La Chiesa del terzo incluso.
di Chiara Giaccardi e Mauro Magatti
Lo scopo del
libro.
Il libro La scommessa
cattolica di Chiara Giaccardi e Mauro Magatti intende proporre un progetto
di azione per la Chiesa nella società contemporanea in fedeltà al mandato di
Cristo di annunciare il Vangelo a tutte le genti secondo una modalità di
linguaggio, che raccolga la sfida della modernità e a sua volta scommetta con
la modernità di avere, come dice la quarta di copertina, «da dire qualcosa di
inaudito al nostro tempo».
Il libro è animato da forti convinzioni e da una forte volontà di
persuadere, di stimolare e di incitare all’azione, moltiplicando gli argomenti,
le ragioni, le considerazioni, le motivazioni. Si direbbe un trattato di
apologetica. Gli Autori, certo, sono credenti, tuttavia non si basano sulla
fede, ma propongono la fede. Sembrano dire al moderno incredulo: scommettiamo
che la fede funziona nell’operare la vera grandezza e salvezza dell’uomo? E nel
contempo incoraggiano i credenti ad agire virilmente e generosamente sotto
l’impulso dello Spirito Santo in comunione con la Chiesa e col Papa. Una nuova
era si apre!
Parte dal concetto di una Chiesa che abbia bisogno di essere
svecchiata, irrobustita, resa più agile e dinamica, certa di avere un messaggio
di libertà per il mondo moderno, ossia la parola del Vangelo, tale da richiamare
verso Dio un uomo convinto di poter manipolare con la tecnica la propria
natura, «chiuso in una capsula senza
finestre» (p.15), che «non riesce più a vedere l’invisibile» (ibid.), prigioniero
di se stesso, ossia dell’assolutizzazione del proprio io, del soggettivismo
moderno nato da Cartesio[1].
Il soggettivismo moderno
È fatta molto bene l’analisi del soggettivista moderno, frutto dell’idealismo
e dell’immanentismo: «L’Io – soggetto e insieme oggetto del processo di
astrazione che accompagna la modernità» - ossia la riduzione dell’essere a pensiero
- «si costruisce così nel lungo tirocinio che lo porta a pensarsi distinto e autonomo
da tutto ciò che lo circonda (famiglia, comunità, storia, cultura ecc.). Distaccandosi
dalla tradizione, dai vincoli familiari, dalle appartenenze originarie, da Dio,
egli impara a pensarsi come un atomo autosufficiente ed autodeterminato. Un Io
astratto, affidato in realtà all’organizzazione sociale che gli promette
benessere e lunga vita» (p.28).
«Il paradosso sta nel fatto che, mentre l’Io personale (concreto)
diventa sempre più insicuro, l’Io ideale (astratto), bastando a se stesso,
arriva a convincersi di potersi autofondare, immaginandosi così Homo Deus, come recita il titolo di un
libro di Yuval N.Harari» (pp.29-30). «Così, sbarazzatosi di Dio, l’essere umano
si trova incapsulato in un sistema tecnoeconomico in perpetua espansione. Un
sistema che alla fine pretende di ridurre il soggetto a oggetto della sua
propria azione: senza verticalità né orizzontalità, l’eccedenza umana si
“scarica” solo nella dimensione materiale e individuale, producendo
accelerazione e frammentazione» (p.31).
Questa concezione dell’autocoscienza
del soggetto che intende Dio come orizzonte della propria autotrascendenza, escludendo
con ciò stesso un Dio trascendente, pone il soggetto al posto
di Dio, e concepisce la natura umana come manipolabile dalla volontà dello
stesso soggetto, risponde alla visione antropologica di Karl Rahner[2].
Più volte gli Autori accennano a questa
concezione dell’uomo che produce se stesso operando su di una natura umana, la
quale, privata dei suoi caratteri essenziali creati da Dio, appare come plasmabile
dall’azione tecnologica[3].
Questo principio dell’autoproduzione dell’uomo – l’io che pone se stesso – ha
origine cartesiana, ma è esplicitamente elaborato dall’antropologia di Fichte,
dal quale passa a Marx, per giungere fino a Gentile.
Gli Autori ritengono che il
soggettivismo moderno sia un’esplicitazione seppur deviata della prospettiva
della libertà dei figli di Dio, della quale parla S.Paolo, e che Lutero e
Cartesio hanno indirizzato in un senso immanentistico, che con il sec.XIX e
l’idealismo tedesco ha portato a sua volta a sviluppi panteistici, che si sono
rovesciati nell’ateismo marxista.
Compito dell’oggi è allora quello di
presentare il cristianesimo come religione della libertà, ma ovviamente libertà
come dono di Dio e non come tracotanza dell’uomo che si fa Dio. Al riguardo gli
Autori citano lo gnosticismo, recentemente condannato da Papa Francesco nell’esortazione
apostolica Gaudete et exultate
dell’anno scorso.
L’astratto e il concreto
Tutto il libro è percorso da una
polemica quasi ossessiva contro l’«astrazione»,
giudicata responsabile a proposito e a sproposito di una gran quantità
di mali e disgrazie nella storia del pensiero, soprattutto nella modernità,
dalla separazione alla divisione, al dualismo, al monismo, alla rigidità,
all’evasione dalla realtà, al conservatorismo,
al razionalismo, al soggettivismo, al rifiuto della concretezza, alla
violenza. L’astrazione sembra uno spettro, che ogni tanto compare nel testo e
subito viene scacciato con una serie di insulti. Siamo qui evidentemente
davanti a un’ interferenza emotiva extraintellettuale.
Il difetto del libro è quello di non
distinguere la buona dalla cattiva astrazione. Dimentica completamente il detto
scolastico abstrahentium non est
mendacium. L’astrazione è una operazione normale ed essenziale del
pensiero, per la quale esso coglie l’essenza universale e specifica astraendo
dal singolare concreto ed esistente: il concetto di «uomo» astraendo da questo
o quell’uomo.
Il contento astratto così ottenuto è
chiaramente indipendente dallo spazio-tempo, dove vige il divenire; tuttavia in
questo stato intramentale l’essenza conosciuta perde il suo essere esterno e
viene ad essere un’entità mentale. Ma
questo è il prezzo che il nostro pensiero deve pagare per sapere che cosa è
l’uomo. Il nostro intelletto può bensì intuire il concreto materiale, ma solo
servendosi dei sensi.
La concretezza appartiene anche alle
nostre singole azioni, in quanto applicazione nella realtà di princìpi
astratti, tra i quali può esserci la legge morale. Se per «concreto» s’intende il singolo
esistente come tale, anche la persona è una realtà concreta. In tal senso gli
Autori fanno bene ad esaltare la concretezza. Sbagliano nel disprezzare
l’astratto; e ciò meraviglia, dopo l’apologia che hanno fatto delle
«opposizioni polari», come vedremo. Infatti, supponendo l’inscindibilità del pensiero
dall’essere, non può darsi un concreto senza un astratto che lo pensi o possa
pensarlo, e non può darsi un astratto
che non possa riferirsi a un concreto.
La polemica degli Autori contro l’astrazione
vale invece contro l’idealismo, il quale, riducendo l’essere al pensiero, fa
effettivamente svanire il concreto nell’astratto. Ma nel contempo riducendo la materia
allo spirito, l’idealismo si capovolge in materialismo riducendo lo spirito
alla materia. Oltre a ciò hanno ragione gli Autori quando denunciano il dualismo,
per il quale l’astrazione dello spirito vede nella concretezza della materia e
della corporeità una forza nemica.
La vita è
fatta di contrasti
Gli Autori osservano come la vita presente è
fatta di contrasti inevitabili, dai quali, se affrontati con intelligenza, può
scaturire una crescita, una purificazione, un progresso. Citando Guardini
(p.23), essi chiamano tali contrasti «opposizioni
polari». Si tratta di coppie di forze o tendenze che
si escludono e ad un tempo si richiamano a vicenda.
Si tratta di quegli opposti che in filosofia
scolastica si chiamano «opposti
relativi»[4]. Sono due fattori entrambi positivi in
opposizione ma in armonia reciproca, la quale può essere di subordinazione,
come per esempio la relazione della materia alla forma o del corpo all’anima o
del senso all’intelletto o del pensiero al reale o dell’astratto al concreto o
del suddito al superiore o del mondo a Dio.
Ma il secondo termine può essere senza il
primo. La forma infatti può essere immateriale, l’anima può essere separata dal
corpo, la realtà potrebbe esistere senza l’uomo che la pensa, il concreto
potrebbe esistere senza l’astratto, un superiore può restare senza sudditi e
Dio potrebbe esistere senza il mondo [5].
Per questo la loro relazione è costruttiva, ma non è indissolubile.
Oppure l’opposizione può essere una relazione
di complementarità reciproca indissolubile su di un piano di uguaglianza, come
la reciprocità fra uomo e donna o in modo subordinato, come l’intelletto e la
volontà o l’essere e l’agire, o comunque relazione necessaria per la vita, come
il reciproco flusso di vita tra il cervello e il cuore.
Esistono però anche altri tipi di opposti che
vanno ben distinti dai primi e non sono tutti favorevoli alla vita e quindi
alla prospettiva cristiana, soprattutto escatologica. Abbiamo infatti anche gli opposti contrari[6],
i quali si pongono in un medesimo soggetto; sono entrambi positivi, ma non
possono esistere simultaneamente, per cui si succedono l’un l’altro, per
esempio in un medesimo ambiente fisico, il caldo e il freddo, o in un medesimo
agente, il digiuno e il pranzo, la gioia e il dolore, o le due virtù opposte
della giustizia e della misericordia o della mitezza e del coraggio. La vita
normale, sia fisica che spirituale, prevede l’esistenza e il funzionamento di
questo tipo di opposti, ma al momento giusto.
Esistono altresì gli opposti privativi[7],
per i quali l’opposto è una privazione: per esempio l’opposizione del falso al
vero, del male al bene, della morte alla vita, del vizio alla virtù, della
giustizia al peccato, della schiavitù alla libertà. Essi suppongono uno stato
di natura decaduta conseguente al peccato originale. È evidente che se nella vita presente questi
opposti sono intrecciati, nella vita eterna le privazioni scompariranno.
Occorre peraltro fare attenzione al fatto
che, come dicono gli Autori riferendo il pensiero di Guardini (p.190), se è
vero che tutti gli opposti «si possono
pensare solo l’uno per mezzo dell’altro»,
questo non vuol dire che debbano sempre e necessariamente esistere solo l’uno
insieme con l’altro. Non bisogna confondere, come fa Hegel, il concetto degli opposti con la realtà degli opposti. La reciproca
implicazione vale solo in campo dialettico, ma non necessariamente per tutti gli
opposti, nella realtà, soprattutto se sono opposti privativi o per
contraddizione. Altrimenti, addio coerenza del pensiero e addio vita eterna e
cristianesimo!
Gli Autori però sembrano ridurre tutte le
opposizioni all’opposizione per contraddizione[8],
per la quale i due termini si oppongono secondo l’affermazione e la negazione,
come a dire: Francesco è maschio e non-maschio. Non è possibile che Francesco
sia simultaneamente maschio e non maschio. S.Tommaso formula questo principio,
il cosiddetto principio di non-contraddizione, in questi termini: non est affirmare et negare simul idem sub
eodem respectu.
La logica scolastica aggiunge a ciò un
corollario: tertium non datur, come a
dire che al di là dell’affermare e del negare non c’è una terza possibilità.
Non c’è, come credeva Nietzsche, un «al
di là del bene e del male». Bisogna
scegliere. Se non si sceglie il bene, si sceglie il male. Non si sfugge. Invece
gli Autori dichiarano tranquillamente che «tertium
datur» (p.85), che per loro esprimerebbe la logica
vitale del paradosso (p.85), che sarebbe la logica del cristianesimo (p.24).
Invece
bisogna dire che il principio di non-contraddizione è quel principio di
coerenza e lealtà nel parlare, che Gesù Cristo enuncia ed inculca con le
parole: «il vostro parlare sia sì, sì, no, no: il
resto appartiene al diavolo» (Mt 5,36).
Qual è questo «resto»? È
evidentemente la terza possibilità. Per questo S.Paolo dice che «in Cristo c’è stato solo il sì» (II Cor 3,17). In questa ottica Cristo
afferma che non possiamo servire a due padroni (Mt 6,24). E ci avverte: «Chi non è con me è contro di me» (Mt 12,30). È chiaro che questo tipo di opposti è assolutamente inconciliabile
non solo col cristianesimo, ma con la stessa sana ragione. Quindi invocare qui
il «paradosso cristiano» è assolutamente fuori luogo.
Non possiamo infatti essere ad un tempo di
Cristo e del mondo, amare ad un tempo il vero e il falso, il bene e il male, o
stare deliberatamente in mezzo fra il sì e il no, come se tra di loro potesse
esserci un punto d’incontro. Cristo deve bastarci. Non c’è alleanza possibile
fra Cristo e Beliar (Cf II Cor 6,15). Qui non è lecita né possibile alcuna «opposizione polare», alcuna
reciprocità, alcuna mediazione. Ci può essere l’oscillazione del dubbio, ma la
persona onesta che dubita sa già in partenza che una verità determinata esiste
– o sì o no -, anche se non la conosce.
Bisogna dire allora che il principio di non contraddizione osservato nel
linguaggio ha come conseguenza in morale la limpidezza e l’onestà del parlare e
il ripudio della doppiezza e dell’astuzia. L’erigere invece la contraddizione a
sistema o la rassegnazione ad essa in modo fatalistico, crea persone false,
infide, opportuniste ed ipocrite.
Da qui si vede come gli Autori confondono il
paradosso cristiano con la contraddizione (p.24). Il paradosso cristiano – per
esempio la fede nel mistero della croce - non ha niente a che vedere con
un’opposizione della fede alla ragione, come credeva Lutero, ma si tratta di
una contraddizione apparente, che viene sciolta dalle spiegazioni fornite dalla
teologia e del magistero della Chiesa.
Viceversa in altre coppie di opposti citati
dagli Autori non c’è alcuna reciprocità alla pari, ma opposizione relativa di
subordinazione del primo al secondo termine, come tra corpo e spirito, tra
soggetto e oggetto, tra individuo e società, tra sentimento e ragione, tra
divenire ed essere, perché qui il secondo termine può stare senza il primo o
prevale sul primo, ma non il primo senza il secondo.
In tal modo gli Autori, confondendo reciprocità
e contraddizione, sembrano voler proporre un cristianesimo adagiato nella
contraddizione o rassegnato alla contraddizione, quasi si trattasse di una
situazione insuperabile e addirittura normale. Non fanno apparire la
trascendenza della futura vita eterna libera dalle contraddizioni di questo
mondo. Dicono infatti che bisogna «imparare
a non voler risolvere, bensì ad abitare la tensione tra il mondano e il divino,
il personale e il comunitario, lo spirituale e il corporale, la preghiera e
l’azione, la riflessione e la prassi, il bello e il funzionale, la potenza e
impotenza, l’io e il noi» (p.87).
Inoltre, la loro proposta di rinnovamento
della Chiesa risente del loro metodo del tertiun
datur. Si tratta di una tendenza purtroppo diffusa fra i sociologi, a
giocare con una certa duplicità fra il piano dei fatti umani, che costituisce
l’oggetto della loro disciplina, e quello dei doveri morali, che costituisce
invece l’oggetto della scienza morale e dell’etica cristiana. Il sofisma del
quale fanno uso, giustificato dal tertium
datur, consiste nello scivolare abilmente e surrettiziamente dal piano
empirico della sociologia a quello ideale della morale o in altre parole dalla
riduzione della morale a
sociologia, elevando a norma ciò che è il semplice dato di fatto più o meno
diffuso.
C’è da dire pertanto che la persona doppia
del tertium datur è una persona
astuta, viscida, tortuosa e sfuggente. Gesù la paragona al serpente o alla
vipera. Essa, per non essere messa alle strette e riconoscere di avere torto, ricorre
a vari espedienti come quello di contrattaccare con calunnie o deviare o
spostare i termini del discorso o addirittura il ricorso alla menzogna negando
di aver detto quello che ha detto.
La grande risorsa della persona doppia è la
parola ambigua e a doppio senso, che le consente di affermare allo stesso tempo
A e non-A, così da avere sempre, nel caso che rischi di essere presa in fallo,
una via di uscita e di apparire del tutto a posto. La persona doppia rifugge
dal dibattito leale, perché sa che perderebbe e per questo ricorre ai suddetti
espedienti, che ingannano gli ingenui. La discussione assomiglia qui a una gara
sportiva nella quale si vince barando al gioco. Nello sport come nelle
discussioni teologiche non è proibito voler vincere, se si hanno buone ragioni
e se si sta alle regole del gioco. Ma chi perde deve sapersi arrendere.
Dobbiamo dire, pertanto, che la proposta avanzata
dagli Autori, per quanto fatta con fervore ed entusiasmo, essendo basata su
questo criterio sociologistico, viziato di duplicità, si illude di offrire un
chiaro e credibile progetto per il futuro, ma in realtà è il vecchio progetto
riverniciato del modernismo, un progetto perdente e che quindi non ne vale la
pena di riproporre. Il futuro, che ci attende, senza negare le conquiste fatte
dal dopoconcilio[9], è in gran parte la riscoperta di valori
dimenticati[10]. È da
qui che bisogna partire per andare oltre. Ciò non ha nulla a che vedere col
conservatorismo, perché si tratta di ritrovare le condizioni per andare avanti.
E invece gli Autori purtroppo ragionano in
questo modo: oggi c’è antipatia per la dottrina (pp. 65, 66, 73, 75, 167), per
l’astrazione (pp.183, 186, 187), per i valori perenni, per la metafisica, per
una verità assoluta, per una fede intellettuale («adesione», p.65s), e per il
dogma? Ebbene, accantoniamo la dottrina, l’astrazione, i valori perenni, la
metafisica, la verità assoluta, la fede intellettuale e il dogma (pp.89, 158,
159, 188), e promoviamo l’esperienza, la prassi, il mutamento, la narrazione, il
mito, la concretezza esistenziale, la fede atematica, adogmatica ed affettiva
(pp.81, 158, 167), la relatività della verità (pp.88, 122, 159, 162). Il
cristianesimo non ha niente di più delle altre religioni. Non dobbiamo
convertire nessuno (p.81). Per evitare la rigidezza e il conservatorismo, tutto
dev’essere flessibile, in movimento e mutevole (p.122).
Nella Chiesa troviamo assenza di precisi
confini, accoglienza indiscriminata,
confusione, esclusivismi, disunione, discordia, lacerazioni, tensioni, contraddizioni,
spinte dal basso, relativizzazione della tradizione, del magistero della
Chiesa, della gerarchia (p.93) e dell’autorità del Papa? Ebbene, tutto ciò è
normale, è la novità dello Spirito, è il prezzo della libertà, è l’annuncio del
futuro, è effetto del «concreto vivente» di Guardini, è la legge degli «opposti
polari», è il moto dialettico della vita. È l’applicazione del tertium datur. È il paradosso cristiano.
È lo scandalo della fede.
Non si accetta più un Dio onnipotente ed
adirato che castiga il peccato e manda per amor nostro suo Figlio a compensare
l’offesa subìta, e a sacrificarsi e ad espiare per i nostri peccati, ma si vuole un Padre non Signore
«onnipotente» (pp.177-178) ma un buon nonnino, tutto tenerezza, comprensione e
misericordia, tutto al servizio dell’uomo, che non intimorisce e non punisce
nessuno, non chiede sacrifici o rinunce a nessuno, non chiede nessuno sforzo a
nessuno, ma che, faccia costui quello che faccia, non deve preoccuparsi, perché
il Padre è un buon Padre, che perdona tutti perché in fondo tutti sono buoni e
porta comunque tutti in paradiso?
Ebbene, secondo gli Autori, è proprio questo ciò che è voluto dal Concilio e
che corrisponde al rinnovamento della Chiesa.
Una proposta
alternativa
La Chiesa, travagliata da conflitti interni,
con un Papa che fatica a governare la barca di Pietro, squassata da un mare in
tempesta, ha effettivamente bisogno oggi di forti convinzioni, di rinnovate
motivazioni ed energie, di incoraggiamento ed entusiasmo operativo per essere all’altezza
del mandato che Cristo le ha affidato e per affrontare le sfide del nostro
tempo, tra le quali vi sono forze possenti che la vogliono morta o per lo meno
la vogliono soggiogare.
Il compito ancor oggi resta quello della
piena realizzazione del programma del Concilio Vaticano II. Volendo fare un
bilancio dei risultati a 50 anni dalla sua fine, ci stiamo accorgendo sempre
meglio di tre cose.
Prima. Gli insegnamenti dottrinali sulla Chiesa, sulla dignità umana, sulla divina
rivelazione, sul rinnovamento della vita cristiana, sacerdotale e laicale sono spesso interpretati in un senso
modernista-secolarista, nonostante la pubblicazione del Catechismo e gli sforzi dei Papi fino a Papa Francesco di proporre
la retta interpretazione.
Seconda. Tra le direttive pastorali del Concilio, alcune
mantengono la loro validità, come quelle
sulla liturgia, sulla mariologia, sulle missioni, sull’ecumenismo, sulla libertà
religiosa e sul dialogo interreligioso. Purtroppo però anche qui girano false interpretazioni,
non sufficientemente corrette dal magistero. Invece, per quanto riguarda la parte
della Gaudium et spes dedicata al rapporto
Chiesa-mondo, si è sempre più manifestata
una tendenza buonistica, troppo ottimista, che ha bisogno di essere corretta.
Terza. Purtroppo il libro in esame, pur con tutti
i suoi aspetti positivi e il suo sforzo di proporre un sano rinnovamento
lontano sia dal conservatorismo che dal modernismo, non riesce nell’intento e mantiene
gli errori denunciati sopra sia dei modernisti, che dello stesso Concilio, circa
i quali Papa Benedetto XVI, primo fra i Papi del postconcilio, riconobbe in un colloquio
con i lefevriani che il Concilio ha aspetti «discutibili» nella pare pastorale,
anche se non nella parte dottrinale, fraintesa dai modernisti. Ci auguriamo che
Papa Francesco tenga conto di queste osservazioni di Papa Benedetto.
P.Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 13 novembre 2019
[1] Cf pp.20, 174, 190.
[2] Cf il mio libro Karl Rahner. Il Concilio tradito, Edizioni Fede&Cultura, Verona
2010, capp. 3 e 5.
[3] Cf pp.43, 58, 84, 1311, 136, 163, 189.
[4] Cf J.Gredt, Elementa
philosophiae aristotelico-thomisticae, Herder, Friburgi Brisgoviae 1937,
vol.I, n,18, p.19.
[5] Cf J.Gredt, op.cit., vol.I, n.18, p.19.
[6] Gredt, ibid.
[7] Gredt, ibid.
[8] Gredt, ibid.
[9] Cf il mio libro Progresso nella continuità. La questione del Concilio Vaticano II e del
post-concilio, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2011.
[10] In ciò si riassume l’opera
teologico-pastorale del Servo di Dio Padre Tomas Tyn.
Rev. Padre Giovanni.
RispondiEliminagli autori del saggio che lei qui recensisce, hanno scoperto la logica fuzzy (sfumata, in italiano) e l’applicano alla pastorale e alla fede.
Una genialata!
Come succede spesso, quando la Chiesa vuole sembrare aggiornata, moderna, anzi postmoderna, con l’intento di riempire chiese vuote, sortisce l’effetto opposto e cade nel ridicolo.
La logica sfumata è una tecnologia informatica che serve per regolare automaticamente dei sistemi: per alcune lavatrici, ad esempio, la biancheria non è “pulita o sporca” (logica aristotelica), bensì “pulita e sporca in una certa misura” (logica buddista), per adeguarvi la quantità di detersivo e la durata del lavaggio.
In altre parole non vi è più “la verità” ma “gradi di verità”; non si appartiene più all’insieme dei credenti o a quello dei non credenti, ma si appartiene tutti all’insieme dei credenti, solo che vi si può appartenere nella misura che si vuole: l’ovile evangelico non ha più un recinto definito, un dentro (pulito) e un fuori (sporco). Saremmo invece tutte pecore smarrite, compreso il clero, che se non serve a fare chiarezza non serve a nulla (e infatti si sta estinguendo).
È la “chiesa in uscita” di papa Bergoglio; è la chiesa del "dubbio" di Enzo Bianchi. Entrambi convinti, probabilmente, come gli autori del saggio, di saperne di più del Buon Pastore giudicato troppo divisivo.
È la Chiesa che non sopporto: quella disposta ad accettare anche “credenti fuzzy”, fedi di una certa misura più vicina allo 0 che all’1 come la mia!
Io invece voglio essere convertito, voglio la fede, non m’importa nulla delle idee politiche del clero. Mi interessa il destino ultraterreno: riguardo le cose di questo mondo, non interpello certo papa e vescovi e dipendenti sul loro libro paga. Preferisco sbagliare con la mia testa. E non credo certo d’essere il solo a pensarla così.
Nel ridicolo tutti questi signori cadono a messa, dopo la predica edificante, quando recitano il “credo” che invece è espressione di fede granitica, ossia di logica aristotelica ferrea come un teorema di Euclide, del quale il suo confratello Tommaso era sicuramente un estimatore.
San Nicola ha menato Ario: ecco, penso che i miscredenti abbiano bisogno di un clero alla San Nicola dalle idee chiare e disposto anzitutto a ripulirsi per bene.
Saluti cordiali.
Caro Carlo, Aristotele ammette accanto alla logica della non contraddizione o del terzo escluso anche una logica della gradualità, nel senso che un panno può essere più o meno sporco oppure più o meno pulito.
RispondiEliminaLa prima è la logica dell'aut-aut; la seconda è la logica dell'et-et.
Per quanto invece riguarda la fede, Gesù distingue chiaramente chi crede da chi non crede. L'idea che siamo tutti credenti, è una idea sbagliata di Rahner.
Certamente poi, all'interno della fede, ci possono essere diversi gradi: un conto è la mia fede e la tua fede, e un conto è la fede della Madonna o di San Paolo.