Discussione sulla pena di morte - Seconda Parte (2/2)

 

Discussione sulla pena di morte

Seconda Parte (2/2)

Bisogna fare un’altra considerazione. Nella vita presente, conseguente al peccato originale, per il quale la carne si oppone allo spirito e lo soffoca, lo spirito, per fruire della sua libertà e vivere in pienezza la gioia della vita spirituale, è obbligato in certe circostanze, quando non è possibile una soluzione pacifica o un accordo, a «mortificare» la carne e lo stesso spirito che a causa della superbia diventa schiavo di se stesso, ha il dovere di reprimere i suoi moti verso il peccato con l’acquisto della virtù.

La pena di morte fa parte di tutti quei provvedimenti terapeutici e di emergenza, necessari nella vita presente, per eliminare tutte quelle forze che ostacolano, frenano o intralciano la nostra vita spirituale e una decente vita fisica. Tra questi interventi provvisori o transitori, ma necessari nella vita presente nelle dovute circostanze, dobbiamo annoverare altre pratiche repressive o cautelative, come la pratica della guerra, la legittima difesa personale, l’uso della severità, le austerità e la pratica del pudore, del silenzio, del digiuno, delle veglie, della solitudine, dei pellegrinaggi, le pratiche ascetiche della rinuncia e del sacrificio, le pratiche penitenziali, nonchè le osservanze monastiche e gli stessi voti religiosi. Infatti, il voto di obbedienza può sembrare una forma di schiavitù, il voto di povertà può sembrare contrario al dominio dell’uomo sulla natura, il voto di castità può sembrare contrario alla volontà di Dio che uomo e donna siano una sola carne.

L’abolizione della pena di morte non potrà comunque portare all’abolizione di tutte queste pratiche ascetiche che ho elencato, le quali invece sono necessarie nell’attuale stato di natura decaduta, e possono gradualmente, ma sempre imperfettamente, venir meno solo nella misura in cui cresce l’«uomo nuovo» di paolina memoria e viene superato l’«uomo vecchio» conseguente al peccato, sepolto nel battesimo. Senonchè però la totale abolizione di tutte queste pratiche è riservata solo alla futura risurrezione gloriosa.

Credere di poterne fare a meno fin da adesso col pretesto che viviamo la vita nuova donataci da Cristo, mentre non siano ancora liberati del tutto dalle conseguenze incresciose del peccato originale, è una pericolosa illusione, tale da non elevare, ma da aggravare ulteriormente la corruzione dei costumi morali.

È chiaro che questi interventi repressivi sarebbero inutili nel caso che la nostra natura non fosse ferita e inclinata al peccato e l’uomo fosse rimasto nello stato d’innocenza o avesse già fin da adesso raggiunto quello stato di perfezione finale, che la rivelazione cristiana attribuisce alla futura risurrezione gloriosa. Il fatto che fin da adesso possiamo fruire della grazia sanante di Cristo, non vuol dire che siamo del tutto guariti, ma che necessitiamo ancora seppur sempre di meno mano a mano che guariamo,  di quelle cure anche energiche, delle quali hanno bisogno i malati.

Papa Francesco non è così ingenuo e sprovveduto da non sapere benissimo che il suo accorato e giustissimo appello per l’abolizione della pena di morte sotto pena di peccato è solo un nobilissimo auspicio ed una calda esortazione agli Stati a fare tutto il possibile, a tendere verso questa meta sublime con tutte le forze, ma non può essere un’ingiunzione che egli dà agli Stati, sia perchè il Papa non è il governatore generale della Comunità internazionale o il Segretario delle Nazioni Unite e sia perchè egli sa benissimo che siamo ancora nelle miserie della vita presente, bisognosi ancora di tutti quegli espedienti e di tutte quelle pratiche, rinunce e mortificazioni ascetiche, espiatorie, purificatrici, penitenziali e repressive, che non saranno più necessari nella vita della Gerusalemme celeste, nella quale, essendo lo spirito pienamente riconciliato con la carne e i fratelli riconciliati fra di loro, tutto sarà pace, armonia, concordia, senza che vi sia bisogno di alcuna rinuncia né sacrificio né repressione di niente.

Stando al dovere di punire l’assassino, lo Stato dovrebbe semmai punire l’aborto, che è l’uccisione dell’innocente, se non fosse che una certa tolleranza è richiesta in una società dove i cristiani autentici non annacquati sono una piccola minoranza a dover convivere in un contesto sociale dove gli uomini, frastornati da ideologie soggettiviste, empiriste, relativiste e storiciste, faticano a comprendere le esigenze assolute della legge naturale e quindi il vero senso del Quinto Comandamento.

Ragioni contro la pena di morte

Sappiamo quante volte il Santo Padre è venuto su questo tema delicato della pena di morte auspicandone la sua abolizione con un tono così fermo e perentorio, che non si nota nel magistero pontificio precedente. Il Papa sembrerebbe a tutta prima voler esprimere una specie di imperativo morale categorico, quasi che si trattasse di un comandamento divino; ma ciò non può essere,  perché i comandamenti divini sono assoluti e non possono cambiare.

Se infatti il rifiuto della pena di morte fosse un precetto divino, ne verrebbe la conseguenza che la Chiesa, ammettendo nel passato la pena di morte, ha disobbedito a Dio, cosa evidentemente inammissibile. Tuttavia il Santo Padre ha fatto capire che la pena di morte non può più esser considerata un atto di giustizia[1].

Possiamo comunque notare che uno Stato può certo togliere dal codice penale la pena di morte, ma non possiamo aspettarci che ciò avvenga subito in tutti gli Stati del mondo abolendo per legge la pena di morte con la stessa disinvoltura con la quale può proibire il fumo o l’uso degli alcoolici o il traffico della droga. Si possono, certo, e si devono abolire gli armamenti nucleari. Ma questo non è ancora abolire la guerra. In certi casi la pace si ottiene solo mediante la guerra.

Noi Italiani abbiamo abolito la pena di morte da un pezzo e ne sono ben contento, perché è segno di progresso civile. Ma siamo certi che in alcuni Stati democratici (non islamici o comunisti) essa non possa essere utile per garantire o mantenere la sicurezza dello Stato?  D’altra parte, anche fra noi Italiani, non avvertiamo da sessant’anni il diffondersi di un buonismo relativista ed opportunista che lascia passare non solo il moscerino ma anche il cammello? Non avvertiamo l’esigenza di uno Stato più attento alla protezione del bene comune e dei cittadini onesti e più capace di frenare i malfattori? Ad ogni modo il Papa ci indica come rimedio la carcerazione o pene simili.

Una cosa importante da tenere presente è il rischio che la pena di morte diventi in uno Stato autoritario o dittatoriale un mezzo per sostenere questo regime ingiusto. Ora è chiaro che il mio discorso circa la legittimità della pena si riferisce a uno Stato che abbia veramente cura del bene comune. C’è peraltro da notare che se esistono questi Stati totalitari, che riducono la persona a semplice ingranaggio dello Stato, da noi in Occidente abbiamo l’eccesso opposto di uno Stato liberale troppo tollerante, dove l’individuo si ritiene esente da ogni legge o legge a se stesso, uno Stato che non sa difendere il bene comune e la sicurezza dei cittadini, dove i delinquenti possono essere sicuri di farla franca e se ci sono cittadini che soffrono e sono penalizzati, sono proprio gli onesti e i cattolici, che invocano il rispetto dei valori morali, totalmente ignorati dallo Stato col pretesto della libertà e del rispetto delle diversità.

Ricordiamo inoltre che le pena di morte ammessa dalla Chiesa non ha mai inteso esprimere un giudizio sulla sorte eterna della persona, né una sua esclusione dalla Chiesa celeste, ma solo la sua volontà di impedire al malfattore di continuare a recar danno a se stesso e alla Chiesa.

È chiaro che non sarebbe giusto considerare la pena di morte, almeno nelle intenzioni passate della Chiesa, un «attentato alla dignità della persona». È vero che a quei tempi il Tribunale dell’Inquisizione si preoccupava di determinare il significato oggettivo e corrente delle asserzioni incriminate ut littera sonat; non si domandava se per caso potessero avere un significato accettabile rispetto a quello immediatamente apparente; non si preoccupava come oggi di indagare e chiarire quali potevano essere le sue intenzioni profonde o i condizionamenti psicologici, culturali o sociologici o ambientali, che cosa il reo volesse esattamente dire, se non si trattasse di difetti di linguaggio, o se avesse delle scusanti o delle attenuanti[2].

C’era indubbiamente una certa diffidenza verso il nuovo, e una tendenza a vedere l’errore laddove invece si prospettava una visione teologica più avanzata e più profonda, che si scostava dalla visione che era tradizionalmente e comunemente accettata. Potevano star sicuri solo i teologi che ripetevano semplicemente quello che il Magistero aveva già insegnato o che corrispondeva ai probati auctores.

Tuttavia, dobbiamo precisare, ricordare ed aggiungere che, come sappiamo, la Chiesa si è sempre preoccupata di fornire un’assistenza spirituale ai condannati a morte. Lo stesso Maestro dell’Ordine supplicò seppure invano Giordano Bruno di pentirsi. E quando il boia disse a Girolamo Savonarola che stava per essere escluso sia dalla Chiesa terrena che da quella celeste, il Martire rispose: «dalla Chiesa terrena, sì, ma da quella celeste non spetta a te saperlo».

Il Papa con la sua condanna della pena di morte enuncia in realtà non un obbligo giuridicamente vincolante per tutti e subito, ma un vigoroso auspicio di estrema importanza, nell’attuazione del quale tutti, soprattutto gli Stati, secondo le loroe forze e le opportunità, debbono sentirsi impegnati. Ad ogni modo, stando alle parole del Papa, la pena di morte comincia a configurarsi come atto di ingiustizia o legalizzazione di un’ingiustizia.

In sostanza il Papa chiede agli Stati che tolgano o si astengano dal menzionare la pena di morte nel loro codice penale, come molti altri Stati hanno già fatto da tempo, compresa la nostra Italia sin dal 1946 nel redigere la nuova Costituzione dopo la caduta del fascismo.

Certo il Papa non ha l’autorità delle Nazioni Unite per poter imporre una misura del genere a tutti gli Stati del mondo. Come la prenderanno, per esempio, gli Stati islamici o la Cina comunista? E tuttavia il suo appello non potrà restare inascoltato, considerando il prestigio del quale gode la S.Sede in campo internazionale. Tuttavia, per capire la portata dell’appello storico e vorrei dire epocale del Papa, non è male ricordare le gravi ragioni che da sempre suggerivano la pena di morte. Queste ragioni, considerare le parole del Papa, forse sono ormai definitivamente superate. Dico «forse», perché qui si tratta di uno di quegli insegnamenti pastorali pontifici, che non mettono in gioco l’infallibilità. In ogni caso meritano l’assenso religioso della nostra intelligenza e della nostra volontà.

Si nota così nel corso della storia un progressivo rifiuto della pena di morte, corrispettivamente al progresso morale dell’umanità. Nel passato esisteva un carcere persino nei conventi per i religiosi indisciplinati e fino al 2001 il Diritto canonico prevedeva la pena di morte per chi avesse attentato alla vita del Pontefice.

Esemplare fu quindi il comportamento di S.Giovanni Paolo II con Alì Akgià: lo perdonò per la colpa, della quale si era pentito, ma la giustizia non gli risparmiò la pena del carcere, che del resto era il segno del sincero pentimento, perché troppo comodo sarebbe dichiararsi pentiti di un crimine se non si fosse disposti ad espiarlo con una pena adeguata.

È vero che in caso di errore giudiziario, applicando la pena di morte, la giustizia umana non ha modo di riparare, come invece l’avrebbe nel caso di una pena temporanea o dell’ergastolo. Ma d’altra parte il timore di sbagliare vale per ogni attività umana e, se dovessimo dar troppa importanza a questo timore, dovremmo ridurci a non prender mai alcuna iniziativa. Per agire con tranquillità di coscienza è sufficiente che ciò che facciamo abbia buone ragioni morali.

Molti oggi ritengono che anche per i crimini più gravi sia sufficiente la pena dell’ergastolo, la quale può dare la possibilità al reo di pentirsi e di riscattarsi. Questo è vero nel caso in cui il malfattore non costituisca una grave minaccia o un pericolo immediato e non altrimenti scongiurabile per la sussistenza o la conservazione del bene comune.

Indubbiamente, da quanto ho esposto, dobbiamo dire che la pena di morte ha avuto per lunghi secoli le sue ragioni, che sono ancora presenti al n.2266 del Catechismo precedente. Tuttavia la svolta storica voluta dal Papa ha condotto, con nuove ragioni, che adesso stiamo vedendo, alla produzione del nuovo testo, il n. 2267, che abolisce o proibisce la pena di morte.

La questione della liceità della pena di morte ha tormentato la Chiesa in questi ultimi anni e il segno di questo travaglio storico ci è dato dall’’intervento di Papa Francesco, che, nel 2018, ha voluto compiere nella pienezza della sua autorità pastorale, un gesto inaudito nella storia dei rapporti dei Papi con i Catechismi: modificare il n.2266 del Catechismo del 1992, il quale «non esclude, in casi di estrema gravità, la pena di morte», sostituendolo col n.2267, che recita così:

«Per molto tempo il ricorso alla pena di morte da parte della legittima autorità, dopo un processo regolare, fu ritenuta una risposta adeguata alla gravità di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune.

Oggi è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi. Inoltre, si è diffusa una nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato. Infine, sono stati messi a punto sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redimersi.

Pertanto la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che “la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona”, e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo»[3].

Occorre notare che questo «insegna la Chiesa» non è un insegnamento dottrinale, ma pastorale. Il segno immediato è dato dal fatto che abbiamo la negazione di un contenuto precedente. Ora gli insegnamenti dogmatici non smentiscono mai, ma esplicitano o sviluppano l’insegnamento precedente. Trattandosi di una disposizione pastorale, non gode dell’attributo dell’infallibilità. E difatti, ciò si nota subito esaminando perché il Catechismo dichiara inammissibile la pena di morte: perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona.

Per la verità, questa giustificazione dell’abolizione della pena di morte non sembra sufficientemente fondata, perché ho dimostrato che in realtà la pena di morte, così come la Chiesa l’ha intesa in passato, era un modo di rispettare la dignità della persona, perché non colpiva la persona immortale come tale, ma quella vita fisica della quale la persona faceva un uso cattivo.

La pena di morte colpisce la vita fisica della persona, ferma l’attività dannosa della vita fisica, non colpisce e non offende la persona come tale. Si può sopprimere una vita fisica, ma non quella della persona, perché è immortale. Attentati alla persona sono quelli che offendono la persona e la fanno deviare dalla via della verità e della virtù mediante l’inganno e la menzogna, sono quei peccati che  la derubano del diritto di fruire di Dio, che la instradano sulle vie del peccato e del vizio, che la separano egoisticamente dall’interesse per il bene comune e la distolgono dal servizio al prossimo e a Dio. Sono questi gli attentati alla dignità della persona fatta per Dio e per vivere in società.

Motivo vero, a mio giudizio, dell’abolizione della pena di morte, è la maggiore coscienza dell’importnza della vita escatologica – la vita della futura risurrezione gloriosa - che il Vangelo offre all’umanità.

Infatti, il fatto che la pubblica autorità in difesa del bene comune o un cittadino per salvare la propria vita tolgano al malfattore la vita fisica non è un attentato alla persona del malfattore, ma può essere, nelle dovute circostanze, un atto doveroso e giusto, che non attenta affatto alla persona del malfattore, ma ne interpella la coscienza inducendolo ad assumere la sua responsabilità davanti a se stesso, davanti a Dio e davanti alla società.

Il buon ladrone accanto alla croce di Gesù afferma più che mai la sua dignità personale nel momento in cui riconosce onestamente di essere stato punito giustamente, mentre da questa consapevolezza nasce l’implorazione fiduciosa a Gesù di aver pietà di lui. Possiamo pensare che molti giustiziati dall’Inquisizione siano morti con questi sentimenti.

È chiaro che attentare alla vita fisica della persona innocente è attentare alla persona. È questo ciò che intende dire il Papa quando parla di attentato alla persona. Ma la pena di morte, benché privi la persona della sua vita fisica, se la pena è giusta, non è un vero attentato ma un omaggio alla persona, alla persona del criminale, che è richiamato alla sua responsabilità davanti a Dio e agli uomini; un omaggio alla società, che viene difesa dall’attentato compiuto contro di essa dal criminale.

Con tutto ciò non possiamo che esprimere il nostro compiacimento per il Catechismo laddove afferma che «la Chiesa si impegna con determinazione per la abolizione della pena di morte in tutto il mondo». L’abolizione della pena di morte, che si sta estendendo nel mondo, trova resistenze laddove stenta a diffondersi la vita nuova che il Vangelo dona al mondo.

Essa è uno dei segni dell’avvento del regno di Dio, delle primizie della vita futura dei risorti, come l’abbandono di altre forme ascetiche esagerate che pur caratterizzarono per secoli la disciplina religiosa e sociale del passato. Non è da intendersi come eccessiva indulgenza per il criminale, ma come fiducia nella capacità di pentimento e di conversione e in ultima analisi, nell’opera della grazia sanante.

Resta sempre valido il dovere della società di difendersi dai fattori disgreganti e corruttivi, ma una migliore e più profonda percezione delle risorse interiori della persona ha fatto comprendere alla Chiesa di oggi che è ormai possibile correggere il peccatore superando metodi repressivi che per tanto tempo si sono ritenuti necessari e che, con la dovuta moderazione, hanno certamente reso un servizio.

La Chiesa, maestra di vita, annunciatrice della vita eterna, non può essere che in prima linea nell’adoperarsi con ogni mezzo per l’abolizione della pena di morte, laddove sia possibile ed opportuna. Deve essere animata da questa ansia profetica di far pregustare agli uomini di quaggiù le primizie della vita futura, dove non ci saranno più nemici o forze ostili ad una vita che per la sua immortale divinità permarrà per l’eternità.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 29 agosto 2023

... Oggi è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi.

Pertanto la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che “la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona”, e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo».

Occorre notare che questo «insegna la Chiesa» non è un insegnamento dottrinale, ma pastorale. Il segno immediato è dato dal fatto che abbiamo la negazione di un contenuto precedente. Ora gli insegnamenti dogmatici non smentiscono mai, ma esplicitano o sviluppano l’insegnamento precedente. Trattandosi di una disposizione pastorale, non gode dell’attributo dell’infallibilità. E difatti, ciò si nota subito esaminando perché il Catechismo dichiara inammissibile la pena di morte: perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona.

La Chiesa, maestra di vita, annunciatrice della vita eterna, non può essere che in prima linea nell’adoperarsi con ogni mezzo per l’abolizione della pena di morte, laddove sia possibile ed opportuna. Deve essere animata da questa ansia profetica di far pregustare agli uomini di quaggiù le primizie della vita futura, dove non ci saranno più nemici o forze ostili ad una vita che per la sua immortale divinità permarrà per l’eternità.

Immagini da Internet: Santi e Sante in Paradiso


[1] Come dà notizia Avvenire del  31 agosto dell’anno scorso: «Papa Francesco ha invitato a pregare “perché la pena di morte, che attenta all’inviolabilità e alla dignità della persona, sia abolita nelle legislazioni di tutti i Paesi del mondo”. Il Papa che ha modificato il Catechismo per dichiarare tale pratica “sempre inammissibile” è tornato a ribadirlo nel video con le intenzioni di preghiera per il mese di settembre: quello di Francesco è un “no” senza condizioni contro la pena di morte: "Chiedo a tutte le persone di buona volontà di mobilitarsi per ottenere l’abolizione della pena di morte in tutto il mondo. Preghiamo perché la pena di morte, che attenta all’inviolabilità e alla dignità della persona, sia abolita nelle legislazioni di tutti i Paesi del mondo"».

[2] Viceversa i progressi di questa conoscenza sono segnalati dai moderni metodi ed interventi della CDF, come è stata per esempio la riabilitazione di Rosmini, tanto da arrivare ad esser fatto Beato, nonostante le famose 40 proposizioni condannate nel 1884.

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