La creazione - Conferenza di P. Tomas Tyn, OP

     La creazione
Conferenza di P. Tomas Tyn, OP   


Bologna, 24 novembre 1988 - Presso Istituto Tincani o altrove
Cf:
- http://www.arpato.org/creazione.htm (n.14)
- http://www.arpato.org/testi/lezioni_tincani/14_La_Creazione_24_nov_1988.pdf
- https://youtu.be/vCG_EdJwtgk (audio)
Registrazione degli audio a cura di Amelia Monesi e/o Altri
Registrazione e/o custodia degli audio a cura di P. Giovanni Cavalcoli (Bologna)

Ci sono due tipi di causalità formale. Uno è la causalità formale estrinseca, la quale consiste in una forma esterna ad un soggetto, la quale, dall’esterno, dà forma a quel soggetto. Accanto alla causalità formale[1] estrinseca, notate bene, che c'è una causalità formale intrinseca che consiste nel fatto che ogni cosa, ogni realtà, ha una sua interiore struttura.

Cosa meravigliosa, cosa difficilissima da esplorare. La scienza ci prova, ma rimane sempre a metà strada. perché non si riesce mai ad afferrare fino in fondo qual è la logica, la razionalità e la struttura precisa, secondo la quale è costruita una determinata realtà. Stentiamo a capirlo riguardo alle cose materiali, riguardo allo stesso atomo; pensate a tutta la fisica delle cosiddette particelle subatomiche, cioè tutte quelle particelle minime, delle quali appunto si compone lo stesso atomo.

È una scienza estremamente complessa, perché di queste particelle ce ne sono parecchie ed è molto difficile in qualche modo ricostruire il modello di atomo così come è stato concepito nella mente creatrice di Dio. Vedete, quindi che in ogni cosa c'è un’interiore struttura detta da Aristotele “causa formale”.

Perché causa? Perché da questa struttura[2] le cose dipendono nel loro essere. Se un atomo non avesse quella determinata struttura, non sarebbe un atomo, ma un niente, un caos, un qualche cosa di inafferrabile, qualche cosa appunto di caotico, di disordinato e perciò di non esistente.

Vedete, affinché le cose possano esistere è necessario che siano già definite, ordinate in se stesse, nella loro essenza. Solo un’essenza ordinata è suscettibile di emergere dal nulla; il disordine come disordine non è suscettibile di essere[3].

Persino il disordine, per esistere, dev'essere un disordine solamente parziale; un disordine totale è il perfetto nulla. Allora ogni cosa possiede una sua determinata forma o struttura intrinseca. Questa forma o struttura intrinseca alle cose si dice appunto causa formale o anche essenza[4] delle cose.

E tutte queste forme o essenze insite nelle cose singole danno ordine e struttura; pensate poi nei viventi: quanto più complicata è la causa formale di un vivente. Se è cosa già difficilissima capire la struttura di un atomo, quanto più difficile è capire la struttura di una cellula.

Attraverso l'ingegneria genetica noi riusciamo a manipolarla; ma a capirla fino in fondo, no. Non ci siamo ancora arrivati. Ecco, capite, miei cari. Perciò, questa struttura insita nelle cose è determinante per l'essere delle cose stesse. In virtù di questa struttura, la cosa è tale e non tal’altra. Per esempio, è cellula di una pianta e non di un animale per quelle sue determinate caratteristiche formali.

Ora notate bene che quelle forme o essenze che sono insite nelle singole cose e danno struttura e ordine e definizione alle cose, ovviamente sono state pensate da tutta l'eternità dalla mente creatrice. Dio, prima di far emergere, per così dire, questa o quella cosa dal suo nulla, dandole l'essere, ha preconcepito nella sua mente divina le possibilità di essere, cioè le singole essenze o le singole strutture d’ordine che potrebbero esserci.

E notate bene che nella mente divina, per quel poco che ne possiamo sapere, nella mente creatrice di Dio c'è una infinità di cose possibili che Dio non ha realizzato, cioè che non ha posto nell'essere. Vedete, quindi, che in qualche modo, nella mente di Dio c'è una infinità di archetipi di essenze possibili. Alcune di quelle essenze sono emerse dal nulla nell'opera della creazione.

Vedete, quindi, che addirittura si potrebbe dire che la causalità esemplare, che si dice formale estrinseca, è un’altra cosa, perché è chiaro che l’idea che Dio ha dell'uomo non è lo stesso uomo in carne e ossa. Però è la stessa forma dell'uomo che Dio pensa e che poi si realizza nell'uomo.

Ma nella mente di Dio l'uomo, come idea, ha un altro essere[5] diverso da quello che ha nella sua incarnazione concreta nell'essere fisico. Ecco, quindi che c'è una causalità formale, perchè si tratta dell’identità di forma, però con due modi di essere diversi: uno è il tipo di essere che la forma pensata assume nella mente divina; l’altro tipo di essere non è più quello pensato, ma è fisico[6], è una forma che si trova nella realtà delle cose.

Ecco allora la causalità formale estrinseca, cioè in qualche modo la creatura, per esempio quella umana o qualsiasi altra creatura, tende a conformarsi nella sua struttura concreta, fisica[7], reale, alla struttura ideale preconcepita nella mente di Dio. Vedete, potremmo dire che questa è la grande ragione del platonismo, che rimane anche nella prospettiva creazionistica della Bibbia.

Platone continua a mantenere una certa ragione, non nel senso che esista un uomo ideale sopra le nuvole, per così dire, come egli dice, o per esprimermi in maniera più esatta nell’“iperuranio”. Non esiste un’idea, diciamo, delle cose, separatamente dalle cose. Esiste certo un'idea separata dalle cose, ma solo nella mente di Dio, non in un posto intermedio per così dire[8].

D'altra parte, il Creatore, dato che crea con sapienza, conoscenza e amore, cioè crea con cognizione di causa, non c'è dubbio che, prima di creare, Egli forma per così dire un progetto architettonico rispetto a ciò che farà, altrimenti voi capite bene che, se il Creatore non fosse sapiente, ci sarebbe un disordine completo.

Questo progetto è appunto, diciamo così, l'insieme delle idee nella mente di Dio, cause esemplari. A questa esemplarità degli archetipi concepiti nella mente divina si conformano tutte le forme concrete di questa o quella singola cosa. Quindi si potrebbe dire addirittura, anche qui Platone ha ragione, che nella mente divina l'idea dell'uomo esiste in un modo ben più perfetto di quanto poi non si realizzi concretamente in questo o quell’uomo.

Notate però che Platone non ha del tutto ragione, perchè Dio non pensa solo l'uomo in genere; o meglio pensa sì l'uomo in genere, ma poi anche quelsto o quell uomo in particolare. Ossia, ogni individuo umano o l’individuo di ogni altra creatura, è pensato da tutta l'eternità da Dio.

Quindi, nella mente di Dio preesistono le cause esemplari, cioè le idee, le forme secondo le quali poi Dio crea il mondo. Questa è la radice della cosiddetta quarta via[9], per dimostrare l'esistenza di Dio. Cioè nelle cose noi ci accorgiamo di una diversità di perfezioni, ci sono delle realtà più o meno perfette. Ora noi da questo fatto, che le perfezioni limitate, minori, esistono, risaliamo all'esistenza di tale perfezione senza limitazione, cioè ciò che causa la limitazione nell'ambito della perfezione non può che essere un ente dotato della perfezione nella sua infinità, così da dominare quella perfezione e determinarne dei contenuti particolari.

Notate bene che è una fatica pensare come il Signore pensa. Facciamo già fatica a pensare come noi pensiamo. E quindi è chiaro che i pensieri di Dio sono infinitamente al disopra dei nostri. Però possiamo dire questo, che Dio concepisce le singole idee delle cose prima ancora che le cose ci siano. Quindi, - notate l’intellettualità divina - non è che Dio o la mente divina dipendano dalla preesistenza delle cose. Come dice San Tommaso, il nostro intelletto riceve le sue rappresentazioni dalle cose, quindi prima bisogna che ci siano le cose, poi il nostro intelletto riceve dalle cose le sue rappresentazioni. Dio invece pensa le cose, prima che le cose ci siano.

Allora come le pensa? Ecco, vedete, bisogna dire questo: Dio pensa ogni particolare cosa, come somiglianza della sua divina infinita essenza. Cioè Dio conosce, come oggetto formale suo proprio[10], - o meglio lasciamo da parte questa espressione - conosce come suo oggetto proprio esclusivamente la sua essenza, e solo nella sua essenza e tramite la sua essenza conosce tutte le altre cose.

Vedete, quindi che Dio non solo afferra e conosce perfettamente se stesso nel pieno possesso immateriale ed intellettuale del suo essere, ma conosce anche tutte le possibili e svariate imitazioni di se stesso ad extra, come dicono i filosofi, cioè al di fuori di sè. Infatti Dio concepisce tutta una infinità di mondi possibili che tutti imitano Dio in diversa misura e che sono creabili, non ancora creati.

Ecco quindi che la determinazione delle essenze nella mente di Dio è la causalità esemplare di Dio rispetto ad ogni creatura. Non voglio complicare ulteriormente le cose, manteniamo per ora questo. Notate solo che l’idea di Dio, nella mente di Dio, non ha ancora il suo essere proprio[11]. Facciamo un esempio. Dio pensa l'uomo. Fino a prova contraria l'uomo non è Dio, quindi Dio, pensando l'uomo pensa un qualcosa di diverso da sè. Però nel contempo, pensando l'uomo, Dio pensa un qualcosa di simile a sè, perché l'uomo, seppure in maniera molto limitata, imita le perfezioni di Dio.

Quindi, la perfezione dell'intellettualità, della vita sensitiva, della nutrizione e di tante altre cose, e dell'intelligenza soprattutto, ma anche le perfezioni minori, quindi in qualche modo la creatura umana, entro certi limiti, esprimono quelle perfezioni che in Dio esistono tutte indistintamente al sommo grado, cioè infinite.

Per questo Iddio conosce l'uomo, distinto da sè, per similitudine con sè. Nel contempo però, nella mente di Dio esiste sì il contenuto o pensato particolare distinto già dall'essenza divina, ma non è dotato ancora di un essere suo proprio, cioè l'essere dell’idea di Dio è lo stesso essere di Dio, il che significa che nella mente di Dio non c'è un insieme di esseri finiti. Questo sarebbe un panteismo proprio smaccato, come si suol dire, abbastanza primitivo. Infatti in Dio esistono sì i contenuti finiti pensati, ma non ancora dotati del loro proprio essere.

Quindi, tutte le idee, in Dio, sono diverse, plurime quanto al contenuto, ma una sola idea quanto all'essere. E questa è la grande differenza tra l’intelletto divino e il nostro. Noi abbiamo molti pensieri che si affollano nella nostra povera mente, quindi ogni pensiero ha un suo essere particolare, un essere pensato particolare.

Invece Dio, con un'unica idea, pensa tutti i contenuti particolari. È una cosa che noi stentiamo ovviamente ad immaginare, ma bisogna arrivare a dire questo perché in Dio non c'è distinzione reale di essere[12], tranne che nella Trinità Santissima[13]. Ma lì è una cosa del tutto particolare perché la distinzione è fondata sulle relazioni di origine[14]. Di per sé altrimenti l'essere di Dio è unico; anche nella Trinità l’essere è uno solo. Quindi, Dio è unico, perciò in Dio, l'unico essere pone nell'essere tanti contenuti particolari e finiti. Che cosa avviene con la creazione? Avviene che Dio si compiace di dare ad alcuni contenuti pensati nella sua mente eterna, non più un essere ideale divino, ma un essere reale creaturale, che è quello  della creatura stessa.

E’ come se Dio, cosa stupenda questa, amasse la particolarità delle creature. Abbiamo qui una tendenza al decentramento dell'universo, cioè Dio non si accontenta di avere in mente le possibili creature, ma vuole quasi che ogni creatura abbia il suo essere in particolare. E’ vero che nella mente di Dio l'uomo esiste in un modo molto più degno e nobile di quanto non esista in sè.

Però Dio non si accontenta di pensare l'uomo, ma vuole che quell’idea dell'uomo abbia anche un essere suo proprio e così crea, cioè pone l'uomo nell'essere; e così pure tutte le altre idee che Dio si è compiaciuto di creare[15].

Notate bene un'altra cosa, e cioè che nella creazione, come donazione dell'essere, l'intervento essenziale è quello della volontà divina. Dio crea tutto ciò che vuole e solo ciò che vuole; non c'è nessun motivo nell’intelligenza divina per cui Dio crei piuttosto questa creatura che non quella.

Anche questo è notevole da considerare, perché, Dio con la sua intelligenza, considera necessaria una sola realtà, quella di Dio stesso. Tutto il resto, rispetto all'intelligenza divina, è perfettamente contingente, cioè non necessario, come si suol dire nel linguaggio filosofico.

Se Dio non avesse creato nulla, non avrebbe fatto torto a nessuno: la pienezza dell'essere ci sarebbe stata prima come dopo. Dicono giustamente i filosofi che dopo la creazione ci sono plura entia[16], cioè ci sono più esistenti, sed non plus entis[17], cioè non c'è più ente o esistenza.

Non è che con la creazione si sia accresciuta l'esistenza, no. Dio è già l'esistenza infinita. Solo che si sono accresciuti i soggetti, il numero di soggetti che partecipano dell'essere, ma tutto ciò che non è Dio costituisce una minuscola particella dell'essere, che non aggiunge nulla ma non toglie nulla all'essere divino.

Allora bisogna vedere come Dio, e questo la mente moderna[18] stenta a capirlo, non ha bisogno delle creature. Hegel dice che senza il mondo Dio non è Dio. L’esprimersi così è una bestemmia anche filosofica. Cioè, se Dio ha bisogno del mondo non è più Dio. Invece Hegel sostiene tutto il contrario, cioè sostiene che senza il mondo Dio non sarebbe Dio, perché ha bisogno del mondo, di estrinsecarsi nei contenuti finiti.

Invece noi diciamo che Ddio, con il suo intelletto riconosce la necessità del suo essere, riconosce la necessità finita delle singole essenze, di tante essenze che esistono nella sua mente, ma nel contempo riconosce anche la contingenza, cioè la non necessità dell'essere rispetto ad ogni essenza particolare. Quindi certamente l'essenza in sè è necessaria[19], ma che l'essenza ci sia non è affatto necessario[20].

Facciamo un esempio. Voi sapete che i nominalisti facevano sempre l'esempio della rosa; ecco perché appunto l’amico Eco scrisse il libro “Il nome della rosa”. Allora notate bene questo paradosso dei nominalisti medievali, ma in questo hanno ragione, cioè dicevano che anche se le rose non ci fossero realmente, sarebbe comunque vero che la rosa è una pianta o che è un vegetale.

Le rose non ci sarebbero più nella realtà delle cose, non ci sarebbero più giardini botanici, né alcun altro giardino, perché per ipotesi le piante si sarebbero estinte. Però, nella mente di Dio l'essenza della rosa resta sempre pensata come l'essenza di un vegetale.

Invece, rispetto al fatto che la rosa è un vegetale, c’è una necessità e Dio pensa con necessità quella determinata pianta come pianta; la rosa non è un cane; è una pianta, cioè non è un animale, insomma è una pianta. Quindi Dio pensa con necessità i contenuti, i contenuti essenziali. Però, l'essere di quei contenuti, cioè il fatto che il cane, il gatto, la rosa o il giglio, ecc., ci sia, questo è perfettamente contingente, cioè non necessario.

Dio non è costretto da necessità alcuna di creare o non creare, di creare questo piuttosto che quell'altro. Il nostro agire umano dipende, se tutto va bene, o dovrebbe dipendere dall'intelligenza; cioè noi riconosciamo il meglio e poi lo facciamo. Dio invece non riconosce un meglio precedente a ciò che Egli fa. Dio fa il meglio e poi lo riconosce come buono. E’ interessante che nella Scrittura appunto si dice che Dio vide che tutte le cose erano buone. Prima le crea buone e poi vede che sono buone nel loro essere.

Passiamo alla causa finale. Dio è la causa finale di tutte le cose, cioè di tutte le realtà finite e di tutti i beni finiti, perché l'essere e il bene sono la stessa e l’identica cosa. Tutto ciò che è, è buono, cioè è oggetto di volontà, è oggetto di amore. Quasi si potrebbe dire che ogni cosa esistente, per il fatto stesso della sua esistenza, merita di essere amata, è amabile anche se poi magari non è amata.

Però merita di esserlo. E se non da altri, almeno è comunque amata da Dio, perché il Signore tutto ciò che ha creato lo ha creato con amore. Quindi, tutto ciò che è, in quanto è, è buono, è oggetto di amore, se non altro dell'amore creatore di Dio.

A questo punto, però, i singoli esseri particolari, cioè i singoli beni particolari, si ordinano ulteriormente a quel bene sommo che è il bene di Dio. Perché questo? Per un motivo assai semplice. Dice San Tommaso che tutto ciò che procede da una facoltà operativa, cioè dalle capacità dell'anima - intelletto, volontà, sensi interni ed esterni, ecc.- procede da essa, cioè è causato e prodotto da essa, secundum rationem formalem obiecti, cioè secondo la ragione formale[21] dell'oggetto di tale facoltà.

Faccio un esempio: tutto ciò che noi conosciamo con l'intelletto porta l'impronta dell'essere, però l'ente più che l’essere è l'oggetto formale del nostro intelletto[22], cioè noi conosciamo tutto tramite concetti universali, che in ultima analisi non sono altro che differenze particolari di ciò che è, cioè dell'ente.

 che noi, m obiecti ea Quindi tutto ciò che noi pensiamo porta la traccia di una concettualità universale, tutto ciò che conosciamo, lo conosciamo in quanto concettualizzabile, altrimenti non lo conosceremmo. Tutto ciò che vediamo con la vista, lo vediamo in quanto è illuminato; se ci fosse buio, non vedremmo nulla.

Quindi, solo in quanto la superficie di un corpo è illuminata da una determinata luce, di una determinata intensità, perché al disotto di una certa soglia neppure ci vediamo, allora solo alla luce sensibile noi vediamo le superfici colorate delle cose e percepiamo con la vista i colori.

Quindi solo ciò che è illuminato in qualsiasi modo è visibile dall'occhio umano. Vedete come ogni atto di una facoltà porta la traccia dell'oggetto formale di quella facoltà. Così, come abbiamo detto che Dio conosce non le altre cose prima del suo essere, ma come similitudini della sua essenza e del suo essere, così se Dio ama con la sua volontà divina, ama tutti i beni particolari come partecipazioni o realizzazioni particolari e finite del suo bene divino ed infinito.

Quindi Dio primariamente, e non può essere altrimenti, ama come oggetto della sua volontà solo ed unicamente il Bene infinito. Se Dio amasse, come oggetto primario, un bene finito, non sarebbe più Dio. Cioè, è proprio per definizione che la volontà infinita sia ordinata al Bene infinito, o che la volontà divina voglia come primo bene il Bene divino.

E quindi, tutti gli altri beni, che Dio vuole, ossia il bene dell'uomo, del gatto, del cavallo, del bue, etc. tutti i beni delle singole creature, Dio li vuole in quanto vuole in ultima analisi il suo bene divino. Perciò non c'è nessun dubbio che in ogni creatura non c’è solo il suo bene cosiddetto immanente, cioè inerente alla creatura stessa, ma tramite la realizzazione dei beni particolari, ogni creatura si dispone a quello che San Tommaso, seguendo Scoto Eriugena, chiama il reditus creaturarum in Deum, cioè il ritorno delle creature a Dio.

Cioè ogni creatura, realizzando il suo bene connaturale, esprime una somiglianza al bene archetipico, al bene esemplare e al bene infinito di Dio. E non solo, ma si ordina con il suo amore al bene dell'universo, e il bene dell'universo a sua volta si ordina al bene del suo Creatore. Quindi c'è un ordine perfetto.

Nell'universo, ogni creatura tende anzitutto ad essere se stessa; diventando se stessa tende a contribuire al bene di tutte le parti dell'universo e l'universo nel suo insieme tende a ritornare al Creatore. Vedete, in questo senso tutte le cose hanno il loro fine ultimo, il loro bene ultimo, non in se stesse, ma tutte le cose e non solo l'uomo, ma anche il gatto, anche, la pianta, anche il minerale, tutte le cose hanno il loro fine ultimo in Dio e in Dio solo. E questo il Signore lo ha fatto con infinita saggezza e infinito amore.

Vedete, quando sento certe obiezioni, sono giuste perché sono intelligenti come obiezioni, solo che suppongono una certa incomprensione di quello che riguarda Dio. Quando, per esempio, che il Signore mi perdoni, chiedo prima la licenza, c'è chi dice: «Dio ha agito da egoista No! Perché? Perchè Ddio ha rapportato a sè tutte le cose. E’ egoismo o altruismo? Ma, cari, se Dio non avesse rapportato tutto a sè, le cose non ci sarebbero nemmeno.

Affinché le cose possano essere se stesse, non possono esserlo se non come delle minuscole partecipazioni dell'infinito Bene di Dio. Quindi dire che Dio ha agito da egoista è stolto in questo contesto, proprio perché in qualche modo si dice che la cosa potrebbe anche esserci senza essere causata, ma la natura delle cose finite è tale che esse non possono esserci se non come causate, come dipendenti.

          Cioè, se fosse producibile o creabile un altro Dio, allora sì, Dio dovrebbe riconoscere in quell'altro Dio che creerebbe, - che il Signore mi perdoni perchè quella è una ipotesi allucinante, come dicono i nostri giornalisti - un Dio al quale finalizzare tutto e non tutto a se stesso. Invece, no. Il Signore non può creare un altro Signore, per un semplice motivo, che Dio è increabile, essendo la pienezza dell'essere.

Ciò che è pienezza di essere non può ricevere l'essere, ce l’ha già, non è suscettibile di riceverlo. Allora, tutto ciò che è vuoto d’essere riceve l’essere per riferimento alla pienezza dell'essere. È nella natura, nella logica delle cose. Vedete come si deve purificare la nostra povera concettualità umana per capire che il Signore, proprio là dove appare in termini umani egoista, proprio là ci fa il più grande beneficio che si possa concepire.

          Per quanto riguarda la finalità, il Signore Dio non agisce per un fine. Questo è molto, molto delicato da capire. Infatti l'agire per un fine è un assioma universale, che si formula dicendo: omne agens agit propter finem: ogni agente agisce per un fine. È un assioma ottimo immediatamente, non c'è bisogno di dimostrarlo, anzi è impossibile dimostrarlo, è immediatamente evidente.

          Cioè ogni agente, agendo o compiendo un’operazione, in qualche modo intende porre una similitudine di sè, cioè una perfezione simile alla sua, in un qualche cosa al di fuori di sè. Vedete questa intentio, questo tendere in, è sempre un tendere al fine, perché per definizione il fine è il termine di quella intentio.

          Quindi non c'è dubbio, ogni agente ha un tendere, e questo tendere si volge verso un fine. Allora ogni agente agisce in dipendenza da un fine. Dio, non agisce in dipendenza da un fine, oppure, se volete, agisce, ma ha una dipendenza molto particolare dal fine, che adesso cercherò di spiegarvi.

          Ovvero, notate, miei cari, che Dio, con un unico atto di intelligenza conosce e comprende tutti i contenuti finiti; quindi non ci sono tante idee quanti sono i concetti, ma un’idea per tutti i concetti[23]. Ora similmente, Dio con un unico atto, notate bene, con un unico atto, fa tutto quello che fa.

          Quindi, non è che Dio con un atto crea il mondo, con un altro governa quella creatura, con un terzo governa quell'altra creatura, con un quarto dispone la creatura secondo quella determinata provvidenza, con un quinto poi dice che l'uomo dovrebbe essere redento e manda nel mondo il suo Figlio, con un sesto, settimo, ottavo atto fa tante altre cose. No.

          Con un unico atto, che è la stessa essenza divina, Dio crea tutto e fa tutto quello che fa. Quindi gli effetti dell'agire divino sono plurimi, distintissimi dalla parte degli effetti. E’ cosa ben diversa creare il mondo e fare incarnare il Verbo. E però, dalla parte di Dio, c’è un unico atto con cui Dio agisce. Guardate che è difficile concepirlo, perché noialtri, per fare una cosa, con un'azione facciamo una cosa, con un'altra poi faticosamente ne facciamo un'altra.

 

Intervento: Ma allora, essendo così le cose, Dio ha tutto in se stesso...

 

Risposta: Sì, Dio ha tutto in se stesso.

 

Intervento: Si capisce, non come cosa, creatura, ma ha tutto in se stesso perchè se esce da Lui tutto questo, lui lo può avere dentro, lo deve avere per forza di cose.

 

Risposta: Allora, la precisazione che mi è stata chiesta, è questa: se è così, Dio ha tutto in se stesso. Ora, bisogna distinguere. Dio ha tutto in se stesso sul piano volitivo e intellettuale, sì. Sul piano dell'essere, no, perché, dando l'essere, Dio distingue gli enti finiti da sè. Però sul piano intellettivo e volitivo certamente, sì. Anche sul piano operativo, con un unico agire, Dio pone nell'essere tanti effetti diversi, infiniti effetti diversi.

          Ecco, notate bene che l'azione di Dio è un'azione che è, come si dice nel linguaggio filosofico, formalmente immanente e virtualmente transeunte[24]. Cioè Dio, di per sé, agendo, non pone un essere distinto da sè[25], perché la sua azione è Lui stesso. Noi, invece, non possiamo dire: “il mio agire è il mio essere”. No. Bisognerebbe che io perdessi proprio il bene dell'intelletto per dire che il mio agire è il mio essere.

          Io distinguo in me il mio agire dal mio essere. Invece in Dio l’agire è il suo essere, è l'essenza divina. Però gli effetti di quell'agire sono tutt'altro che l'essenza divina. Bisogna distinguere in Dio l'agire e l'effetto dell'agire. L’agire è Dio stesso. Gli effetti dell'agire sono qualche cosa di posto al di fuori di Dio.

          Allora a questo punto bisogna dire che dalla parte degli effetti, cioè delle cose create, Dio vuole che una cosa si ordini ad un'altra come al suo fine. Ma Dio non vuole una cosa per un'altra come se fosse un fine[26]. Cioè, Dio non vuole una cosa per un fine, ma vuole che una cosa sia per un fine. Cioè Dio crea l'ordine finalistico del mondo, ma non è che creando quell’ordine finalistico dipenda da esso e nemmeno da se stesso, come dal fine, perché l'agire di Dio è Dio stesso[27].

          Non è[28] un qualche cosa al disotto del bene divino. Le nostre azioni sono finalizzate perché sono al di sotto del sommo Bene. Quindi tendono al sommo Bene. Tendere al sommo Bene significa essere subordinati al sommo Bene. Dio non può tendere al sommo Bene perché è il sommo Bene.

          Però negli effetti che crea, Dio dispone che le creature si ordinino a Lui come a sommo Bene. E solo in questo senso si può dire che Dio agisce per un fine, cioè Dio non agisce per un fine dalla parte dell'azione, ma ordina a sè come ad un fine e al fine ultimo le creature che pone nell'essere.

          Notate come si fa fatica a parlare del Signore, della sua intellettualità e volontà. Allora miei cari, bisogna purificare molto i concetti della nostra mente, è solo tramite una faticosa analogia che possiamo azzardare qualche discorso su Dio.

          Adesso affrontiamo un'altra serie di questioni e cioè la creazione in sè. Abbiamo detto che Dio è causa prima di tutte le cose. Ora, la creazione che cosa è? Anzitutto San Tommaso, in questa Questione 45, premette un articolo dove si chiede se creare significhi produrre dal nulla. E ovviamente, da buon cristiano, risponde di sì. Creare, cioè, ha proprio questa definizione, questo significato essenziale, creare è produrre dal nulla.

          Come vi dissi già la volta scorsa, i filosofi e i teologi dicono appunto che creatio est ex nihilo sui et subiecti, cioè la creazione avviene dal nulla di sè e del soggetto, cioè nella creazione non c’è né la cosa creata - per forza perché se ci fosse non potrebbe essere creata - ma non c'è nemmeno una potenzialità rispetto a quella determinata cosa creata.

          Pensate a Michelangelo, che vede il marmo lì a Carrara, vede quello stupendo blocco di marmo e dice “questo sarebbe un bel Mosè”, poi ne fa un bel Mosè davvero a San Pietro in Vincoli. Però, insomma, prima di aver abbozzato quella statua, lo scultore vede la potenzialità della statua nel blocco di marmo, ma il blocco di marmo ci dev’essere; se non ci fosse del marmo non ci sarebbero nemmeno degli scultori.

          Quindi in qualche modo, la creatura che cosa suppone? Non certo la statua di Mosè: se ci fosse già, Michelangelo non l’avrebbe creata, insomma non l’avrebbe prodotta. Quindi non suppone certo la statua già fatta, però suppone almeno il materiale da cui poi fare la statua. Per cui si suppone la cosiddetta potenzialità, per poi attuarla secondo quella determinata forma.

          Nella creazione, invece, si dice che avviene la creatio ex nihilo sui et subiecti, perché non solo non c'è la cosa, ma non c'è nemmeno nessuna potenzialità, nessuna materia, nessuna materialità per produrre la cosa. Ribadisco: nessun materiale. Per questo non bisogna mai immaginarsi il Signore come una specie di scultore o pittore. Dio infatti crea proprio dal nulla, a differenza dei nostri artisti creativi, che sono come vedete creativi in modo molto limitato.

          Mi piace e sorrido talvolta, quando sento questi modi di parlare non po’ gonfiati a livello umano: “questa è una mente creativa”, oppure soprattutto poi quando nel gergo ecclesiastico sento dire che bisogna essere creativi di qua o di là, per esempio nella sacra liturgia; mi viene quasi un colpo, perché dico: oh, lì veramente vale quello che dicono i filosofi antichi ex nihilo nihil fit: dal nulla nulla proviene. Se l'uomo si azzarda ad essere creativo, produce sempre il nulla. Solo il Signore, che è pienezza dell'essere, può produrre dal nulla qualcosa, ma è solo Lui.

          Altrimenti, guai a provarci ad imitarlo in questo. È molto diversa la creatività di un genio umano dalla creatività di Dio. Solo Dio produce dal nulla. Allora, notate bene, San Tommaso lo dimostra tramite una profondissima e stupenda ma difficile analisi della realtà, cioè dell'ente, di ciò che è. Dice infatti San Tommaso che non basta pensare solo alla causalità, cioè alla produzione delle entità sotto un aspetto particolare. Bisogna pensare alla produzione della realtà non sotto questo o quell'altro aspetto limitato, ma alla sua produzione sotto l'aspetto universale di realtà, in quanto semplicemente è.                 Questo è un punto di vista sapienziale. Si tratta di elevarsi ed è faticoso, guardate che si fa una fatica notevole; adesso proverò per così dire ad avviarvi per quella strada, ma è una fatica notevole.         Non si tratta di qualcosa che fa la scienza, benché sia cosa lodevole, ma non è sufficiente. Non basta infatti studiare solo il fenomeno del movimento. Le cose si muovono, noi le studiamo, descriviamo il movimento, tante equazioni complicate, e abbiamo capito pressappoco come si svolge il movimento. Non si tratta solo di questo. Si tratta di vedere non tanto la particolarità di questo o quel movimento, ma si tratta di vedere la struttura profonda della costituzione del reale non in quanto è pianta o uomo o animale o altro, ma in quanto è semplicemente realtà. Da dove gli viene il fatto di esserci?

          La domanda non è più da dove viene il fatto di essere un uomo o un animale, da dove viene il fatto di essere un insieme di sostanze chimiche o un insieme di atomi che si muovono secondo le leggi fisiche che si studiano nella fisica delle particelle.

          Tutto questo è su un altro piano. Adesso ci si eleva a chiedersi una sola cosa. Da dove deriva l'essere? È l'unica domanda che il filosofo pone. Tutte le altre cose, certo degne e belle, interessantissime, ricche di contenuti, sono lasciate agli scienziati. Il filosofo si fa una sola domanda, in apparenza poverissima, addirittura semplice, ingenua, una domanda da bambino.

          È per questo che la scienza oggi disprezza tanto la filosofia, perché dice: voi siete degli ingenui, dei bambini. Ma di essi è il Regno dei Cieli! Eppure il filosofo si fa una sola ingenua, semplice domanda. Dice: non m’interessa per quali accorgimenti biologici l'uomo è l'uomo anziché un gatto, non m'interessa per quali accorgimenti chimici la struttura cerebrale del gatto funziona diversamente dalla struttura cerebrale di un cane, cose interessantissime, degnissime, ma non sufficienti.

          M'interessa una sola cosa: come mai l'uomo, il gatto, la pianta ci siano. Come mai? Questa è la domanda, l'unica che bisogna porre nelle discipline sapienziali. E San Tommaso ha il coraggio tremendo di farsele queste domande. Allora addirittura proprio nella storia della filosofia, San Tommaso intravede questi passaggi, questo faticoso elevarsi dell'umanità verso la vera sapienza, in poche parole verso la metafisica.

          Egli infatti dice che all'origine la stessa filosofia era alquanto rudimentale, cioè i primi filosofi, ovvero i cosiddetti presocratici, si limitavano ad esplorare solamente la struttura del fenomeno, cioè pensavano che ci fosse una causa materiale, per esempio Talete dice l’acqua, oppure, c'è l’aria oppure l’apeiron, ecc. Insomma, ci sono tanti elementi, però tutti pensati come un che di materiale, tanti elementi, che per delle modifiche accidentali, per esempio per la contrazione o la dilatazione dell'aria, diventano tutte le cose del mondo.

          Quindi, l'orologio sarebbe l'aria contratta, compressa ad un determinato grado, secondo questa dottrina. Quindi in qualche modo i primi filosofi non hanno fatto altro che presupporre una causa materiale e poi hanno visto nella materialità l’avvicendarsi accidentale, per così dire superficiale ed epidermico di alcuni fenomeni distinti da altri. Erano solo modifiche i singoli stati delle cose; erano solo modifiche dell'unica primordiale materia.

          Questa era la prima rudimentale filosofia. Notate che già questi pensatori hanno avuto almeno il grande merito di aver sollevato la domanda del perché, cioè perché ci sono queste cose e c’è tanta varietà del creato. Però la risposta è molto insufficiente.

          Ci sono stati altri pensatori più spirituali e qui si comincia a fare fatica, perchè ci si eleva ad un gradino più su, e cioè a Platone ed Aristotele. Essi hanno posto la domanda sulla sostanza. La loro concezione infatti non era più quella di una materia che varia secondo diversi stati accidentali, secondo per esempio la compressione o la dilatazione, ma Platone e Aristotele hanno posto la domanda della sostanza, cioè perché ci sono delle cose per sè esistenti.

          Hanno riconosciuto che l'uomo, certo avrà in comune con il gatto o con la pianta tante altre belle cose, però ha anche una sua peculiarità, una sua specificità che è irriducibile a quella degli altri esseri. Quindi, ogni essere ha una sua sostanza indipendente da altri. A questo punto si sollevava la domanda non più sulla alterazione accidentale dello stato di una materia, ma la domanda si approfondiva e si trattava di sapere perché l'uomo è l’uomo e il gatto è un gatto.

          Gli altri filosofi avrebbero detto: è lo stesso pezzo di materia che in uno stato diventa uomo e in un altro diventa gatto. Adesso questo non è più possibile come risposta, ma si dice che c'è una struttura ideale, un’essenza che fa sì che il gatto sia gatto, che l'uomo sia l’uomo, che il cavallo sia cavallo e che la pianta sia una pianta. Vedete quindi che c'è la risposta data a livello delle essenze.

          C'è però un altro punto a cui bisogna elevarsi e cioè non chiedersi solo perché le cose hanno quella determinata forma del loro apparire fenomeni e nemmeno chiedersi solo perché le cose siano questa o quest'altra cosa, sostanze ed essenze, ma bisogna chiedersi perché le cose semplicemente ci sono.

          Vedete cari, è questo è il punto. Cioè elevarsi alla domanda sull'essere in quanto essere nella sua semplicità esistenziale. E allora, a questo punto, San Tommaso dice che, siccome nell'essere delle cose create e finite è compreso tutto ciò che esse sono, tutto ciò che l'uomo è, è compreso nell'essere; non c'è nulla che esuli dall'essere, che sia al di fuori dei confini dell'essere.

          Se nell'uomo, per esempio, ci fosse qualcosa al di fuori dell'essere, quella cosa che è al di fuori dell'essere, non ci sarebbe. Quindi, facciamo un esempio, per rendere la cosa intelligibile. Ammettiamo che l'uomo ha l'intelligenza, la volontà, i sensi interni e quelli esterni; ammettiamo che tutto è immerso nell'essere; se però il senso della vista si prende il capriccio di esulare dall'essere, di essere al di fuori dell'essere, a questo punto l'uomo sarebbe cieco.

          Cioè, la vista apparterrebbe[29] alla sua essenza, ma non sarebbe posta nell'essere; vedete allora come tutto ciò che c'è, nella creatura, è in virtù dell'essere. E’[30] in virtù dell'essere, perché è dentro i limiti dell'essere, o come dicevano gli antichi infra latitudinem tu esse[31], ovvero entro i confini dell'essere, entro l'ampiezza dell'essere.

Allora, notate bene, siccome l'essere della creatura comprende in sè tutte le sue dimensioni essenziali e accidentali, tutto ciò che appartiene alla creatura è[32] perché ha l'essere, vuol dire che al di fuori dell'essere, nella creatura non c'è proprio nulla. Quindi, causare nella creatura l'essere vuol dire causare nella creatura tutto ciò che è della creatura. Infatti, siccome tutto è[33], solo perché appartiene all'essere, non perché esula dall'essere; se esulasse dall'essere non ci sarebbe; siccome tutto ciò che è, è in virtù dell'essere, è immerso nell'essere, Colui che dà l'essere causa tutta la creatura perché tutto della creatura è compreso nell'essere.

Al di fuori dell'essere della creatura che cosa c'è? Nulla! Al di fuori dell'essere non c'è nulla. Quindi Dio che è Creatore perché dà l'essere alle essenze finite, dando l'essere non può presupporre un qualche cosa che ci sia prima dell'essere, perché ciò che c'è prima dell'essere, è fuori dall'essere e ciò che è fuori dall'essere è il nulla. Quindi, se ci fosse un presupposto alla creazione divina, quel presupposto non potrebbe esserci. Cioè si giungerebbe al paradosso che ci dovrebbe essere un qualcosa che nel contempo non può esserci.

Ecco quindi che la creazione, se è veramente tale, cioè se è ciò che per definizione deve essere, ovvero donazione dell'essere, se la creazione è dare l'essere a un’essenza finita, la creazione avviene ex nihilo, cioè avviene dal nulla. Perché? Perché al di fuori dell'essere non c'è nulla.

Allora notate bene come il passaggio dal possibile all’attuale si può intendere in tre modi: c'è il processo dell'alterazione, il processo della generazione, il processo della creazione. Prendiamo il processo dell'alterazione, per esempio dell'estate: uno va al mare e torna abbronzato. Va bene, oggi è di moda, tutti hanno quel colorino così apparentemente almeno sano, ecco, allora, vedete. Quel cambiamento di colore di pelle che cos'è? È un cambiamento accidentale, mentre si suppone l'uomo resti sostanzialmte il medesimo.

Nella generazione abbiamo un passaggio dal generabile al generato, cosa che comporta una trasformazione sostanziale, perché il soggetto materiale della generazione, il germe del genitore, è il medesimo del generato, mentre cambia la forma del soggetto, il quale da germe del genitore acquista la forma del generato.

Quanto al processo della creazione, avviene un passaggio dall’esistenza possibile della creatura alla sua esistenza reale ad opera dell’atto creativo divino.


Conferenza di Padre Tomas Tyn, OP - del 1988

Trascrizione da registrazione di Sr. M. Colombo, OP, e Sr. M. Nicoletti, OP – Bologna, 2007

Testo da registrazione, riveduto da Padre Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna 2008 - Fontanellato, 11 gennaio 2023

 

Affinché le cose possano esistere è necessario che siano già definite, ordinate in se stesse, nella loro essenza. Solo un’essenza ordinata è suscettibile di emergere dal nulla; il disordine come disordine non è suscettibile di essere.

Persino il disordine, per esistere, dev'essere un disordine solamente parziale; un disordine totale è il perfetto nulla. Allora ogni cosa possiede una sua determinata forma o struttura intrinseca. Questa forma o struttura intrinseca alle cose si dice appunto causa formale o anche essenza delle cose.


E tutte queste forme o essenze insite nelle cose singole danno ordine e struttura; pensate poi nei viventi: quanto più complicata è la causa formale di un vivente. Se è cosa già difficilissima capire la struttura di un atomo, quanto più difficile è capire la struttura di una cellula.

Attraverso l'ingegneria genetica noi riusciamo a manipolarla; ma a capirla fino in fondo, no. Non ci siamo ancora arrivati. Perciò, questa struttura insita nelle cose è determinante per l'essere delle cose stesse. In virtù di questa struttura, la cosa è tale e non tal’altra. Per esempio, è cellula di una pianta e non di un animale per quelle sue determinate caratteristiche formali.

Ora notate bene che quelle forme o essenze che sono insite nelle singole cose e danno struttura e ordine e definizione alle cose, ovviamente sono state pensate da tutta l'eternità dalla mente creatrice. Dio, prima di far emergere, per così dire, questa o quella cosa dal suo nulla, dandole l'essere, ha preconcepito nella sua mente divina le possibilità di essere, cioè le singole essenze o le singole strutture d’ordine che potrebbero esserci.

 Immagini da Internet

[1] Poiché l’inizio non è stato registrato, è questa una introduzione ipotetica. Cf. altra registrazione, che riporta la parte iniziale.

[2] “struttura” è un termine moderno che corrisponde a “forma”, che viceversa è un termine più scolastico, anche se rimane in certo modo anche nel linguaggio corrente, come per esempio quando diciamo “dar forma” a qualche cosa.

[3] “Essere” nel senso di “atto di essere”.

[4] La “forma” è ciò per cui una cosa è tale; l’ “essenza” è ciò che una cosa è.

[5] Secondo S.Tommaso questo “essere” è lo stesso essere divino.

[6] Ontologico.

[7] Ontologica.

[8] Una posizione intermedia tra Dio e le cose.

[9] Sott’inteso: di San Tommaso.

[10] Del suo intelletto.

[11] L’idea della creatura in Dio non ha evidentemente quell’esistenza che la medesima creatura ha al di fuori di Dio.

[12] Ossia nell’essenza divina non ci sono distinzioni reali, ma solo di ragione, come per esempio tra intelletto e volontà, che in Dio sono un unico essere, cioè Dio.

[13] Secondo il Concilio di Firenze del 1442 soltanto nella Santissima Trinità c’è distinzione reale di Persone.

[14] Nel senso che una Persona ha origine dall’altra.

[15] Dicendo che Dio crea una sua idea, Padre Tomas non intende riferirsi evidentemente all’idea divina che coincide con Dio, ma se riferisce all’idea della creatura in quanto creatura.

[16] Più enti.

[17] Ma non più ente.

[18] Come vediamo più sotto Padre si riferisce a Hegel.

[19] Necessaria nel senso che è composta di caratteri necessari, mancando anche uno solo dei quali, l’essenza non c’è più o c’è un’altra essenza.

[20] Il che vuol dire che nessuna creatura esiste necessariamente.

[21] La ragione formale di oggetto è l’oggetto sotto quella forma nella quale lo consideriamo. Per esempio: l’oggetto formale della medicina è l’uomo in quanto curabile; l’oggetto formale della psicologia è l’uomo in quanto dotato di anima. Abbiamo dunque un medesimo oggetto reale – l’uomo – dal quale è possibile ricavare due oggetti formali, che fondano due scienze diverse dell’uomo.

[22] Anche l’essere, anzi supremamente l’essere, più dell’ente, è oggetto del nostro intelletto. Quel che vuol dire Padre Tomas è che possiamo definire che cosa è l’ente, ma non l’essere. Sappiamo che cosa è l’essere senza aver bisogno, necessità o possibilità di definirne l’essenza, perché l’ente ha un’essenza, ma l’essere è atto dell’essenza.

[23] Probabilmente Padre Tomas col termine “idea” si riferisce all’idea divina, mentre col termine “concetto” si riferisce al concetto umano. In tal modo ad un’unica idea divina corrispondono molti concetti umani.

[24] Si tratta di un latinismo. Il termine esatto sarebbe: “transitivo”.

[25] Padre Tomas intende dire che l’azione divina non è un qualcosa di distinto dal divino soggetto agente.

[26] Dio non si propone dei fini, quasi che essi possano essere dei valori che lo prefezionano, ma stabilisce dei fini per le sue creature.

[27] Dio nell’agire non agisce per se stesso ma il suo agire è Lui stesso.

[28] L’agire divino.

[29] E’ l’idea platonica della partecipazione dell’individuo alla sua essenza.

[30] Forse meglio: esiste.

[31] “Tu esse” = dell’essere.

[32] Forse meglio: esiste.

[33] Forse meglio: esiste.

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