Lo scrupolo - Prima Parte (1/3)

Lo scrupolo

Prima Parte (1/3)

Semplici come le colombe,

             prudenti come i serpenti

                            Mt 10.16

 

Che cosa è in generale lo scrupolo

Lo scrupolo è un turbamento emotivo della coscienza per il quale il soggetto si sente in colpa senza esserlo realmente o ingrandisce irragionevolmente la propria colpa o si pente di una colpa immaginaria, a causa di una carenza di lucidità ed obbiettività nell’esaminare la propria coscienza o nel giudicare il proprio stato di coscienza davanti a Dio.

Lo scrupolo è un tormento di coscienza, un arrovellamento sterile e aggrovigliato, che la impaccia e non l’aiuta a progredire, ma che anzi la frena e la confonde, perché è un pentimento agitato per inezie apparentemente colpevoli o per piccole colpe irragionevolmente ingrandite o per peccati commessi in buona fede o per ignoranza eventualmente molto tempo addietro.

La coscienza rimorde ma per una colpa inesistente. Il soggetto si è fatta una convinzione infondata di essere falso e di non poter raggiungere la sincerità. Sente ogni sua azione come peccato.  Si sente castigato e irrimediabilmente condannato da Dio, nonostante uno sforzo di buona volontà, peraltro ritenuto vano. Questo è lo scrupolo.

Esso è caratterizzato dai seguenti elementi. Ho la sensazione angosciosa, dalla quale non riesco a liberarmi, di essere rimproverato o punito da Dio e mi sento in colpa per aver trasgredito un suo comando, il cui contenuto, la cui bontà non ha un rapporto con la verità, ma solo con la sua volontà, sicchè io mi sento accusato da Dio senza un motivo ragionevole, ma solo perchè gli ho disobbedito. Mi sento incolpato da Dio senza trovare una ragione per la quale dovrei essere in colpa.

Lo scrupolo è uno stato di angoscia in una persona che vuol evitare il peccato, è un senso di colpa senza fondamento su di un peccato reale o relativamente a un peccato realmente commesso, ma un senso di colpa esagerato nel terrore di essere castigato da Dio senza riuscire ad evitare il peccato. Questo stato d’animo sovraturbato  può riferirsi ad un semplice peccato veniale o ad una svista o ad una dimenticanza o ad un errore involontario o inconsapevole. Può riferirsi anche ad un peccato materialmente mortale, ma scusabile o per fragilità o per insufficiente consapevolezza, come per esempio nei peccati di sesso.

Lo scrupolo nasce da un malinteso timor di Dio, per il quale il soggetto prova un eccessivo infondato timore d’aver peccato, fino ad arrivare al panico. Il vero timor di Dio è uno stato d’animo di altissima considerazione dell’infinita maestà divina, motivato da un sincero amore, con la volontà ferma e decisa di assoggettarsi alla sua santissima volontà, sapendo e temendo le conseguenze che nascerebbero dalla disobbedienza. Non è il semplice timore del castigo, il che sarebbe un timore servile, dettato dall’egoismo, ma è un timore filiale, ossia il timore di offendere Dio sommamente amato.

Il rimedio al timore scrupoloso non è l’abolizione del timore, per una confidenza alla pari come per un proprio simile, ma  la coltivazione del timore filiale, perché esso è incentivo a fare la volontà di Dio e ad evitare il peccato. Il vizio contrario al timore è l’empietà, dettata dalla superbia, per la quale il soggetto è attaccato alla propria volontà e respinge quella di Dio, pur conoscendo le conseguenze, ossia la pena eterna dell’inferno.

Quando S.Giovanni dice che «l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore» (I Gv 4,18), non intende dire che non sia saggio temere il castigo. Capire che disobbedire a Dio non conviene è già saggezza.

Tuttavia il vero amor di Dio, senza il quale non ci si salva, non è fuggire il peccato perché peccare non conviene, ma perchè non si vuole offendere l’Amato: il che è volontà d’amore. Il timore scacciato dall’amore non è il timore motivato da questo amore, ma è il timore di peccare basato solo sul fatto che non conviene, indipendentemente dall’amore per Dio.

Ora lo scrupoloso nel suo timore esagerato o infondato, nella sua irragionevole paura dà prova di essere troppo attaccato al proprio interesse e quindi di non amare Dio, il che è proprio ciò che gli attira il castigo di Dio. Quindi lo scrupoloso finisce per procacciarsi proprio quel castigo che vorrebbe evitare, oltre allo stato d’animo ansioso e pauroso. Chi glie lo fa fare?

Inoltre, lo scrupolo genera sofferenza. Come liberarsene? È utile o dannosa? C’è chi coltiva gli scrupoli pensando di far bene. C’è chi si crogiola nello scrupolo. Lo fa per scrupolo. Quindi uno scrupolo si aggiunge a scrupolo. Ma questo e masochismo. Siamo al massimo del parossismo col rischio di una neurosi. Non bisogna confondere il rimorso di coscienza col gusto di soffrire fine a se stesso, cioè il dolorismo, che arriva a credere che Dio stesso soffre.

La sofferenza come attributo divino. Dio non libera dalla sofferenza, ma vive nella sofferenza. È, questa, un’eresia condannata dalla Chiesa. Per essa Dio non castiga per educarci, non irroga pene eterne, non pratica una giustizia retributiva, non manda la sofferenza per liberarci, grazie alla croce di Cristo, dal peccato e dalla sofferenza, ma nella sua bontà e misericordia, non è onnipotente e non ce la fa a liberare l’uomo dalla sofferenza, come è apparso chiaramente da quanto è successo ad Auschwitz.

Egli semplicemente ha compassione di noi e non può far altro che soffrire con noi. La sofferenza che ci viene dal covid non l’ha voluta lui, ma viene da un principio oscuro ed inspiegabile, sul quale è inutile indagare, più potente della bontà divina.

Col buonismo sembra riapparire l’antico manicheismo: esiste un Dio del male, un Dio maligno, connesso con la materia,  che si oppone al Dio del bene, il quale però non può far altro che rassegnarsi a convivere con lui, seppure in antagonismo con lui, senza che egli possa assoggettarlo a sè e farlo servire al bene. Quindi la divinità non è una, ma doppia. È divino l‘essere, ma anche il non-essere. È divina l’affermazione, ma anche la negazione, è divino il vero, ma anche il falso, è divina la sincerità ma anche la menzogna, è divina la giustizia ma anche il peccato e così via.

Oggi questo manicheismo sembra risuscitare in un concetto della natura, che sarebbe l’autrice legale del covid e che ci punirebbe per il poco rispetto che abbiamo per lei con i guasti provocati in campo ecologico. Ma in questa visuale la natura non appare creata da Dio, per cui la natura, causando il covid, avrebbe preso un’iniziativa punitrice alla quale Dio è estraneo, dimenticando che è Dio che ha fissato le leggi fisiche che governano la natura.

 Come dicono i buonisti, figli di Lutero, la misericordia di Dio consiste nel fatto che Dio permette di peccare, ma non per questo toglie la sofferenza. Il covid non contraddice alla misericordia divina, perché comunque Dio ha compassione di noi, ma non può sollevarci dalla nostra miseria presente se non con la promessa del paradiso, peraltro senza che occorrano meriti dovuti a sacrifici e penitenze, cose inutili, dato che tutti siamo in grazia.

Per questo per i buonisti, figli di Lutero, la sofferenza non ha alcun valore di espiazione dei peccati, perché non c’è bisogno di nessuna espiazione, né esiste alcun castigo dei peccati, essendo tutti perdonati. Ma ciò non toglie per i buonisti che la sofferenza sia insopprimibile senza che sappiamo perché soffriamo. Infatti il soffrire è cosa divina e non c’è da chiedersi il perché di un attributo divino.

Meno peggio è la situazione di coloro che, accorgendosi di essere scrupolosi, vorrebbero liberarsene, perché sanno che essere scrupolosi non è una virtù ma un vizio. Ma non sanno come fare. È il problema di come liberarsi dal male.

Due tipi di scrupolosità

Ci sono due tipi di scrupolosità: c’è quella sincera, non colpevole, che sorge in un’anima pia da una fragilità del giudizio provocata da una forma di depressione psichica. Può essere la sofferenza esagerata di un’anima sostanzialmente innocente, ma che dà troppo peso alle piccole colpe. Le manca una giusta scala di valori. Lo scrupoloso si pente di un peccato immaginario. Lo scrupolo è la sensazione di essere colpevoli o il sentirsi incolpati da Dio, mentre in realtà si è innocenti. Ci si sente colpevoli, benché si abbia agito in buona fede e credendo di far bene. Questa scrupolosità è una dura prova per le anime sante, che la vivono come croce quotidiana. 

Ma c’è anche la scrupolosità affettata ed amara, che serve agli ipocriti per far la figura di persone animate da alto rigore morale e senso del dovere, occupate a segnalare con sdegno gli scandali e i peccati, inflessibili custodi della giustizia e promotori della sanità dei costumi morali, premurose e zelanti per la propria e l’altrui salvezza.

Questo tipo di scrupolosità è il disagio di un’anima insincera, che si caccia nei guai da sola: da una parte sa qual è il vero bene, ma dall’altra è attaccata alla propria volontà. È un’anima doppia, che vuol servire a due padroni. Non le basta il sì, ma vuol mettere il sì insieme col no. Accetta il sì ma non rifiuta il no. Dice sì al sì e sì al no.

L’anima è effettivamente in colpa, ma non la vuol riconoscere. Al fine allora di poter farla franca ed avere una scappatoia per poter peccare liberamente, affetta una finta umiltà, finge di credere che la concupiscenza è invincibile ed ingrandisce a dismisura una colpa causata più da fragilità che da malizia, così da far leva a sproposito e furbescamente sulla misericordia divina, ritenendosi dispensata dall’impegno ascetico della lotta contro il peccato.

Questo tipo di scrupolosità è colpevole e può essere evitata solo che l’anima abbia la sincerità di riconoscere che quella scrupolosità e quel finto dolore per le proprie colpe è un pretesto per apparire santi e per fare in realtà la propria volontà e non quella di Dio.

Inoltre si fa la figura di anime che confidano nella divina misericordia, mentre in realtà esse vogliono semplicemente sottrarsi alla giustizia divina peccando senza essere castigate, a differenza del primo tipo di scrupolosità, che è una prova che Dio manda alle anime sante, ed è una pena dalla quale non riescono a liberarsi, pena per loro meritoria, perché l’accettano in sconto dei loro peccati e per la salvezza del mondo.

Lo scrupoloso confonde il male di pena col male di colpa

In linea di principio, il male di pena è conseguenza del male di colpa. Il peccato provoca sofferenza fisica e spirituale. E questo perché la sofferenza è la percezione di un disordine o di una privazione di un bene dovuto allo spirito o al corpo a causa di un atto volontario di infrazione dell’ordine dello spirito o del corpo, appunto il peccato.

Certamente è possibile soffrire a causa dell’azione ostile di uno spirito o del corpo. Succede che un atto peccaminoso procuri vantaggi materiali. E per converso capita che un’azione dolorosa procuri beni materiali o spirituali. Capita che uno pecca e rimane impunito e viceversa che un innocente abbia da soffrire. Capita che uno pecca e non sente rimorso. Capita che uno provi rimorso senza avere peccato. Ecco lo scrupolo. Si tratta di togliere questa sofferenza, facendo però attenzione a non voler togliere il sano dolore che proviene dal pentimento del peccato, altrimenti non si toglie il peccato, che è il male che provoca la pena.

C’è da notare che tutti i suddetti fenomeni sono legati a circostanze accidentali, che non infirmano il principio generale di giustizia che al peccato segue o deve seguire il castigo. Così anche la sofferenza per lo scrupolo rientra nelle pene conseguenti al peccato originale. Ma bisogna vedere, nella fattispecie, come questa pena dev’essere tolta. La giustizia divina, dal canto suo, provvede, prima o poi, in un modo nell’altro, a far sì che il principio venga rispettato, nel caso di difetto della giustizia umana o che il peccatore non abbia fatto penitenza.

Infatti il nostro benessere fisico e spirituale di per sé dovrebbe essere causato da una buona condotta morale, ossia dal fatto che il soggetto evita il male di colpa. Esistono invece soggetti che, nonostante i peccati che commettono, godono ottima salute. Tuttavia il peccato causa comunque una pena interiore, che è il rimorso della coscienza e, se il peccatore non si pente e non ripara, subisce prima o poi il castigo divino. La sofferenza causata dallo scrupolo si può contare come sconto della pena dei propri peccati.

Tutto ciò  non vuol dire, purtroppo, che non vi siano innocenti che soffrono e malvagi che non vengono puniti, almeno dalla giustizia umana. Il tormento dello scrupolo, dal canto suo, può colpire anche un’anima buona. Queste pene accadono come conseguenza del peccato originale. Ma Dio interviene a sua discrezione, quando, quanto e come vuole, o per sollevare dalla sofferenza o per rimediare ai difetti della giustizia umana o mediante la sua misericordia suscitando pentimento e riparazione nel peccatore o risparmiandogli il meritato castigo.

Per quanto riguarda il caso dello scrupolo, la sofferenza che esso procura certamente può e deve essere rimossa, ma diverso è il caso dello scrupolo farisaico dell’esibizionista dallo scrupolo religioso dell’anima pia ma troppo delicata.

Mentre lo scrupolo farisaico è degno di punizione ed è punizione esso stesso, lo scrupolo religioso, appartenendo a un’anima innocente, può e deve essere tolto se quest’anima guarda con lucidità alla propria coscienza onde dare un giudizio oggettivo, ed offre in espiazione la propria sofferenza.

Lo scrupoloso farisaico subisce la sua sofferenza come punizione, senza che gli serva a trovare la pace della coscienza, perché resta in colpa, anche se con spavalderia affetta una falsa tranquillità che sconfina nell’arroganza.

Lutero apparteneva alla categoria degli scrupolosi farisaici, confondendo il dolore per la colpa con lo scrupolo. Avrebbe dovuto sostituire il sano dolore per le proprie colpe al dolore patologico e morboso della scrupolosità. Invece purtroppo a Lutero, formatosi sull’etica sensista di Ockham, stava più a cuore liberarsi dalla sofferenza che non liberarsi dalla colpa e lottare contro di essa. Credeva che la sofferenza fosse sempre un male, mentre il peccato potesse coesistere con la grazia. «Cristo ha già sofferto abbastanza per me – egli pensa – che cosa potrei io aggiungere con le mie alle sue sofferenze»? Non aveva capito che non si tratta di aggiungere, ma di partecipare alle sue sofferenze.

La questione dello scrupolo chiarisce altresì la differenza fra male di pena e male di colpa, questo sempre da evitare, quello in certi casi benefico. Essa fa emergere chiaramente che esiste una sofferenza che va soppressa e una sofferenza benefica. Tanto nel pentimento quanto nello scrupolo, che è la falsificazione del pentimento, c’è la sofferenza. La sofferenza del vero pentimento va moderatamente coltivata; quella dello scrupolo va semplicemente tolta, togliendo lo stesso scrupolo.

Se infatti l’uomo vuol evitare assolutamente qualunque sofferenza come tale, non si periterà di evitare il pentimento perché comporta sofferenza. Non si asterrà  dal commettere peccato pur di evitare la sofferenza; eviterà la fatica, lo sforzo, il sacrificio e la rinuncia, pur di evitare la sofferenza. Non esiterà a commettere un peccato al quale non faccia seguito un castigo. Riterrà esser peccato far uso della severità per punire il peccato. Entra in questa mentalità sbagliata evitare o sopprimere il dolore d’aver peccato scambiandolo per scrupolo.

Ora è evidente che tutti i suddetti atti o provvedimenti sono mancanze alla giustizia, che se possono assicurare una qualche serenità psicologica, certamente non danno pace alla coscienza, pace che essa potrà ottenere solo accettando nella fede il sacrificio di Cristo ed unendosi ad esso.

A tal riguardo, è da segnalare come esempio da evitare la condotta di Lutero, il quale, respingendo il sacramento della penitenza, e sprezzando il dolore d’aver peccato, da lui considerato come sciocco scrupolo, ha preteso di ottenere ugualmente il perdono divino, cosa evidentemente impossibile ed illusoria in queste condizioni di spirito. Vediamo come sono andate le cose.

Lo scrupolo  può avere le sue origini in un’educazione familiare troppo severa. È noto che Lutero da bambino era terrorizzato dalla eccessiva ed irragionevole severità del padre. Egli pertanto non fu affatto favorito dall’immagine paterna a formarsi l’idea di un Padre celeste giusto, affidabile, leale e misericordioso.

Così si spiega la sua distorta idea del «Deus absconditus», terrorizzante e colpevolizzante, che egli credeva essere il Dio punitore dell’Antico Testamento, approvato dal cattolicesimo, trascurando il fatto che la misericordia divina appare chiara già lì e cadendo quindi nell’eresia di Marcione del Dio «cattivo» dell’Antico Testamento in contrapposizione al Dio «buono» del Nuovo, evidente nota di antisemitismo, nel quale cadde anche Lutero e che forse sta alle origini dell’antisemitismo nazista, sedicente «cristiano», però protestante, non cattolico.

In Lutero appare la caratteristica dell’angoscia moderna

Quella scrupolosità farisaica che rigetta come vano scrupolo la pratica del confessionale è un finto zelo per la perfezione, è il famoso trucco inventato da Lutero e che il Concilio di Trento gli ha rimproverato: confondere la concupiscenza, come tendenza a peccare, effettivamente invincibile nella vita presente, con l’atto del peccato, il quale, essendo effetto del libero arbitrio, può essere di volta in volta sempre rinnegato e rimesso alla misericordia divina. Ma Lutero, riducendo il peccato alla concupiscenza, aveva un pretesto per peccare liberamente – tanto sono fatto così! -. Pecca fortiter et crede firmius.

L’avvento del dramma di Lutero fa balzare in primo piano nell’etica moderna il problema dello scrupolo, mettendo a nudo molti altri problemi ad esso connessi, ma sino ad allora rimasti nell’ombra o quanto meno poco chiariti, obbligando quindi la Chiesa, a partire dal Concilio di Trento, a far luce su molti punti di morale che fino ad allora non erano stati fondati o esplicitati a dovere. Non tutto il male vien per nuocere. Ciò darà occasione alla morale cattolica di grandi progressi nello studio e nella direzione dell’agire umano, al di là di quanto aveva raggiunto l’etica medioevale.

Che cosa successe? Il giovane Lutero, caldo di passionalità, carattere esuberante ma anche malinconico[1], dolce ed irascibile, spirituale e sensuale, ora sofista ora sincero, impressionabile ed ad tempo entusiasta, generoso ma al contempo vanitoso, sinceramente religioso, osservantissimo della Regola da giovane monaco e tuttavia esasperato per il fatto di non riuscir a trovar pace nella confessione per la sua coscienza terribilmente scrupolosa, e vittima di una formazione occamistica inadeguata, che ad un tempo lo attirava e gli ripugnava, si era messo in testa che ogni sua azione fosse un peccato mortale degno di pena eterna e nel contempo si era pure messo in testa che Dio lo condannava all’inferno.

Per alcuni anni agitatissimo per queste idee tanto terribili, come si può ben immaginare, frutto di una fantasia sovraeccitata e di sfiducia in Dio, a un certo punto di ebollizione emotiva, di esasperazione psicologica e di turbamento di coscienza, per uno scatto improvviso dall’intimo preconscio del suo cuore, credendo di potersi in tal modo liberare da un peso insopportabile, si sentì illuminato, liberato ed entusiasmato, tanto da vedersi «aprire le porte del paradiso»  come egli narra, per una rivelazione improvvisa e beatificante fattagli da Gesù Cristo, – la famosa Turmerlebnis del 1513 – che egli si sarebbe senz’altro salvato, purchè credesse che si sarebbe salvato, comunque fossero andate le cose, senza preoccuparsi affatto dei suoi peccati, perché fin da adesso erano tutti perdonati.

Da questa sconvolgente, incandescente e incancellabile esperienza Lutero ricevette la fortissima convinzione, che comunque si sarebbe salvato mediante il famoso trinomio sola fides, sola gratia, sola Scriptura, e che il vero modo di salvarsi non era quello che insegnava la Chiesa Romana, ma quello che – ne era convinto – Cristo stesso gli aveva rivelato nella Turmerlebnis.

Il succo del luteranesimo è tutto qui. E questa ferrea convinzione non lo lascerà mai più, così che essa è alla base di tutta la sua azione e predicazione successive, e la molla fondamentale del luteranismo ancor oggi. Per questo, follemente entusiasta di tale straordinaria esperienza, Lutero buttò all’aria con sacro furore come ciarpame medioevale, superstizione ed idolatria tutta una serie di valori che la Chiesa Romana considera sacri, ma che egli cominciò  a maledire, come la Messa, l’adorazione eucaristica, il sacerdozio, la struttura divina della Chiesa, il papato, la confessione, la penitenza, il culto dei Santi, la vita religiosa, l’ascetica, l’obbedienza ai comandamenti, il merito delle buone opere, i richiami della coscienza, il dovere di vincere la concupiscenza e quello della fuga dal mondo, i precetti della Chiesa, il diritto canonico e la teologia scolastica, nella convinzione che sarebbe sempre stato in grazia, libero di fare tutto quello che voleva, sempre ispirato dallo Spirito Santo, certo del perdono divino, anzi già predestinato alla salvezza, nella certezza assoluta di avere sempre Dio con lui e in lui.

Ora dobbiamo ricordare con chiarezza che la scrupolosità non è, come potrebbe sembrare, una virtù, ma è una malattia psichica, e per questo essa è guarita dalla psicanalisi e non dal confessionale. Ed inoltre, se è coltivata come forma di perfezionismo, è segno di presunzione e va condannata.

Nel confessionale si denunciano e si tolgono le colpe reali, evidenziate da una coscienza lucida, sana, serena e retta, non quelle immaginarie o gli incubi notturni o diurni o le fisime o le idee fisse ed ossessive o le fantasie morbose, oggetto della scrupolosità. Queste sono le cose delle quali si occupa la psichiatria, Attenzione dunque a non confondere il ruolo del confessore con quello dello psichiatra.

Queste ubbìe paralizzanti e sconfortanti, che possono essere paure istillate dal demonio, vanno scacciate con la massima decisione ed energia, forti della propria buona coscienza in buona fede e della fiducia nella divina misericordia, dandoci alle opere buone, facendo fidamento nella preghiera, godendo delle creature e dei beni sensibili e spirituali, nonchè delle sane amicizie, che Dio ci dona affinchè Lo lodiamo e Lo ringraziamo e ce ne serviamo per arrivare a Lui. In tal senso ricordiamoci dell’aureo principio di San Filippo Neri: «scrupoli e malinconia, fuori di casa mia!».

È interessante l’abbinamento con la malinconia, che è la tristezza sconsolata per aver perduto irrimediabilmente, forse per colpa propria, un bene prezioso, che non si riesce più a recuperare e non si spera di ritrovare. È esattamente lo stato d’animo dello scrupoloso: si ritiene inevitabilmente fallito o perduto o dannato, non c’è più nulla da fare.

Da qui la sua disperazione. Egli dice a se stesso: quando incontrerò Dio al momento della morte, mi manderà all’inferno. L’occamista Lutero si sentì allora in dovere di esprimere la sua obbedienza a Dio, dichiarandosi pronto, se Dio avesse voluto, ad andare all’inferno. Questa è l’idea fissa, questo è lo stato d’animo dello scrupoloso. Si può vivere a lungo in simili condizioni psichiche?

La scrupolosità viene perdonata e tolta nel confessionale, quando è una finzione volontaria, causata da presunzione e ipocrisia e lo scrupoloso è pentito. Il confessore deve richiamare uno scrupoloso di tal genere ed intimargli di cessare da tale atteggiamento, per assumere uno sguardo leale, lucido ed oggettivo verso la propria coscienza, pentendosi sinceramente di reali peccati e confidando nella divina misericordia.

La coscienza dev’essere certo pulita e lavata, ma con delicatezza, non graffiata dallo strofinare troppo, senza pretendere di far luce laddove non è possibile, senza pretendere di ricordare ciò la cui verità ormai ci sfugge, di cui non sappiamo più se eravamo o non eravamo in buona fede, se eravamo o non eravamo responsabili.

Quando invece la scrupolosità non è coltivata con la malizia di chi vuol apparire giusto davanti agli uomini senza esserlo davanti a Dio, non dev’essere colpevolizzato ma compassionato. In tal caso infatti lo scrupolo è involontario, e la coscienza resta innocente.

Fine Prima Parte (1/3)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 2 febbraio 2023

Queste ubbìe paralizzanti e sconfortanti, che possono essere paure istillate dal demonio, vanno scacciate con la massima decisione ed energia, forti della propria buona coscienza in buona fede e della fiducia nella divina misericordia, dandoci alle opere buone, facendo fidamento nella preghiera, godendo delle creature e dei beni sensibili e spirituali, nonchè delle sane amicizie, che Dio ci dona affinchè Lo lodiamo e Lo ringraziamo e ce ne serviamo per arrivare a Lui. In tal senso ricordiamoci dell’aureo principio di San Filippo Neri: «scrupoli e malinconia, fuori di casa mia!».

 

La coscienza dev’essere certo pulita e lavata, ma con delicatezza, non graffiata dallo strofinare troppo, senza pretendere di far luce laddove non è possibile, senza pretendere di ricordare ciò la cui verità ormai ci sfugge, di cui non sappiamo più se eravamo o non eravamo in buona fede, se eravamo o non eravamo responsabili.

Immagini da Internet:

Nella chiesa parrocchiale di San Filippo Neri è esposto un dipinto secentesco con il santo titolare della chiesa (il “pio vecchio” è definito nella scritta sottostante) raffigurato mentre gioca con dei fanciulli.


[1] Vedi ll ritratto che ne fa il Maritain in Tre Riformatori, Morcelliana, Brescia 1964.

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