Dio è amore, ma permette il male


Dio è amore, ma permette il male

Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui
Is 53,9
                                                                                       Senza spargimento di sangue non esiste perdono
Eb 9,2

Niente di male a pregare per gli scienziati

Nell’Avvenire del 10 aprile scorso Mons. Antonio Staglianò, Vescovo di Noto, con l’articolo «Né Mandrake né Mefisto, Dio è amore», tratta del rapporto di Dio col male. Egli svolge alcune considerazioni su di un tema difficile, complesso e profondo di estrema attualità, circa il quale tutti sentiamo il bisogno di avere delle risposte sicure, fondate e confortanti. Esse possono venire dalla ragione, ma provengono soprattutto dalla fede. Esaminiamo alcune asserzioni dell’articolista.

Dice dunque Staglianò:

 «Quando gli scienziati troveranno il vaccino, ci sarà gente (religiosa), che attribuirà a Dio l’avercelo mandato per tante preghiere fatte. È la stessa gente che ancora pensa che il coronavirus sia un “castigo di Dio”. D’altronde, se Dio esiste e c’è, nella sua onnipotenza, il vaccino dovrebbe almeno averlo in mente. Per non dire che, con la sua onniscienza ben conosceva anche la tragedia di questa pandemia. E perché l’ha permessa? La questione su Dio va posta: Dio dove sei nel nostro dolore?».

Non c’è dubbio su quello che prevede Staglianò. Per che cosa tanti stanno pregando, tra altre richieste a Dio, se non per questo? Sembra che il Vescovo non veda di buon occhio una pratica del genere, perché la associa ad un’altra convinzione, che egli disapprova: il vedere nella pandemia un castigo di Dio per i nostri peccati. 

Ora, bisogna dire con franchezza e con tutto rispetto del Prelato, che in entrambi questi atteggiamenti non c’è nulla di riprovevole, ma sono del tutto ragionevoli e salutari e addirittura conformi agli insegnamenti biblici. Infatti, è chiaro che se, come tutti speriamo che avvenga al più presto, gli scienziati troveranno il vaccino contro questo male, questa scoperta sarà frutto delle loro ricerche e della loro intelligenza; ma ricordiamoci che Dio è creatore, causa prima e motore primo di tutti gli atti dell’universo materiale e spirituale e quindi anche di tutti gli atti intelligenti e liberi di tutte le creature umane. 

Per cui il pregarLo che illumini gli scienziati affinché trovino il vaccino non è affatto cosa biasimevole o vana, ma molto saggia e consigliata e certamente conforme alla volontà di Dio, atteso anche il fatto che, essendo Egli il creatore del virus, conosce la sua natura, le leggi della sua azione e quindi il procedimento atto per distruggerlo. 

E chi impedisce a Dio onnisciente, se vuole, di comunicare questa conoscenza agli scienziati, benché essa sarà frutto delle loro ricerche? Teniamo infatti presente che l’attività della ragione umana e l’influsso causale e motore divini su di essa non sono, come credono gli atei, due cose che si escludono a vicenda, ma al contrario si richiamano necessariamente l’un l’altra, così come se c’è l’effetto, c’è la causa e se c’è la causa può esserci l’effetto. 

Unde malum?

Come dice giustamente Mons. Staglianò, Dio non ci muove come fossimo dei burattini, ma ci lascia persone libere, anche se avrebbe dovuto dire che ogni atto buono della creatura proviene da Lui come Causa prima creatrice. Solo il peccato lo possiamo commettere di sola nostra iniziativa e responsabilità. E Staglianò lo riconosce. Ma poi si domanda: «Chi ha permesso tutto questo?». E risponde: «Dio non è Mefisto». Grazie. E c’è bisogno di confondere Dio col diavolo per spiegare il perché Dio permette l’esistenza del peccato? 

Invece di citare con vana ammirazione l’ateo Camus, che si permette di schernire i credenti, mentre sono le sue superficiali spiegazioni ad essere ridicole, come mai al Vescovo non è venuto in mente di citare le famosissime e sagge parole di un suo Santo ed illustre Confratello, Dottore della Chiesa, Sant’Agostino, il quale ci insegna che «Dio è così potente e buono, che non permetterebbe il male, se non fosse così buono e potente, da saper ricavare da esso un bene maggiore»? 

E poi, che cosa c’entra Mandrake? Forse che, come sembra insinuare Staglianò, il credere che Dio possa far miracoli vuol dire scambiarlo per Mandrake o per il deus ex machina dei Greci o per il ridicolo «Dio tappabuchi» di Bonhöffer? Ma si è mai preoccupato l’illustre Presule di vedere che cosa dice il Catechismo dell’onnipotenza divina?

Occorrerà dire allora, che, quando gli scienziati troveranno il vaccino, si potrà dire che ciò significa che Dio ha esaudito le preghiere e al contempo che la scoperta del vaccino è effetto dell’intelligenza degli scienziati. Ricordiamoci infatti che la causa seconda agisce perché mossa dalla causa prima.

I castighi di Dio sono atti d’amore

Altra tesi di Staglianò: 

«Dio è il Padre del Signore Nostro Gesù Cristo, che dona lo Spirito, cioè Dio dall’eterno, solo e sempre amore. Il coronavirus non è un castigo di Dio, in quanto castighi di questo vero Dio non esistono: Dio onnipotente nell’amore è radicalmente incapace di causare il male, in ogni sua forma, anche quella virale».

Rispondo dicendo che castigare non è causare il male, anche se il castigo provoca sofferenza nel castigato. Ma questa sofferenza fa bene al castigato. Se questi la sa capire ed accettare, è una sofferenza feconda, che lo stimola al ravvedimento o alla correzione, purificandolo o migliorandolo. Dio non vuole la sofferenza di nessuno. Ma se questi col suo peccato, fa il suo danno, Dio che è giusto, vuole che la giustizia abbia il suo corso. 

Il castigo comporta certamente sofferenza. Ma non ogni sofferenza è castigo. Dio manda sofferenze per il nostro bene. Se siamo innocenti, non si tratta di castighi, ma le manda per provarci nella virtù, come Giobbe, oppure le manda per creare vittime di espiazione, come ha fatto con i Santi Innocenti e come ha fatto con la Vittima per eccellenza, Gesù Cristo. Dio può punire immediatamente, come ha fatto con i serpenti per il popolo d’Israele nel deserto. Oppure può procrastinare il castigo, come ha fatto per il ricco epulone.

È evidente in Staglianò l’idea che un Dio di amore non può castigare. È un’idea assolutamente falsa, che dimostra che l’articolista non sa né che cosa è l’amore, né che cosa è il castigo. Cominciamo col chiarire il rapporto essenziale dell’amore col castigo. Il castigare e l’amare sono atti assolutamente inscindibili. Un padre che non castiga il figlio quando lo merita, è un padre che non ama suo figlio. Impossibile capire che cosa è veramente l’amore senza porlo in relazione col castigo. E per converso, è impossibile capire che cosa è il castigo, senza concepirlo come atto d’amore. Questo vale per noi uomini, ma vale anche per Dio, come appare evidente dai numerosi e svariati castighi divini narrati dalla Scrittura.

Certo, possiamo chiederci: come possono stare assieme moti apparentemente così contrari come l’amare e il castigare? È evidente che il castigo non è una manifestazione immediata dell’amore, come quelle che faccio scaturire immediatamente dall’amore. Il castigo è manifestazione d’amore mediante la giustizia. È la presenza del male che giustifica il castigo come amore. 

Se esistesse solo il bene, l’amore non castigherebbe mai. Coloro che, come Staglianò, sostengono che Dio non castiga, ignorano l’esistenza del male. Il castigo è la sanzione del peccato. Se non ci fossero peccati, non ci sarebbero castighi. Dio castiga l’uomo perché l’uomo ha peccato. 

Se c’è il male di pena è perché c’è il male di colpa. Il che, come ci mostrano le storie bibliche e la nostra stessa esperienza, non vuol dire necessariamente, che Dio ci punisca subito con pene esterne ad ogni nostro peccato, a parte la punizione interiore consistente nel rimorso di coscienza, e neppure che se uno soffre, soffra perché ha commesso quel dato peccato. Certo, è logico che se uno beve del veleno, muoia. Ma Dio può concedere ai suoi figli di bere del veleno senza avvelenarsi (Mc 16,18).

Il suddetto è invece un principio biblico generale, che riceve diverse e svariate applicazioni. Dio irroga pene di vario genere ed entità: temporali, come quelle terrene e del purgatorio, ed eterne, come quelle dell’inferno. Può mitigarle o aumentarle o sospenderle, a seconda della sua volontà, che è sempre amore, cambia solo il modo.  

Fondamentale è la pena del peccato originale, paradigma di tutti peccati, per il quale l’umanità intera è stata punita, benché il peccato dei progenitori sia stato un peccato personale. Sotto questo punto di vista non si può dire che – salvo i casi unici di Gesù e di Maria - esistano in questa vita persone perfettamente innocenti, anche se possiamo dire che, se esse vengono colpite dalla sventura, ciò non accade per loro castigo, ma perché esse, sull’esempio di Cristo, possono offrire se stesse o i loro sacrifici per la conversione dei peccatori.

 Per questo, tutti i mali che ci colpiscono, vengano dagli uomini o vengano dalla natura, sono conseguenze del peccato originale, del quale così parla il Concilio di Trento: 

«il primo uomo Adamo, avendo nell’Eden trasgredito il comando divino, subito perse quella santità e giustizia, nelle quali era stato costituito ed incorse, per l’offesa di tale prevaricazione, nell’ira e nell’indignazione di Dio e quindi nella morte, che in precedenza Dio gli aveva minacciato e con la morte incorse nella schiavitù di «colui che della morte ha il dominio» (Eb 2,14), cioè il diavolo e l’intero Adamo a causa di quella prevaricazione si mutò in peggio sia nell’anima che nel corpo» (Denz.1511).

Le conseguenze del peccato originale sono meglio specificate nel testo seguente: 

«la prevaricazione di Adamo non ha nuociuto solo a lui, ma anche a tutta la sua progenie, e la santità e giustizia che aveva ricevute da Dio le ha perdute non solo per sé, ma anche per noi; per cui ha trasmesso all’intero genere umano sia il peccato, che è la morte dell’anima e sia, a causa del peccato di disobbedienza lo stato di corruzione» (Denz.1512) 

Certamente un’idea immediata dell’amore appare contraria a quella del castigo. Amare dice far piacere all’amato. Chi castiga arreca dolore al castigato. L’amore avvicina all’amato. Castigare vuol dire allontanare. Amare dice tenerezza, mitezza, dolcezza, accoglienza, misericordia, perdono, gioia. L’idea del castigo fa pensare all’ira, alla durezza, alla ripulsa, alla severità, all’invettiva, alla tristezza.

Ma sarebbe grave errore credere che il castigo sia dettato dall’odio. Questo semmai è il castigo ingiusto. Il castigo si collega con l’amore, in quanto tanto l’amore che il giusto castigo vogliono il bene dell’altro. Il giusto castigo nasce dall’amore, perché il giusto castigo cerca il bene dell’altro, che non può che essere il ravvedimento o la correzione. È in questo modo che Dio castiga. 

Mentre l’amore o carità va esercitata a tempo pieno, la giustizia punitiva è richiesta solo in particolari circostanze. Il che vuol dire che anche la giusta severità può e dev’essere espressione della carità. Possiamo infatti ipotizzare che, quando Gesù polemizzava con i farisei, li redarguiva e li minacciava dell’eterno castigo, sospendeva l’esercizio della carità o non piuttosto esercitava una carità adatta per loro? La loro tragedia fu che essi, invece di accogliere l’avvertimento del Signore e convertirsi, si indurirono nel loro peccato, fino a crocifiggere Colui Che indicava loro la via della salvezza. 

Lo stesso fanno oggi coloro che si ostinano, senza alcun fondamento biblico, a non vedere nella pandemia un severo ma paterno richiamo di Dio a far penitenza e a convertirci dai nostri peccati, ma vogliono per forza e per loro comodità vedere in un segno evidente della severità divina un atto del suo «amore», quasi avallo a restare tranquillamente nei propri peccati, certi dell’impunità e di essere graditi a Dio, come fu l’illusione di Lutero. 

Certo possiamo e dobbiamo vedere, con occhio di fede, anche nella pandemia un segno della divina misericordia, ma solo a patto che partiamo dalla consapevolezza che di per sè essa è un castigo per i nostri peccati. Solo a questa condizione, pentiti dei nostri peccati e riconoscendo di essere oggetto della severità del Padre, possiamo e dobbiamo, per i meriti di suo Figlio implorarLo di aver pietà di noi, sicuri di essere ascoltati ed esauditi, anche di più di quanto ci aspetteremmo. 

È solo se riconosciamo che siamo giustamente puniti e ci uniamo con cuore pentito e fiducioso al sacrificio espiatorio di Cristo, accetto al Padre, che il Padre è disposto a farci misericordia, perdonando i nostri peccati e liberandoci dalla sofferenza. Altrimenti il nostro pio discorso sulla «misericordia» diventa vano pretesto per restare nei nostri peccati nella convinzione che non saremo puniti.  
Per quanto riguarda l’essenza del castigo, occorre distinguere il castigo giusto, dettato dall’amore, quale a Dio si conviene, da quello ingiusto dettato dall’odio, e del quale giudizio giusto la Scrittura ci dà il giusto concetto e ci mostra lo scopo, il motivo, la dinamica. 

Esso è atto col quale Dio, pur non volendo né il peccato né la sofferenza, lascia il peccatore nella volontà con le conseguenze penali che scaturiscono dallo stesso atto del peccato. Infatti, dato che Dio ha concesso all’uomo la libertà di scelta fra il bene e il male, una volta che l’uomo ha peccato, Dio non può impedire che l’uomo, peccando, faccia del male a se stesso, perché il tormento interiore che è causato dalla colpa, è effetto intrinseco allo stesso atto del peccato. E questo appunto è il castigo del peccato.

Il castigo divino, pertanto, non ha nulla a che vedere con l’esplosione d’ira irrazionale di un Dio tirannico, come nel volontarismo di Ockham o del Corano, che piomba addosso senza spiegare il perché o il percome, ma per puro gusto di comandare o perché non gli è piaciuto qualcosa senza dare alcuna spiegazione. 

È forse perché hanno di Dio questa visione distorta, che certi pastori o teologi, in ciò vicino al volontarismo luterano, negano i castighi divini. Ma, invece di ascoltare Ockham o Hegel, perché non leggono meglio ciò che dice la Bibbia? Oppure basterebbe che, quando commettono qualche azione che non piace a Dio, se sono leali con Lui e con sé stessi, ascoltassero la loro coscienza che li rimorde. E che cosa è questo, se non il castigo di Dio?

Bisogna distinguere i mali che ci vengono dalla natura
dai mali provocati dall’uomo

Dice Staglianò: 

«Il male che circola nel mondo non è causato da Dio e rigorosamente nemmeno dalla libertà degli esseri umani, piuttosto dalla non-libertà degli esseri umani, cioè dal loro arbitrio ignorante ed arrogante, superbo e saccente, dal loro delirio di onnipotenza». «La schiavitù del vizio e la non libertà degli esseri umani è la causa diretta di ogni male nel mondo, anche della pandemia del coronavirus».

I peccati degli uomini sono solo una parte dei mali che ci affliggono. Staglianò dimentica i danni a volte catastrofici, che ci vengono dalla natura. Il coronavirus non è forse uno di quelli? Inoltre, ancor più pericolosi sono i danni spirituali, che ci vengono dall’azione delle potenze demoniache, che ci suggeriscono idee e comportamenti ancor più pericolosi del coronavirus, perché, in fin dei conti, se il massimo danno che esso ci può fare è la morte fisica, ben più pericolose sono le insidie del diavolo, che possono condurci alla dannazione eterna. Staglianò sembra porre l’ipotesi che il coronavirus abbia una causa umana, forse involontaria. Ma la cosa non è così sicura. 


Dio certamente non è la causa del peccato; ma siccome invece Egli vuole che la giustizia abbia il suo corso, si può dire che Egli voglia non espressamente, ma indirettamente la pena del castigo temporaneo – pena medicinale - ed eterno - pena afflittiva -, non per se stessa, ma in quanto causata dal male compiuto. Comunque, tutto è sotto il governo della divina provvidenza e dell’eterno amore: i giusti e gli empi, la terra e l’universo, il paradiso, l’inferno e il purgatorio.

Si domanda poi il Vescovo:

 «Che c’entra la volontà di Dio con tutti i disastri ambientali, con i cambiamenti climatici, con le ecomafie dei potenti che hanno avvelenato i nostri mari, con la smania dei potenti di espandere il loro dominio in tutte le inutili stragi delle guerre?».

Anche qui egli fa di tutte le erbe un fascio mettendo assieme le cattive azioni degli uomini con le calamità naturali. La volontà di Dio è innocente dei peccati degli uomini, sebbene li permetta perché Dio Padre ha voluto ricavare dal peccato, come dice Sant’Agostino, un bene più grande di quello che ci sarebbe stato se il peccato non ci fosse stato. Questa prova grandiosa dell’onnipotenza e della misericordia di Dio è cantata nel famoso inno Exultet della Veglia Pasquale: «O felix culpa, quae talem ac tantum meruit habere Redemptorem».

Dice infine l’articolista, quasi a proporre la sua soluzione:

 «Dovremmo allora recuperare le virtù umane (tutte le virtù), come anticorpi, perché la nostra libertà venga aiutata a liberarsi ed essere libera di agire, cioè di fare il bene, di costruire e tessere relazioni di amicizia, di fraternità, di solidarietà, di pace e giustizia per tutti». 

Ma qui par di trovare più le parole di un politico che di un Vescovo, che non scrive su Avvenire, «quotidiano di ispirazione cattolica», ma sul Corriere della Sera o su Repubblica, e proprio su di un mistero, come quello del rapporto di Dio col male, circa il quale nessuna dottrina umana sa gettare tanta luce e creare tanto conforto, quanto la dottrina del Vangelo.

Direi piuttosto che per noi cattolici si tratta di recuperare innanzitutto le virtù cristiane, le virtù teologali della fede, della speranza e della carità, col loro corteggio di umiltà, spirito di penitenza, opere di misericordia, obbedienza a Dio, ascolto dello Spirito Santo, fuga dal peccato e dall’errore, lotta contro la carne, il mondo e Satana.

Non insistiamo nel dire che Dio non castiga, quando è evidente il contrario. Non facciamo una parte così miserevole, tirando fuori il pretesto della bontà divina, pur di nascondere i nostri peccati e non dover riconoscere di essere degni di essere puniti. Evitiamo di assumere l’atteggiamento infantile ed immaturo di chi non si sente castigato perché, a suo dire, non ha fatto niente di male.

Ripristiniamo invece le parole dell’antico Atto di dolore, che alcuni oggi vorrebbero stoltamente eliminare: «Mio Dio, mi pento e mi dolgo dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi». Riconosciamo invece i nostri peccati, scontiamoli con la penitenza, rinnoviamo i buoni propositi, chiedendo perdono a Dio e ai fratelli. Allora il Signore ci ascolterà e ci farà sentire la dolcezza e tenerezza del suo amore e della sua misericordia.

P.Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, Sabato Santo, 12 aprile 202

4 commenti:

  1. Grazie Padre per la sua opera di chiarificazione e di difesa della dottrina cattolica.

    Poiché il caso che Lei ha affrontato qui non è purtroppo isolato, mi è venuto questo pensiero che sottopongo al suo giudizio:

    se i pastori non hanno più cognizione degli elementi elementari del catechismo e non aiutano i fedeli a maturare, di fronte a questi eventi, una decisione di conversione a Dio, non è questa una provocazione lanciata a Dio che si troverà "costretto" a dover proseguire con la prossima "piaga" finché il messaggio non sarà recepito?

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    1. Caro Mauro, non sappiamo che cosa Dio abbia in programma a breve scadenza. E' possibile che continui nella sua severità. Tuttavia, insieme con il Santo Padre, noi lo scongiuriamo di liberarci da questo male. Teniamo presente che questa piaga sta colpendo tutta l'umanità, che siamo tutti peccatori, pastori e fedeli, credenti e non credenti, e bisognosi di conversione.

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  2. Il giorno di Pasqua, essendosi rifiutata la chiesa ufficiale di celebrare con noi fedeli la santa Pasqua del Signore, ho sentito il bisogno di inviare al parroco le mie condoglianze per la morte di questa chiesa, quella cui si rifà l'autore dell'articolo di Avvenire che Lei così magistralmente ha analizzato e smascherato. A modo mio ho provato a rivivere la Pasqua: mi sono seduto all'organo della chiesa parrocchiale e ho sonato brevi pezzi classici intercalandoli con i canti della Pasqua. Dopo circa un'ora mi son trovato a piangere e a dover smettere, in una quasi disperazione, come se veramente mi avessero rubato il corpo di Cristo glorioso.
    A freddo poi mi sono chiesto: ci hanno tolto la celebrazione della Pasqua per una faida interna alla chiesa, per far vedere che comandano i progressisti e per sconfiggere i tradizionalisti, che farisaicamente chiedevano di rischiare qualcosa pur di accedere al tutto, all'Eucaristia Pasquale? Invece che perdere tempo con noi pecoroni che chiediamo la Pasqua del Signore qualcuno in alto è impegnato in carteggi privati con Luca Casarini non per la salvezza di anime, ma solo per intrallazzi politici. Come non pensare che il Cristo continui a sperimentare il tradimento? Mi scuso per la mia carica emotiva e grazie delle sue ponderate valutazioni. Silvio

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    1. Caro Silvio, io sono il membro di una comunità domenicana che custodisce un santuario della Madonna. Il problema che si pone non è quello di chiedersi se c'è qualche complotto dei modernisti o di altri, ma è il problema molto semplice e pratico di garantire un ambiente sterilizzato, come per esempio fanno già nei mercati. Ora, noi frati non siamo attrezzati e neppure autorizzati a praticare queste misure sanitarie. Avvicinandosi la buona stagione, è auspicabile che le autorità religiose prendano qualche utile iniziativa relativamente a celebrazioni all'aperto.

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