Il volo di Icaro - Chi troppo vuole nulla stringe - La falsa ascetica del platonismo e le sue conseguenze materialiste - Prima Parte (1/2)

 Il volo di Icaro

Chi troppo vuole nulla stringe

La falsa ascetica del platonismo e

le sue conseguenze materialiste

Prima Parte (1/2)

Chi vuol fare l’angelo
finisce per fare la bestia
Blaise Pascal

Dio è il creatore dei corpi e degli spiriti

I Padri della Chiesa, dovendo dare, alla luce della Rivelazione, una sistemazione all’etica della persona, si trovarono davanti alla questione antropologica della distinzione fra anima e corpo, al problema di come l’anima deve governare il corpo e a quale valore dare all’una e all’altro.

La questione preliminare che si poneva era allora quella di chiarire l’insegnamento della Scrittura circa l’effettiva esistenza di una distinzione fra realtà spirituali e realtà materiali, i visibilia e invisibilia, articolo del Simbolo della Fede. Quindi si trattava di vedere come queste realtà si dovevano rapportare fra di loro.

La rivelazione di questa distinzione si trova nel primo capitolo della Genesi, laddove è detto che Dio è il creatore del cielo (shamaim) e della terra (eretz) volendo significare tutte le realtà sia corporee che spirituali.

È vero che nella narrazione dell’opera creatrice gli angeli non vengono esplicitamente nominati. La cosa appare piuttosto strana in un libro come la Scrittura, il cui interesse ed intento supremi sono proprio quelli di mostrarci come Dio è sommo Spirito e come l’uomo sia animato da un’anima spirituale, ben più importante del corpo e la cui beatitudine consiste nella visione celeste dell’essenza di Dio.

I Padri si sono chiesti dove in questo racconto si potrebbe rintracciare, almeno sottintesa, la creazione degli angeli. Essi infatti devono esser stati creati certamente prima dell’uomo, ed anzi la ribellione degli angeli deve essere avvenuta prima della stessa creazione dell’uomo, se è vero che il demonio entra nell’Eden per tentare i nostri progenitori.

Infatti il termine cielo significa non solo il mondo sidereo, ma anche quello degli spiriti, ossia gli angeli, considerati appunto dalla Scrittura esseri celesti, abitanti in cielo, dove qui per «cielo» non s’intende il mondo degli astri, ma l’orizzonte immateriale dello spirito, anzi l’orizzonte del divino, giacchè per la Scrittura il cielo in questo senso, è addirittura la residenza di Dio, che abita in cielo.

Anche la creazione della luce potrebbe significare, oltre alla luce fisica, anche la natura di quegli spiriti luminosi che sono gli angeli, ed anche lo stesso demonio, che, pur nel suo orgoglio essendosi accecato, conserva una penetrante luce sinistra che guida e fa guidare i peccatori sulla via della perdizione.

Nel descrivere l’opera divina della creazione dell’universo, la Scrittura precisa quelli che sono i componenti della sostanza materiale. Dio comincia con la creazione della materia prima, la terra (eretz), – la prote yle di Aristotele – affermando che essa era «informe» (tohu) e «vuota» (vabohu).

Questa materia prima è chiamata anche «abisso» (tehòm) inizialmente coperto dalle «tenebre» (hosek). Questa materia primordiale sono anche le «grandi acque» (mayim rabbim, per es. Ct 8,7), mentre lo «spirito di Dio» (ruach Jahvè) si muoveva su di esse, per significare l’atto divino che dà forma alla materia, quella forma che poi la cosmologia, dietro suggerimento di Aristotele, chiamerà forma sostanziale.  

Occorre ben distinguere la nozione biblica di acqua (mayim) dalle grandi acque, cose che possono significare anche il mare (yam). Mentre l’acqua è necessaria alla vita, purifica e disseta, le grandi acque rappresentano le forze gigantesche ed immense, sprigionate dalla sconfinata vastità dell’universo. Esse erano simboleggiate dalla vastità del mare, potenza fiera e grandiosa, dominata tuttavia da Dio, perché creata ed ordinata da lui per esser soggetta all’uomo.  

Nel mentre che dà forma alla materia, Dio crea la luce (or), che significa la forma che attuando la potenzialità della materia, allontana la tenebra nel senso che rende la materia partecipe della perfezione, bellezza e bontà della forma.

La luce (or), che allontana le tenebre, le quali non sono create perché esse sono la semplice assenza di luce, così come il nulla non è creato, perché è il semplice non essere e il vuoto non è creato, perché è la semplice distanza spaziale fra i corpi.

La luce è l’energia irraggiante sprigionata dalla sostanza materiale, congiunta al fuoco ed al calore e a tutte le energie, come quella chimica, elettromagnetica ed atomica, che evidentemente l’agiografo allora non poteva conoscere.

Successivamente Dio crea la vita, legata alla luce e al calore, ossia le sostanze animate, vegetali ed animali. Infine la Scrittura narra la creazione dell’uomo, supponendo l’esistenza della realtà materiale già creata all’inizio della creazione, descrive l’atto col quale Dio crea l’uomo traendolo da questa realtà materiale, significata qui dal suolo della terra (adamà), nel quale infonde il suo spirito, cosicchè l’uomo è creato ad immagine (tzelem) e somiglianza di Dio (kidmutenu). Il che vuol dire che Dio forma l’uomo dandogli come forma sostanziale l’anima spirituale, immagine e somiglianza di Egli stesso che è sommo Spirito (Ruach).

La Scrittura distinguerà poi nell’uomo due specie di animazione, un’animazione spirituale, che è quella che qualifica l’uomo come persona – lo spirito, quello che Aristotele chiama nus, ossia l’intelletto -, l’animazione sensitiva – quella che la Scrittura chiama nefesh, mentre San Paolo e Aristotele chiamano psychè – e il corpo, quello che la Scrittura chiama basar, mentre Platone ed Aristotele chiamano soma. In tal modo comprendiamo le parole di San Paolo «Tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo» (I Ts 5,23).

Ora, come è noto, S.an aolo presenta l’ideale del cristiano come quello dell’«uomo spirituale», della «vita secondo lo spirito», che «mortifica le opere del corpo», in lotta contro la «carne».  Paolo sembra prospettare l’ideale morale del cristiano non come unione di spirito e corpo ma come reciproca esclusione di forma e materia, di anima e corpo, di ragione e sentimento, di intelletto e senso, di volontà e passione di spirito e sesso, di forza spirituale e forza fisica.

Sembra che l’uomo si assommi nello spirito, come fosse un angelo, mentre il corpo sembra un nemico da combattere, vincere ed escludere. Ora, se così interpretassimo Paolo, cadremmo in un gravissimo equivoco, benché l’Apostolo, con espressioni poco felici ed opposizioni troppo calcate sembri proprio insinuare una cosa del genere. Se poi c’è un Autore biblico che valorizzi il corpo, questi è proprio Paolo, dottore della resurrezione del corpo. Dunque è chiaro che quando Paolo parla di mortificare il corpo, non intende il corpo come tale, ma una certa tendenza del corpo, che lo rende ribelle allo spirito. È quella che Paolo chiama «concupiscenza». È questa che occorre spegnere affinchè le tendenze e i piaceri del corpo siano in armonia con lo spirito.

Occorre fare attenzione a che cosa intende dire Paolo, quando, nel contesto del discorso ascetico, parla della «carne» (sarx). Egli, infatti, a seconda dei contesti parla della carne in due significati ben distinti: a volte, per «carne» intende la semplice parte materiale dell’uomo. Altre volte, invece con questo termine Paolo intende l’uomo fragile tendenzialmente ribelle a Dio.

Così può esistere uno spirito carnale o un corpo spirituale. La lotta tra lo spirito e la carne non è solo ribellione delle passioni alla retta ragione, ma è anche violenza e maltrattamento di una volontà rigorista e dello spirito dualista fatta al corpo e alle passioni. Non è che la spiritualità, come in Platone, sia buona per se stessa, mentre l’incentivo alla malvagità verrebbe dagli stimoli e dagli istinti del corpo della gola o del sesso. Al contrario, i peccati spirituali sono peggiori di quelli carnali. Meglio un lussurioso che sia umile, piuttosto che un casto superbo. I farisei sono peggiori dei sadducei. Come ci dimostra Cristo nel Vangelo, mentre la prostituta pentita si salva, il fariseo orgoglioso si danna.

I Padri non hanno trovato nulla di meglio di Platone.

Non conoscevano Aristotele

Ora, i Padri della Chiesa, alla ricerca di una fondazione filosofica dell’ideale proposto da S.Paolo, si son trovati davanti a due progetti morali antitetici: quello epicureo che mette al vertice della felicità il piacere e ignora  il vero piacere  spirituale, sicchè si finisce col vivere come gli animali.  E quello platonico, che pone al vertice dei valori i piaceri dello spirito escludendo quelli del corpo.

Davanti alle lodi che Paolo faceva della verginità, alla proposta paolina della vittoria dello spirito sulla carne,  a pensare alle cose di lassù e non a quelle della terra, a vivere nel corpo come se non si vivesse nel corpo,  al suo desiderio di lasciare il corpo per essere con Cristo, essi sentirono una forte ripugnanza per la prospettiva epicurea, che secondo loro riassumeva tutto lo spirito pagano anticristiano, e optarono decisamente per Platone[1], ben consapevoli tuttavia che per Platone la felicità non consiste nell’unione dell’anima col corpo, ma nella liberazione dell’anima dal corpo.

Avrebbero dovuto sospettare che in una simile prospettiva c’era qualcosa che non funzionava. E invece essi assunsero il dualismo platonico senza essere capaci di risolverlo. La Bibbia infatti, pur lodando la verginità e il primato dello spirito sul corpo, insegna che non solo lo spirito, ma anche il corpo è creato da Dio.

Egli è il creatore del cielo e della terra, degli spiriti e dei corpi, di tutte le cose materiali, destinate anch’esse, sul loro piano inferiore rispetto allo spirito, a recar piacere all’uomo, si tratti della salute fisica, del cibo, del sesso o dei beni economici o della terra natìa o degli strumenti della tecnica o delle opere d’arte o dei frutti del proprio lavoro o delle bellezze della natura.

Per Platone, se i piaceri e le apparenze fisiche e sensibili, se i desideri e le attrattive materiali, se le passioni del corpo distraggono, impediscono, ingannano, confondono od offuscano lo sguardo dello spirito, ottundono la sensibilità della coscienza, turbano l’animo, infiacchiscono la volontà, spengono il fervore dello spirito, inducono a peccare, bisogna dire che tutto ciò non proviene dalla corporeità o dalla passione o dall’immaginazione come tali, ma dalla loro corruzione o da un loro disordine.

Inoltre Platone sembra assicurare la dignità del conoscere con la sua teoria dell’intuizione o visione delle idee eterne ed immutabili, modello e paradigma delle cose materiali sensibili. Ma qui siamo daccapo. La visione delle idee, direttive intellegibili della perfezione morale dell’uomo e princìpi dell’ordinamento della natura e delle cose, era possibile solo superando le opinioni soggettive e ingannevoli date dai sensi. Per Platone, poi, sinceramente attratto dallo spirito e dall’ideale, ma diffidente nei confronti dei sensi, dell’immaginazione, delle emozioni e degli istinti, appare molto problematico in particolare il rapporto fra uomo e donna.

Gli antichi saggi pagani, non confortati come i cristiani da una vita di grazia, che riconcilia lo spirito col sesso e consente un sereno dominio delle passioni utilizzandole sapientemente a servizio e ad espressione delle virtù, quando avvertivano l’attrattiva delle realtà trascendenti, spirituali e divine, nonché quella dei valori morali e religiosi, si sentivano indotti a tenersi lontano dalle donne  e, colpiti dal fascino del loro sesso, non tenevano conto della spiritualità della donna e delle sue proprie doti spirituali femminili, per cui essa veniva sottovalutata e considerata meno atta alla virtù dell’uomo.

Essa appariva anzitutto come oggetto di piacere e procreatrice. Basti pensare che la parola vir significa ad un tempo uomo maschio ed è la radice del termine virtus. Da qui l’immemorabile ed universale convinzione della superiorità spirituale del maschio sulla femmina e lo stereotipo della donna come soggetto sensuale e volubile,

La donna, dal canto suo, tenuta in questa condizione di inferiorità, era essa stessa convinta di questa inferiorità e quindi non aspirava a sollevarsi al livello morale e intellettuale del maschio. È stata la rivelazione biblica ad insegnare all’umanità la pari dignità personale di uomo e donna nella loro reciprocità non solo sessuale, ma anche spirituale, laddove il c.2 della Genesi insegna che Dio crea la donna come aiuto all’uomo per dar senso alla sua esistenza e affinchè i due siano una sola carne. Il platonismo non ci garantisce la vera spiritualità

Ma ecco che nel platonismo vige l’aspirazione a poter fare a meno della materia per poter godere soltanto dello spirito. Ecco allora l’ideale maschile di poter vivere senza la donna[2]. Invece la donna non aspira a vivere da sola per impellenti bisogni dello spirito, per cui sente il bisogno di un marito che l’aiuti nel cammino della vita. Ma ecco che qui sorge per l’uomo e per la donna un trabocchetto. Platone, nonostante tutta la sua ritrosia e ripugnanza per i sensi, per le emozioni e per la materia, se voleva vivere, doveva ben farsi un’idea giusta di che cosa è il corpo e il piacere che esso assicura, per poterli valutare e confrontare con lo spirito.

Fine Prima Parte (1/2)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 28 maggio 2023

Occorre fare attenzione a che cosa intende dire Paolo, quando, nel contesto del discorso ascetico, parla della «carne» (sarx). Egli, infatti, a seconda dei contesti parla della carne in due significati ben distinti: a volte, per «carne» intende la semplice parte materiale dell’uomo. Altre volte, invece con questo termine Paolo intende l’uomo fragile tendenzialmente ribelle a Dio. 

Così può esistere uno spirito carnale o un corpo spirituale. La lotta tra lo spirito e la carne non è solo ribellione delle passioni alla retta ragione, ma è anche violenza e maltrattamento di una volontà rigorista e dello spirito dualista fatta al corpo e alle passioni. Non è che la spiritualità, come in Platone, sia buona per se stessa, mentre l’incentivo alla malvagità verrebbe dagli stimoli e dagli istinti del corpo della gola o del sesso. Al contrario, i peccati spirituali sono peggiori di quelli carnali.

Ora, i Padri della Chiesa, alla ricerca di una fondazione filosofica dell’ideale proposto da San Paolo, si son trovati davanti a due progetti morali antitetici: quello epicureo che mette al vertice della felicità il piacere e ignora il vero piacere spirituale, sicchè si finisce col vivere come gli animali.  E quello platonico, che pone al vertice dei valori i piaceri dello spirito escludendo quelli del corpo.

Immagini da Internet: Icaro.


[1] Cf Jean Daniélou, Messaggio evangelico e cultura ellenistica, Società editrice il Mulino, Bologna 1975; Endre von Ivanka, Platonismo cristiano, Vita e Pensiero, Milano1992.

[2] La Repubblica monastica del Monte Athos è uno splendido esempio di una cristianizzazione dell’ideale platonico, che però non si è liberato dal misoginismo del grande filosofo greco.

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