Dialogo fra Aristotele, la materia e la forma.
La Forma sostanziale e la Materia Prima
Un giorno Aristotele era nel suo studio immerso nelle sue indagini filosofiche, quando sentì bussare alla porta.
A -Avanti, chi è?
Si presentano due dame: una con un abito vistoso ed elegante, l’altra con un abito grigio e dimesso. Di una Aristotele riusciva a discernere i contorni. L’altra – non sapeva come mai - la vedeva solo confusamente, pur intravedendone la bellezza.
A - Chi siete?
Risponde la prima dama:
F - Io sono la Forma sostanziale e la mia compagna è la Materia prima.
A - Ah! Tu, Forma, ti conoscevo già. Sono invece molto contento di conoscere te, Materia, perché fino ad adesso non ero riuscito a vedere come sei fatta. Infatti, sapendoti destituita di tutti gli accidenti e della forma stessa, sapevo solo che esistevi, perché ho dedotto la tua esistenza dalle mie analisi sulla trasformazione sostanziale. Ma non ho mai potuto vederti direttamente. Sei di una bellezza che non sospettavo, perché ti consideravo molto meno interessante da come mi appari. So infatti che sei nel grado più basso dell’essere. So che sei il poter essere un tal sostanza materiale. Ora mi rallegro di vederti, benché assai confusamente, con l’intelletto e non col senso.
M – Caro Aristotele, sono venuta a farti visita con mia sorella Forma innanzitutto perché voglio lodarti per come hai descritto i rapporti fra noi due. Hai colto benissimo l’amore che ci unisce l’una all’altra, benché esistano anche Forme che vivono senza di me e che tu, riprendendo il nus, l’intelletto di Anassagora, hai chiamato usìai coristai, essenze o sostanze separate.
Mia Sorella Forma è molto più bella di me, ma io non sono affatto invidiosa, perché essa si dedica tutta a me e mi dà tutta se stessa, tanto che molti credono io mi risolva in lei e mi scambiano per lei, mentre tutta la bella figura che faccio la devo solo a lei. Vedendo lei, credono di vedere me, e non si immaginano che io mi trovo nascosta sotto di lei. Solo tu mi hai trovata e mi hai presentato al mondo dei filosofi. E te ne sono molto grata. Lo so che voi mortali fate molta fatica a capire chi sono, perché non siete capaci di intendere se non forme. Ma a me basta essere compresa da Dio che mi ha creata. Egli mi vede benissimo, come voi vedete mia Sorella.
Mia Sorella, inoltre, non mi lascia mai sola ma è sempre con me a formare con me un’unica cosa composta di me e di lei, quello che tu chiami sinolo (synolon). Se deve lasciarmi, a causa del divenire, della generazione della corruzione, subito si sostituisce con un’altra Forma. Io per gratitudine a lei, mi dedico completamente a lei: essa è il mio fine e il mio bene, cosicchè con lei raggiungo quella perfezione che tu chiami entelechìa (entelecheia).
M - Ma in secondo luogo ti voglio ringraziare per avermi trovata e fatta conoscere nella mia vera realtà, perché fino a te e prima di te nessun filosofo mi ha veramente conosciuto e quindi ha saputo stimarmi secondo il mio vero valore.
A - Che cosa intendi dire?
M – Che Platone si è accorto di me, ma non ha saputo capirmi ed anzi mi ha offesa.
A – Spiegati meglio.
M – Platone innanzitutto non ha gettato come te uno sguardo così acuto sulla realtà corporea come te, che hai scoperto che cosa succede nelle trasformazioni sostanziali. Egli è rimasto impressionato, infastidito e turbato da come le mie sorelle Forme si danno il cambio su di me nel corso dell’esistenza temporale e del divenire delle cose.
Solo Dio che mi ha creata, avendomi ideata, sa cogliermi intellettivamente senza disagio e con precisione nel mio fluire insieme con la Sorella di turno che mi dà forma. Tu, invece, caro Aristotele ti sei accorto che io sono pura potenza (dynamis) di esser una data sostanza; per cui il mio essere in potenza è passaggio all’atto e questo passare all’atto non è altro che quel divenire, quel mutare, quella metabolè, a proposito del quale Platone, troppo attaccato all’immutabile, si è inceppato ed ha finito per designarmi chiamandomi in modo offensivo come «essere che non è»: una definizione assurda! Mi ha visto come una frustrata, un’autolesionista, una fallita, una cosa che nega se stessa. Bene invece ha visto tu, formando il concetto di dynamis.
Certo io non ho un atto d’essere, ma non per questo mi contraddico. Il mio essere è dynamis e insieme con mia Sorella Forma che è atto (energheia), formiamo un unico ente composto di potenza ed atto, dove quando c’è la generazione la potenza passa all’atto e quando c’è la corruzione l’atto è sostituito dalla potenza. La mia essenza è essenza potenziale; il mio essere è poter essere, è tendenza all’atto, è poter passare all’atto, mossa e informata dalla mia carissima Forma, senza la quale, da sola, non potrei esistere. Essa educe dal mio seno, agendo su di me, le Sorelle Forme che io stessa potenzialmente posseggo come fossi loro madre.
Anzi, ti dirò di più: Platone mi ha talmente ignorata, che è arrivato al punto da chiamarmi cora, ossia spazio vuoto tra due forme, che egli pretendeva di concepire senza soggetto, cioè senza di me! Per interpretare, per esempio, come il legno bruciando diventa cenere, si limitava a dire che la forma del legno era sostituita dalla forma della cenere, come se legno e cenere fossero due semplici forme, due idee senza materia.
Così ignorava che al di sotto della sostituzione della forma del legno con quella della cenere ci sono io come soggetto comune ad entrambi le forme, senza chiedersi come mai il legno è duro, mentre la cenere è morbida, come mai il fuoco scotta, mentre legno e cenere non scottano, cioè senza tener conto della veracità delle sensazioni da lui ridotte a semplici idee o immaginazioni.
Infatti se il legno ha qualità sensibili diverse da quelle della cenere, ciò dipende dal fatto che io sono potenzialmente quelle qualità, sia pure per mezzo di mia Sorella. Ma se quelle due sostanze hanno quelle diverse qualità sensibili, lo devono al fatto che esse sono potenzialmente in me o io sono potenzialmente loro grazie a due mie Sorelle Forme, quella del legno e quella della cenere.
Così non spiegava per niente come mai da una forma succede proprio quell’altra e non un’altra qualsiasi, perché alla forma del legno succede proprio quella della cenere e non quella dell’acqua o dell’aria. Non riconosceva ciò che quelle due forme hanno in comune, che sono io!
Con ciò offendeva anche mia Sorella, togliendo da essa quegli accidenti che sono le qualità sensibili, che egli pretendeva ridurre a semplici idee. In tal modo i corpi diventavano delle cose puramente immaginarie, che egli riduceva alla mera estensione. Egli poteva certo misurarli matematicamente, ma li confondeva con enti puramente matematici, i quali non sono enti reali, ma sono enti astratti esistenti solo nella mente.
Alla fine, poi, col ridurre la sensazione ad idea, rischiava di ridurre l’idea a sensazione, cadendo proprio in quel materialismo e sensismo che voleva evitare per aver sopravvalutato la potenza dello spirito ed avermi disprezzata. Ma io a chi mi offende la faccio pagare e chi vuol fare a meno di me per esaltare se stesso, lo faccio precipitare dalle sue folli imprese, come è successo ad Icaro.
F – Confermo quanto ti ha detto mia Sorella ed aggiungo da parte mia, che noi Forme siamo, come hai capito bene, caro Aris – lascia che ti chiami così – di due tipi: alcune, create immediatamente da Dio, che tu chiami «forme separate» (usìai coristài) oppure nus, intelletti. Esse esistono senza mia Sorella, perché non hanno bisogno di lei per esistere. Gli Ebrei le chiamano «spiriti» (rùach).
E ci sono altre Forme, che tu chiami morfè o eidos, che invece sono fatte per esistere unite a mia Sorella per formare la sostanza o l’individuo, il tode ti, come lo chiami tu, oppure il sinolo (synolon), composto di Materia e Forma, come tutti i corpi dell’universo materiale, viventi e non viventi, piante, animali e uomo.
Alcune di queste Forme, quelle spirituali, quando se ne vanno dal corpo al momento della morte del sinolo, continuano a sussistere da sole, benché siano essenze incomplete. E queste sono le anime degli uomini. Altre Forme non sono immortali, ma sono potenzialmente in mia Sorella così da essere edotte da lei ad opera di un agente sufficiente. Abbiamo qui Forme viventi e non viventi. Le prime sono le anime degli animali e delle piante.
Le altre, le Forme non viventi, sono forme di quei sinoli non viventi, che tra 2000 anni saranno chiamati «elementi chimici» e tu chiami stoicheion, elemento fisico delle sostanze viventi animali e vegetali. Poi succederà che dopo 2200 anni gli scienziati si accorgeranno che questi elementi sono composti da altri più piccoli, che non sto ad enumerarti e che confermano la tua teoria secondo la quale il sinolo è infinitamente divisibile in potenza e non in atto, tanto è vero che scopriranno senza mai cessare elementi sempre più piccoli senza mai arrivare ad elementi primi indivisibili, come credeva Democrito con la sua teoria degli atomi, che scambiava la composizione del sinolo col pallottoliere col quale giocano i ragazzi.
Le Forme spirituali sono create immediatamente da Dio all’atto del loro concepimento da parte dei genitori, mentre le altre, le Forme degli enti inferiori all’uomo, vengono edotte dal seno di mia Sorella da parte di Forme agenti su di lei.
Nel contempo, caro Aris, ti faccio presente che anche le forme edotte dal seno di mia Sorella sono create da Dio, quelle che danno la forma non vivente sono create immediatamente, e sono create mediatamente per mezzo della azione formatrice dell’agente fisico, mentre le forme viventi infraumane sono generate immediatamente e create mediatamente.
A – Avete parlato di creazione. Di che cosa si tratta?
F – Tu, caro Aris, hai scoperto l’esistenza mia e di mia Sorella, ma non ti sei chiesto come mai esistiamo, da dove viene il nostro essere, chi lo ha causato, giacchè, come hai capito bene, del Motore immobile non occorre chiedersi la causa, giacchè è lui il motore di tutti gli enti ed è Pensiero del Pensiero, ente sommo ed ottimo. Egli, come l’Essere di Parmenide, è Uno, Eterno e Necessario. Ma non hai riflettuto che non è la stessa cosa per me e mia Sorella Materia, giacchè il mio atto d’essere è causato, mentre l’essere di mia Sorella è un semplice poter essere.
A – È vero, care Sorelle, non mi son mai chiesto la causa della vostra esistenza, ma pensavo che voi esisteste da sempre, tanta è la stima che ho per voi e la consapevolezza della vostra importanza. Mi avete veramente illuminato. Bastava che io applicassi fino in fondo il principio di causalità efficiente che ho scoperto e avrei potuto benissimo arrivare alla conclusione che mi proponete.
Ma c’è anche il fatto che quando ho parlato dell’atto (energheia), io ho pensato a te, o Forma, come atto di tua Sorella Potenza. Mi ero limitato al piano dell’essenza (usìa) o al piano dell’ente (on). Non avevo pensato all’atto d’essere (einai), che mi è sembrato solo la copula del giudizio. Conoscevo sì Parmenide; ma non mi è venuto in mente di poter valorizzare o spiegare l’einai nel senso che mi avete indicato voi. In Parmenide ho visto solo il panteista monista, mi sono sdegnato e non ho riflettuto al fatto che avrei potuto e dovuto riflettere meglio sul significato ed importanza dell’einai come atto dell’on. Per questo mi sarei accorto che non solo tu, Materia, sei potenza rispetto a te, o Forma, ma che anche l’essenza composta di Materia e Forma è potenza al suo atto d’essere.
F – Caro Aris, volevo aggiungere su questo punto un’altra cosa.
A - Che cosa?
F – Gli Ebrei hanno un grande filosofo di nome Mosè, al quale Dio ha detto il suo nome, cioè gli ha rivelato chi è.
A – E con questo?
F – La cosa è importante e riguarda la questione dell’einai, perché Dio ha detto a Mosè: «Io Sono», cioè io sono l’essere sussistente, che corrisponde al Pensiero del Pensiero. Quindi Dio è la causa dell’on e quindi dell’einai dell’on. Ma se è la causa dell’einai, vuol dire che non lo ha edotto dal seno di mia Sorella, perché anche mia Sorella ha il suo essere causato da Lui. E dunque tanto io che mia Sorella siamo state create dal nulla.
A – la tua deduzione è esatta ed è ricavata dai miei princìpi, per cui vi aderisco senz’altro e ti ringrazio di questa illuminazione.
F – È un segno di gratitudine per tutto l’interesse che hai avuto per me e per mia Sorella.
M – Ma ho da lamentarmi di Platone per come mi ha trattata anche per un altro motivo.
A – Quale?
M – Che Platone ha scaricato su di me innocente la spinta a peccare e la tendenza all’inganno, che io non esercito affatto sull’animo dei mortali illudendo i sensi, agitando la fantasia, offuscandone la mente ed attizzandone le passioni. Io non tento nessuno, non seduco nessuno e non inganno nessuno. Non sono io, come credeva lui, il carcere dell’anima, ma sono i vizi della volontà che rendono l’uomo schiavo di se stesso. Io, per il tramite di mia Sorella, sono fatta per aiutare e rendere migliore l’esercizio della virtù e non per ostacolarla.
Con ciò non sostengo affatto che, come credeva Epicuro, sia meglio il piacere del corpo che quello dello spirito. Ciò significherebbe cadere nell’estremo opposto. Tu invece, Aris, ha trovato l’unione e l’equilibrio fra passioni e volontà con la tua teoria dell’anima come Forma della Materia corporea.
Non è da me, ma è dal cuore dell’uomo che vengono gli sguardi torbidi e sensuali, la concupiscenza degli occhi e della carne, i cattivi pensieri e le cattive intenzioni, gli atti malvagi e delittuosi. È solo colpa dell’uomo, non è colpa mia, creata come sono da Dio buona e stimolatrice di retto pensare e retto agire, obbediente come sono, grazie a mia Sorella Forma, delle leggi saggissime che il Creatore ha posto nella splendida unione che ho con mia Sorella.
Tu, invece, caro Aris, non hai queste ubbìe nei miei confronti e sai benissimo che il peccato non viene né da me né dal corpo, ma dalla cattiva volontà. Nel contempo sai bene anche tu che occorre disciplina e rinuncia, che le passioni vanno moderate, ma esse non sono cattive in se stesse e, così moderate formano quella medietà, quell’equilibrio, quella mesotes, che è il pregio della virtù.
A – Sì, è vero, care Sorelle. Queste sono proprio le mie idee. Ma vorrei approfittare di questa straordinaria ed inaspettata vostra visita per fare una domanda a Materia.
M – Di’ pure, Aris.
A – Cara Materia, tu non solo mi hai confermato nella mia convinzione circa la tua esistenza, e che tu sei effettivamente distinta da tua Sorella; ma mi hai anche chiarito che tu non esisti dall’eternità indipendentemente da Dio, come ho creduto fino ad adesso.
Mi hai confermato altresì che, in rapporto alle Forme materiali, tu e tua Sorella Forma, siete fatte l’una per l’altra e se tu sei formata da un’anima spirituale, quest’anima avverte come incompleta la sua essenza umana senza di te; per cui sbagliava Platone a credere che la beatitudine dell’uomo consista nell’abbandonare il corpo.
Al contrario, riflettendo su quella che è la compiutezza della felicità umana, la eudaimonìa, mi verrebbe voglia di pensare che dopo la morte, quando l’anima sarà separata dal corpo, Dio per sua bontà vorrà restituirglielo in un’eterna vita futura, mentre l’intelletto contempla beato l’ottimo intellegibile e la volontà ama il sommo bene.
Ho sentito qualcosa del genere da alcuni Ebrei capitati non so come qui ad Atene, i quali sostengono che il loro Dio ha effettivamente promesso loro una cosa del genere. Ma non so se il Dio che adoro io possa avere tanto interesse per una creatura così misera e limitata come siamo noi e non troverà sufficiente soddisfazione e cosa più degna di Sé nell’amare se stesso come bene infinito.
Finora tuttavia non avevo immaginato che Dio potesse prendersi cura anche della nostra felicità materiale creandoti, come sostrato (ypokèimenon) primo della Forma sostanziale con tutti suoi accidenti. Vedo così che tutte le note della felicità umane, che ho descritto nella mia Etica, se Dio volesse, potrebbe realizzarle.
Occorrerebbe che noi da parte nostra, più che offrire sacrifici agli dèi, sacrificassimo a questo Dio, la cui esistenza come persona e come spirito è molto più certa, avendola io dimostrata con ragioni fisiche, psicologiche, cosmologiche e metafisiche.
Dopo questa lunga introduzione, la domanda è questa: noi mortali confidiamo nel fatto che l’esercizio della virtù e la fuga dal vizio, la temperanza e il dominio delle passioni possa attirarci una vita divina dagli dèi, come già auspicava Platone. E tu, cara Materia, come imposti il tuo rapporto con Dio?
M – Seguo alcune piste. Prima l’umiltà: mi trovo sul gradino più basso dell’essere. Sotto di me non c’è che il nulla. Eppure Dio mi ha pensata e mi ha creata. Dio mi ama e per mio tramite ama anche voi uomini, perché anche voi possedete un corpo materiale. Non temete dunque la vostra bassezza, ma apritevi umilmente alla grazia che Dio vuol donarvi. So che in etica tu, caro Aris, sei contrario alla ybris, l’arroganza e alla apaideusìa, l’indocilità che nascono dall’orgoglio, come è avvenuto in Protagora, che tu giustamente confutasti. Insisti su questa strada, che è quella giusta.
In secondo luogo è importante la disponibilità. Io sono aperta a tutte le Forme, perché di qualunque sostanza posso diventare la Materia. Apri il tuo spirito a tutte le ispirazioni divine, come già faceva Platone.
Ancora con Platone, in terzo luogo, sforzati di ascendere alle cose celesti. Io sono a pianterreno, ma miro ai luoghi alti. Non ci posso arrivare di persona, perché quando arrivo a dar materia alla Forma, dopo le Forme più alte vivono senza di me, fino alla Forma più alta, che è Dio, pura di qualunque materia. Eppure in qualche modo Dio la precontiene, perché è Lei che mi ha creata e la causa, per poter causare l’effetto, deve virtualmente ed eminentemente contenerlo.
A – Grazie, cara Materia, mi incoraggi a proseguire per la via che sto percorrendo. Hai capito che è stato Platone che mi ha dato la spinta iniziale. Non credo di poterlo imitare nel suo slancio verso le Forme più alte. In questo senso continua ad essermi maestro. Ho corretto la sua mancanza di rispetto nei tuoi riguardi. Ma bisogna anche saperlo interpretare.
Forse non ce l’aveva proprio con te, ma con le sue stesse passioni troppo attratte verso di te. E poi chi ha detto che ti disprezzasse veramente? La sua scalata alla alle Forme più alte non parte dal gusto per quelle più basse? E per arrivare al gusto per la bellezza spirituale non si deve partire dal piacere della bellezza fisica?
Dette queste parole, la Forma e la Materia si congedarono da Aristotele ed egli rimase meditabondo nel suo studio, soddisfatto per la straordinaria esperienza fatta, ma anche un po’ perplesso. Conveniva rendere di pubblico dominio la rivelazione ricevuta? Non lo scambieranno per un esaltato? Non potrebbe compromettere la sua fama di scienziato sperimentatore? Così Aristotele decise di tenere tutto per sé limitandosi a goderne nell’intimo del suo spirito
P. Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 11 maggio 2023
Platone ha giustamente l’esigenza di voi mortali che l’oggetto del sapere sia in qualche modo fisso ed immobile, perché effettivamente il divenire vi sconcerta e vi pare un fatto contradditorio. Un oggetto che passa e si muove non riuscite a fissarlo e vi sfugge. Ma non è del tutto così. Tu Aristotele hai capito che anche il contingente, il diveniente, nel momento in cui è, non può non essere, anche se l’istante dopo non è più quello che era prima.
Solo Dio, che l’ha creata, avendola ideata, sa cogliere la Materia prima intellettivamente, senza disagio e con precisione nel suo fluire insieme con la Forma sostanziale di turno.
Certo io (Materia prima) non ho un atto d’essere, ma non per questo mi contraddico. Il mio essere è dynamis e insieme con mia Sorella Forma che è atto (energheia), formiamo un unico ente composto di potenza ed atto, dove quando c’è la generazione la potenza passa all’atto e quando c’è la corruzione l’atto è sostituito dalla potenza. La mia essenza è essenza potenziale; il mio essere è poter essere, è tendenza all’atto, è poter passare all’atto, mossa e informata dalla mia carissima Forma, senza la quale, da sola, non potrei esistere. Essa educe dal mio seno, agendo su di me, le Sorelle Forme che io stessa potenzialmente posseggo come fossi loro madre.
E difatti sono chiamata Materia
proprio per questo, da meter, che in greco vuol dire madre. Io sono la madre
delle Forme materiali, sono la Madre Terra! Dalla mia polvere sorge, formato
dalla Forma, il corpo dei viventi ed alla mia polvere esso torna. Tu, caro
Aristotele, ci hai veramente capite nel nostro rapporto durante il divenire,
nella generazione e nella corruzione, nella vita e nella morte!
Immagini da Internet:
- Il cosmo a raggi X
- l bosone di Higgs
Per comprendere la "forma" e' necessario comprendere l'etere, in particolare per quanto riguarda l'uomo "l'etere vitale".
RispondiEliminaPer comprendere "l'etere vitale" e la sua "forza" si puo' partendo dalla sua "forma degradata"che da' origine all'energia piu' potente che l'uomo conosca: quella nucleare
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