Uomini segni di contraddizione per l’umanità (Prima Parte - 1/2)

 Uomini segni di contraddizione per l’umanità

Prima Parte (1/2)

Come si spiega il permanere nei secoli e nei millenni

di errori teologici confutabili e confutati?


Nella storia ogni tanto compaiono uomini straordinari, dotati di una speciale capacità di influire sugli altri nel bene come nel male, uomini superdotati, eccezionali, che giganteggiano tra i comuni mortali, e che dividono l’umanità pro o contro Dio lasciando traccia di sé e delle loro idee nei secoli e millenni, uomini che lanciano un messaggio o insegnano una morale e una dottrina, che nei secoli seguenti sono conservati e diffusi con venerazione e zelo da una schiera di seguaci, ma sono anche nel contempo contraddetti ed osteggiati appassionatamente da una schiera di oppositori.  Uomini benedetti e maledetti, ignorati e famosissimi, amati fino al fanatismo ed oggetto di odio feroce, accettati globalmente e rifiutati globalmente. Come si spiega tutto ciò?

Col buon senso ci verrebbe fatto di dire: ma se in tale messaggio o dottrina sono contenuti degli errori e i suoi oppositori li hanno confutati; se nella vita dei maestri di quegli errori i vizi non mancano, come si spiega che i seguaci continuino a difenderli?

Se gli errori dei Veda, del Budda, di Parmenide, di Eraclito, di Platone, dei politeisti, di Ario, di Nestorio, di Eutiche, di Apollinare, dei monofisiti, dei doceti, degli gnostici, dei pelagiani, dei panteisti, dei materialisti, di Lutero, di Cartesio, di Kant, dei massoni, di Hegel e di Marx sono stati mille volte confutati, come si spiega l’ostinazione inflessibile dei loro seguaci?

Se l’uomo è fatto per la verità, come mai tanti errori? Se è un animale ragionevole, come mai solo pochi sanno ragionare bene nelle cose più importanti? Se l’uomo è fatto per Dio, come mai poi sembra che pochissimi lo cerchino sul serio? Se la Chiesa è la comunità della salvezza, come mai tanti non vi entrano e magari vi escono?

Si nota spesso più fedeltà e cocciutaggine nell’errore che perseveranza nella verità. Magari certi religiosi o sacerdoti fossero così fedeli alla loro vocazione come sono perseveranti certi atei al loro ateismo! E come mai certi atei sono più sicuri del loro ateismo che non certi credenti della loro fede?

Sapendo che l’uomo è naturalmente fatto per la verità, per il bene e per Dio e che da 2000 la Chiesa lavora per la salvezza dell’umanità, sorprende che

- da 3500 anni gli induisti, nonostante tutte le prove in contrario fornite loro dai buoni filosofi e dai missionari, continuino a credere che il loro io è l’apparizione empirica, illusoria, fastidiosa e passeggera del loro Io profondo assoluto e divino;

- dall’antichità esiste l’ateismo, quando la ragione può dimostrare l’esistenza di Dio con assoluta certezza, mentre l’ateismo è una teoria stolta ed insostenibile;

- da 2600 anni i buddisti, nonostante tutte le prove in contrario fornite loro dai buoni filosofi e dai missionari, continuino a credere di poter giungere ad essere illuminati dalla ineffabile beatitudine assoluta, priva di qualunque forma o determinazione, mediante la soppressione di tutti i desideri;

- da 2000 anni gli Ebrei continuino a respingere Gesù il Nazareno come Messia Figlio di Dio e Re di Israele, Salvatore dell’umanità, dopo tutti i segni da Lui dati e tutte le infinite prove che da 2000 anni la sua Chiesa sta dando della sua credibilità;

- da 1400 anni i musulmani continuino a credere l’impossibilità del mistero Trinitario, dell’Incarnazione e della redenzione, dopo che da 1400 anni la Chiesa. mediante i suoi teologi e missionari ha loro spiegato che in queste dottrine non c’è alcuna impossibilità, ma anzi sono salutari e beatificanti;

- da 1000 anni la Chiesa di Costantinopoli continui a rifiutare il Filioque, dopo che da 1000 anni la Chiesa Romana le ha assicurato, adducendo prove decisive, nel nome di Cristo, che la formula è ortodossa e salutare;  

- da 500 anni i luterani, infischiandosi di tutte le correzioni fatte loro dalla Chiesa a cominciare dal Concilio di Trento fino all’attuale Catechismo della Chiesa Cattolica, continuino a voler sostituire la «fede» (come la intendono loro) alla religione, nella falsa convinzione che Cristo rivela a loro – questa sarebbe per loro la «fede» - che l’ingresso nella vita eterna non è condizionato dall’osservanza dei comandamenti e dalla partecipazione al sacrificio di Cristo, ma che si salveranno gratuitamente, comunque vadano le cose, perché, avendo fede di salvarsi, non devono temere il castigo, e sono con ciò stesso in grazia di Dio. Essi,  è vero,  non possono evitare il peccato, ma essendo perdonati da Dio, per loro il peccato non è più peccato, ma sono liberi dal peccato, e possono agire come vogliono, per cui, essendo oggetto della divina misericordia, sono dispensati dall’obbedienza  alla legge.

- da 400 anni i cartesiani, benché confutati un’infinità di volte dai filosofi cattolici e condannati dalla Chiesa nel 1663, continuino a sostenere il loro idealismo contro il realismo, inganno gravissimo, che, come hanno dimostrato le conseguenze della loro filosofia, ha condotto agli errori di Hegel e di Marx.

Il perchè dell’ostinarsi degli uomini nell’errore

si scopre considerando la prima origine del loro smarrimento.

 

Per un’adeguata risposta agli interrogativi di cui sopra, che si chiedono come spiegare la persistenza di errori che durano nei secoli e nei millenni, bisogna andare molto indietro nella storia dell’umanità e prender atto del racconto biblico del peccato originale, della sua natura, delle sue cause e delle sue conseguenze. Infatti il peccato originale ha prodotto divisioni e conflitti dappertutto: dell’uomo con Dio, di ciascuno con se stesso, degli uomini fra di loro, dell’uomo con la donna, dell’uomo con la natura. L’umanità è stata divisa in due: umanità per Dio e umanità contro Dio.

Così la Sacra Scrittura ci presenta un umanesimo sano e benèfico ed un umanesimo corrotto e malvagio: abbiamo l’opposizione paolina fra l’uomo carnale e l’uomo spirituale o quella giovannea fra i figli di Dio e i figli del diavolo. Questi ultimi continuano spavaldamente a commettere il peccato dei progenitori, che hanno voluto essere come Dio, peccato che trova il suo culmine nell’«iniquo» escatologico, del quale parla San Paolo, «colui che si contrappone e s’innalza sopra tutto ciò (epì panta) che vien detto “Dio” o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio additando se stesso come Dio» (II Ts 2,4).

I peccati contro Dio si riducono a due generi: i peccati carnali, che offuscano l’occhio dell’intelletto, frenano lo slancio verso l’alto della volontà, fanno deviare il suo orientamento dallo spirito alla carne, ne indeboliscono la forza, la rendono schiava delle passioni e degradano l’uomo al livello della bestia.

Gli altri sono i peccati spirituali, effetto della superbia, che sono all’origine dei primi, perché mentre i primi suppongono una natura già divisa tra spirito e carne a causa del peccato, il peccato di superbia fu quello della coppia primitiva nella quale il peccato non poteva venire dalla tentazione carnale, perché in essa la carne era in armonia con lo spirito, ma potava provenire solo da una ribellione della volontà causata da una presunzione delle proprie forze e da un’eccessiva autostima dell’intelletto o considerazione di sé.

L’inganno genesiaco del demonio infatti, è consistito nel presentare Dio ai progenitori non come padre, ma come tiranno oppressore, geloso del suo potere, timoroso che l’uomo possa impadronirsi della sua potenza divina, un Dio tiranno con la pretesa di essere lui il legislatore dell’uomo, di dettargli ciò che è bene e ciò che è male, così poi da chiamare l’uomo a dover render conto a lui del suo operato, mentre invece, secondo l’inganno del diavolo, all’uomo, mangiando del frutto proibito, «si sarebbero aperti gli occhi e sarebbe diventato come Dio, decidendo di ciò che è bene e ciò che è male». L’uomo, cioè, sarebbe giunto a decidere per conto proprio ciò che è bene e ciò che è male, per cui non avrebbe dovuto rispondere del proprio operato a Dio, ma solo davanti a sé stesso.

Mangiare del frutto dell’albero del bene e del male significava la pretesa di impossessarsi di un potere che spetta solo a Dio. Quando l’uomo arroga a sé ciò che appartiene a Dio, perché ciò procura la morte? Perché l’uomo resta schiacciato da un potere sovrumano, che non riesce a gestire, similmente a un fanciullo inesperto che si mettesse al volante di un’automobile: un’impresa superiore alle sue forze che lo porterebbe al disastro. Chi pretende di impossessarsi di un potere divino senza poterlo gestire è uno stolto che procura guai a sé e agli altri.  

È stupefacente come i progenitori, che sapevano benissimo di esser stati creati per amore da un Dio Verità assoluta, nonché onestà e bontà infinita, possano esser giunti a ritenere Dio un bugiardo e a credere in un impostore sapendo che era impostore, del quale infatti avevano la scienza infusa.  Dovevano bene averne conoscenza! Che cosa mai potevano attendersi dal serpente? Non dovevano immaginare le conseguenze? Quindi non sono stati ingannati in buona fede, ma hanno voluto autoingannarsi. E con ciò hanno gettato l’intera umanità nella responsabilità di scegliere o per Dio o per il diavolo.

E per questo hanno peccato. In questa vita può capitare anche ad un santo di essere momentaneamente ingannato dal demonio, ma essendo in buona fede, resta innocente e Dio non manca di disingannarlo al momento giusto. Invece quando Eva dice «il serpente mi ha ingannata» è una bugiarda.  Se fosse stata sincera, avrebbe dovuto dire: «per la mia superbia ho preferito dar retta al serpente piuttosto che a Te».

E Adamo, dal canto suo, mostra un atteggiamento vigliacco, e non meno abbietto, mostrandosi padre di tutti gli antifemministi, con lo scaricare la sua colpa su Eva e quasi insinuando empiamente di porre l’origine della colpa di Eva in Dio stesso creatore di Eva (Gen 3,12).

Ma a questo punto giunge il tragico, che da questo momento in poi l’umanità si divide. Sorgono quelli che San Giovanni chiama «figli di Dio» e «figli del diavolo» (I Gv 3,10). Chi si pente dei propri peccati vuol tornare a Dio e chi non si pente, vuol continuare a stare col diavolo. Dio aveva voluto gli uomini tutti fratelli e continua a volerli tali, nonostante la prima frattura, avvenuta già tra i due figli di Adamo ed Eva, Caino ed Abele e nonostante gli infiniti conflitti avvenuti nel corso della storia. Ma Dio non s’arrende.

E per questo Egli ci ha mandato suo Figlio, il quale non solo ribadisce il comando genesiaco di essere tutti fratelli, ma rafforza questo vincolo naturale con l’aggiunta della figliolanza divina, fondata sul Mistero Trinitario, ossia l’esser figli del Padre, fratelli di Cristo, mossi dallo Spirito Santo, anche se resta a ciascuno la possibilità di accettarla o rifiutarla.

Certo l’umanità, anche dopo Cristo, continua a dividersi. Ma Egli ha inserito nella pasta della nostra povera umanità un lievito di vita divina, che è la Chiesa, fattore invincibile di riconciliazione, di unità, di concordia e di pace nella luce del Vangelo. Essa, come ci dice l’Apocalisse, è in lotta col Drago infernale e i «figli del diavolo», che però essa vincerà definitivamente al Ritorno escatologico del Signore.

Tuttavia la divisione dell’umanità non è così netta da non ammettere, dopo il peccato originale, da una parte la comune condizione di peccatori e dall’altra l’esistenza in tutti, anche nei peggiori, di risorse positive, sicchè quaggiù non c’ è giusto che non abbia difetti e non c’è malvagio che non abbia lati buoni.

Tutti devono prender posizione e decidersi davanti a Gesù Cristo

Da duemila anni è venuto nel mondo il Verbo incarnato, Nostro Signore Gesù Cristo. Egli, come dice il vecchio Simeone, «è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perchè siano svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 2,34).

Con queste parole di Simeone paiono collegarsi le altre di Cristo stesso, con le quali dice di non esser venuto «a portare pace sulla terra, ma una spada» (Mt 10, 34), non ad unire, ma a «separare» (v.35). Gesù suscita conflitti non per il gusto di farlo, ma perché, venendo in un mondo dove ha già dei nemici, la sua testimonianza non potrà non suscitare la loro reazione. Nel contempo i suoi discepoli dovranno esser pronti a vincere questi nemici. In tal modo tutti i conflitti della storia in un modo o nell’altro, espressamente o implicitamente, mettono sempre in gioco l’adesione o l’opposizione a Cristo, sia esplicita che implicita. Anche in un conflitto fra cristiani, ci sarà sempre chi è veramente contro Cristo e chi lo è solo apparentemente.

Cristo ha dato prove chiare della sua missione divina e della sua divinità, del suo amore insuperabile per Dio e per gli uomini, e della sua divinità. Nessun altro fondatore di religione ha preteso di essere il Figlio di Dio, dandone molte prove. Con Cristo quindi non si tratta di credere in un uomo, per quanto grande, ma in Dio stesso. Infatti con Cristo è Dio stesso fatto uomo che, nella potenza dello Spirito Santo, guida l’umanità alla giustizia, alla libertà, alla salvezza, alla pace, alla santità, alla beatitudine.

 Cristo “sa che cosa c’è nel cuore dell’uomo” (cf Lc 9,47), perché Egli stesso come Dio è creatore dell’uomo. Egli obbliga tutti a scegliere il proprio destino, mette in luce qual è la scelta di fondo di ciascuno. Fa capire le intenzioni recondite degli uomini. Tutti devono fare i conti con lui. Cristo tocca le corde segrete di ogni cuore. Interessa tutti, nel bene come nel male. Non gli si sfugge nulla. Davanti a Cristo è impossibile essere neutrali, restare indifferenti. Egli obbliga a scegliere. O lo si ama con tutto il cuore come Dio perché si viene da Dio o lo si odia perché si è servi del diavolo.

Invece negli altri fondatori di religioni le virtù, magari anche eccelse, sono però miste a difetti, a volte anche gravi; la loro sapienza, per quanto alta, è mista ad errori; la loro missione, la loro opera, il raggio d’azione, le loro finalità, il loro influsso, per quanto vasti ed efficaci, sono limitati nello spazio e nel tempo e non senza difetti. Non necessariamente ogni uomo deve fare i conti con loro, anche se attirano folle immense nei secoli e nei millenni. Non accontentano le esigenze di tutti.

Nessuno di questi grandi uomini è tale da far dipendere il destino di ogni uomo da lui, ma impegna o mette in gioco solo una porzione limitata di umanità. Non è capace di offrire a tutti benessere, felicità e salvezza. Non è necessario a tutti perché possano arrivare a Dio. Non aiuta a vincere tutte le difficoltà, tutti gli ostacoli, tutti i nemici che si oppongono alla felicità di tutti.

La loro azione non risponde a tutti i bisogni degli uomini, non possono comprendere tutti i deboli, scaldare tutti i cuori, consolare tutti gli afflitti, illuminare tutte le menti, frenare tutti i malvagi; non sanno soddisfare tutti i loro desideri, non possono far giustizia di tutti i delitti, non possono premiare tutti i giusti.

La religione da loro fondata, per quanto dotata di valori e di personaggi eminenti, non è capace di abbracciare tutta l’umanità e di persuadere tutti, è ben lontana dal competere con la Chiesa cattolica in unità di organizzazione, in sapienza teologica e morale, nell’universalità della dottrina e dei costumi, nella fedeltà al Fondatore attraverso la catena storica dei suoi successori, nella svariatissima ed utilissima fecondità delle opere, nella molteplicità dei suoi santi, nella credibilità della sua testimonianza davanti al mondo, nella capacità di santificare gli uomini e di condurli a Dio.

Non è proibito paragonare con Cristo i fondatori delle altre religioni, specialmente Mosè; ma resta il fatto che la sola religione cristiana ha Dio stesso per fondatore, per cui è evidente che contiene la pienezza della verità ed è esente da qualunque errore, lacuna o difetto. Nessuna religione rivela il mistero intimo della divinità, ossia il Mistero Trinitario, ma anche le più elevate non ci danno un’immagine di Dio superiore a quella che può essere conseguita dalla religione naturale. Nessuna salva grazie al sacrificio dell’uomo-Dio.

La pluralità delle religioni risponde a due fattori: uno dipendente dalla divina Provvidenza, che ha disposto diverse vie o per arrivare a Cristo, o che partono da Cristo; e un altro fattore, che è la conseguenza del peccato originale, cosa che comporta i loro errori e i loro vizi.

Il dialogo interreligioso serve quindi a due scopi: la mutua complementarità, laddove siamo sul piano dei valori e stimolare i cattolici ad adoperarsi con ogni mezzo lecito, evitando il proselitismo, per avvicinare a Cristo i fedeli delle altre religioni

È possibile snobbare Cristo? Le cose vanno bene lo stesso?

Molti credono di poter vivere come se Cristo non esistesse, volti ad altri interessi. E invece di fatto Cristo è l’uomo che fra tutti suscita il più grande amore e il più feroce odio. Infatti davanti a lui si è davanti a Dio. Si può sfuggire a Dio? No, occorre comunque prender posizione. L’uomo deve necessariamente scegliere tra il bene e il male. Ora, è impossibile fare il bene se, almeno inconsciamente, non si è in contatto con Cristo e non si oppone almeno implicitamente a Satana. Così similmente chi fa il male è almeno implicitamente contro Cristo e per Satana.

Infatti, mentre Cristo è il principio del bene, Satana è il principio del male. Non si tratta di manicheismo. Se il bene è una sostanza, è Cristo in persona, il male non è una sostanza, non è il diavolo, ma sono le opere del diavolo e dei suoi seguaci. In tal modo, mentre è possibile un bene perfetto, privo di qualunque male, come l’essere con Cristo, anche là dove trionfa il male, il bene non manca, perché il male non esisterebbe se non fosse soggettato in una persona e se non fosse fatto da una persona, la quale, se è cattiva nel suo operare, è buona nel suo essere, in quanto creatura di Dio.

Molti comunque oggi danno ad intendere o danno mostra di non nutrire interesse per Cristo, affettano di non prenderlo in considerazione, di poter fare a meno di misurarsi con lui. Gli umanesimi sorti negli ultimi secoli, da quello magico-rinascimentale a quello rosacrociano, a quello illuminista, massonico, kantiano, hegeliano, positivista, marxista, esistenzialista, fenomenologico, freudiano, nicciano, heideggeriano ci assicurano che si può vivere bene senza Cristo se non proprio contro Cristo.

I seguaci di questi umanesimi credono di stare bene lo stesso, credono di poter edificare un umanesimo o una società senza Cristo, o addirittura senza Dio, anche senza occuparsi di lui, senza fare attenzione a lui. O magari limitandosi a considerare Cristo come un semplice leader religioso tra molti altri, quando non esiste una vera e propria ostilità al cristianesimo, come nei seguaci di Nietzsche o di Freud o di Marx.

Inoltre, tra Cristo e i fondatori delle altre religioni, certo, c’è qualche somiglianza, perché in tutti c’è la preoccupazione del bene dell’umanità, la volontà di orientarla a Dio, la volontà di grandezza dell’uomo nella luce di Dio, la liberazione dell’uomo dal male grazie al culto di Dio.

Ma in sostanza fra la religione cristiana e le altre c’è una differenza abissale. Così similmente fra l’uomo e Dio, benché l’uomo sia creato ad immagine e somiglianza di Dio, c’è una differenza abissale. E le religioni gnostiche, che vorrebbero uguagliare l’uomo a Dio sono delle tragiche illusioni. Parimenti sono disumane quelle religioni dualistiche, che pretenderebbero esaltare lo spirito umano fino ad elevarlo a Dio disprezzando il corpo. Gnosticismo e dualismo sono i difetti della religione indiana.

Satana combatte Cristo per tutto il corso della storia 

Cristo ha fondato la sua Chiesa in questo mondo, dominato dalla potenza di colui che egli chiama «principe di questo mondo» (Gv 12,31; 14,30; 16,11). Come ogni uomo è obbligato a scegliere o per Cristo o contro Cristo, così la sua scelta è inscindibilmente connessa con lo scegliere se assoggettarsi o no a Satana, giacché è chiaro che chi serve Cristo non può servire a Satana e viceversa.

Dio ha immesso nella storia una potenza di salvezza e di liberazione dal potere del male: è Cristo con la sua Chiesa. Nel contempo Dio permette che l’azione della Chiesa sia continuamente contrastata dalle potenze demoniache, che guidano ed ispirano tutti i nemici di Dio, della Chiesa e di Cristo. Essi lavorano nelle altre religioni e all’interno della Chiesa stessa. E che più? Le forze del male lavorano anche all’interno di ciascuno di noi, anche dei più santi, per indurci al peccato e metterci contro il bene.

Nell’impedire l’azione di Satana contro Cristo la Madonna ha una missione essenziale. Ella svolge una funzione illuminante e corroborante, aiuta a scovare le insidie del nemico, ci fornisce, mediandoci da Cristo e dalla Chiesa, le armi per combatterlo, la forza di resistere e di vincerlo. Le apparizioni mariane riconosciute dalla Chiesa sono manifestazioni speciali ed eminenti di questa missione materna, protettrice e salvifica di Maria.

Ma i mezzi ordinari più efficaci sono lo stesso culto mariano accompagnato dalla recita del Rosario e dall’impegno quotidiano di imitare le virtù imitabili della Madre di Dio, lodandola e venerandola per lo splendore dei suoi privilegi unici, che la rendono via eccelsa di salvezza universale, dopo e al servizio di suo Figlio.

Il demonio, dal canto suo, spinge allo scisma, ossia alla ribellione del cattolico al Papa e alla Chiesa, all’eresia, ossia al rifiuto di qualche verità di fede, all’apostasia, ossia all’abbandono totale della fede, all’incredulità, ossia al rifiuto di credere in Cristo o in Dio.

La Chiesa ha iniziato ad espandersi geograficamente soprattutto dopo la pace di Costatino nel 315: Dopo una battuta d’arresto nell’Europa orientale a causa dello scisma del sec. XI, è divenuta una grande forza europea nei secc. XII-XVI, dopodiché, se da una parte ha continuato ad espandersi nel mondo, ha subito la ferita dell’eresia luterana nel sec. XVI, ferita che non è più riuscita a risanare nonostante la poderosa ripresa promossa dal Concilio di Trento, per proseguire in una moderata espansione nei secoli seguenti, che la vedono oggi presente in tutto il mondo, con persistenti difficoltà di penetrazione soprattutto in Cina e in India.

L’ecumenismo promosso dal Concilio Vaticano II darebbe ottime indicazioni per ottenere l’avvicinamento dei fratelli separati alla Chiesa. Senonchè purtroppo viene spesso inteso come un semplice trovarsi assieme nei punti comuni senza che i cattolici riescano a trovare il modo di attirare questi fratelli alla tavola eucaristica.

L’Europa, dove pure si trova la Sede di Pietro, registra ormai da decenni un fenomeno di scristianizzazione dovuto all’influsso delle filosofie anticristiane che hanno cominciato a sorgere nel sec. XVII. Il Concilio Vaticano II non ha portato i frutti che la Chiesa attendeva, per un forte ritorno di modernismo, contrastato da una reazione conservatrice di segno opposto, sicché oggi la Chiesa in Europa appare in ritirata, divisa da discordie ed estremismi al suo interno, senza forza evangelizzatrice e anticorpi efficaci per allontanare l’eresia, senza che ciò le impedisca di progredire nella verità e nella santità.

Dunque tutta la storia di quaggiù è percorsa dalla lotta fra queste due forze spirituali: quella dello Spirito Santo e quelle del demonio. Si tratta quindi principalmente di un conflitto che avviene nell’interiorità degli spiriti e delle coscienze. Esso certo si manifesta a volte all’esterno. Ma non è facile riconoscere sempre se ciò che appare all’esterno è la vera manifestazione dell’interno.

Non è facile sapere sempre con certezza se uno che appare ateo lo è veramente o viceversa se uno che sembra credente in realtà è ateo, oppure se uno che sembra cristiano in realtà è influenzato dal demonio, oppure se uno che pare influenzato dal demonio in realtà è con Cristo. I buoni tendono ad organizzarsi fra di loro attorno a Cristo nella Chiesa: i malvagi si organizzano sotto la guida di Satana.

Le due Città 

I grandi personaggi della storia interpellano pertanto l’umanità con queste parole: o uomini, domandatevi: da dove vengo? Vengo da Dio o vengo dal diavolo? I figli di Dio, con prudente discernimento, accettano quanto di buono essi dicono per volgersi a Dio. I figli del diavolo, invece, eredi della ribellione dei progenitori, si lasciano ingannare dagli errori. Nascono così due schieramenti contrapposti, che si protraggono nei secoli e nei millenni.

Essi sono rappresentati dall’immagine evangelica del grano e del loglio (Mt 13, 25ss). Al riguardo Sant’Agostino osserva che il Signore, parlando della loro separazione definitiva al giudizio universale, non proibisce di cominciare sin da adesso, nella misura in cui la cosa è possibile. L’essenziale è non pretendere di sostituirsi al giudizio finale, di pura competenza del Signore. Altrimenti non avrebbe senso il potere giudiziario della Chiesa, che Cristo le ha conferito consegnando a Pietro le chiavi del regno ed incaricandolo di legare e di sciogliere.

 Da qui, secondo l’insegnamento di Sant’Agostino, nascono «due Città». La Città celeste o Città di Dio e la Città terrena, che è il mondo del quale Satana è il principe. Con questa contrapposizione Agostino non intende di certo disprezzare la terra e il mondo, in quanto creati da Dio, e neppure i regni temporali di quaggiù, fossero pure pagani, ai quali Cristo stesso ha voluto obbedire quando ci ha comandato di dare a Cesare ciò che è di Cesare, anche se certo Agostino conosce bene le miserie di questi regni e l’opposizione che spesso essi fanno al regno di Dio.

Agostino usa qui il termine «terreno» non in senso cosmologico, ma in senso morale, come sinonimo di “carnale”: la terra in quanto oggetto di appetiti peccaminosi o sorgente di tentazione per il peccatore (Col 3,2; Gc 3,5; I Cor 15,47).

«Due diversi amori - dice infatti l’Ipponense in un passo famoso[1] - generano le due città: l’amore di sé, portato fino al disprezzo di Dio, generò la città terrena; l’amore di Dio, portato fino al disprezzo di sé generò la città celeste. Quella si gloria in sé stessa, questa in Dio. Quella cerca la gloria degli uomini, questa ha per massima gloria Dio, testimone della coscienza. Quella leva il suo capo nell’orgoglio della sua gloria, questa dice al suo Dio: Tu sei la mia gloria, tu elevi il mio capo (Sal 3,8). Quella nei suoi prìncipi e nelle sue vittorie si lascia dominare dalla bramosia di dominio; questa ci presenta reciprocamente uniti nella carità: i capi nel comandare e i sudditi nell’obbedire. Quella ama la sua potenza nei suoi grandi, questa dice al suo Dio: Amerò Te, Signore, mia fortezza (Sal 17,2).

I sapienti di quella, vivendo secondo l’uomo, hanno cercato i beni del loro corpo o della loro anima o di entrambi e quelli che sono giunti a conoscere Dio non lo glorificarono come Dio né gli resero grazie, ma vaneggiarono nei loro pensamenti e il loro stolto cuore si ravvolse nelle tenebre. Vantandosi di essere saggi, cioè lasciandosi dominare dalla superbia ed innalzandosi nella loro sapienza, divennero stolti e mutarono la gloria dell’incorruttibile Dio in simulacri di uomini corruttibili, di uccelli, di quadrupedi e di serpenti perché trascinarono o seguirono i popoli agli altari dell’idolatria, cambiarono la verità di Dio con la menzogna e adorarono e servirono la creatura al posto del Creatore, che è benedetto nei secoli (Rm 1,21-25).

Nella Città di Dio, invece, l’unica sapienza dell’uomo è la pietà con la quale adora rettamente il vero Dio aspettando Lui stesso come premio della società dei santi, ove gli uomini sono uniti agli angeli affinchè Dio sia tutto in tutti (I Cor 15, 28)».

«La famiglia degli uomini che non vivono di fede cerca la pace terrena nei beni e nelle comodità di questa vita temporale. La famiglia degli uomini che vivono di fede attende, invece, quei beni eterni che sono promessi in futuro, ed usa quelli terreni e temporali come pellegrina; li usa, cioè,  non in modo da lasciarsi assorbire da essi ed allontanare da Dio a cui tende, bensì per giovarsene a tollerare più facilmente e a non accrescere i pesi del corpo corruttibile che aggrava l’anima (Sap 9,15). Per questo l’uso delle cose necessarie a questa vita mortale è comune ai fedeli e agl’infedeli, ma il fine è diverso.

La Città terrena, che non vive di fede, desidera una pace terrena e fa consistere l’accordo dell’obbedienza e del comando tra i cittadini in un certo accordo della volontà umana intorno agli interessi di questa vita mortale. Ma anche la Città celeste o piuttosto la parte di essa che è pellegrina in questa vita mortale e che vive di fede, deve necessariamente servirsi di questa pace, fino a quando non finisca questa mortalità, alla quale è necessaria una tal pace. Perciò, mentre trascorre come una prigioniera il corso del suo terreno pellegrinaggio, in cui tuttavia essa ha già ricevuta la promessa della redenzione e il dono spirituale come pegno, non esita ad obbedire alle leggi della Città terrena con le quali essa è governata e che sono atte a mantenere la sua vita mortale. E poiché la mortalità è comune alle due Città, la Città celeste vuole conservare la concordia con quella terrena nelle cose che le appartengono.

La Città celeste, dunque, durante il suo terreno pellegrinaggio, chiama i suoi cittadini in tutte le nazioni, raccoglie membri di tutte le lingue; non bada alle differenze di costumi, delle leggi, delle istituzioni, con le quali si acquista o si mantiene la pace terrena; non turba e non distrugge nessuna di queste cose, anzi le segue e le conserva. Esse, infatti, benché diverse nelle diverse nazioni, se non impediscono alla religione d’insegnare il culto dell’unico, sommo e vero Dio, tendono ad un medesimo ed unico fine: la pace terrena.

Anche la Città celeste, dunque, in questo suo pellegrinaggio, si serve della pace terrena e di quanto è utile alla natura mortale degli uomini. Essa difende ed incoraggia l’unione delle volontà umane fin dove è salva la pietà e lo permette la religione, riferendo la pace terrena alla pace celeste, pace così vera che deve ritenersi come la sola pace della creatura ragionevole, ossia una società ben ordinata e concorde nel godere Dio e nel godere a vicenda in Dio. E quando si arriva a questo, non vi è una vita mortale, ma una vita puramente e sicuramente vitale; non più un corpo animale, il quale, mentre si corrompe, aggrava l’anima (Cf Sap 9,15), ma un corpo spirituale, soggetto alla volontà in ogni sua parte e senza alcune indigenza. Ecco la pace della Città celeste, mentre va pellegrinando nella fede, ordinando all’acquisto di questa pace tutte le opere buone che compie per amor di Dio e per amore del prossimo, poiché anche la vita della Città celeste è vita sociale»[2].

Tutta la questione del destino dell’uomo o del senso della vita umana si riduce al rapporto dell’uomo con Dio, per cui tutto il problema della vita si risolve in questa alternativa: o obbedire a Dio o disobbedirGli diventando schiavi del demonio. O figli di Dio o figli del diavolo. O con Cristo o contro Cristo. Nessuno può evitare di scegliere o di sottostare a Cristo o di sottostare a Satana.

E se l’uomo sceglie il proprio io contro Dio, non ha che due sbocchi: o l’uomo carnale, schiavo delle passioni, che riduce lo spirito a materia o rende lo spirito servo della materia, l’uomo dei vizi carnali e del mondo; oppure l’uomo diabolico, l’uomo, che vuol farsi dio o mettersi al posto di Dio, l’uomo della superbia e dell’empietà, l’uomo dello spirito contro la materia, servo del demonio ed ispirato dal demonio, l’uomo dell’eresia e della menzogna, dell’odio e dell’omicidio.

Fine primo Tempo

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 15 gennaio 2021


Due diversi amori - dice infatti l’Ipponense in un passo famoso - generano le due città: l’amore di sé, portato fino al disprezzo di Dio, generò la città terrena; l’amore di Dio, portato fino al disprezzo di sé generò la città celeste. 

 

Immagine da internet

[1] La Città di Dio, libro XIV, cap.XXVIII, Edizioni Paoline, Roma 1963, pp.717-718.


[1] La Città di Dio, libro XIV, cap.XXVIII, Edizioni Paoline, Roma 1963, pp.717-718.

[2] Op.cit., libro XIX, cap. XVII, pp.1063-1065.

1 commento:

  1. Ottimo articolo da tenere presente in ogni circostanza in cui si critica la Sacra Dottrina.

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