Circa la rigorizzazione del concetto di creazione - Parte Terza (3/5)

 Circa la rigorizzazione del concetto di creazione

Parte Terza (3/5)

Il concetto del nulla

Il concetto del nulla è un concetto originario e spontaneo, non dedotto da precedenti e non acquisito per apprendimento, ma solo partendo dall’esperienza delle cose, come la nozione dell’ente e dell’essere e le altre prime nozioni dell’intelligenza naturale. Ci accorgiamo che certe cose esistono, mentre altre non esistono. Il nulla non è nulla di reale, ma solo un pensiero. In quella camera non c’è nulla. Non ho nulla da dirti. Quando dormo non penso a nulla. Sono frasi di tutti i giorni, comprensibili anche da un bambino.

Eppure il concetto del nulla suscita seri problemi logici e filosofici. Se io so che cosa è il nulla, se posseggo l’idea del nulla, se quando parlo ad un altro, egli capisce che cosa intendo dire e se il mio pensare non può non aver per oggetto un qualcosa di pensabile, ma se il nulla non esiste, come è possibile che io faccia del nulla oggetto del mio pensare e del mio parlare?

Dunque il nulla, il non-esistente esiste? Come posso pensare un ente contradditorio, un impossibile? Ho bisogno di qualcosa che abbia un’identità. Ma un oggetto che si autodistrugge nel suo stesso porsi, come può essere oggetto del mio pensiero? Si può capire allora perché Severino dice che il nulla è un qualcosa di contradditorio. Da qui però egli trae spunto, e Postorino lo segue, per giudicare assurdo il dogma della creazione dal nulla. Postorino, che vuol essere cattolico, pensa di rigorizzare il concetto di creazione dicendo che non si deve introdurre nella formula della creazione il concetto del nulla.

Eppure, nessuno può evitare di parlare del nulla e tutti sappiamo cosa significhi la parola nulla senza che nessuno ce lo abbia mai insegnato. Questo vuol dire che ne abbiamo un concetto, se è vero che quando parliamo del nulla, ci intendiamo facilmente («in questa scatola non c’è nulla!»).

Dunque bisogna dire, contro Parmenide, che il nulla in qualche modo esiste, se è vero che è pensabile e ne parliamo e quando parliamo del nulla non parliamo a vanvera, ma sappiamo benissimo che cosa intendiamo dire. Il nulla dunque esiste. Ma esiste come? Dove? Questo è il punto da risolvere, che però è già stato risolto dalla logica medioevale. Severino e Postorino pongono il problema come se esso non fosse già stato risolto e tentano di risolverlo, ma senza riuscirvi.

È vero infatti che questo concetto offre una speciale difficoltà per il fatto che appare contradditorio ammettere l’esistenza di qualcosa che non esiste. Se il nulla è il non-essere, come fa ad esistere il non-essere? È qui che hanno buon gioco il parmenidismo e coloro che, come Severino e Postorino, lo condividono, dimenticando però che il problema non era affatto ignorato dai logici della Scolastica medioevale, i quali, per spiegare appunto questo fatto mentale apparentante paradossale, hanno compreso, proprio meditando sull’ex nihilo della creazione, come possa legittimamente la nostra mente senza contraddirsi pensare cose che non esistono nella realtà.

I logici medioevali, infatti, anche qui preceduti dalla logica aristotelica, ma nel contempo superandola, hanno potuto giustificare l’uso del concetto del nulla con la scoperta dell’ens rationis, un’entità intramentale astratta, che la nostra mente forma appunto per pensare ciò che pur non essendo reale, esiste.

È stato appunto il dogma della creazione che ha condotto i logici medioevali a comprendere la radicalità ultima dell’esser nulla o del non-essere e quindi a capire fino in fondo l’opposizione infinita o il balzo infinito che c’è fra l’essere e il non-essere. Nichilismo, pertanto è quello di chi annulla l’essere o entifica il nulla, confondendoli fra di loro.

Nichilismo sarà quello di Hegel, non lontano, come vedremo, dallo stesso Parmenide, Hegel, che identifica l’essere col nulla. Ma come fa il cattolico Postorino ad accusare di nichilismo il dogma della creazione? Si rende conto sella portata delle sue affermazioni?

Quanto ad Aristotele, egli ha capito e concepito come all’ente possa mancare qualcosa o non avere qualcosa, ha avuto il concetto del possibile, dell’ente logico, ma, benché abbia saputo concepire l’ente contingente e diveniente, non è arrivato a pensare alla possibilità del non-essere totale dell’ente, perché egli non si è mai posto il problema della causa del’esistenza e dell’essenza (usìa) della materia e della forma, ma le considerava eterne, da sempre di per sè esistenti. 

L’ente di ragione, l’esse intentionale, l’esse cognitum, il verbum mentis dei Medioevali nasce dalla riflessione sul Logos divino; non è altro, in fondo, che il mondo del nostro pensiero, delle nostre idee, della nòesis aristotelica, i concetti delle nostre intenzioni. L’errore sarebbe dar corpo, reificare queste astrazioni, ma esse, se tenute con cura solo all’interno della mente e non credere che esistano fuori, per quanto siano oggettive, sono necessarie proprio per pensare alla realtà e distinguere l’essere dal non-essere.

Dunque il nulla si può concepire, se ne può parlare; sappiamo che cosa significhi. Ma non esiste realmente, ma solo idealmente. Evidentemente Parmenide non ha compreso l’esistere del non-essere. Ora il dogma della creazione suppone sì che il nulla non sia essere, ma non che non esista, perché altrimenti Dio non potrebbe creare dal nulla.

Postorino, che accetta la formulazione parmenidea e non quella aristotelica del principio di non-contraddizione, viene a dire che il concetto del nulla ovvero ndel non-essere provoca un’«aporia», data dal fatto che

«il concetto del “non-essere” contraddice se stesso sul piano ontologico – non posso dire che “non è” qualcosa di cui sto parlando e che come tale  (cioè esiste quanto meno come oggetto del mio discorso) – e finisce così per render contradditoria qualunque cosa alla quale si riferisca sul piano predicativo» (un essere-che-non-è): sul piano ontologico il «non essere» è il nulla, che contraddice immediatamente se stesso. Mentre sul piano predicativo sarebbe il diverso»[1].

Se Postorino avesse distinto l’ente di ragione dall’ente realel non avrebbe avuto difficoltà a rendersi conto che ci troviamo solo davanti a una contraddizione apparente, perché il nulla non esiste come ente reale, ma esiste concepito come fosse ente (ad instar entis), È cioè un ente di ragione con fondamento reale, in quanto non-realtà. Non possiamo immaginare un cerchio quadrato o un monte senza valli, ma il nulla lo possiamo pensare ed esprimere per mezzo della parola «nulla». E se Postorino può parlare di nichilismo, è proprio perché sa che cosa è il nulla.

Fatto stà comunque che Postorino ritiene che si debba poter esprimere il fatto della creazione senza far uso di quello che ritiene essere uno pseudoconcetto, il concetto del nulla, per il quale la creazione diventa un’assurdità. L’intento di Severino non è quello di rifiutare il concetto di creazione, ma di liberarlo dal nichilismo.  Egli pensa che S.Tommaso reifichi il nulla quasi fosse una specie di contenitore dal quale Dio trarrebbe l’essere come si trae una mela da un cesto di mele.

Scartando questa ridicola concezione, Postorino quale soluzione trova per chiarire se il nulla esiste o non esiste? Negando l’esistenza del nulla prima della creazione del mondo, ma andando così contro il dogma definito dal Concilio Lateranense IV, che parla di un «ab initio temporis»?

È evidente infatti che il Concilio ammette un «prima» anteriore all’inizio del tempo, un prima nel quale evidentemente non c’era nulla fuori di Dio, ma esisteva solo Dio. Vedremo come Postorino, pur di negare questo nulla esterno a Dio, è costretto a mettere il mondo in Dio cadendo così nel panteismo.

Certo, se Dio non avesse creato il mondo, il nulla non sarebbe esistito, dato che Egli occupa tutto lo spazio dell’essere. Ma quando decise di creare il mondo, con l’atto creativo ha con ciò stesso fatto esistere quel nulla dal quale ha tratto l’essere del mondo. Infatti senza un precedente nulla, il mondo non avrebbe potuto passare dal nulla all’essere, ma dovrebbe essere eterno come Dio. Dio infatti non lo ha creato nessuno, perché non è preceduto dal nulla. E, come dice giustamente Parmenide, dal nulla non viene nulla, nel senso che il nulla non produce nulla.

Così l’ente creato, secondo Postorino, non è un essere che proviene dal nulla o da un precedente non-essere, ma la creazione è il semplice apparire finito, successivo o molteplice dell’essere di per sé uno ed eterno, istantaneo ed infinito, ossia Dio, secondo il modello dell’essere parmenideo. L’esser creato è un semplice dipendere da Dio in senso formale-deduttivo, non in senso effettivo-causale. L’esser creato dipende da Dio come in un triangolo equilatero l’uguaglianza degli angoli dipende dall’uguaglianza dei lati. Quindi, trascurando il fatto che se l’ente creato è conservato in essere, è perché prima è stato creato. Postorino confonde l’essere conservato del creato dall’esser creato. Nello stesso tempo questo ridurre la creazione alla conservazione gli consente di evitare il problema per lui irresolubile dell’origine del creato dal nulla.

Ora qui Pastorino cerca di rimediare ad una supposta assurdità – quella dell’esistenza del nulla -  con una peggiore assurdità reale e cioè quella di concepire il finito come una finitizzazione dell’infinito, in quanto «apparizione finita» dell’infinito, come vedremo meglio. Ma come può l’infinito divino, perfettissimo, immutabile, assolutamente semplice, senza dimensioni e senza confini, diminuire, restringersi, rimpicciolirsi, finitizzarsi? Come può apparire finito ciò che è infinto? Qui non si pensa sul serio, ma si gioca con la fantasia.

Dobbiamo fare un’altra osservazione. La filosofia greca, ignorante della rivelazione biblica, non ha conosciuto, come si sa, il concetto di creazione dal nulla. La mente umana possiede la nozione del fare, produrre, causare, muovere, edurre, emanare, far diventare, plasmare. Esse suppongono certamente un certo passaggio dal non-essere all’essere. Quel marmo che inizialmente ha la forma di un pezzo di marmo, diventando successivamente sotto lo scalpello dello scultore una statua, assume una nuova forma che prima non aveva. Questa è la trasformazione, cioè il passaggio da una forma all’altra nella medesima materia.

Quindi, questa forma passa del non-essere all’essere, dal semplice essere possibile, all’essere reale, attuale. Ma la nozione greca del nulla non va oltre a questa concezione del nulla, perché l’esistenza della materia e della forma non è oggetto della domanda perché esistono? Chi le ha fatte? L’antico greco non s’interroga su ciò, neppure Aristotele, che pure con la sua indagine metafisica si è avvicinato moltissimo a questa domanda, quando si è interrogato sulla causa prima del moto e del divenire rispondendo con la famosa concezione del motore immobile.

E quando si è chiesto qual è l’origine del pensiero, ha risposto giustamente che dev’essere un pensante il cui pensare non è causato da un oggetto esterno, ma dev’essere un pensante che per oggetto ha se stesso. Da cui il famoso concetto del pensiero del pensiero. Ma Aristotele non si è accorto che materia e forma nella loro contingenza, non esistono da sé, ma chiedono una causa della loro esistenza.

È solo la Bibbia che pone la questione della causa non solo del moto o del divenire ma la causa dell’essere, dell’esistenza delle cose, materiali o spirituali che siano, corruttibili o incorruttibili, semplici o composte, sostanziali o accidentali, mutevoli o immutabili. E per questo, onde spiegare e dar ragione dell’esistenza dell’ente contingente, che non esiste da sé, ma chiede un fondamento sufficiente della sua esistenza, la Bibbia ci spiega che tale fondamento, tale causa, tale ragion d’essere non può essere altro che un ente che abbia in sé la ragione del suo esistere, un ente assolutamente necessario, un ente la cui essenza è quella di esistere, ovvero di essere.

Se il nulla è pensabile, se sappiamo cosa vuol dire la parola «nulla» e se nel parlare del nulla ci intendiamo, vuol dire che ad essa corrisponde un oggetto mentale, che faccia da oggetto al pensiero, perchè il pensiero senza oggetto non può funzionare. Come dunque concepiamo il nulla? Lo concepiamo sotto la figura o immagine dell’essere (ad instar entis), pur sapendo che è un non-essere.

In tal senso possiamo dire che il nulla esiste proprio come non-essere. Ciò ci obbliga a distinguere l’essere dall’esistere, ed inoltre ci accorgiamo di formare nella nostra mente un’entità che sta solo nella nostra mente, che è quello che si chiama ente di ragione (ens rationis). Non è un essere, perchè questo è creato da Dio, ma è un’intenzione di essere (esse intentionale) prodotto da noi per pensare ciò che non ha essere reale extramentale. L’essere di ragione è detto anche essere ideale. Esso non è altro che il pensiero non inteso come atto psicologico o gnoseologico rappresentativo, l’oggetto di concetto (conceptus obiectivus, prima intentio), ma come essere intramentale pensato (secunda intentio).

L’orizzonte dell’ente di ragione è l’area del pensato in quanto pensato ed abbraccia molti contenuti essenziali al pensiero e all’azione: appunto il nulla, la negazione, gli enti logici, matematici ed immaginari, la privazione, ossia il male.

Il fatto che si tratti di enti prodotti dalla nostra mente non vuol dire che non abbiano un riferimento alla realtà o un fondamento reale. Il nulla lo concepiamo come negazione di essere; la negazione è l’opposto dell’affermazione dell’essere; gli enti matematici sono ricavati per astrazione dagli enti sensibili; gli enti immaginari, come per esempio la chimera, sono ricavati per composizione dagli enti reali; gli enti logici sono ottenuti considerando il pensato in quanto pensato; l’idea del male è ottenuto togliendo parzialmente a un bene il bene dovuto.

In tal modo è possibile concepire quel nulla dal quale Dio creatore trae l’essere. E si può dire che il nulla o non-essere della creatura, ovvero la sua mera possibilità in mente Dei precede l’essere della creatura, come semplice essere possibile. S.Tommaso dimostra che, se Dio avesse voluto, avrebbe potuto creare un mondo esistente da sempre, escludendo l’uomo, perché è impossibile l’esistenza di un numero infinito di individui umani.

È importante distinguere il nulla che precede la creazione del mondo dal nulla che precede la creazione di ogni singolo ente del mondo. È chiaro che se il mondo è stato creato insieme col tempo e quindi non esiste un tempo che preceda la creazione del mondo, ogni ente di questo mondo, compreso me stesso è creato nel tempo; per cui ognuno di questi enti è preceduto dal tempo.

Il rifiuto dell’idea del nulla sottende un’istanza panteistica, in quanto l’io rifiuta di essere connesso col nulla, pretende di essere la totalità dell’essere, come se fosse Dio. Intendendo il suo essere come promanante o procedente da Dio o apparizione di Dio, paragona il suo essere alla processione del Verbo, il Dio da Dio.

Egli non sopporta di provenire dal nulla, non accetta l’idea che il suo essere abbia avuto inizio in un certo tempo precedente al suo e che prima di lui sia esistito qualcosa, fosse pure Dio. Considerandosi un’emanazione dell’Eterno, crede di essere anche lui eterno, cioè di essere esistito da sempre e che esisterà per sempre. Il passare dei suoi giorni non è un vero divenire, ma un succedersi di sue apparizioni nel mondo.

La morte come corruzione o dissoluzione o estinzione, come fine dell’esistenza, come tornare nel nulla o fine o annullamento del suo essere per Severino non esiste. Il morire è un semplice scomparire alla vista degli altri[2]. In ciò non  tutto è falso. C’è una parte di verità, purchè distinguiamo l’individuo umano dalla sua anima. Certamente l’anima sopravvive alla morte del corpo.

Ma è chiaro che in una visione realista di senso comune, il corpo, la cui presenza nel sepolcro è empiricamente constatabile, non scompare affatto, quasi a crearsi quel «corpo astrale», proprio dell’esoterismo gnostico, come doppione misterico del corpo terreno o meglio della salma giacente nel sepolcro.

Pertanto, se diciamo che è morto Antonio, ciò equivale a dire che egli non è più, non esiste più, perché l’anima di Antonio, benché immortale, non è Antonio, ma ne è solo la parte spirituale. Invece Severino non fa questa distinzione, per cui, anche se la salma resta nella tomba, per lui la salma è solo un’apparenza empirica. Ma per lui Antonio è scomparso proprio come Antonio, anima e corpo.

Per questo, contro l’insegnamento stesso del Lateranense IV, Postorino, ispirandosi a Severino, non accetta che l’esistenza degli individui umani si racchiuda in un determinato lasso di tempo, con un inizio e una fine della loro esistenza, ma li vede con Severino esistenti da sempre e per sempre, per cui essi, apparendo in terra come provenienti da Dio (per Severino come apparizione finita dell’Essere), alla morte tornano a Dio, da dove sono provenuti[3], Severino direbbe che alla morte scompaiono nell’Essere, del quale alla nascita sono stati apparizione finita.

 L’apparizione nel mondo dell’individuo umano, quindi, per Postorino, non corrisponde all’aver cominciato ad esistere, dopo il suo non-esistere, ma il suo apparire nel mondo del suo precedente eterno esistere, similmente al Verbo divino, il Quale, preesistente dall’eternità, non ha cominciato ad esistere venendo e apparendo al mondo, ma semplicemente ha fatto appare al mondo quella sua Figliolanza divina, che preesisteva già prima della fondazione del mondo.

Quindi ognuno di noi, come il Logos eterno, secondo Postorino, preesiste dall’eternità a questa vita temporale che viviamo adesso e continuerà ad esistere eternamente dopo la morte, ossia dopo essere sparito in Dio, non come anima separata, ma nella totalità del suo essere.

Ora, bisogna dire che è vero che dall’eternità nella mente divina ci sono le idee eterne di tutte le creature, che poi Dio creerà nel corso del tempo ponendole in se stesse fuori di Lui. L’errore di Postorino non è questo. Su ciò sono d’accordo anche Sant’Agostino e San Tommaso. L’errore sta nel credere che la creatura non esista realmente distinta e fuori del suo creatore, il che è panteismo.

Se infatti io credo di non provenire dal nulla ma solo da Dio, di fluire da Dio o di essere un’apparizione di Dio, vuol dire che considero il mio essere come quello divino, il quale, essendo l’essere assoluto ed eterno, non è stato fatto passare dal nulla all’essere, ma per sua essenza ha l’essere da sé, non lo ha ricevuto da nessuno, ma ce l’ha per conto proprio.

Per questo per Postorino gli enti sono eterni come Dio è eterno (l’«Essere» di Severino), perché essi non sono enti distinti da Dio e collocati nel tempo e nel divenire, che iniziano e finiscono, ma esistono solo nel Dio eterno e per questo non possono non essere eterni[4] come Dio è eterno.

Invece dobbiamo dire che le cose non stanno così. In realtà, io da me stesso, sono nulla, non ho l’essere da me stesso. Non me lo sono dato io. Il mio essere è iniziato 81 anni fa e prima non esistevo e da un momento all’altro posso perdere il mio essere indipendentemente dalla mia volontà.

Anche se voglio esistere, amo la vita, questo mio essere non dipende dalla mia volontà. Posso invece sopprimere il mio essere, ma non darmelo. Ho potere sul mio non-essere, ma non sul mio essere. Posso conservarlo, ma non in modo assoluto, perché posso perderlo senza che io lo voglia.

Per questo Dio dice a Santa Caterina: «Io Sono Colui Che È; tu sei colei che non è». Questo detto sembra simile a quanto ha detto Meister Eckhart: «tutte le creature sono un puro nulla; non dico che siano una pochezza (quid modicum) o un qualcosa, ma che sono un unico puro nulla (unum purum nihil)». Eppure Caterina è Dottore della Chiesa, mentre questa frase di Eckhart è stata condannata da Papa Giovanni XXII nel 1329 [5]. Come mai? Che differenza c’è?

Che Eckhart aveva una concezione univocista parmenidea dell’essere, concezione che non ammette analogie, e quindi confonde il trascendente divino col trascendentale metafisico dell’aliquid. Il qualcosa per Eckhart è solo l’essere assoluto, Dio. Non è un analogo, ma un univoco. Per questo non esiste un qualcosa di finito, che non sia Dio.

Per Eckhart l’essere è Dio o non è. Ma ecco che il discorso si rovescia: se l’unico essere è Dio, la creatura, per esistere dev’essere Dio. Essa dunque esiste non perchè tratta dal nulla, non perché ha un essere causato, ma perché emana da Dio e il suo essere è quello stesso di Dio, dato che l’unico essere che esiste è quello divino.

Eckhart non distingue ciò che la creatura è da se stessa e ciò che è di fatto in quanto creata. Certo, da se stessa la creatura umana è nulla, ma in quanto creata e redenta, è figlia di Dio!

 Quindi alla fine per Eckhart la creatura non è un qualcosa di limitato, perché per lui, come per Parmenide, l’essere è per sé illimitato, per cui, se la creatura esiste essa è tutto; non ha l’essere, ma è l’essere, al di fuori del quale non c’è nulla. Per questo per lui una creatura concepita come fuori di Dio è nulla. La creatura esiste solo se è lo stesso essere, che è l’essere divino. Ma dobbiamo osservare che negare che la creatura sia fuori di Dio e solo in Dio, vuol dire confondere la creatura con Dio e questo è panteismo.

Invece il discorso di Caterina è tutt’altro. Dicendo di essere colei che non è, intende dire colei che non è da se stessa, cosa che dice anche San Tommaso, perché tutto ciò che essa è, lo è da Dio. La creatura è nulla considerata indipendentemente da Dio. Ma è chiaro che, in quanto dipendente da Dio, è molto, anche se è finita. Ciò vuol dire che Caterina sa benissimo di essere di fatto qualcosa di prezioso agli occhi di Dio, creata ad immagine e somiglianza di Dio, vivente nella sua grazia, che la fa vivere una vita divina. Io non sono nulla da me stesso, ma con San Paolo posso dire che «tutto posso in Colui che mi ha salvato».  

Bisogna aggiungere che chi nega l’esistenza del nulla, ossia del non-essere o della negazione dell’essere, non è vero, come dice Hegel, che riafferma l’essere, ma invece è necessariamente condotto a negare l’esistenza del male, perché il male non solo è un non-essere, ma è una privazione di essere dovuto ad un soggetto.

Siccome l’ente è trascendentalmente buono, il negatore del nulla confonde la metafisica dove l’ente è buono con la morale, dove può esistere il malvagio, e cade nel buonismo, per il quale tutto è bene così com’è per il semplice fatto che accade. Non c’è nulla da correggere o disapprovare o condannare, ma solo da accogliere e rispettare in quanto diverso. Tutto è buono in quanto tutto è ente, perché l’essere è integro, intero, perfettissimo, infinitamente buono, incorruttibile ed eterno. E gli enti o sono essere o non sono nulla.  Per il parmenideo è contradditorio supporre l’esistenza di enti difettosi, divisi, carenti, bisognosi, deficitari, imperfetti, incompleti, corrotti, malvagi, sofferenti. Quello che giudichiamo come male è solo quello che non va bene a noi, ma va bene agli altri che lo praticano. Lasciamo che gli altri si comportino secondo le loro idee, come noi ci comportiamo secondo le nostre.

Di fatto, poi, che cosa accade? Che i buonisti non possono fare a meno di dire: questo è bene e questo è male, per cui, confutando se stessi oltre a perdere il criterio del bene e del male - da cui la loro caratteristica violenza e prepotenza - , finiscono per condannare come male l’atteggiamento di coloro che dicono che il male e il peccato esistono e vanno eliminati. Il risultato del buonismo è il trionfo della malvagità.

Fine Terza Parte (3/5)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 18 novembre 2022 

 

Nessuno può evitare di parlare del nulla e tutti sappiamo cosa significhi la parola nulla senza che nessuno ce lo abbia mai insegnato. 

Questo vuol dire che ne abbiamo un concetto, se è vero che quando parliamo del nulla, ci intendiamo facilmente («in questa scatola non c’è nulla!»).

Dunque bisogna dire, contro Parmenide, che il nulla in qualche modo esiste, se è vero che è pensabile e ne parliamo e quando parliamo del nulla non parliamo a vanvera, ma sappiamo benissimo che cosa intendiamo dire. Il nulla dunque esiste. 

Ma esiste come? Dove? Questo è il punto da risolvere, che però è già stato risolto dalla logica medioevale. Severino e Postorino pongono il problema come se esso non fosse già stato risolto e tentano di risolverlo, ma senza riuscirvi.

 

I logici medioevali, anche qui preceduti dalla logica aristotelica, ma nel contempo superandola, hanno potuto giustificare l’uso del concetto del nulla con la scoperta dell’ens rationis, un’entità intramentale astratta, che la nostra mente forma appunto per pensare ciò che pur non essendo reale, esiste. 

L’ente di ragione, l’esse intentionale, l’esse cognitum, il verbum mentis dei Medioevali nasce dalla riflessione sul Logos divino; non è altro, in fondo, che il mondo del nostro pensiero, delle nostre idee, della nòesis aristotelica, i concetti delle nostre intenzioni. L’errore sarebbe dar corpo, reificare queste astrazioni, ma esse, se tenute con cura solo all’interno della mente e non credere che esistano fuori, per quanto siano oggettive, sono necessarie proprio per pensare alla realtà e distinguere l’essere dal non-essere.



L’errore sarebbe dar corpo, reificare queste astrazioni, ma esse, se tenute con cura solo all’interno della mente e non credere che esistano fuori, per quanto siano oggettive, sono necessarie proprio per pensare alla realtà e distinguere l’essere dal non-essere.

Se infatti io credo di non provenire dal nulla ma solo da Dio, di fluire da Dio o di essere un’apparizione di Dio, vuol dire che considero il mio essere come quello divino, il quale, essendo l’essere assoluto ed eterno, non è stato fatto passare dal nulla all’essere, ma per sua essenza ha l’essere da sé, non lo ha ricevuto da nessuno, ma ce l’ha per conto proprio.

Immagini da Internet:
- Clemente Tafuri, Scugnizzo
- Antonio Manicini, Scugnizzo con il salvadanaio
- Pierre-Auguste Renoir, Coco che gioca


[1] Il concetto della «creatio ex nihilo», op.cit., p.216.

[2] Nel quadro di queste idee, si comprende come la notizia della morte di Severino sia stata resa di pubblico dominio solo dopo tre giorni la sepoltura, senza peraltro rivelare dove sia sepolto, quasi a raffigurare sensibilmente, con un’aura di mistero esoterico, la sua teoria della morte come ritorno all’Essere e scomparsa nell’Essere o, per esprimerci in termini più severiniani, come l’Essere che ritira il suo apparire empirico nella forma di Severino.

[3] Questa concezione del morire come ritorno a Dio, dal quale in precedenza si era provenuti, sembra un’idea sublime ed ha in certi ambienti cattolici un tale potere di suggestione, che da un po’ di tempo è nato l’uso di annunciare la morte di qualcuno con la formula «è tornato alla casa del Padre», senza rendersi conto che questa espressione confonde l’esser creato col procedere da Dio, che è proprio della Persona trinitaria (Deum de Deo) e non della creatura, che non proviene da Dio, ma dal nulla, ricevendo l’essere da Dio. Questo concetto del venire all’esistenza come profluire o emanare dalla divinità è una credenza antichissima della spiritualità brahmanica e buddista, la quale, non sapendo che cosa è il creare, esprime in quel modo panteistico l’origine o il sorgere degli enti. Si sa quanto Severino esalti la tradizionale filosofia orientale, che per lui mostra esemplarmente la verità dell’Essere, contro quello che egli chiama «nichilismo» dell’Occidente, che per lui comprende anche il cristianesimo. Del resto Parmenide, al quale Severino si ispira, sembra essere una goccia di Oriente nel mare dell’Occidente.

[4] In questa ottica Severino ha pubblicato una breve serie di ricordi della sua vita intitolandola Il mio ricordo degli eterni (Rizzoli, Milano 2011). L’idea non è del tutto sbagliata, perché è vero che noi, benché non nati dall’eternità, siamo tuttavia destinati alla vita eterna, per cui coloro che si salvano ritroveranno certamente in cielo per sempre tutti quei beni che hanno lasciato su questa terra.

[5] Denz.976.

8 commenti:

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  2. Carissimo p. Giovanni vorrei lasciarle queste mie riflessioni riguardo l’argomento che sta affrontando ed illustrando: circa la rigorizzazione del concetto di creazione.
    Così scrive Sant’Ippolito nel suo Trattato contro Noèto:
    “Dio esisteva in sé perfettamente solo. Nulla c’era che fosse in qualche modo partecipe della sua eternità. Allora egli stabilì di creare il mondo. Come lo pensò, come lo volle e come lo descrisse con la sua parola, così anche lo creò. Il mondo cominciò ad esistere, perciò, come lo aveva desiderato. E quale lo aveva progettato, tale lo realizzò. Dunque Dio esisteva nella sua unicità e nulla c’era che fosse coeterno con lui. Niente esisteva se non Dio. Egli era solo, ma completo in tutto. In lui si trovava intelligenza, sapienza, potenza e consiglio. Tutto era in lui ed egli era il tutto”.
    Il nulla, in senso biblico, riferito alla Creazione significa semplicemente che prima che Dio creasse il mondo, c’era soltanto Lui e null’altro.
    Noi non possiamo pensare e concepire il nulla in quanto tale altrimenti sarebbe un qualcosa. Da una prospettiva ontologica-metafisica, se pensiamo ad esempio agli enti o all’ente, la corretta denominazione di ente non è “l’ente è” ma “l’ente è contingente, diveniente” può quindi anche solo essere pensato, essere in potenza, oppure in atto, oppure non essere più quell’ente, può corrompersi, trasformarsi, ma il non essere più di un ente non introduce automaticamente il nulla, ma semplicemente il non essere più quell’ente particolare e contingente.
    Nel nostro linguaggio comune siamo tentati dare consistenza, al nulla: “niente di fatto”, “Non è successo nulla”, “Quella sentenza è stata annullata”, “Nulla di nuovo sotto il sole” ecc.. Ecco la cosificazione! Dire “prima o dopo non c’era niente, il nulla” è una contraddizione alla quale nel nostro linguaggio quasi non riusciamo a sfuggire, ben sapendo che si tratta di una contraddizione.
    Ritornando al termine creazione dal nulla lo si potrebbe intendere, non come una cosa, uno spazio vuoto da riempire, ma per analogia come quando diciamo che l’ente può essere in potenza o in atto. Il nulla potrebbe essere così inteso come una potenzialità, in cui Dio non ancora pone in essere le sue intenzioni creative, con un atto libero e volontario. Il tutto è ancora nella mente di Dio come potenza, come progetto, lì ci sono tutte le cose con il proprio essere, ma ancora nulla si è manifestato e realizzato, non è stato posto in atto con l’atto creativo. Non so se sono stato chiaro.
    A differenza l’uomo non potrà mai essere un creatore dal nulla; in tutte le cose che produce deve avere prima il materiale e solo allora può dar forma al suo prodotto. Quando un vasaio plasma un vaso di creta, egli non sta davvero creando, quanto piuttosto dando forma a qualcosa: egli dà forma all’argilla amorfa, che esisteva da prima che egli iniziasse il proprio lavoro. Produce un qualcosa da materiale pre-esistente, non crea dal nulla.

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    1. Caro Don Vincenzo,
      sono molto belle le parole di Sant’Ippolito, che si leggono nel Breviario.

      Per parlare del nulla, dobbiamo necessariamente concepirlo. Ora noi normalmente concepiamo l’ente, per questo noi concepiamo il nulla come se fosse ente, pur sapendo che è non-ente.
      D’altra parte tutti spontaneamente fin da bambini sappiamo che cos’è il nulla. Non c’è il pericolo di entificarlo, perché spontaneamente la mente umana conosce benissimo l’opposizione tra l’essere e il nulla.

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    2. La corretta definizione dell’ente è ciò che ha l’essere o è in atto d’essere in qualunque modo. L’ente può essere sia contingente che necessario. L’ente contingente è quello creato, benchè vi sia necessità anche tra gli enti creati, ma non si tratta di una necessità assoluta, perché riguarda solo l’essenza e non l’essere.
      Invece l’ente assolutamente necessario è Dio, il quale è l’ente che esiste per essenza, nel quale quindi l’essenza coincide col suo essere. In Dio quindi non soltanto l’essenza è necessaria, ma lo è anche il suo essere.

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    3. Si può dire che il fatto che un ente non esista più, non introduce il nulla in un senso assoluto, perché rimangono gli altri enti, ma introduce il non essere di quell’ente. Quando una persona muore, quella persona non c’è più. Quindi possiamo dire che a questo punto inizia il non-essere di quella persona, eccettuando naturalmente la sopravvivenza della sua anima, ma, come sappiamo, l’anima non è la persona, ma ne è soltanto la parte spirituale.

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    4. Io credo che la tentazione di dare una consistenza al nulla nasce quando riflettiamo sul concetto del nulla, per il fatto che il concetto contiene normalmente un contenuto positivo, cioè, quando pensiamo, noi pensiamo sempre l’essere, perché se non pensiamo l’essere non pensiamo.
      Come allora è possibile pensare il nulla? Al modo in cui ho detto sopra, ossia dobbiamo necessariamente concepirlo sul modello dell’essere, pur sapendo che è non-essere. L’apparenza di contraddizione che sorge nel definire il nulla (il nulla è il non-essere), nasce quando riflettiamo sul concetto, ma la ragione naturale sa benissimo che cosa è il nulla e ne parla con la massima facilità, distinguendolo dall’essere.

      L’atto creativo non fa passare l’essere dalla potenza all’atto, perché la potenza entra nell’orizzonte dell’essere, in quanto poter essere. Questo poter essere, può essere sia la materia rispetto alla forma, come atto della materia, e sia l’essenza rispetto all’essere, che è atto dell’essenza. Dobbiamo piuttosto dire che l’atto creativo fa passare l’essere dalla possibilità all’attualità, ossia attua un essere precedentemente progettato da Dio.
      Possiamo dire inoltre che la totalità delle cose si trova in Dio, sia che si tratti dei possibili, sia che si tratti dei reali. Il tutto si trova nella mente divina in uno stato di idealità, che coincide con la stessa essenza di Dio. Non è il caso di parlare di potenza, perché la potenza passiva fa parte della realtà creata, la quale come tale è al fuori dell’essenza divina.
      Quando Dio crea, fa passare le cose dalla possibilità all’attualità, dando ad esse l’essere. Pertanto il loro essere lo posseggono per conto proprio quando sono fuori di Dio, cioè quando sono state create. L’essere delle cose peraltro è precontenuto virtualmente nell’essere divino, in base al principio che l’effetto dev’essere precontenuto virtualmente nella causa.
      Il nulla non può essere considerato come una potenzialità, perché la potenzialità si trova già nell’orizzonte dell’essere, come ho detto sopra. Il nulla dev’essere concepito semplicemente come un non essere assoluto. Oltre a questo c’è il nulla negativo, che è il non essere di una data creatura, cioè Tizio non è Caio. Cioè Tizio è il non essere di Caio, e Caio è il non essere di Tizio.
      Si può dire semmai che il nulla è legato alla possibilità, nel senso che è lo spazio del non essere che rende possibile l’essere della creatura, in modo tale che la creatura, nell’essere creata, passa dalla possibilità alla realtà.

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    5. "... l’uomo non potrà mai essere un creatore dal nulla... produce un qualcosa da materiale pre-esistente, non crea dal nulla."
      Sono d’accordo.
      Infatti Dio produce l’ente nella sua totalità, essenza ed esistenza, sostanza ed accidenti, mentre noi lo possiamo produrre solo per quanto riguarda la forma accidentale o gli altri accidenti. Non possiamo produrre la materia e neppure la sostanza spirituale.
      Noi possiamo però produrre i nostri pensieri, e questi sono gli enti di ragione. Inoltre possiamo produrre i nostri atti morali e l’attività artistica.

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  3. Grazie carissimo padre per le sue precisazioni e per la sua chiarezza su argomenti così importanti e decisivi per comprendere ed avere nella nostra vita un corretto rapporto con Dio e con la realtà creata.

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