Diversità e falsità - Come conciliare l’unità con la molteplicità?

 

Diversità e falsità

Come conciliare l’unità con la molteplicità?

 

In necessariis unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas

S.Agostino

 

L’universalità del sapere non toglie la diversità delle opinioni

La vita è bella perché è varia. Tuttavia esistono condizioni mancando le quali la vita è impossibile. Allora non si ha una vita diversa, ma semplicemente la negazione della vita. Ciò vuol dire che esiste una diversità costruttiva e una diversità nociva. La prima è certamente bella. La seconda è orribile e odiosa.

Essere adulteri è certamente diverso da essere fedeli. Essere sano è diverso da essere malato. Rubare è diverso da donare. Essere onesti è diverso da essere doppi. Essere eretici è diverso da essere ortodossi. Essere atei è diverso da essere teisti. Essere eterosessuali è diverso da essere omosessuali. Ma possiamo dire che queste diversità siano buone, lodevoli, doverose, virtuose, conformi alla volontà di Dio e alla natura umana, meritevoli del paradiso?

Non dobbiamo prendere a pretesto la diversità per avallare il falso, il male, il peccato, l’arbitrio, l’ingiustizia, la disuguaglianza umana, la discriminazione, l‘esclusione, l’accezione di persona, la licenza, la divisione.

La diversità è una proprietà delle cose e degli enti, per la quale ogni ente ha sue caratteristiche tutte sue proprie e solo proprie, naturali, essenziali[1], uniche, nuove, originali, individuali, irripetibili, insopprimibili, irriproducibili, inconfondibili, preziose, benefiche, complementari e proporzionate a quelle degli altri enti, così da formare con loro una meravigliosa comunità atta a vivere nell’armonia, nell’ordine, nella concordia, nell’unità e nella pace.

Guai a mancar di rispetto per la diversità! Diversità di forme, di idee, di gusti, di di opinioni, di stili, di comportamenti, di scelte. La diversità è un’immensa ricchezza dell’esistenza, fonte di gioia e di godimento estetico, sorgente inesauribile di sempre nuovi ed originali contributi alla società e alla vita comune, occasione di reciproco aiuto e di scambi fraterni e costruttivi, occasione per esercitare la propria iniziativa ed esplicare il proprio genio.

A patto però che questa diversità, per una falsa libertà, non sia pretesto per negare i valori oggettivi, universali e perenni, per sottrarsi agli obblighi comuni, per disobbedire all’autorità, per far di propria testa, per starsene per conto proprio, per isolarsi dalla comunità, per fare il bastian contrario, per imporre le proprie idee, per scusare o legittimare il proprio peccato, per poter fare quello che ci pare.

La diversità è il fondamento della molteplicità e della pluralità: dualità dei sessi, pluralità degli individui, delle indoli, delle etnie, dei popoli, dei costumi, delle abitudini, dei sistemi sociali, dei governi politici, dei ricordi storici, delle lingue, delle mitologie, delle letterature, delle filosofie, delle culture, delle spiritualità, delle religioni.

Trattandosi però della verità, del sapere e della scienza, la varietà, le pluralità e le diversità non possono aver luogo, ma c’è solo l’unità e l’identità. Certo, esistono molte verità così come esistono molte cose, ciascuna delle quali ha una sua verità e una sua identità. Ma la verità intesa come adeguazione al reale non può che essere una sola: o c’è o non c’è. Tertium non datur. Il diverso qui è il falso. Ammettere come parimenti legittime le tesi contradditorie od opposte non è larghezza di vedute o rispetto del diverso: è opportunismo, è doppiezza e servizio a due padroni.

Il concetto di Dio come mutevole, passibile, non concettualizzabile, estraneo all’essere, totalmente inconoscibile ed ineffabile, un Dio non creatore del mondo ma emanatore del mondo, un Dio che non castiga, un Dio che è il vertice dell’essere umano, un Dio che non esiste senza il mondo, non è un concetto diverso: è un concetto falso.

Comprendiamo allora come il pluralismo delle culture, delle filosofie e delle religioni è cosa molto delicata, che va trattata con la massima prudenza e col più fine discernimento. Infatti la religione, la filosofia e la teologia hanno una pretesa di verità oggettiva ed universale, come ogni vera scienza, come le scienze fisiche, sperimentali e la matematica; esse non appartengono all’ambito della semplice opinione, dove c’è spazio per la soggettività, la diversità, la creatività, l’immaginazione.  Ma appartengono all’orizzonte dell’universalità oggettiva. Se il chimico o l’ingegnere non sono padroni del loro sapere, combinano guai. Allo stesso modo, se il credente, il filosofo o il teologo non conoscono l’essenza e i fini della natura umana, combinano guai ancora peggiori.

Occorre distinguere il sapiente dal sapere

Dal punto di vista formale, come atto del sapere, non dei contenuti o dei vari rami, la scienza è una, la cultura è una, la filosofia è una, così come la verità è una, salvo ad ammettere il contradditorio, il che evidentemente è cosa irragionevole. Tuttavia questa unità della verità non va intesa per dar spaio a un pensare dittatoriale. Che ci siano infatti governi, sette, gruppi, associazioni, partiti, chiese che vogliono imporre il loro credo o le loro idee a tutti come fossero le uniche valide ed universali, questo è un altro discorso.

Questo è un sopruso e una violenza. Qui l’unità è solo un pretesto. Resta però il fatto che ci sono più culture perché c’è la cultura, ci sono più fedi perchè c’è la fede, ci sono più filosofie perchè c’è la filosofia. Non ci sarebbe la pluralità delle teorie, se non ci fosse la pluralità delle menti e non ci sarebbe questa se non ci fosse l’unità della specie umana, perché la pluralità come insieme di singoli, non ci sarebbe se non esistesse quella natura specifica comune o universale umana, che negli individui si concretizza e si particolarizza, anche se è vero che è dall’esperienza del molteplice che noi arriviamo all’uno, così come si astrae l’universale dal particolare.

Inoltre, bisogna distinguere un sapere in se stesso da chi eccelle in quel sapere. Un conto è il sapere in se stesso nel quale uno è maestro e un conto è il sapiente come persona, con i suoi limiti e i suoi difetti proprio in quel sapere nel quale eccelle. 

L’individualità del sapiente, per cui egli è diverso da altri sapienti nella medesima disciplina non incrina o non annulla o non relativizza l’universalità del sapere nel quale i vari sapienti operano. La fisica di Aristotele o di Tolomeo o Copernico o di Galileo o di Newton o di Einstein o di Heisenberg o di Born è sì la fisica di quegli scienziati, con tante ipotesi false o discutibili, se consideriamo i soggetti che la praticano, ma in se stessa la fisica è la fisica, è la verità della natura, appartiene a tutti i fisici, e non è proprietà privata di nessuno di essi; nessuno si identifica col suo sapere. Nessun uomo, ma solo Dio, ha l’esclusiva o la proprietà privata della verità, perché essa, come diceva Sant’Agostino, è un lumen publicum, è il sommo dei beni comuni.

D’altra parte quando si ascolta il fisico ascoltiamo la fisica. Quando ascoltiamo il medico ascoltiamo la medicina. Quando ascoltiamo il moralista ascoltiamo la scienza morale. Quando ascoltiamo il chimico ascoltiamo la chimica. Quando ascoltiamo il matematico ascoltiamo la matematica.

Per questo Tommaso chiamava Aristotele il Filosofo, così come noi parliamo del medico indipendentemente dal fatto che sia il Dott. Manetti o il Dott. Roversi. Del resto, Tommaso, quando notava degli errori in Aristotele, non mancava di segnalarli, e neppure rifuggiva dal guardare anche a Platone o a chiunque altro fosse un servo della verità.

Per questo il sapere dei sapienti è universale, trascende la loro individualità, mentre essi sono dei semplici individui, fallibili e limitati, i primi discepoli del sapere che insegnano, anche se fossero i fondatori di quel sapere. Se Aristotele ha fondato la logica e la metafisica, ciò non vuol dire che la logica e la metafisica siano delle semplici opinioni di Aristotele, ma che la logica e la metafisica sono patrimonio dell’umanità, greci, latini, tedeschi, russi, cinesi e via dicendo.

Ogni persona intelligente si trova d’accordo con quella logica e quella metafisica che Aristotele ha fondato. E chi non è d’accordo non è perché ha un’altra logica e un’altra metafisica, ma perché non capisce ciò che ha insegnato Aristotele.  La ragione umana è uguale per tutti e funziona in tutti allo stesso modo: per questo, se usata bene, dà in tutti il medesimo risultato: il sapere in tutti i suoi campi, gradi e specialità.

Per questo bisogna dire che la diversità tocca gli individui, non tocca il sapere nella sua verità. Quindi, quando è in gioco il sapere come tale, nella sua universalità, occorre andare adagio ad usare il plurale, ed invece bisogna usare il singolare, bisogna dire che non ci sono le filosofie, ma la filosofia, non ci sono le culture, ma la cultura, non ci sono le scienze, ma la scienza, non ci sono le teologie, ma la teologia, a meno che non ci riferiamo alla molteplicità delle discipline abbracciate dalla categoria generica, alla quale esse si riferiscono.

Per questo, per esempio, si parla legittimante di Accademia delle scienze o di pluralismo teologico o di diversità delle culture o di filosofia greca, indiana o cinese o della teologia di San Tommaso o di quella di San Bonaventura o di quella di Sant’Agostino e di quella di Maritain. L’universalità del sapere non impedisce affatto la possibilità e l’utilità di una storia del sapere, della filosofia o della teologia, a patto che questa storia non si basi sul relativismo o sullo storicismo, ma sia un’autentica narrazione del progresso della verità.

Indubbiamente la filosofia di San Tommaso non è la filosofia come tale. E tuttavia la Chiesa raccomanda San Tommaso al di sopra di tutti gli altri dottori. Questo non vuol dire che la filosofia di San Tommaso non contenga errori o debba essere presa in blocco o non possa essere migliorata, ma che è quella che fra tutte meglio rispecchia la natura e l’ideale della filosofia.

La libertà di pensiero non dev’essere un pretesto

per impedire l’universalità del sapere

C’è oggi, come c’è stato in passato sin dai tempi degli antichi sofisti e scettici greci, chi, davanti allo spettacolo sconfortante dei conflitti ideologici e desideroso di rispettare le diversità, ma emotivo e poco riflessivo, non crede alla possibilità di una filosofia o religione certe, uniche, vere e valide per tutti, condivisibili da tutti, obbligatorie per tutti al fine di ottenere salvezza e felicità.

D’altra parte è pur reale il triste e scandaloso fenomeno, denunciato di recente da Mons. Fernandez, Prefetto del DDF, di movimenti settari, astuti, prepotenti e faziosi, i quali, col pretesto della necessità indiscutibile di un pensare unico per tutti i credenti – come si esprime lo stesso San Paolo[2] - , avocano a se stessi con intollerabile presunzione ed atteggiamento gnostico il possesso infallibile di questo sapere salvifico assoluto, al punto di voler prevalere sull’autorità dottrinale del Papa, così da pretendere di correggerlo o strumentalizzarlo per affermare la loro volontà di dominio sulle anime nella Chiesa.

Noi cattolici oggi ci troviamo alle strette. Da una parte, dietro la spinta del Concilio, vogliamo essere aperti, di larghe vedute, comprensivi ed accoglienti nei confronti della diversità, della varietà e della pluralità, che sono ricchezze per noi e per la Chiesa, espressioni di creatività e di libertà, e volute dallo Spirito Santo a Pentecoste.

Ma d’altra parte sappiamo bene come Cristo ha fondato la sua Chiesa come unica arca di salvezza, sappiamo bene come per salvarsi, tutti gli uomini devono apprendere ed accogliere il messaggio di Cristo, devono prendere Cristo per unico maestro, sappiamo come Cristo ha mandato gli apostoli a predicare il Vangelo a tutto il mondo, come il Vangelo è luce del mondo, come quindi questo messaggio è universale, comprensibile e condivisibile da tutti i cercatori della verità.

Tutti gli uomini, in quanto dotati di ragione, sono in grado di apprezzare la verità del Vangelo, in gradi diversi, a seconda delle diverse capacità di ciascuno o titoli acquisiti. La ragione umana, quando è sana, funziona in tutti allo stesso modo, così come tutti digeriscono il cibo o alimentano il sangue secondo le medesime leggi della fisiologia.

Questa base razionale è quindi uguale in tutti gli uomini, perché è costitutiva della natura umana come tale, comune a tutti gli individui, al di là delle differenze o diversità di sesso, di lingua, di razza, di popolo, di età, di condizione economica o sociale, di grado d’istruzione, di costumi morali, di cultura, di indole psicologica.

La ragione è il principio dell’uguaglianza umana, che non è da confondere con l’egualitarismo giacobino illuminista, negatore delle gerarchie sociali e delle legittime disuguaglianze dovute alla giustizia proporzionale o differenze di meriti o alle qualità naturali. Sul piano pratico dell’agire, la ragione è il principio anche dell’umana fratellanza universale, che è la base naturale della fraternità cristiana soprannaturale.

Sul piano della natura umana specifica io sono identico a te, possediamo la stessa natura. Tu mi sei diverso come individuo altro da me. Mi sei simile se mi assomigli o come familiare o per un caso della natura. Mi sei uguale, mi sei identico in qualche quantità, come per esempio il peso, la statura o il colore della pelle. Il diverso non è necessariamente il contrario; di per sé dev’essere principio di reciproca complementarità.

Stolti sono coloro che nel diverso vedono un contrario o un nemico. Sono stolti anche coloro che non accettano idee diverse dalle loro, disprezzando così la libertà di pensiero. Stoltezza o disonestà però è anche quella di chi prende a pretesto il diverso per far passare il falso o il male.

L’universalità del sapere si fonda sull’universalità della natura umana e in particolare sul fatto che la sana ragione funziona in tutti noi allo stesso modo e per questo dà gli stessi risultati, che sono alla base dell’uguaglianza e della fratellanza universale, del dialogo, della giusta e pacifica convivenza, della collaborazione reciproca e della sussistenza stessa del vivere umano e sociale.

Se non fosse possibile il sapere nella sua universalità, se il pensiero non potesse astrarre l’universale dal particolare, se quindi non esistessero idee astratte rappresentanti gli ideali, le essenze e i valori universali ed immutabili, non si potrebbe parlare di oggettività ed  universalità della natura umana, e quindi di valori morali non negoziabili e di diritti e doveri universali, per cui tutti i suddetti valori sarebbero illusori o impossibili e varrebbe in pieno il terribile e sconfortante detto  di Hobbes: homo homini lupus.  Non si potrebbe neppure parlare di una vita da bestie, perché anche le bestie, seppur in modo solo istintivo, vivono una vita sociale intelligente ed organizzata.

Per questo la Chiesa, sommamente preoccupata della concordia e della pace sociale nella verità e nella libertà, ha sempre condannato tutte quelle ideologie che in un modo o nell’altro negano l’universalità ed oggettività del sapere: dal sensismo all’idealismo, dal nominalismo al relativismo, dal soggettivismo allo gnosticismo, dal fideismo al liberalismo, dallo scetticismo allo storicismo.

Dobbiamo dare alla nostra vita un valore universale

 nella libertà di scelta

Per concludere, diciamo allora che compito della nostra vita è la libera e responsabile promozione dell’unità nella molteplicità a cominciare dal sapere sulla base dell’universalità del vero per poi passare all’azione. La molteplicità vive dell’unità e nell’unità, emana dall’unità, si fonda sull’unità e l’unità dal canto suo, restando una, si esprime e si divide nella molteplicità.

C’è un’unità forzata e artificiale, dittatoriale, che è l’unità dell’ideologia: l’uno che pretende sostituire i molti, il partito che si erige a Stato, un singolo tra i molti che vuole sostituire i molti; l’uno tra i molti che si propone come unico (il cosiddetto «pensiero unico»: tutti devono pensare come pensa il capo), bloccando gli altri e dominandoli; occorre sì un unico pensiero, purchè sia quello giusto ed universale.

Ai fini di garantire la vera universalità del sapere non meno pernicioso è il dogmatismo, che è quella rigidità cocciuta ed ostinata intransigenza mentale, spesso associata a miopia eretta a chiaroveggenza, per la quale, col pretesto di assicurare il consenso e l’unità, il capo idolatrato o la cultura dominante prezzolata dai ricchi esigono una fede incondizionata di tutti ed impone a tutti le sue idee, spesso strampalate, come verità assoluta, evidente e indiscutibile - la «dittatura del relativismo», come la chiamava Mons. Luigi Negri, - pena l’esclusione del dissenziente dalla comunità.

D’altra parte il molteplice disunito e caotico è una falsa libertà, un falso pluralismo, fonte di infiniti conflitti. La pluralità, per essere sana e serena diversità, deve convergere verso l’unità e sgorgare dall’unità. L’uno non emerge dal molteplice e non è nemmeno l’insieme del molteplice, come credeva Ockham, perchè il molteplice è uno soltanto in forza dell’uno, ma non si unisce da solo.

L’universale certamente non è sussistente come tale nella realtà fuori della mente, come credeva Platone, ma è proprietà di un ente di ragione interno alla mente e costruito dalla ragione (conceptus formalis); tuttavia l’essenza reale esterna è effettivamente universale, solo che la sua universalità o «intenzione di universalità» esiste e viene isolata di per sé e oggettivamente conosciuta (conceptus obiectivus) solo in quanto concepita all’interno della mente.

L’universale, dunque, non è un semplice nome, come crede Ockham, che sta al posto dell’essenza, ma il nome designa il concetto universale dell’essenza, astratto dall’intelletto dal singolare concreto esistente. Ockham invece salta direttamente da questo concreto alla sua designazione con un nome, come se questo bastasse a designare e rappresentare l’essenza concretizzata nella molteplicità degli individui.

Il pluralismo nella comunità universale della salvezza

La comunità, dal canto suo, e quindi la Chiesa, non può essere una se non nella varietà della diversità e della molteplicità. È ciò che il Papa ha inteso dire quando ha detto che la Chiesa non è tanto una sfera con tutti i raggi uguali, quanto piuttosto è come un poliedro con tante facce tutte fra loro interconnesse.

Uguaglianza umana non vuol dire essere prodotti in serie, non vuol dire che tutti dobbiamo avere gli stessi gusti, lo stesso censo, lo stesso stipendio mensile, lo stesso grado d’istruzione e di virtù, le stesse opinioni, lo stesso titolo di nobiltà, lo stesso colore della pelle, ma vuol dire che  Dio, quando crea ciascuno di noi, rompe, per così dire, lo stampo con quale ci dà forma, anche se è ovvio che la natura umana specifica – animal rationale - è uguale e identica in tutti gli individui, per cui ciascuno di noi, per essere qualificato come uomo, possiede parimenti come tutti gli altri, ricchi e poveri, maschi e femmine, belli o brutti, dotti o ignoranti, buoni o cattivi,  la medesima natura regolata da leggi morali universali.

Così tutti, al di là di queste differenze, siamo creati per tendere a Dio e trovare in Lui la nostra beatitudine, tutti siamo chiamati alla salvezza in Cristo, tutti siamo obbligati ad obbedire a Dio, tutti siamo chiamati a far parte della Chiesa, ad avere, come dice San Paolo, «un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo». Tutti dovremo un giorno render conto a Dio del nostro operato.

Tutti certamente dobbiamo concordare nei valori comuni, principio dell’unità. Ma guai se l’unità soffoca la molteplicità; in questo senso il Papa se la prende contro il «monolitismo» a favore della creatività; non dobbiamo confondere il monoteismo col monotonismo; non sarebbe, questa, unità, ma mancanza di fantasia e di apertura mentale, dittatura ed ideologia.

C’è un’unità assoluta che trascende la molteplicità: e questa è l’unità dell’Uno divino, principio e causa universale, creatore e provvidente ordinatore del molteplice e del diverso. Ma questo Dio, Egli stesso comunione trinitaria, nella sua sapienza, onnipotenza, bontà e libertà, vuol render partecipe di Sè in mille e mille gradi, modi e forme la perfezione del suo essere, per avere con Sé e attorno a Sé una famiglia unita e varia della quale compiacerSi come Padre amoroso, giusto e misericordioso.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 15 settembre 2023


 

Il pluralismo delle culture, delle filosofie e delle religioni è cosa molto delicata, che va trattata con la massima prudenza e col più fine discernimento. Infatti la religione, la filosofia e la teologia hanno una pretesa di verità oggettiva ed universale, come ogni vera scienza, come le scienze fisiche, sperimentali e la matematica; esse non appartengono all’ambito della semplice opinione, dove c’è spazio per la soggettività, la diversità, la creatività, l’immaginazione.  Ma appartengono all’orizzonte dell’universalità oggettiva. Se il chimico o l’ingegnere non sono padroni del loro sapere, combinano guai. Allo stesso modo, se il credente, il filosofo o il teologo non conoscono l’essenza e i fini della natura umana, combinano guai ancora peggiori.

L’individualità del sapiente, per cui egli è diverso da altri sapienti nella medesima disciplina non incrina o non annulla o non relativizza l’universalità del sapere nel quale i vari sapienti operano. La fisica di Aristotele o di Tolomeo o Copernico o di Galileo o di Newton o di Einstein o di Heisenberg o di Born è sì la fisica di quegli scienziati, con tante ipotesi false o discutibili, se consideriamo i soggetti che la praticano, ma in se stessa la fisica è la fisica, è la verità della natura, appartiene a tutti i fisici, e non è proprietà privata di nessuno di essi; nessuno si identifica col suo sapere. 

Immagine da Internet



[1] L’«ecceità» della quale parla il Beato Giovanni Duns Scoto

[2] Ef 3,14-19.

2 commenti:

  1. Reverendo Padre, Lei è un ottimo teologo ma un cortigiano grossolano, peggiora le cose che cerca di semplificare. Come acrobata poi non Le si addice il salto mortale, si è preparato con cura scrupolosa al triplice salto mortale riuscendo persino ad eseguirlo ma fuori tempo massimo, squalificato dalla giuria che voleva impressionare, (6 dicembre 2023).
    Sempre fuori tempo massimo ci sarebbero le scuse per tutti coloro che sono stati costretti a iniettarsi un siero S P E R I M E N T A L E ( tutti quelli attenti e ben informati come Lei sanno.....) non per me che non ho posto nessun atto d'amore nel siero, (apra la finestra e vedrà quali BENEfici).
    Lei è un ottimo teologo, lasci perdere i salti mortali.
    Buon Natale del nostro Signore Gesù

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Anonimo,
      non capisco la sua polemica contro il vaccino.
      La pandemia l’abbiamo sconfitta. Adesso, grazie al vaccino, siamo riusciti a diminuire la pericolosità del virus, in modo tale da ridurla man mano a quella di una comune influenza. In tal modo attualmente la profilassi nei confronti del virus si ottiene con la vaccinazione annuale.
      Tutto ciò dimostra che il vaccino è efficace e quindi non si tratta di un prodotto sperimentale, ma di un prodotto sperimentato, cosa che è dimostrata dalla sua efficacia.

      Ringrazio per gli auguri natalizi e li ricambio con un ricordo nella preghiera.

      Elimina

I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.