Ecumenismo concludente ed ecumenismo cincischiante - Prima Parte (1/3)

 Ecumenismo concludente ed ecumenismo cincischiante

Prima Parte (1/3)

Insorgono i re della terra e i prìncipi congiurano insieme

         contro il Signore e contro il suo Messia.

Sal 2,2 

La pace fra Russia e Ucraina verrà da un ecumenismo sincero e leale 

La promozione dell’ecumenismo è stata una delle grandi provvidenziali novità pastorali del Concilio Vaticano II, che ha chiuso un lungo periodo di eccessiva severità e cautela nei confronti degli scismatici, degli eretici e degli apostati. Si sa infatti come il Nuovo Testamento raccomandi di non avere contatti con gli eretici (Gd 23; II Ts 3,5; II Tm 3,5; Tt 3,10).

Ma la Scrittura e soprattutto il Vangelo mostra anche nell’esempio di Cristo quale premura si deve avere per loro e per la loro salvezza. Per questo il modello non è quello del fariseo che stava lontano dal peccatore, perché vedeva in lui solo la tentazione e non il fratello, ma quello del medico che contatta e tocca il fratello infetto, premunendosi tuttavia dal contagio.

Ora, nei secoli passati è successo che la Chiesa ha visto eccessivamente nel peccatore o nell’eretico la persona tentatrice e pericolosa da evitare, benché fosse nel contempo animata dal desiderio di correggerlo e indurlo a tornare nel suo seno. Capitava tuttavia che quest’opera fosse compiuta con una eccessiva fretta e con eccessive pretese, che non tenevano conto di ostacoli involontari o lentezze naturali nel peccatore, ma si ricorresse facilmente alle sollecitazioni e alle minacce, per cui si otteneva un effetto controproducente o delle conversioni finte o per convenienza. Questo modo di agire il Papa lo chiama «proselitismo», effetto del «clericalismo».

La fretta o la pressione nel chiedere ai non-cattolici di entrare nella Chiesa cattolica era occasionata prima del Concilio anche da un fraintendimento del dogma secondo il quale fuori della Chiesa cattolica non c’è salvezza. Il Concilio sembra esser entrato in contrasto con questo dogma dichiarando che

 

«la divina Provvidenza non nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che senza colpa non sono ancora arrivati a una conoscenza esplicita di Dio e si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta» (n.16). 

Ma non è difficile sciogliere l’apparente contraddizione dicendo che questi «aiuti necessari alla salvezza» si assommano appunto nell’appartenenza invisibile ed inconsapevole alla Chiesa cattolica.

La separazione sistematica e l’assenza di contatti con i non-cattolici a lungo andare produceva facilmente effetti nocivi sia per i cattolici che per  gli altri, effetti che rischiavano di alimentare disprezzo, rancore, diffidenza, ignoranza, pregiudizi ed eccessiva rigidezza.

Ora il Concilio, col suo decreto sull’ecumenismo, ha in sostanza preso più sul serio l’opera della catechesi, della predicazione, della missione e dell’evangelizzazione, mostrando come essa è più complessa di quanto fino ad allora si era creduto e praticato e in particolare ha messo in luce l’aspetto del dialogo con i non-cattolici, non-cristiani ed atei, teso a riconoscere il bene esistente in loro e a liberarli dal male.

Ora, era appunto questo aspetto di dialogo – si pensi all’esempio di Cristo - che fino ad allora non si era abbastanza considerato. Nel contempo il Concilio non ha affatto rinunciato a promuovere la tradizionale ed essenziale attività missionaria volta ad indurre i non-cattolici a convertirsi a Cristo o alla piena comunione con la Chiesa cattolica. Semplicemente ha rafforzato la base di partenza, costituita da una migliore comprensione di dogmi rimasti in comune, perché è solo su questa base, ossia facendo riferimento a questi dogmi, vissuti nella carità, che noi cattolici possiamo acquistare presso gli ortodossi quella credibilità e quell’autorevolezza, che li indurrà, per logica conseguenza – pena l’incoerenza dottrinale – ad accogliere le verità ancor oggi respinte.

È da quasi quarant’anni che vado segnalando un modo di fare ecumenismo che tace e non persegue lo scopo ultimo e proprio dell’ecumenismo, così come è stato delineato dal decreto Unitatis redintegratio del Concilio Vaticano II.

In questi 60 anni dalla fine del Concilio c’è stato indubbiamente un ecumenismo sano e costruttivo, il quale però è rimasto fermo alla comune presa di coscienza dei punti che sono rimasti in comune con i fratelli separati, si prega assieme, si sono abolite certe espressioni troppo polemiche, si sono ridimensionati alcuni giudizi storici troppo di parte, si è approfondita la reciproca conoscenza della storia passata e delle rispettive posizioni dottrinali, tolti inveterati pregiudizi, spenti vecchi rancori, ci si è perdonati a vicenda per i torti del passato, si insiste sull’importanza di lavorare assieme per la dignità dell’uomo, per la causa della fratellanza universale, della giustizia e della pace, e per il rispetto del creato.

Senonchè, però, fatto questo prezioso lavoro, non siamo ancora nel cuore ovvero nel lavoro più specifico e più importante dell’ecumenismo, il quale consiste, come dice il Concilio, nell’operare da ambo le parti in modo tale che i fratelli separati non siano più separati, ma, sulla base degli elementi di Chiesa, che già posseggono, giungano sia per iniziativa propria e sia perché aiutati dai cattolici,

a «quella unità, che Gesù Cristo ha voluto elargire a tutti quelli che ha rigenerato e vivificato insieme per un sol corpo e per una vita nuova; unità che le Sacre Scritture e la veneranda tradizione della Chiesa apertamente dichiarano. Infatti, solo per mezzo della cattolica Chiesa di Cristo, che è lo strumento generale della salvezza, si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi della salvezza» (n.3).

Il Concilio definisce i fratelli separati come appartenenti a «comunità non piccole che si sono staccate dalla piena comunione della Chiesa cattolica, talora non senza colpa di entrambe le parti» (ibid.). Questi fratelli non sono totalmente separati, ma lo sono solo in parte. Sono in comunione con la Chiesa cattolica, ma non totalmente: una comunione imperfetta.

 Dice il Concilio:

«Quelli infatti che credono in Cristo e hanno ricevuto debitamente il battesimo sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica» (ibid.). E tuttavia in queste comunità esistono «sia  nel campo della dottrina e talora anche della disciplina, sia circa la struttura della Chiesa impedimenti non pochi e talvolta proprio gravi, i quali si oppongono alla piena comunione ecclesiastica, al superamento dei quali  tende appunto il movimento ecumenico»(ibid.). Il Concilio riconosce che queste comunità hanno delle «carenze» (ibid.).

Tuttavia, «lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza, il cui valore deriva dalla stessa pienezza di grazia e della verità, che è stata affidata alla Chiesa cattolica» (ibid.). Per questo motivo, «bisogna che siano incorporati alla cattolica Chiesa di Cristo tutti quelli che già in qualche modo appartengono al popolo di Dio» (ibid.).

Il Concilio elenca poi tutti quelli che sono i temi, i metodi, le modalità i mezzi dell’ecumenismo. E conclude:

«Tutte queste cose, quando con prudenza e costanza sono compiute dai fedeli della Chiesa cattolica sotto la vigilanza dei pastori, contribuiscono a promuovere la verità e l’equità, la concordia e la collaborazione, la carità fraterna e l’unione. Cosicchè per questa via, a poco a poco, superati gli ostacoli, che impediscono la perfetta comunione ecclesiastica, tutti i cristiani in un’unica celebrazione dell’eucaristia, si riuniscano nell’unità di quell’una e unica Chiesa, che Cristo fin dall’inizio donò alla sua Chiesa, e che crediamo sussistere, senza possibilità di essere perduta, nella Chiesa cattolica e speriamo che crescerà ogni giorno di più fino alla fine del mondo» (n.4).

La frase «La Chiesa di Cristo sussiste nella Chiesa cattolica» significa la Chiesa di Cristo è la Chiesa cattolica. Nel primo caso abbiamo il predicato della sussistenza, che si riferisce alla Chiesa come persona mistica, sposa di Cristo. Nel secondo caso abbiamo il predicato dell’essenza, col quale si definisce l’essenza della Chiesa. La Chiesa di Cristo è una persona mistica, è sussistente; pure la Chiesa cattolica è sussistente.  Ora, unica è la sussistenza della Chiesa di Cristo e della Chiesa cattolica. Dunque unica è l’essenza: la Chiesa cattolica è la Chiesa di Cristo e viceversa.

Il Concilio ha tracciato un cammino, ha stabilito delle tappe. Certo ogni passo che si compie va fatto con retta intenzione, cogliendo l’occasione favorevole, senza precipitazione, ma anche senza lentezze o tergiversazioni. Non si devono sistematicamente tacere quelle verità o quei dogmi, che al momento sono avversati o fraintesi dai fratelli separati, ma occorre stare sempre in attesa che sia giunto il momento adatto, evitando di battere il passo quando si può procedere, e un certo rispetto umano, quando giudichiamo che sia in gioco la loro salute spirituale o l’onore di Dio o che essi siano disponibili ad accogliere la verità.

Si deve tacere solo se siamo certi che il fratello fraintenderebbe o la sua coscienza fosse insormontabilmente ostacolata ad accogliere il messaggio. Non si deve esagerare nel desiderio di essere graditi e di non dispiacere. E, se siamo messi alle strette, non dobbiamo temere di essere avversati o anche offesi.

Lo scopo dell’ecumenismo presentato dal Concilio è molto chiaro: è l’ingresso di tutti i fratelli separati nella Chiesa Romana, dopo aver tolto le lacune, gli ostacoli e le carenze che tuttora impediscono la loro piena comunione con Roma, perché la Chiesa di Cristo, la Chiesa cattolica. è una e indivisibile, per quanto composta da molte Chiese locali o diocesi rette dal vescovo, successore degli apostoli sotto la guida del Papa, Successore di Pietro.

I difetti del falso ecumenismo

Un momento nel quale l’ecumenismo s’inceppa è quello nel quale i fratelli separati insistono nei loro errori, non danno mostra di riconoscerli ed anzi vorrebbero convincerci di aver ragione e spingerci a cadere nel loro stesso errore. Altro momento di arresto è quando siamo noi stessi presi da un indiscreto desiderio di successo o ingannati da un falso irenismo, per cui, benché si presenti l’occasione di parlare, non lo facciamo per timore di essere sgraditi.

Questo tipo di falso ecumenismo lo chiamo «cincischiante», o anche tergiversante o reticente, in quanto il suo cincischiare è la continua ripetizione di frasi fatte, di lodi reciproche; un procedere farraginoso e sconclusionato fatto di luoghi comuni, discorsi fumosi, noiosa ripetitività, proclami generici, reticenze, intenti astratti, frasi ed auspici scontati.

L’ecumenismo cincischiante è quel dialogare fine a se stesso, quel menare il can per l’aia, per il quale i due dialoganti girano continuamente senza fine attorno alla questione senza affrontarla mai di petto, ma limitandosi a supplicare lo Spirito Santo che conceda la «sospirata unità». È, per la verità, un’ipocrisia e un modo di tentare Dio, giacchè Dio certamente aiuta, ma quando noi abbiamo fatto tutto ciò che è in nostro potere per risolvere il problema e non quando scantiniamo o svicoliamo per non far dispiacere all’altro.

La preghiera comune è certo buona cosa, ma essa ha senso e vale, quando da parte nostra facciamo quello che è in noi. Non possiamo scaricarci sulla preghiera per essere esonerati dal fare quello che possiamo e dobbiamo fare.

I discorsi e i procedimenti sconclusionati e tergiversanti, ambigui e cincischianti, le smancerie e i salamelecchi creano un clima falso e dolciastro, generano l’equivoco, fanno perdere tempo, rischiano la banalità, l’insulsaggine e la vuotaggine, impediscono la capacità critica, vanno avanti a forza di frasi fatte e luoghi comuni, ripetono fino alla noia le stesse formule convenzionali, impigriscono e indeboliscono la nostra facoltà di ragionare, vivono nelle astrazioni, mancano di sapienza e di profetismo, sono caratterizzati dall’opportunismo e dal rispetto umano, mancano di risultati pratici e di prospettive future  e finiscono nelle vuotaggini e nelle banalità.

Ma quel che è peggio è che la reticenza, la dissimulazione e il tacere quando bisognerebbe decidersi a ricordare ai fratelli separati, con tutta carità e prudenza, ma con franchezza, quelle «lacune», quegli «impedimenti», quelle «carenze», che bisogna togliere, perché essi possano giungere alla piena comunione con noi. Invece purtroppo, per la ingenuità e l’impreparazione di noi cattolici, l’ecumenismo sembra essere divenuto uno strumento in mano ai fratelli separati perché ci convinciamo che non sono loro a dover entrare in piena comunione con Roma, ma siamo noi cattolici che dobbiamo pensarla come loro.

Una concezione falsa dello scopo dell’ecumenismo, concezione seducente, ma antitetica al vero ecumenismo, è quella che concepisce il cristianesimo non come espresso in un’unica Chiesa, quella Romana, ma espresso in una pluralità di Chiese o comunità diverse, reciprocamente complementari, tutte allo stesso livello fraterno, senza che ve ne sia qualcuna, come per esempio la Chiesa Romana, che pretenda di avere il primato sulle altre e di comandare alle altre, senza quindi un unico capo terreno – il Papa - ma un popolo di Dio soltanto sotto l’unico capo celeste, Cristo e la mozione dello Spirito Santo.

Tale concezione suppone che  le divisioni fra cristiani non siano nate, come dice il Concilio, dal fatto che alcune comunità si sono separate dalla Chiesa di Roma, come tralci dalla vite, ma queste divisioni sarebbero nate dal fatto che la Chiesa stessa ha perso la sua unità e si è spezzata in vari frammenti, come fosse un vaso che si è rotto. Che bisogna fare, allora? Non è che i fratelli separati debbano entrare nella Chiesa Romana, come se essa fosse rimasta integra, perchè anche lei è un coccio tra gli altri. Si tratta invece di riunire i cocci tra di loro e ricomporre il vaso.

Ma chi fa questo lavoro? Secondo loro, lo fa l’ecumenismo, non però sotto la guida di Roma, che è un coccio fra gli altri, priva di una vera universalità, ma sotto la guida dello Spirito Santo, che è il vero fattore della riconciliazione, della concordia e dell’unità nella diversità. Secondo questi ecumenismi, non è che le varie comunità cristiane debbano formarsi tutte sul modello della Chiesa Romana, perché ciascuna ha una propria irripetibile identità, e devono ognuna rispettare la diversità dell’altra.

In base a questi princìpi, l’espressione piena ed adeguata del cristianesimo non è la Chiesa cattolica, ma è l’insieme o federazione delle Chiese cattolica e non cattoliche[1], in quanto ognuna darebbe il proprio contributo originale all’edificazione dell’intero, come in un pranzo al sacco in una gita parrocchiale i partecipanti offrono quella porzione di cibo che si sono portati da casa o un giardino zoologico che risulta dalla raccolta di diverse specie di animali o un parlamento, dove ogni partito dà, nella diversità ed anche all’opposizione, il suo contributo al bene comune. Ma le cose, secondo il Concilio, come abbiamo visto, non stanno affatto così. I paragoni evangelici e più calzanti sono invece quelli della vite e dei tralci e la parabola del figliol prodigo.

In questa impostazione federalista la Chiesa è concepita come un insieme di  Chiese. Si tratta di una concezione non lontana da quella ortodossa o anglicana, dalla quale proviene il paragone del vaso rotto. Essa fa la figura di essere liberale ed ugualitaria, ma in realtà nega la natura e la struttura vera della Chiesa. Essa ha incontrato favore presso la massoneria, guarda caso nata a Londra, perché è la massoneria che ritiene se stessa come la fautrice dell’unità del genere umano, per cui non tollera rivali, non sopporta che le religioni abbiano questa pretesa di universale obbligatorietà e le accetta solo se stanno al di sotto di lei, come diverse espressioni, tutte sullo stesso piano, della pratica religiosa dell’umanità.

Quello che ancora amareggia in questo falso ecumenismo è la tendenza tra noi cattolici a lasciarci influenzare più dai protestanti che dagli ortodossi, quando è noto che i protestanti sono ben più lontani da noi che gli ortodossi, i quali, se rifiutano il primato del Papa e il famoso Filioque, difficilmente si potrebbero chiamare eretici, e tradizionalmente li consideriamo scismatici. Viceversa è evidente che il protestantesimo è infetto dall’eresia, ma non solo: quello nato dall’idealismo tedesco sfocia nel panteismo hegeliano, dal quale poi è sorto Marx, mentre l’elemento in esso di ateismo prometeico porta alla nicciana «volontà di potenza», radice della dottrina del nazismo.

Occorre dunque denunciare questa forma di falso ecumenismo, per la quale ci si è occupati troppo e male dei protestanti sottovalutando l’utilità del dialogo con gli ortodossi[2], quando sanno tutti che gli ortodossi sono molto più vicini a noi cattolici che noni protestanti. Questo vizio è molto vecchio e precede il sorgere dell’ecumenismo. Si verificò già col modernismo condannato da S.Pio X. Che cosa è infatti il modernismo se non un inquinamento protestante del cattolicesimo?

Altro difetto di un falso ecumenismo è l’idea modernista che nel passato la Chiesa, arretrata rispetto ai progressi del sapere e della spiritualità, vittima di una forma di miope conservatorismo, si sia sbagliata nell’interpretare e condannare grandi uomini illuminati, benefattori dell’umanità, testimoni del Vangelo, promotori del sapere e della virtù, riformatori e profeti, come per esempio Ockham, Eckhart, Lutero, Cartesio e Kant e i cosiddetti «modernisti».

Chi fa questi discorsi, anche se si fregia del titolo di «cattolico» ed ottiene successo e consensi all’interno della Chiesa, non è in realtà altro che un seguace di quegli uomini, che non sa o non vuol sapere che, quando la Chiesa ha condannato un eretico o un falso sapiente, fosse anche solo messo all’Indice[3], come dimostra la stessa storia, non ritratta mai la sua sentenza, perché essa esercita qui il carisma della sua infallibilità dottrinale.

Un altro difetto del falso ecumenismo è la confusione del falso col diverso. È vero che tra le disunite confessioni cristiane esistono diversità che vanno riconosciute ed apprezzate – e questo si è molto realizzato -. Ma ci si è dimenticati che la differenza fra cattolicesimo e cristianesimo non-cattolico non sta solo nel fatto che nel non-cattolico c’è il diverso dal cattolico, da riconoscere e promuovere, ma che c’è anche il falso, da togliere e rimuovere.

Inoltre si sta trascurando un altro aspetto essenziale dell’ecumenismo, e cioè il fatto che esso non comporta solo il lavorare assieme per la promozione dei valori comuni, ma anche il lottare assieme per i comuni nemici dell’uomo e del cristianesimo: assieme dobbiamo combattere contro la falsità, contro il peccato, contro la carne, contro il mondo e contro Satana. Non sono abbastanza messi in luce questi nemici.

Mi rendo conto che il problema è delicato, perché gli stessi fratelli separati, a causa delle eresie e degli errori nei quali tuttora[H1]  sono implicati, non hanno quella convinzione, coerenza, forza e sagacia che la Chiesa cattolica possiede nella lotta contro questi nemici, ma in vari modi e misure essi scendono a patti con essi, e fanno il doppio gioco, frastornati fra Dio e il mondo, fra Dio e il proprio io.

Questo sbilanciamento verso i protestanti ha finito in molti casi per provocare un falso cattolicesimo, come per esempio quello di Rahner, che è più eretico dell’ortodossia. Oggi quindi siamo davanti a un mondo ortodosso russo che è più cristiano del cattolicesimo modernista nostrano, il quale riflette il razionalismo cartesiano, difetto tipico dell’occidente.

L’esperienza spirituale accomuna l’anima cristiana tedesca con quella russa in una oscurità atematica, che nella prima conserva la parola, mentre la seconda sfocia nel silenzio mistico, il divino appare immanente e l’uomo divinizzato col rischio del panteismo e dello gnosticismo. Nella prima la ragione è sostituita dalla dialettica, nella seconda, dalla luce taborica[4].

L’ecumenismo con gli ortodossi ha messo in chiara luce che tutti ammettiamo che lo Spirito Santo e il Figlio procedono dal Padre. Il nodo da sciogliere tuttora esistente è il ben noto fatto che mentre noi Latini agiamo nella luce del Logos, perché ammettiamo che anche da Lui procede lo Spirito, gli Orientali agiscono nella luce del Pneuma, perché per loro Egli procede dal Padre solo per mezzo del Figlio, per cui il Pneuma è superiore al Figlio ovvero al Logos. Da qui il silenzio mistico ed apofatico dello Spirito[5] superiore alla catafasi o parola del Verbo.

Una questione è quella del rapporto fra progresso e tradizione, per la quale il mondo ortodosso rappresenta una forma di tradizionalismo arcaico (fermo al sec. XI) simile al lefevrismo della Chiesa cattolica, mentre i modernisti falsificano l’elemento progressista del cristianesimo, che trova invece la sua espressione autentica negli insegnamenti rettamente interpretati del Concilio Vaticano II.

 Infine, un altro risultato disastroso del falso ecumenismo è la diffusione del relativismo e la perdita dell’amore per la verità. Quella che è l’eresia diventa semplicemente un diverso modo di pensare. I dogmi cattolici non sono più l’unico modo d’interpretare la Parola di Dio, ma vengono affiancati da altre interpretazioni contrastanti, come se il dogma fosse una semplice opinione, un punto di vista particolare, che può affiancarsi ad un punto di vista diverso.

Fine Prima Parte (1/3)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 9 aprile 2022

Grande massima di saggezza, sorgente di felicità, è, in tutte le creature e in tutte le opere dell’uomo, saper prendere il buono e scartare il cattivo.  Per mangiare una noce, si getta via il guscio e si prende il contenuto. «Esaminate ogni cosa – ci insegna San Paolo (I Ts 5,21) -; tenete ciò che è buono». Chi ha lo sguardo puro, è cauto, ha senso critico ed è signore delle sue passioni, sa apprezzare il vero, il buono e il bello, laddove l’impuro, l’incauto, lo stolto e il passionale non possono evitare il peccato.


Immagine da Internet


[1] Questa tesi è sostenuta da Schillebeeckx nel suo libro Umanità. La storia di Dio, Queriniana, Brescia 1992: «il cristianesimo non si può considerare l’unica vera religione al di sopra di tutte le altre» (p.141); il cristianesimo «non è latore di una verità assoluta» (p.211); il giudizio espresso dal Concilio circa il primato del cristianesimo sulle altre religioni con la constatazione che «gli elementi di bene in esse individuabili sono visti presenti in modo eminente nello stesso cristianesimo», è da lui definito «imperialismo», per il quale «le altre religioni sono ipso facto spogliate della loro identità» (p.216). Il cristianesimo non va giudicato come la «religione migliore fra tutte le altre» (p.218); «c’è più verità religiosa in tutte le religioni messe assieme che in ogni singola religione. E questo vale anche per il cristianesimo» (p.220).  Chiaramente Schillebeeckx confonde la divina rivelazione, dove il primato è certo del cristianesimo, con la letteratura religiosa delle altre religioni, opera semplicemente umana, dove possiamo senza problemi concedere che ci siano tante cose che non si trovano nella Bibbia o nella Tradizione cristiana, le quali cose però non aggiungono nulla ai contenuti della rivelazione cristiana, ma semmai, al massimo, ne sono una partecipazione.

[2] Ricordo con quanto calore Mons. Salvatore Baldassarri, Arcivescovo di Ravenna, profondo conoscitore del mondo dell’ortodossia, sosteneva l’utilità del dialogo con gli ortodossi per le somiglianze che essi hanno con noi cattolici. Noi ravennati, fruenti privilegiati di splendidi monumenti dell’arte, della cultura e della spiritualità bizantina, ci sentiamo spontaneamente in sintonia con l’ortodossia russa, nata da Bisanzio e quindi particolarmente qualificati a mediare in questa guerra fra occidente ed oriente, cattolici ed ortodossi, al di là di tutti gli altri mediatori oggi sulla scena, tutti per vari motivi privi di quella sensibilità che fa capire l’animo russo e quindi favorisce la mutua comprensione e la pace.

[3] Il fatto che San Paolo VI abbia abolito l’Indice dei libri proibiti non va affatto inteso come se la Chiesa abbia riconosciuto di essersi sbagliata nel condannare gli errori contenuti in quei libri, ma va inteso come esortazione a saper cogliere la verità anche in mezzo all’errore. Si può studiare Lutero, Cartesio, Hegel o Rahner senza per questo diventare luterani, cartesiani, hegeliani o rahneriani. Così similmente la proibizione biblica di guardare una donna nuda (Gb 31,1) non si riferisce evidentemente al fatto di ammirare in lei la creatura di Dio, ma vuol giustamente mettere in guardia dal pericolo della concupiscenza. Grande massima di saggezza, sorgente di felicità, è, in tutte le creature e in tutte le opere dell’uomo, saper prendere il buono e scartare il cattivo.  Per mangiare una noce, si getta via il guscio e si prende il contenuto. «Esaminate ogni cosa – ci insegna San Paolo (I Ts 5,21) -; tenete ciò che è buono». Chi ha lo sguardo puro, è cauto, ha senso critico ed è signore delle sue passioni, sa apprezzare il vero, il buono e il bello, laddove l’impuro, l’incauto, lo stolto e il passionale non possono evitare il peccato.

 

[4] Nei mistici russi la luce taborica è una luce ineffabile fisicospirituale divina beatificante e salvifica, che emana dal corpo, dall’anima e dalla divinità di Cristo al momento della Trasfigurazione, pregustazione della visione beatifica. L’Icona della Madonna, dei Santi, degli angeli e della SS.Trinità emana una luce simile, per cui per gli ortodossi  il bacio dell’Icona è un sacramentale che ottiene una grazia ex opere operantis, mentre il pittore che dipinge l’Icona compie un rito religioso regolato dalla liturgia.

[5] Questa tesi è sostenta da Dionigi l’Areopagita (sec.V), ripreso da Gregorio Palamas nel sec.XIV. Cf  Dionigi, Mistica teologia e epistole I-V, Edizioni ESC-ESD, Bologna 2011; V.Lossky, La teologia mistica della Chiesa d’Oriente, EDB, Bologna 2013; Dionigi, in AA.VV., La mistica. Fenomenologia e riflessione teologica, Città Nuova Editrice, Roma 1984, vol.I, pp.361-398; P.Kovalevskij, S.Sergio e la spiritualità russa, Torino 1977; T.Spidlik, La doctrine spirituelle de Théophane le Reclus, Orientalia Christiana Analecta 172, Roma 1965; G.Podskalsky, Theologie und Philosophie in Bysanz, München 1977; G.Cavalcoli, Il silenzio della parola. Le mistiche a confronto, ESD Bologna 2002:; Sul problema del linguaggio mistico, in Il linguaggio della mistica, Atti del l’Incontro di studi filosofici, del 6-7 ottobre 2001, Accademia Etrusca, Cortona 2002, pp.111-118.


 [H1]o

8 commenti:

  1. Caro Padre Cavalcoli,
    vorrei fare riferimento al paragrafo:

    "Ora, era appunto questo aspetto di dialogo – si pensi all’esempio di Cristo - che fino ad allora non si era abbastanza considerato. Nel contempo il Concilio non ha affatto rinunciato a promuovere la tradizionale ed essenziale attività missionaria volta ad indurre i non-cattolici a convertirsi a Cristo o alla piena comunione con la Chiesa cattolica. Semplicemente ha rafforzato la base di partenza, costituita da una migliore comprensione di dogmi rimasti in comune, perché è solo su questa base, ossia facendo riferimento a questi dogmi, vissuti nella carità, che noi cattolici possiamo acquistare presso gli ortodossi quella credibilità e quell’autorevolezza, che li indurrà, per logica conseguenza – pena l’incoerenza dottrinale – ad accogliere le verità ancor oggi respinte".

    Qui menzioni solo i cristiani ortodossi (orientali), suppongo a causa del contesto del capitolo che stai sviluppando, sull'ecumenismo tra russi e ucraini.
    Ma presumo che lo stesso possa valere per qualsiasi altra opera ecumenica con scismatici, ad esempio con i luterani o qualsiasi comunità protestante, o con i lefebvriani.
    A proposito, vorrei chiedervi anche di quest'ultimo, perché secondo me il dialogo con i lefebvriani (in scisma dal 1988) è anche un compito ecumenico. Non è vero?
    Questo è un aspetto che non sempre viene evidenziato quando si parla di questo argomento.

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    1. Caro Silvano,
      effettivamente noi potremmo considerare i lefevriani come fratelli separati, ossia secondo il criterio dell’ecumenismo. Però, il dialogo è reso difficile dal fatto che hanno un tono di superiorità, quasi a voler correggere il Papa e il Concilio da supposte eresie moderniste. Tuttavia io credo che il buon cattolico, che desidera la comunione e la pace nella Chiesa debba fare ogni sforzo per andare loro incontro, raccogliere gli elementi positivi della loro critica e non cessare di esortarli alla piena comunione con la Chiesa di Roma e con Papa Francesco.

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  2. Notevole. Di cristallina chiarezza è il passaggio: "Questo sbilanciamento verso i protestanti ha finito in molti casi per provocare un falso cattolicesimo, come per esempio quello di Rahner, che è più eretico dell’ortodossia. Oggi quindi siamo davanti a un mondo ortodosso russo che è più cristiano del cattolicesimo modernista nostrano, il quale riflette il razionalismo cartesiano, difetto tipico dell’occidente".
    Credo che l'autore dell'articolo abbia colpito nel segno il profondo nucleo religioso che è al centro dell'attuale conflitto Russia-Ucraina. Il passaggio citato rende conto delle espressioni del patriarca Cirillo sul cattolicesimo attualmente corrotto dell'Europa occidentale.

    Riguardo a quanto indicato da Silvano, lo trovo interessante. E a proposito, non vedo che oggi la Chiesa agisca in modo "ecumenico" con i fratelli lefebvriani separati. Cosa si vede nelle nostre diocesi e nelle nostre parrocchie quando si tengono giornate di preghiera ecumenica, come per la Giornata di preghiera per l'unità dei cristiani? I lefebvriani sono invitati, come luterani, metodisti, anglicani, ecc.? Che i lefebvriani avrebbero sicuramente rifiutato simili inviti? Non importa! Ma devi invitarli! O non sono anche "fratelli separati"?
    A proposito, i rapporti con la FSSPX, invece di essere curati dal Dicastero della Fede, non dovrebbero essere curati dal Dicastero per l'Unità dei Cristiani?

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    1. Caro Luigi,
      mi ha fatto piacere notare come lei ha compreso bene e condiviso il mio pensiero.
      Sì, potremmo chiamare i lefevriani “fratelli separati”. Tuttavia, per quanto essi rifiutino le dottrine del Concilio Vaticano II e quindi la pastorale pontificia che ne è derivata, essi si distinguono chiaramente dai fratelli separati, in quanto essi non riconoscono l’autorità del Papa.
      Invece i lefevriani intendono essere cattolici e riconoscono in linea di principio il Successore di Pietro. Per questo non è conveniente metterli in relazione col Dicastero per l’Unità dei Cristiani.
      Posso capire che essi siano stati riferiti alla CDF per il fatto che la loro posizione nei riguardi alle dottrine del Concilio può essere ricondotta al rifiuto della infallibilità pontificia, che è quel carisma in base al quale il Papa approva le dottrine di un Concilio.

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  3. Caro Padre Cavalcoli,
    noto, a mio modesto parere, una certa incoerenza nei termini che usi quando si riferisci ai lefebvriani. E spero di esprimermi con il dovuto rispetto.
    Lei, alla fine del suo eccellente articolo, fa riferimento a: "lefebvrismo della Chiesa cattolica".
    Tuttavia, questo sembra contraddire la sua risposta a Silvano, quando dici che "noi potremmo considerare i lefevriani come fratelli separati, ossia secondo il criterio dell’ecumenismo".
    I lefebvriani, come i protestanti e gli ortodossi orientali, non sono cattolici, ma cristiani non-cattolici (sebbene le tre comunità abbiano diversi gradi di scisma e un diverso livello di eresia). Quindi, se ho capito bene, non si può parlare di a "lefebvrismo della Chiesa cattolica".

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    1. Caro Anonimo,
      come ho detto a Silvano, io ritengo che si debbano ritenere cattolici i lefevriani, titolo al quale essi tengono molto. Se ho parlato di fratelli separati non intendevo questa espressione nel significato usuale, ossia riferita ai non cattolici.
      Tuttavia ho ritenuto di poterla usare, perché Benedetto XVI ha detto loro che, finché non accettano le dottrine del Concilio, non possono ritenersi in piena comunione con la Chiesa Romana. Quindi essi propriamente sono scismatici e, in quanto rifiutano le dottrine di un Concilio Ecumenico, si possono considerare prossimi all’eresia. Ciò non ha impedito a Papa Francesco di concedere ai loro sacerdoti di amministrare il Sacramento della Penitenza, in occasione dell’Anno Santo della Misericordia.

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  4. Qualsiasi cattolico8 maggio 2022 alle ore 21:12

    Con tutto il rispetto, padre Cavalcoli, trovo estremamente difficile condividere il suo pensiero (nella sua risposta a Luigi Passero) quando dice que los lefebvrianos "si distinguono chiaramente dai fratelli separati, in quanto essi non riconoscono l’autorità del Papa".
    I lefebvriani riconoscono l'autorità del Papa nei fatti concreti o lo fanno solo a parole?
    Ecco perché ritengo irrilevante che "i lefebvriani intendono essere cattolici e riconoscono in linea di principio il Successore di Pietro", proprio come lei dici.
    Forse è che lei, impegnati in altre faccende, non avete forse l'opportunità di conoscere la quotidianità ei dettagli delle comunità lefebvriane nelle loro cappelle e priorati. Ciò renderebbe comprensibile la sua posizione a livello di principi.
    D'altra parte, nel mio caso, per motivi familiari e poiché sono responsabile degli altri membri della mia famiglia che partecipano alla vita nelle comunità lefebvriane, sono consapevole della loro vita quotidiana. Potrebbero essere tanti gli esempi che potrei farti (li annoieranno) su come questo "riconoscimento dell'autorità del Papa" rimanga solo nella retorica (forse ipocrita), ma non abbia alcuna conseguenza nella pratica. Pochi giorni fa ho sentito dire dal priore di una sua casa che "San Pio X è stato l'ultimo papa canonizzato". Allora, dov'è il riconoscimento dell'autorità del Papa che ha qui canonizzato san Giovanni Paolo II, san Giovanni XXIII e san Paolo VI? Posso assicurarvi che non c'è eco nelle loro cappelle e priorati, in nessuna delle loro comunità, alle iniziative pastorali di papa Francesco, a nessuna (la consacrazione della Russia e dell'Ucraina a Maria, è stata in loro una comprensibile eccezione). Chiesa sinodale, fraternità umana, Chiesa in uscita, nuova evangelizzazione, accoglienza degli immigrati, andare nelle periferie, prendersi cura dei più poveri, insomma tutte le iniziative pastorali, missionarie, catechetiche del Papa non hanno eco in queste comunità. Il Papa non viene mai nominato se non per criticarlo! lo posso assicurare.
    Quindi no, in realtà i lefebvriani non riconoscono l'autorità del Papa, per quanto la declamino dalle loro labbra.

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    1. Caro Q.C.,
      per quanto riguarda il rapporto dei lefevriani con l’istituzione pontificia, essi certamente, da cattolici, l’accettano come verità di fede.
      Tuttavia essi non hanno una sufficiente stima dell’autorità pontificia, come l’ha voluta Gesù Cristo, perché ammettono la possibilità che un Papa sia veramente Papa, ma che possa essere eretico.
      Per esempio, riconoscono che Papa Francesco è Papa, ma lo considerano un modernista, per cui rifiutano di accettare il suo magistero.
      In questo senso si può dire, come dice lei, che accettano il Papa a parole, ma non nei fatti.

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