Lo zigote è una persona umana? - Prima Parte (1/2)

 Lo zigote è una persona umana?

Prima Parte (1/2)

Il nostro corpo proviene da una sola cellula

Papa Francesco, affermando di recente (cf. https://www.vatican.va/content/francesco/it/events/event.dir.html/content/vaticanevents/it/2021/9/15/bratislava-volo-ritorno.html ) che il feto è una vita umana, ha implicitamente affermato che il feto, a cominciare dallo zigote, è una persona umana, naturalmente in senso ontologico, non dal punto di vista psicologico, morale e giuridico.

Infatti esso non è ancora un soggetto capace di intendere e di volere, non è ancora capace di relazionarsi spiritualmente e moralmente con Dio e col prossimo, non è ancora capace di esercitare le sue facoltà razionali e spirituali. In questo senso non è ancora persona. Per questo il Papa, citando l’esser persona, ha solo posto la domanda, senza entrare in queste distinzioni.

Lo zigote, generato dall’uomo, è figlio dell’uomo. Il figlio è della medesima specie dei genitori. È un individuo umano come prima cellula originatrice per suddivisione di tutte le altre del medesimo individuo. È dunque già un individuo umano, è un individuo della specie umana. Come ha detto di recente Papa Francesco è una vita umana.

Possiamo dire allora che è un soggetto che possiede una vita umana. Ma chi è un soggetto che possiede una vita umana? Evidentemente è una persona umana, perché appunto la persona è la sussistenza di una natura individuale razionale, animata cioè da un’anima razionale o spirituale, non importa che questa persona sia o non sia un grado di esercitare le facoltà razionali.

Lo zigote è una sostanza vivente ilemorfica individua, sussistente secondo una natura corporeo-spirituale o animale-razionale. Lo zigote è già persona perché è una sostanza vivente composta di corpo e anima spirituale creata immediatamente da Dio.

Sappiamo infatti che quando i due gameti si uniscono, formano una sola cellula, detta «zigote». Quella cellula è un individuo formato di anima e corpo. Esso comincia a suddividersi in cellule sempre più numerose, fino a che esse raggiungono nell’individuo adulto il numero di alcuni miliardi.

Questo individuo, che conserverà la sua identità peculiare ed irripetibile per tutta la vita fino alla morte, è una sostanza animata da un’anima spirituale. Infatti al momento dell’unione dei due gameti, nel momento in cui si forma lo zigote, Dio crea immediatamente la sua anima.

Perché mai? Dio non potrebbe crearla mediatamente, ossia in concomitanza alla generazione dell’individuo o nel momento in cui viene generata? No, perché l’anima umana non è una forma che costituisca il termine di una precedente evoluzione corporea, come avviene negli animali, e quindi non è generata col corpo.


Lo zigote è un vivente animato da un’anima umana

L’anima umana non risulta dalla semplice unione dei gameti, non è l’effetto di questa unione, come avviene negli animali, nei quali l’anima non è una forma indipendente dal corpo, non primeggia sul corpo, ma vive della vita del corpo, emerge dalla materia corporea, sicchè, alla morte del corpo, muore l’intero individuo, anima e corpo, per cui si dissolve anche l’anima, che ritorna nella potenzialità della materia.  

 L’anima dell’animale, insomma, è generata col corpo, emerge dal corpo e segue le sorti del corpo. Essa è immateriale ma non spirituale. La psiche animale sa infatti astrarre la specie dall’individuo e quindi il suo appetito appetisce lo specifico: al lupo non interessa questo agnello, ma l’agnello. Ciò comporta il superamento del «questo» materiale (questo agnello), ma non dell’oggetto, che resta materiale (l’agnello).

 Inoltre il questo resta connesso con l’il. Ciò vuol dire che l’animale non astrae del tutto l’universale come facciamo noi col concetto. Esiste nella sua psiche un’intenzionalità che si avvicina a quella spirituale senza raggiungerla. E per questo non sa designare con un nome il suo oggetto. Inoltre non sa elevarsi alla conoscenza della realtà spirituale e divina.

Per questo la psiche animale (eb. nefesh) non sopravvive e non continua a sussistere dopo la dissoluzione del corpo, come la nostra anima (eb. rùach), la quale esercita un’attività spirituale, intellettuale e volitiva, indipendente dal corpo.

Così la nostra anima non è composta di materia e forma, ma è pura forma immateriale; non è espressione del corpo, ma è signora e guida del corpo. Nella dissoluzione del vivente animale la materia corporea perde la sua forma sostanziale, cioè l’anima che rientra nella potenzialità della materia e i residui materiali assumono altre forme.

Ma l’anima umana è pura forma. Essa quindi per questo motivo non può dissolversi. Infatti la dissoluzione avviene in un composto. Ma l’anima umana è una forma semplice. Per questo motivo è immortale.  In un composto la materia può perdere la forma. Se invece la forma non è immersa nella materia come nell’animale, ma è forma sussistente, essa non può perdere se stessa e quindi continua a vivere senza il corpo. Ora, una forma così nobile del genere, che non è prodotta dall’evoluzione del corpo, non può che essere creata direttamente da Dio.

È chiaro che qui si suppone la distinzione fra l’anima e le sue facoltà e si respinge quindi la teoria che confondendo le facoltà col loro esercizio, si riconosce come persona solo il soggetto che esercita le facoltà. Eppure non ci vuol molto a constatare che anche le persone più ricche di manifestazioni della personalità, a intervalli di tempo ne sospendono l’esercizio, oppure alternano l’esercizio dell’una all’esercizio dell’altra.

Ora, a meno che non ammettere l’assurdo che negli intervalli di silenzio l’anima e le facoltà cadano nel nulla, è giocoforza ammettere che  le facoltà e quindi l’anima che ne è la radice continuino ad esistere anche negli intervalli di  inattività, mentre l’esistenza di una pluralità di facoltà ci costringe ad ammettere  la distinzione reale fra di esse e l’anima, perché se per esempio l’intelletto s’identificasse con l’anima, non potrebbe essere la stessa cosa per la volontà, che è diversa dall’intelletto.

La persona è un soggetto composto di sostanza e accidenti

La sostanza creata[1], della quale abbiamo esperienza, a cominciare dalla sostanza chimica, si distingue da un'altra non per se stessa, ma per la diversità delle sue qualità o proprietà, sperimentando le quali veniamo a riconoscere di quale sostanza si tratta.

Così lo zucchero è caratterizzato dalla dolcezza e il fiele dall’amarezza. Mediante queste qualità, chiamate accidenti, noi conosciamo la sostanza e distinguiamo la sostanza dai suoi accidenti. La dolcezza e l’amarezza non sussistono in sé, ma nella sostanza. Non è possibile, quindi. risolvere la sostanza in un fascio di accidenti, come fanno gli empiristi e i buddisti, anche se è vero che, tolti gli accidenti è tolta la sostanza. Ma resta il fatto che lo zucchero non è la sua dolcezza e il fiele non è la sua amarezza. Infatti anche altre cose possono avere queste qualità senza essere zucchero o fiele. E dunque la sostanza è indicata dagli accidenti e non ci sarebbero gli accidenti se non inerissero alla sostanza. La stessa cosa vale per la persona. Essa è una sostanza con accidenti.

La sostanza è la natura umana; gli accidenti sono le facoltà. Tra questi c’è il porsi in relazione sociale, che dipende dalla volontà della persona. Il che vuol dire che la persona può evitare certe relazioni sociali e non per questo non mantiene la sua essenza di persona.

Dunque è falso il famoso detto di Marx che «l’individuo è il suo essere sociale». Chi non socializza potrà essere un egoista, un individualista, ma resta pur sempre un individuo. Ed inoltre è chiaro che in questa concezione chi non è capace di socializzare, come per esempio l’embrione, non può appartenere alla società e può quindi essere eliminato.

Tuttavia l’atto del mio relazionarmi è un accidente, che non costituisce l’essenza della mia persona, tanto è vero che è oggetto di scelta. Che uno accolga Dio o che Lo rifiuti lo costituisce rispettivamente una persona buona o cattiva, ma è chiaro che in entrambi i casi costui resta sempre una persona.

La persona comporta due atti d’essere: quello principale, che è il sussistere, e un atto secondario dipendente e fondato sul primo, che è l’inerire: dunque, sussistenza della sostanza e inerenza degli accidenti.

È infatti essenziale tener presente che la persona umana non è né una pura sostanza o, come si dice in linguaggio idealistico, un «puro soggetto», un puro «io», una pura «autocoscienza». Ma non è neppure una pura relazione o, come alcuni dicono, un semplice «essere-per-gli-altri» o, come dice Rahner, uno «spirito», un «essere autotrascendente, aperto all’essere in genere e tendente a Dio. È un soggetto con delle proprietà, potenze, qualità energie, tendenze, attitudini, attività realmente distinte dal soggetto. Di alcune ha padronanza; di altre no.

Non si può risolvere o esaurire l’esser persona nel suo significato psicologico o giuridico, nel suo rapporto sociale o con Dio, nel suo agire come persona, nella coscienza di essere persona o nel risultato verticale di una precedente evoluzione ascensiva della materia corporea secondo meri processi chimico-meccanici deterministici, sì da rendere illusoria la trascendenza dello spirito, dell’intelletto, della volontà, del libero arbitrio e dell’autocoscienza, secondo la concezione materialista della persona.

La persona non è neppure un soggetto spirituale separato dalla natura corporea, che sarebbe a sua totale disposizione per essere plasmata secondo la libera volontà della persona senza tener conto della legge o del fine della natura umana.

L’esser uomo non si risolve neppure nello spirito e nell’apertura all’essere o a Dio, come crede Rahner, giacchè questa apertura non è costitutiva dell’uomo come tale, ma è effetto di una libera scelta, che non tutti fanno. L’uomo può chiudersi all’essere[2] e a Dio e non per questo non è più uomo. È pertanto sbagliato e illusorio definire la persona in termini di rapporto all’essere o a Dio, come fossimo tutti angeli del paradiso.

Occorre però distinguere due tipi di accidenti. Un conto infatti è l‘accidente essenziale o inseparabile dalla sua sostanza (accidens per se), che è una proprietà della sostanza e un conto è l’accidente accidentale (accidens per accidens), che si aggiunge alla sostanza, per cui ci sia o non ci sia la sostanza resta la stessa. 

L’accidente relazione (accidens per se) è l’effetto di un’attività necessaria ed essenziale al bene della persona. Il puro accidentale (accidens per accidens) è invece qualcosa di casuale, facoltativo o di occasionale, che lascia indifferente la persona. Che io abbia o non abbia il raffreddore non coinvolge la mia salvezza; ma che io mi relazioni o non mi relazioni con Dio decide del mio destino eterno.

Fine Prima Parte

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 20 settembre 2021

 



Lo zigote, generato dall’uomo, è figlio dell’uomo. Il figlio è della medesima specie dei genitori. È un individuo umano come prima cellula originatrice per suddivisione di tutte le altre del medesimo individuo. È dunque già un individuo umano, è un individuo della specie umana. Come ha detto di recente Papa Francesco è una vita umana.

Immagini da internet


[1] Due magistrali trattati sulla realtà metafisica della sostanza  Tomas Tyn,OP, Metafisica della sostanza. Partecipazione e analogia entis, a cura di G.Cavalcoli, Edizioni Fede&Cultura, Verona, 2009; M.-D.Philppe,OP, L’Être. Recherche d’une philosophie première, I, Editions P. Téqui, Paris 1972, c. III.

[2] Oggi ci sono persino dei Domenicani ai quali l’essere non interessa assolutamente.

4 commenti:

  1. Caro Padre Cavalcoli:
    A rafforzare l'importanza che lei attribuisce a questa estemporanea affermazione di Papa Francesco durante il volo di ritorno dalla Slovacchia, va aggiunto che lo stesso Santo Padre sembra aver “alzato” il grado di autorevolezza della sua estemporanea dichiarazione in quel momento, ad un livello di maggiore importanza.
    Dico così, perché esattamente un mese dopo, lo stesso Papa ha citato quel colloquio improvvisato con i giornalisti, in un discorso in un contesto più formale e autorevole, ieri, 14 ottobre, ai partecipanti al Congresso promosso dalla Societa Italiana di Farmacia Ospedaliera: https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2021/october/documents/20211014-farmaceutica-ospedaliera.html
    (Vedere nota 2)

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    1. Caro Abel,
      non c’è dubbio che in questa circostanza ci troviamo ad un livello di autorevolezza dottrinale superiore a quella che il Papa ha espresso nella intervista in aereo.

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  2. Padre Cavalcoli,
    anche se forse sono un po' fuori tema del suo articolo.
    Lei dici: "L’anima umana non risulta dalla semplice unione dei gameti, non è l’effetto di questa unione, come avviene negli animali, nei quali l’anima non è una forma indipendente dal corpo, non primeggia sul corpo, ma vive della vita del corpo, emerge dalla materia corporea, sicchè, alla morte del corpo, muore l’intero individuo, anima e corpo, per cui si dissolve anche l’anima, che ritorna nella potenzialità della materia".
    Questo sembra eliminare o negare completamente la possibilità di una vita successiva per gli animali dopo la morte, come ad esempio crede oggi la new age.
    Tuttavia, credo di ricordare che in alcuni suoi articoli, penso che riferendosi alla differenza tra dogma di fede e ipotesi teologiche, in un suo elenco di queste discutibili ipotesi, citi la possibilità (discutibile) della vita successiva degli animali in paradiso.
    Grazie.

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    1. Caro Bruno,
      questa è una questione teologica profonda e non facile.
      Credo che la risposta la possiamo trovare nel Concilio Vaticano II, quando dice che alla resurrezione ritroveremo migliorato tutto ciò che di bello e di buono c’è nella vita presente.
      Inoltre dobbiamo tenere presente che la natura divina contiene in se stessa virtualmente ed eminentemente tutte le creature esistenti e non esistenti, attuali e possibili, per il fatto che la causa per poter causare deve precontenere in se stessa l’effetto. Il che vuol dire che in Dio c’è tutto, per cui nella visione beatifica noi, vedendo Dio, vediamo in Lui, entro i limiti della nostra comprensione, tutto ciò che è in Lui.
      Resta comunque da tenere presente che l’animale, avendo un’anima mortale, non può risorgere, perché la resurrezione è il fatto che l’anima immortale riprende il suo corpo.
      Ad ogni modo, io credo che Dio Onnipotente, nella sua infinita bontà, possa creare nuovamente quegli animali che si sono estinti.

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