Riflessioni sui Salmi


Riflessioni sui Salmi
Ti canterò sulla cetra, o Santo d’Israele
Sal 71,22

Il miracolo dei Salmi

In tutta la letteratura religiosa dell’umanità i Salmi emergono come sublime insuperata espressione del più puro monoteismo. Dio è uno solo, l’unico, l’Altissimo, l’Eterno, il Signore, Colui Che È, l’Infinito, immutabile, creatore del cielo e della terra, sapiente, provvidente, temibile, benevolo, giusto e misericordioso, trionfatore dei suoi nemici, vindice degli oppressi, donatore generoso di ogni bene.

Il Salmista è profondamente assetato di Dio. È chiaro come egli pone Dio al vertice di tutto e all’origine di tutte le cose.  Essere in comunione con Dio, poter contemplare il suo Volto, essere a Lui gradito, obbedire alla sua legge, aver Dio dalla sua parte come difesa dai suoi nemici, sentire le sue consolazioni, averLo guida nell’agire, ottenere la sua grazia e il suo perdono, raggiungerLo come premio delle sue fatiche, è la somma aspirazione del Salmista.

La produzione dei Salmi risale niente meno che al sec. X a.C. al tempo del re Davide, perché appunto a lui vengono attribuiti dalla tradizione giudeo-cristiana. Probabilmente egli ne ha composti solo una settantina, mentre gli altri sono attribuiti ad altri autori della sua scuola, come Asaf, i figli di Core, Heman ed Etan[1].

I Salmi sono per lo più un soliloquio appassionato, confidente ed affettuoso dell’Autore con Dio, dove Dio è l’unica cosa o quanto meno la somma cosa che interessa. Il Salmista ha saputo impersonare con tale perfezione l’ideale perenne dell’anima religiosa che si rivolge a Dio, che ormai da ben trenta secoli il Salmi hanno nutrito e nutrono la devozione di una infinità di altre anime come lui assetate dell’incontro mistico con Dio.

l fenomeno Salmi da allora non si è più ripetuto ed oggi ci è assai difficile immaginare che cosa possa esser accaduto alla loro origine, quale fuoco divino e di quale potenza possa essersi acceso nella mente e nel cuore di questi antichissimi misteriosi poeti, capire almeno approssimativamente da quale entusiasmo mistico e divino siano stati presi, per aver potuto comporre una tale straordinaria serie di canti poetici, il cui valore inestimabile è stato ed è un caso unico in tutta la storia dell’umanità. Dopo tanto tempo non hanno perso nulla della loro freschezza, a differenza di tanti altri testi del passato anche recente che oggi non ci dicono più nulla. 

Di che parla il Salmista?

Egli loda sì a più riprese il creato per la sua bellezza, ma come creatura di Dio, che gli richiama alla mente Dio, che lo spinge a ringraziare, desiderare e lodare Dio. Si tratta quasi sempre di colloqui a tu per tu con Dio. Non abbiamo termini di paragone per esprimere il genere letterario dei Salmi, se non il campo dei rapporti interpersonali, e più precisamente quello che può essere il colloquio intimo fra due intimi amici o innamorati. 

Ecco perché il Cantico dei Cantici ha una stretta affinità con lo stile dei Salmi. Rari nei Salmi sono i toni epici, meditativi, evocativi, narrativi o sentenziari; non c’è mai alcun ragionamento filosofico deduttivo, sul tipo di quelli di Aristotele, ma il Salmista procede per una successione di impulsi, sentimenti, ricordi, visioni ed intuizioni, da vero poeta, cose tutte che sgorgano spontaneamente e liberamente dal cuore con una facilità sorprendete e straordinaria. 

Il Salmista non canta mai la creatura per sé stessa, come potrebbe essere una donna amata o un amico o un oggetto caro o qualche pianta o animale o qualche bellezza naturale o i prodotti dell’arte umana o qualche sogno o idea della sua mente. Non porta mai avanti interessi, opinioni o gusti personali o soggettivi, come pure è frequentissimo nella letteratura poetica. 

Non è un poeta di corte, preoccupato di piacere al sovrano o desideroso di adularlo. Non è come certi «amici» di Papa Francesco.  Non è neppure un poeta prezzolato, che deve soddisfare chi gli passa il foraggio. Vive delle elemosine di coloro che adorano il Dio d’Israele. È uno spirito completamente libero. Il suo Signore assoluto è solo Dio. Tutto il resto lo interessa solo in quanto serve a lodare e a servire il suo Dio, il Dio d‘Israele. Egli quindi esprime solo ciò che sente nei confronti del Dio d’Israele. Nient’altro. Ha una forte soggettività, una spiccata personalità poetica e spirituale. Ma essa coincide esattamente con l’anima immortale e benedetta di Israele.

Le realtà concrete che ha in mente sono sempre legate al suo senso religioso: Mosè, Gerusalemme, il tempio, la predilezione che Dio ha per il suo popolo e l’empietà e l’idolatria dei popoli pagani.

Quel Dio al quale il Salmista si rivolge è quel Dio che poi Cristo chiamerà «Padre» ed egli si sente «figlio», ma non certo ancora nel senso cristiano. Concepisce, certo, l’idea e la speranza di un «Messia» Re, Sacerdote, «figlio» di Dio, saggia e forte guida del Popolo d’Israele e liberatore, vindice e consolatore degli afflitti e degli umili della terra, ma certamente non ancora nel modo col quale Cristo si presenterà come Figlio del Padre. Ammette uno «spirito», che emana da Dio, ma non certo ancora nel senso della terza Persona della SS.Trinità.

Stupiscono l’effervescenza creativa quasi irresistibile ed incontenibile e la rigogliosissima serie di espressioni, di effusioni, di esclamazioni, di suppliche, di domande, di slanci del cuore, di affetti ardenti, di immagini, di simboli, di paragoni, di sagge sentenze, di lamentele e di invettive contro nemici e persecutori,  che a fiotti e a getto continuo scaturiscono  come da una sorgente inesauribile, dall’inventiva, dall’entusiasmo e dall’emozione dell’anima poetica, ora patetica, ora sofferente, ora gioiosa, ora entusiasta, ora intenerita, ora triste, ora angosciata, ora spaventata, ora smarrita, ora abbattuta del Salmista, tutti sentimenti e stati d’animo, però, sempre riconducibili o direttamente o indirettamente ad un unico motivo di fondo: il suo rapporto con Dio.

Si comprende come questo sacro fuoco che si è acceso trenta secoli fa per divina ispirazione nell’animo e nell’estro creativo e lirico del profeta Davide, si sia conservato, sia rimasto sempre vivo, intatto, efficace, ardente ed operante nel cuore di un’infinità di animi pii, limpidi, buoni e religiosi, soprattutto sacerdoti e monaci, santi e uomini di Dio, e nella stessa liturgia della Chiesa, che lo hanno accolto e fatto proprio dalle generazioni precedenti e lo hanno trasmesso a quelle seguenti, ricavandone immensi benefìci e vantaggi spirituali. 

Ogni anima pia e religiosa si ritrova alla perfezione nella lettura dei Salmi, i quali esprimono esattamente quanto l’anima sente ed ancor meglio di quanto essa sarebbe capace di esprimere. Viceversa tutti gli empi, gli increduli, i libertini e gli uomini di mondo rifuggono dai Salmi con orrore e fastidio, perché sono per loro un’intollerabile accusa e un rimorso di coscienza. Solo i farisei e gli ipocriti consumati, abituati alla doppiezza e alla finzione, leggono tranquillamente i Salmi, comportandosi poi nella vita quotidiana tutto alla rovescia di quanto i Salmi insegnano e testimoniano. 

Apertura interreligiosa

Viceversa, i Salmi favoriscono il dialogo interreligioso ed ecumenico, giacché, come è noto, sono patrimonio biblico comune ad ebrei e cristiani di tutte le confessioni. Gli ebrei vi possono trovare ragioni a favore della elezione divina di Israele, di Gerusalemme e del regno davidico, mentre essi possono riscontrarvi profezie che aprono la strada al mistero Trinitario e dell’Incarnazione. I cristiani vedono nei Salmi la preparazione veterotestamentaria della rivelazione neotestamentaria. 

È interessante confrontare il mondo dei Salmi con quello delle grandi culture religiose dell’umanità. Quello che balza all’occhio è la netta superiorità della sapienza monoteistica, universalistica ed umanistica di Israele nei confronti delle altre religioni e culture, il che sia detto nel pieno rispetto di quanto esse hanno di positivo. 

Prendiamo per esempio l’Islam. Benché il Corano abbia chiari riferimenti alla Scrittura, non ha recepito i Salmi, i quali sono totalmente impostati su di un atteggiamento di filiale confidenza del fedele in Dio, cosa che è respinta dalla concezione coranica del rapporto del fedele con Dio, dove invece Dio non ammette il fedele a nessun colloquio con Lui, ma si limita a dare ordini, promettendo premi e minacciando castighi. È vero tuttavia che nella letteratura islamica esistono correnti mistiche come i Sufi, tra i quali personaggi di spicco sono Al Allàgs e Rabìa.

Quanto all’induismo, esso ha una ricchissima, variegatissima ed antichissima letteratura religiosa, ma si tratta di un culto divino, di impronta gnostica, che comporta due piani: la disciplina yogica per le caste elevate, per la quale il soggetto prende coscienza di essere Brahman e il culto politeistico per le caste basse, culto fondato sul concetto che Brahman, di per sé senza attributi («nirguna») per il sapiente, si manifesta con attributi sensibili o intellettuali («saguna») per il profano. Da queste due concezioni della divinità discendono due diversi atteggiamenti: il bramino si rapporta con Brahman non come verso un Tu, come fa il Salmista con Dio, ma come al fondo assoluto e divino del proprio io. Quindi qui non esiste, come per il Salmista, un vero e proprio dialogo con Dio e una preghiera, ma solo la meditazione come graduale presa di coscienza della propria divinità. Invece la religiosità delle caste basse comporta la preghiera e i sacrifici agli dèi come diverse materializzazioni di Brahman.

L’induismo ha avuto metafisici di prima grandezza, come Shamkara e Ramanuja, solo che però l’impostazione generale della sapienza indiana è rivestita di una fantasia esuberante e rigogliosissima, certamente ricca di efficaci immagini, ma più spesso debordante nell’assurdo a causa di una vigilanza troppo debole della ragione. Il mythos soffoca i logos, la fantasia sostituisce la realtà, cosa che invece non accade mai nei Salmi.

Pregi dei Salmi

Il mondo dei Salmi resta quindi sempre vivo ed attuale anche per noi cristiani, sebbene il nostro rapporto con Dio, grazie a Cristo, sia divenuto molto più intimo, fecondo e perfetto sulla base di una più profonda ed elevata conoscenza di Dio come Dio Trinitario, che vuole inabitare nell’anima in grazia. 

In ogni caso, quello che colpisce nei Salmi è la razionalità, l’altezza e la solidità della sapienza teologica naturale del Salmista, il quale, benché indubbiamente parli illuminato da Dio, non fa che esprimere in modo eccellente fra tutte le altre religioni dell’umanità, ciò che la ragione umana già con le sue sole forze può sapere di Dio, in particolare il monoteismo, la trascendenza di Dio rispetto al mondo e Dio creatore e governatore del mondo, con una conseguente logica e rigorosa polemica contro il politeismo e l’idolatria, gli «dèi delle nazioni», duramente condannati come culto dei demòni. Eppure il Dio d’Israele, che è il creatore di tutti i popoli, è quel Dio che è salvatore di tutti e merita di essere adorato da tutti. 

Qui il Salmista si ricongiunge con la sapienza greca di Platone ed Aristotele, precorrendola peraltro di molti secoli, concordando con loro nel riconoscere come la ragione umana come tale sa scoprire l’esistenza di Dio, indipendentemente da qualunque popolo, cultura, religione, civiltà, tempo e luogo. 

Comunque, il Salmista ha coscienza che Israele, popolo eletto e prediletto dal Signore, deve svolgere in nome di Dio una funzione illuminatrice, legislatrice e sacerdotale nei confronti di tutti i popoli, mostrando loro il vero Dio e confutando ogni forma di idolatria, di ateismo, di magia e superstizione. Questa coscienza diventerà molto più viva con l’avvento del cristianesimo, che arricchirà di nuovi contenuti la sapienza d’Israele e di nuove prospettive la sua missione salvifica e messianica. 

Se già nell’Antico Testamento Israele mostrava di apprezzare i valori degli altri popoli – per esempio la dottrina degli angeli ricavata dalla religione babilonese -, tutto sommato Israele era spesso inesorabile ed eccessivo nel rivendicare la  proprietà del suo territorio e nel rifiutare e distruggere monumenti, usi e credenze pagani, mentre l’Israele cristiano, cioè il cristianesimo, pur mantenendo una rigorosa esclusione e condanna di ciò che si oppone al vero Dio, ha mostrato maggiore distacco da rivendicazioni territoriali e comprensione e misericordia nei confronti delle miserie e dei vizi dei pagani, assumendo maggiormente dai pagani quanto poteva accordarsi col messaggio evangelico.  Sono quelle che oggi si chiamano acculturazione, come assunzione critica di valori extraevangelici ed inculturazione come traduzione dei valori evangelici nelle categorie delle altre culture.

Tematica dei Salmi

Il Salmista prospetta, peraltro, ed auspica che il Dio del cielo voglia essere anche con noi qui sulla terra. Ma certo è assente la prospettiva dell’Incarnazione, che sarà il messaggio del Vangelo. Lo Spirito di Jahvè ispira i profeti, ma non è indubbiamente la Terza Persona divina della fede cristiana.

Il Salmista mostra grande rispetto ed amore per la Legge del Signore, la quale è legge di vita eterna. Sa che per salvarsi è necessario obbedire alla legge. Sa che con l’aiuto di Dio è possibile obbedire. È consapevole della forza sia pur limitata della propria volontà e del proprio libero arbitrio e che sta in lui obbedire o non obbedire. Sa benissimo che Dio è giusto perché retribuisce secondo i meriti e pietoso e misericordioso perché dona la grazia sanante e corroborante a chi fa fatica o non ce la fa ad obbedire ai suoi comandi e perdona coloro che sono pentiti dei loro peccati, accettando i loro sacrifici di espiazione. 

Il Salmista è ben lontano dalla paradossale prospettiva paolina di essere «liberato dalla legge» (Rm 7,5), dal vedere la legge come «motivo di morte» (Rm 7, 10) o dal parlare di «maledizione della legge» (Gal 3,13). Conosce la fragilità della sua natura, ma à ben lontano dal credere, come fece Lutero, che la sua volontà sia così corrotta e schiava del peccato da non riuscire a fare nulla di buono. Sa che è Dio suo creatore che gli dà di poter fare il bene sia con la volontà che con la grazia; e sa anche che il bene che fà è merito suo ed attende quindi fiduciosamente da Dio il premio. 

Certamente non c’è ancora Cristo che paga per noi e che dona la grazia del perdono dei peccati e della salvezza eterna, senza per questo essere dispensati dal compimento delle buone opere. Per questo, per conquistare il regno di Dio,  con la scusa della natura corrotta e col pretesto della gratuità della grazia, non dobbiamo credere che tutto ci venga regalato, per cui non dobbiamo essere dei pesi morti, fare i furbi o comportarci da scrocconi, ma dobbiamo collaborare fattivamente con le nostre opere, i nostri sforzi e i nostri sacrifici all’opera della grazia. 

Ma il Salmista sa già che Dio fa grazia e perdona.  Quello che ancora non sa è come concretamente, per mezzo o per il sacrificio di chi e non solo simbolicamente o prefigurativamente con sacrifici di animali avvengono questa grazia, questo perdono e questa salvezza. Grande è presso di Lui la redenzione (Sal 130,7).

Spesso il Salmista appare come un giusto incompreso, emarginato, osteggiato, tradito dagli amici, disprezzato, insultato, assalito da una folla di nemici, minacciato di morte, perseguitato per la sua fede e la sua obbedienza a Dio. Si è voluta qui vedere un’immagine di Cristo. Egli allora si lamenta con Dio, Lo supplica perché venga in suo soccorso, lo difenda, lo protegga e faccia valere il suo buon diritto, e gli manifesta la sua innocenza. A volte chiede a Dio di castigarli e di svergognarli. Altre volte auspica che si pentano e che vengano perdonati. A volte avanza l’ipotesi di averli provocati involontariamente con qualche torto, del quale non si è accorto. Nel qual caso accetta l’umiliazione. Queste situazioni del Salmista sono di grande conforto e consolazione per coloro che come lui si trovano a dover soffrire per causa della verità, della giustizia o della loro fede.

È vivo il senso della famiglia, degli antenati, della paternità, della generazione, della discendenza, della stirpe che dura. «Ai tuoi padri succederanno i tuoi figli» (Sal 45,17). Il Salmo 128 fa un elogio della vita di famiglia. Poco invece si percepisce la dignità del matrimonio e della donna. Essa figura tra le concubine del re in quell’epitalamio regale che è il Salmo 45: «Figlie di re stanno tra le tue predilette» (45,10). La donna sembra solo funzionale o alla generazione o al piacere. Evidentissimo qui è il condizionamento storico della redazione dei Salmi. Anche i poeti più geniali, sia pur parte della Scrittura, risentono dei limiti del loro tempo.

Nei Salmi non si parla esplicitamente del peccato originale. Tuttavia il Salmista, come risulta soprattutto dai sette Salmi penitenziali, ha piena consapevolezza della sua peccaminosità, che non può trovare la sua causa prima in un Dio da lui cantato come somma bontà, ma solo nell’uomo figlio di Adamo peccatore: «Nel peccato mi ha concepito mia madre» (Sal 50.7). Non si riferisce a un peccato della madre, ma al fatto che la madre lo ha concepito in uno stato di peccato.

Il Salmista non parla mai neppure di resurrezione dei morti, come del resto non si parla mai dell’immortalità dell’anima. Non parla mai di anime separate nell’al di là. Tuttavia è così viva, sentita e ripetuta la sua ferma convinzione che Dio è il Dio della vita eterna, che non possiamo avere dubbi circa queste cose. 

Frasi, per esempio, come queste: «Quando verrò e vedrò il volto di Dio?» (Sal 42,3), oppure: «Abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni» (Sal 23,6), oppure: «Voglio esaltarti e benedire il tuo nome in eterno e per sempre» (Sal 145,1), oppure: «Il Signore dona la sua vita per sempre» (Sal 133,3), oppure: «dolcezza senza fine alla tua destra» (Sal 16,11), oppure: «Non abbandonerai la mia vita nella fossa» (Sal 16,10), che senso avrebbero se il Salmista non credesse nell’immortalità dell’anima, nella resurrezione finale e nella vita eterna?

Poco sviluppata è l’espressione del vivere assieme nella comunione fraterna. Si direbbe che il Salmista abbia ricevuto forti torti dai fratelli e dagli stessi amici. Bello, anche se breve, tuttavia, è il Salmo 132, che canta questa felice convivenza, che in qualche modo prefigura la gioia della comunione ecclesiale: «Ecco quanto è dolce e quanto è soave che i fratelli vivano assieme» (Sal 133,1).

Salmi messianici

Interessante nei Salmi è la figura del Messia. Il termine, come sappiamo, viene dall’ebraico «mashà», che significa «unto», ossia consacrato. Il consacrato del Signore poteva essere un re o un profeta, come emerge soprattutto dal Salmo 2 e dal 110. Il Salmista fa parlare il Messia: «Egli» - cioè Dio - «mi ha detto: “Tu Sei mio figlio, oggi ti ho generato” (Sal 2,7). Il Signore ha giurato e non si pente: “Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedek”» (Sal 110,4). 

Certamente l’esser figlio di Dio in questo tempo non allude affatto a una Persona divina trinitaria, ma significa semplicemente un uomo che gode di una speciale confidenza o intimità con Dio, rappresentante di Dio o uomo di fiducia di Dio, con poteri soprannaturali eccezionali concessi da Dio. Così allora non soltanto uomini di Dio, ma anche re, anche gli angeli erano figli di Dio, anche Israele era «figlio di Dio». Ma, come sappiamo, Gesù si proclamò Figlio di Dio, sì da lasciare intendere che questo «Figlio» fosse Dio.

Nel Salmo il Salmista fa parlare il Messia, il quale riferisce di ciò che gli ha detto il Signore: «Oracolo del Signore al mio Signore: “Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi. A te il principato nel giorno della tua potenza tra santi splendori, dal seno dell’aurora, come rugiada, io ti ho generato (Sal 110,1). Difficile qui non pensare a Cristo. Al Salmo 80 il Salmista, rivolgendosi a Dio, esprime questo voto: «Sia la tua mano sull’uomo della tua destra, sul figlio dell’uomo che per te hai reso forte» (Sal 80,18). Chi è quest’uomo?  

Ma le cose non sono semplici. Le idee che il Salmista si fa del Messia non corrispondono esattamente a ciò che Cristo è effettivamente stato e a come Lui ha inteso il suo compito del Messia. Infatti, mentre il Salmista ragiona in modo umano, immaginandosi un Messia politicamente potente, vincitore dei nemici, organizzatore del regno, forse anche ammogliato («alla tua destra la regina in ori di Ofir», Sal 45,10) e quindi padre di famiglia, presidente del culto del tempio, sul tipo di Mosè o di Salomone, promotore del benessere sociale ed economico della nazione. E in particolare al Salmista, per quanto abbia esaltato la grandezza del Messia, «figlio di Dio», non venne assolutamente in mente che potesse essere veramente Dio.

Gesù invece ha richiesto dalla gente uno sforzo di fiducia in Lui al fine di comprendere come Lui intendeva la sua missione messianica, con particolare riferimento alla sua natura divina, tesi apparentemente empia, offensiva del monoteismo, che avrebbe generato scandalo e che in fondo è il motivo della sua condanna a morte. 

Per accettare una tesi simile, si sarebbe dovuto tener presenti i miracoli del Signore, le profezie che Egli attuava, la sublimità della sua sapienza, la sua tenera devozione verso il Padre, la sua obbedienza alla Legge di Mosè e al Sommo Sacerdote, l’immensa carità verso il prossimo, soprattutto verso i più deboli e più poveri, la sua intemerata ed esemplare condotta morale. Cose che pochi seppero fare.

Così i Salmi restano un documento importantissimo della storia di Israele, della benevolenza e della misericordia di Dio verso il suo popolo, una tappa essenziale del cammino dell’uomo verso Cristo, un documento unico ed eccelso di tutta la letteratura mondiale, sono addirittura Parola di Dio per essere entrati nel Canone della Scrittura. E tuttavia il cammino dell’umanità verso la salvezza non sarebbe compiuto, se ci si fermasse ai Salmi e non si andasse oltre verso i Vangeli, nei quali soltanto si ha in piena luce quella Verità che nei Salmi è solo adombrata.

P.Giovanni Cavalcoli  
Fontanellato, 22 febbraio 2020


[1] Cf S. Rinaudo, I Salmi. Preghiera di Cristo e della Chiesa, Editrice LDC,Torino-Leumann, 1980; A. Deissler, I Salmi. Esegesi e spiritualità, Città Nuova Roma 1986; Il libro dei Salmi, Edizioni Paoline 1987; G. Ravasi, Il libro dei Salmi. Commento e attualizzazione, Edizioni Dehoniane, Bologna 1988.

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