona uccisa. Questo è evidente. Ma ciò non crea ancora il martire e non fa il persecutore di un martire. Anche un mafioso uccide un mafioso perché gli toglie la piazza della droga. Anche un politico può uccidere un altro politico perchè gli sbarra la strada al potere. Anche un governo di destra può far uccidere un prete perchè collabora con i guerriglieri comunisti. Ma in tutti questi casi non si dà ancora martirio, perché l’uccisore crea il martire quando uccide in odio alla fede della vittima, e non per motivi umani o addirittura criminosi.

È da notare che l’odio alla fede non significa solo odio per l’esplicita professione di fede del martire, ma può essere odio per una certa azione o condotta, che discende dalla fede della vittima. S.Maria Goretti, per esempio, è martire non perchè Serenelli fosse un ateo arrabbiato, sì da odiare in Maria la recita del Credo, ma mostrò di odiare la fede di Maria, in quanto non accettò quel comportamento casto di Maria, che appunto discendeva dalla fede della giovane.

Nella situazione disordinata, agitata e conflittuale della Chiesa di oggi, invasa da bestie feroci e serpenti velenosi, falsi profeti e imbonitori, lacerata da interne divisioni provocate da eretici impuniti ed anzi gratificati da successo e potere, non è raro che falsi fratelli, magari rivestiti di autorità, martirizzino altri fratelli, senza che naturalmente si arrivi all’omicidio, come succedeva nelle guerre di religione dei secc.XVI-XVII. E tuttavia questi indegni pastori non risparmiano vessazioni e maltrattamenti a coloro che dovrebbero ringraziare ed imitare come testimoni di Cristo.

Siamo nella situazione paradossale di un Papa, che predica continuamente l’accoglienza, l’amore, la collegialità, la misericordia, il rispetto del diverso, il dialogo e la fratellanza, l’apertura allo Spirito Santo, mentre mai la Chiesa è stata tanto carente di questi valori e internamente divisa. Come si spiega tutto questo? Ci accontentiamo di belle parole, ma siamo attaccati al mondo, temiamo i giudizi del mondo, non vogliamo scontentare il mondo. Al timore di Dio abbiamo sostituito il timore degli uomini.

Stiamo identificando la Chiesa col mondo e per questo entrano nella Chiesa tutti i miasmi, i conflitti e tutte le seduzioni del mondo. Ci riempiamo la bocca di «escatologia», ma praticamente abbiamo sostituito l’al di là con l’al di qua. Siamo sicuri di salvarci e intanto offendiamo il Signore. Fondamentalmente non amiamo la verità. Siamo doppi e disonesti nel pensare e nel parlare. Si elogiano i martiri e i perseguitati a causa della giustizia, ma solo quelli di lontani paesi islamici, e non quelli che stanno a due passi da casa nostra e che magari noi stessi contribuiamo a martirizzare.

Da questa enorme diffusione dell’ipocrisia e dell’incoerenza di vita conseguono tutti i nostri guai. Viceversa, il martire è anzitutto un amante della verità. L’unica cosa che  lo interessa è non scontentare Dio. Egli sostanzialmente dà la vita per la verità e per ciò che consegue alla verità: la giustizia, l’onestà, la lealtà, la libertà, l’amore fraterno, la propria dignità, il bene comune, l’amore alla Chiesa, l’onore di Dio e tutte le altre virtù.

In questa situazione la Chiesa, come disse S.Paolo VI, «sta demolendo se stessa», i suoi nemici si divertono a guardarla: non hanno bisogno di intervenire, perché essa da sola sta usando contro se stessa quelle armi, che essi in passato usavano per distruggerla. In tal modo i cattolici, almeno nei paesi occidentali, sono in continua diminuzione, alcuni disgustati, altri scandalizzati, altri delusi, altri frastornati, altri spinti fuori, sostituiti da formazioni di ogni genere: modernisti, reazionari, protestanti, massoni, comunisti, freudiani, atei, agnostici, indifferentisti, buddisti, spiritisti, ecc. ecc.

Abbiamo sì, se vogliamo, una «Chiesa in uscita», ma è una Chiesa che lascia la sua dimora presso Dio e si perde per le strade del mondo. È come uno che esce di casa, si perde in un luogo sconosciuto e non riesce a ritrovare la via del ritorno. Papa Francesco intenderebbe riferirsi alla Chiesa missionaria, che va verso le «periferie». Ma a fare che cosa? Semplicemente a fermarsi nelle periferie senza indicar loro le vie di Dio? Le vie che conducono a Roma?

Per usare immagini inventate da Papa Francesco, non abbiamo più una Chiesa una, ossia «sferica», coerente, armoniosa e concorde, ma, per evitare il «monolitismo», sotto pretesto del pluralismo, abbiamo una Chiesa «poliedrica», strabica, frammentaria e litigiosa.

Come invertire questa tendenza? Come fermare questa emorragia? Occorre l’immissione di nuovo sangue. Occorre il sangue dei martiri. Esso, come già diceva Tertulliano, è il seme di nuovi cristiani. Col semplice dialogo si finisce nelle chiacchiere inconcludenti. È vero comunque che il tiranno che crea dei martiri, fa per altro verso anche calare i cristiani, impauriti e tentati all’apostasia.

Infatti, non a tutti Dio dà la forza del martirio. E se non dà la forza, vuol dire che non è chiamato al martirio. Se uno davanti alla minaccia del musulmano col coltello in mano, è preso dal panico e rinnega Cristo, può essere scusato. Nemo ad  impossibilia tenetur. Il terrore può paralizzare la volontà e ciò che si dice o si fa in questo stato, anche se oggettivamente è peccato, non si può imputare a colpa all’autore.

Il martirio, infatti, non è un dovere che rientri nella morale comune, ma, come ho detto, è un dono raro e speciale dello Spirito Santo. Lo si può desiderare, lo si può chiedere; ma non è detto che Dio esaudisca. Molti Santi l’hanno desiderato, ma non sono stati esauditi, anche perché esiste già un martirio del cuore, che è la croce quotidiana e che è quel martirio, che S.Teresa di Gesù Bambino chiamava «puntura di spillo». A questo martirio tutti sono tenuti.

Si verifica qualcosa di simile a quanto è successo a Cristo, il quale fu perseguitato proprio da coloro, suoi correligionari, che maggiormente avrebbero dovuto apprezzarlo, accoglierlo e seguirlo per essere eredi del messaggio dei profeti. Essere perseguitati da falsi fratelli, che magari dovrebbero sostenerci e proteggerci, è ancor più doloroso, odioso ed umiliante che essere colpiti ed offesi da nemici esterni ed aperti.

Si aggiunga che il martirio di costoro non è sempre facile da riconoscere, perchè fanno la figura di essere dei ribelli o degli scismatici o degli eretici. Eppure è proprio ciò che è capitato a Cristo, il Quale appunto, opponendosi alle autorità del suo tempo, non dette a molti l’impressione di essere un martire, ma un ribelle e un empio.

E, come sappiamo, ancor oggi molti Ebrei non riconoscono in Gesù il Messia, perché non rintracciano in Lui il martire, ma credono di ravvisare un ribelle. Per questo Gesù ha proclamato beati coloro che non si scandalizzeranno di Lui, ma, considerando i miracoli da Lui compiuti, e l’eccellenza del suo esempio e della sua dottrina, sapranno riconoscere in Lui, come dice l’Apocalisse, il «Testimone fedele, il Principe dei re della pace».

P.Giovanni
Pinarella di Cervia (RA), 20 luglio 2019  





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