Il progetto del demonio - Prima Parte (1/4)

 Il progetto del demonio

Prima Parte (1/4)

Satana propone all’uomo una prospettiva

in alternativa a quella che ci propone Gesù Cristo 

Ognuno di noi, come ci rivela la Bibbia e possiamo farne esperienza noi stessi, siamo per tutta la vita e in ogni momento della nostra giornata, oggetto di attenzione e d’interesse, destinatari di messaggi, di proposte, istruzioni, suggerimenti, sollecitazioni, esortazioni, inviti, consigli, comandi, lodi, rimproveri, minacce e promesse da parte di due persone invisibili, la cui presenza viva ed operante avvertiamo nell’intimo della nostra coscienza.

Si tratta della presenza sottile, non sempre facilmente percettibile, ma  costante di due misteriose persone invisibili al senso ma non all’intelletto e alla coscienza, che hanno libero accesso alla nostra coscienza, persone che ci interpellano e cercano di persuaderci argomentando oppure chiedono che crediamo in loro, esibendo prove di credibilità, persone che a volte ci piacciono ma a volte  ci infastidiscono, persone che a volte ci attirano, ma a volte ci ripugnano, persone che ci chiedono a volte con insistenza di essere ascoltate, restando a noi la possibilità di ascoltarle o non ascoltarle; due persone che si contendono senza sosta il nostro plauso e il nostro destino, persone che ci assicurano di guidarci alla nostra felicità, l’una in competizione con l’altra, e ci obbligano a prender posizione, a vagliare, discernere, esaminare e valutare, a fare scelte precise, ad accettare o rifiutare, ad acconsentire o a dissentire. Una è Gesù Cristo, l’altra è il demonio[1].

A noi la scelta di seguire o l’una o l’altra di queste due persone. Dopo aver vagliato gli argomenti dell’una o dell’altra, ognuno di noi è libero di sceglierne definitivamente una, respingendo l’altra, dopo avere valutato le conseguenze e i vantaggi dell’l’una e dell’altra. Ma nel corso della vita ci è possibile cambiare direzione e passare dall’una all’altra, per il fatto che ci facciamo l’idea di aver preso la strada sbagliata.

L’una e l’altra ci attrae e capita che non sappiamo quale scegliere. Vorremmo un po’ dell’una e un po’ dell’altra. Ma non è possibile, perché in realtà, nonostante certe somiglianze, non è possibile seguirle entrambe, perché dirigono in due direzioni oppose, sebbene entrambe appaiano come vie di felicità. Ma una conduce in paradiso, l’altra all’inferno. Chi sono dunque i due personaggi che ce le indicano? Avete già capito. 

La via del paradiso è la via accidentata, scomoda e stretta di Gesù Cristo: l’altra è quella larga e piacevole, con ottimo asfalto, che però conduce all’inferno. È la via del demonio. Coloro che scelgono Cristo sono i figli di Dio; gli altri sono i figli del diavolo. Ma uno forse potrebbe dire: ma non siamo tutti fratelli? E come mai queste differenze? È possibile? Sì, certo, siamo tutti fratelli, ma non tutti amano tutti gli altri e purtroppo esiste l’odio anche tra fratelli.  Cristo stimola all’amore, Satana all’odio. A ciascuno la scelta.

Come Cristo ha i suoi collaboratori, così l diavolo ha i suoi. Collaboratori speciali del diavolo sono i maghi. Costoro sono persone perverse le quali, a somiglianza del sacerdote di Cristo, i quali operano col potere di Cristo, compiono opere prodigiose e malefici[2] mediante patti col diavolo. Per togliere i malefici occorrono santi sacerdoti dotati di un apposito carisma riparatorio molto raro. Ma, grazie a Dio, anche i malefici sono molto rari.

Considerando la nostra persona attualmente esistente su questa terra e riflettendo su quello che può essere l’esito finale della nostra esistenza terrena, possiamo fare due ipotesi e soltanto due ipotesi, perché esse si oppongono non per diversità ma per contraddizione e quindi per esclusione di altre possibili ipotesi.

O sosteniamo che la persona è un semplice composto di sostanze chimiche, le quali, dopo essersi radunate assieme a costituire il nostro io, al momento della nostra morte, tornano a separarsi tra loro, per cui la nostra identità ovvero la nostra persona si dissolve.

Oppure  sosteniamo che la persona possiede una sua propria identità ed unità, per cui i suoi componenti chimici sono tenuti assieme in una meravigliosa armonia e reciprocità, in forza un principio interno ed immanente che fa sì che noi viviamo, ci muoviamo, agiamo, pensiamo e vogliamo, un principio di vita, le cui prestazioni superano le semplici forze delle sostanze chimiche, delle quali siamo composti, un principio quindi immateriale, pervadente tutto il corpo, sussistente da sé, indipendentemente dal corpo, anche dopo che con la morte il nostro corpo si è dissolto, ossia dopo che gli elementi chimici riprendono la loro autonomia e tornano a riprendere il loro posto e la loro attività nel mondo della natura e in questa terra. 

Se è vero che noi siamo solo materia organizzata, al momento della morte il nostro io si dissolve nel nulla o negli elementi chimici che lo compongono. Nel secondo caso, invece, del nostro io resta in vita il principio animatore, resta in vita e di una vita immortale, il nostro principio formatore del nostro corpo, il principio organizzatore degli elementi chimici che lo compongono. Resta in vita per sempre la nostra anima. Anche senza il corpo. Ma in che modo? Come immaginare una cosa del genere? Per qual fine? A che pro? Per quale destino? A far che cosa? Con quali prospettive?

In altre parole, l’alternativa ineludibile ed inevitabile concernente il senso e la prospettiva di fondo della nostra esistenza è la seguente: o la nostra anima esiste in forza del nostro corpo o il nostro corpo esiste in forza della nostra anima. In parole più brevi, le possibilità sono due: una di tipo materialistico, che dice: perché ci sia lo spirito ci dev’essere anche la materia. Senza la materia lo spirito non esiste. Questa la vediamo adesso. L’altra la vedremo dopo.

La prospettiva materialistica

Secondo la prospettiva materialistica, che è quella più diffusa nel volgo e in sedicenti scienziati, l’uomo è un essere puramente terreno e fatto solo per questa terra. È un essere corruttibile e mortale come tutti gli altri; deve pertanto rinunciare a megalomanie che gli fanno immaginare un’anima immortale, quando invece alla sua morte egli si dissolve in polvere. Goda quaggiù finché può, perché con la morte tutto sarà finito.

Il cielo non esiste. È una sua fantasia ed un’illusione, che lo distrae con vane speranze dall’unico suo impegno, che è quello di cercare la sua felicità su questa terra. Nel cielo l’uomo religioso pone un Dio che lo terrorizza con vani scrupoli e sensi di colpa. Non ha alcun bisogno di chiedere a Dio perdono dei peccati, perché non deve render conto a Dio, ma solo a sé stesso o alla società. Sono gli spiriti pigri, deboli e tremebondi quelli che chiedono a Dio aiuto e misericordia. L’uomo può e deve arrangiarsi con le sue forze. Deve farsi giustizia da sé. La preghiera sono parole al vento.

Ora, per il materialista, ammesso che per lui lo spirito esista, comunque non esiste lo spirito puro: o è materiato o non esiste. Similmente a livello teologico: non esiste un Dio puro spirito: o è incarnato o non esiste. Se c’è la materia c’è anche lo spirito, altrimenti niente spirito. L’ente è solo quello materiale, sensibile; non esiste un ente spirituale, puramente intellegibile. Unica scienza è la fisica; la metafisica è un vagare tra le nuvole. Unica morale è l’economia; la religione è illusione ed oppio dei popoli.

La prospettiva spiritualistica

L’altra è quella spiritualistica, di origini antichissime, soprattutto in Oriente, propria di ristretti gruppi elitari non senza influsso sul popolo, secondo la quale conta solo lo spirito puro, senza la materia, perché essa è cosa spregevole e dannosa.

L’uomo è un essere celeste preesistente al corpo e caduto su questa disgraziata terra in un lontano passato per qualche colpa commessa. L’uomo è un dio decaduto. Tuttavia può risorgere e liberarsi dalla materia, perché nel suo intimo egli è Dio stesso, che si è separato da se stesso (Hegel). Ma in questo mondo di tenebra e di illusioni non sa di essere Dio: il demonio allora lo aiuta a prenderne coscienza. Satana allora che fa? Comincia col presentare all’uomo la sua dignità di persona non come composto di spirito e materia, ma come fosse un puro spirito incarcerato in un corpo.

Cerca poi di convincere l’uomo di essere uno spirito preesistente al suo corpo, uno spirito sublime, tentato e indotto a peccare dagli stimoli che gli vengono dalla materia, in particolare dal sesso, che è l’origine del male.  Se pecca, la colpa non è dello spirito, ma del corpo e del sesso, che lo induce a peccare.

Inoltre Satana presenta all’uomo la dignità del suo pensiero in una maniera spropositata, tale da riempirlo di presunzione e di superbia, come se il suo limitato e fallibile pensare fosse illimitato ed infallibile e coincidesse con l’essere, così da convincerlo che non esiste nulla al di fuori e al di là del suo pensiero, indipendentemente e prima del suo pensiero.

Così l’uomo si convince che l’essere non è distinto dal pensare, ma l’essere è pensare ed essere pensato. «Esse est percipi» (Berkeley). Non c’è una cosa in sé distinta dal concetto della cosa, ma il concetto della cosa è la cosa (Hegel).

Il concetto non rappresenta una cosa esterna, ma solo sé stesso, cioè il pensiero. Il pensare non è attingere ad una cosa esterna al pensare, ma è autocoscienza, pensiero del pensiero. Oggetto del pensiero non è l’essere, ma lo stesso pensiero (Gentile), perché l’essere coincide col pensiero. Nulla esiste all’infuori del pensiero: anche l’agire è pensare e il pensare è agire. Anche le cose che l’uomo non sa, non sono fuori del suo pensare, perché le pensa.

Siccome il pensare dell’uomo coincide con l’essere, il suo pensiero è sempre vero. Infatti l’errore è discrepanza fra pensare ed essere. La verità del pensare umano non è tratta dall’esperienza delle cose materiali, perché la materia è sorgente di inganno, di illusione e di vane apparenze (Cartesio). Invece lo spirito umano trae la verità del suo pensare solo da sé stesso. Cogito: ergo sum. Esso possiede da se stesso l’idea di Dio, non la ricava per induzione dalle cose. E siccome l’essere coincide col suo pensiero, Dio non è un ente in sé esterno al suo pensiero e trascendente il suo pensiero, ma è un’idea del suo spirito (Kant).

 Non esiste una distinzione fra essere finito distinto dal pensiero ed essere divino coincidente col suo pensiero, ma l’essere come tale, qualunque essere è coincidenza di essere e pensiero (Rahner). Esiste dunque un unico essere, che è Dio.  Ora però lo spirito umano pensa se stesso. Ma siccome il suo pensiero coincide col suo essere, allora il suo spirito non è un ente in sé indipendente dal suo pensare, ma coincide col suo pensare ed è posto dal suo stesso pensare (Fichte).

La proposta del rahnerismo

La proposta rahneriana s’inquadra in questo clima di pensiero, che ha smarrito le basi della metafisica e della gnoseologia. Il sofisma rahneriano consiste in questo: siccome l’uomo è creato da Dio per conoscere l’Infinito e fruire dell’Infinito, il demonio gli fa credere di essere egli stesso infinito. Gli fa credere che per il fatto stesso di pensare l’infinito, ossia Dio, egli stesso è infinito, cioè è Dio. Lo ha convinto infatti che pensare vuol dire essere.

Da qui viene l’idea che la natura umana non sia determinata, finita, limitata, ma che l’uomo per natura determini e plasmi la propria natura secondo la sua volontà e che la sua natura sia quella di superare il limite e di infinitizzarsi. In tal modo la grazia divina non si aggiunge gratuitamente, superandola, a una natura già fissata e delimitata, ma non è altro che il necessario vertice sommo e l’orizzonte ultimo dell’autotrascendenza della natura, per cui Dio non trascende l’uomo, ma è solo l’orizzonte ultimo della trascendenza umana.

Dio non è trascendente, ma è l’uomo che, in possesso originario della grazia, trascende sé stesso e diviene Dio, così come Dio in Cristo muta sé stesso e diviene uomo. Questo è l’inganno diabolico fondamentale della metafisica, dell’antropologia, della gnoseologia, della cristologia e della morale di Karl Rahner, la teologia che, in tutta la storia della teologia, maggiormente si avvicina e prepara oggi l’avvento dell’«iniquo», del quale parla S.Paolo, iniquo «la cui venuta avverrà nella potenza di Satana, con ogni specie di portenti, di segni e di prodigi menzogneri e con ogni sorta di empio inganno» (II Ts 2, 3-12).

Questi portenti, segni, prodigi menzogneri ed empi inganni sono la gigantesca macchina pubblicitaria e l’astuta propaganda che i rahneriani, con un mossa fulminea ed organizzatissima su scala mondiale, sono riusciti a mettere in piedi in brevissimo tempo sin dall’immediato postconcilio, facendo credere a molti  che Rahner è il grande interprete del Concilio Vaticano II, quando invece, come ho dimostrato nel mio libro[3], ne è l’esatto mistificatore.

E la cosa più impressionante è come il seguito fanatico di questo diabolico impostore e seduttore conti  in esso  spiriti elevati di prelati e di teologi, tanto grande è il suo potere d’inganno. Così è successo, cosa ancor più stupefacente e dolorosissima, che gli stessi Papi del postconcilio, fino al presente Pontefice, non sono stati in grado di fermare questo torrente fangoso, sicchè oggi gran parte della Chiesa ne è bruttata e il Papa stesso non sa come liberarsi da tanta disgrazia.

Alcuni suppongono che il Papa sia connivente, ma la cosa non è possibile, perchè un Papa non può essere eretico. Si può semmai supporre che egli non si renda  conto fino in fondo della gravità del pericolo e delle reali dimensioni del disastro provocato dall’astutissimo Rahner e dai suoi potenti seguaci e che non si senta in grado di porvi rimedio.

La proposta del demonio fa leva

su questi due sbocchi possibili della nostra esistenza 

Tornando alle nostre considerazioni teoretiche, dobbiamo dire che, date le premesse esposte, non occorre chiedersi qual è la causa dell’essere umano, perché è l’uomo stesso che col suo pensare se stesso, pone il proprio essere. In questo senso Dio non esiste. Ma, d’altra parte, se la coincidenza del pensare con l’essere caratterizza il pensare umano e se in Dio il suo essere coincide col suo pensare, allora il pensare umano coincide col pensare divino: l’uomo è Dio stesso.

Non ci sono dunque altre prospettive per l’uomo di realizzarsi oltre alle suddette: materialistica e spiritualistica. Esse suppongono evidentemente che sappiamo distinguere lo spirito dalla materia, giacchè se, con occhio miope, ci chiudiamo nel materialismo come fa Rahner[4], secondo cui l’anima è il corpo allo stato liquido, mentre il corpo è l’anima allo stato solido, è chiaro che di questa alternativa che mette in gioco il senso della nostra esistenza e il suo sbocco finale davanti all’eternità non abbiamo capito nulla.

Ai materialisti il demonio propone di godersi questa vita senz’alcuna preoccupazione di un al di là che non esiste. La figura simbolo tratta dal Vangelo di questo tipo di uomo è quella del ricco epulone. Invece agli spiritualisti propone la dissoluzione del proprio io empirico (atman) nello sconfinato ed eterno oceano dello Spirito, come la goccia che cade nel mare. Figura simbolo di tale prospettiva panteistica è lo yogi induista, al quale il suo guru, al termine dell’ardua disciplina ascetica finalizzata alla presa di coscienza del proprio io profondo (Brahman), dichiara solennemente: «tat tvam asi», tu sei Quello.

La prima prospettiva fa leva sulla nostra animalità e stimola ai peccati carnali: egoismo, avarizia, ira, gola, violenza, sfrenatezza, intemperanza, lussuria. La seconda invece sfrutta la nostra dimensione spirituale sopravvalutandola ed incitando così ai peccati spirituali: superbia, disobbedienza, stoltezza, empietà, superstizione, presunzione, orgoglio, ipocrisia, imprudenza, ingiustizia, prepotenza.

Questa seconda prospettiva è alla radice anche della prima, perché ogni peccato ha la sua origine prima nella superbia, per la quale l’uomo non tollera la signoria di Dio, disobbedisce alla legge divina e vuol regolarsi da sé, senza tener conto di tale legge, come se fosse Dio a sé stesso. Infatti se è vero che la concupiscenza della carne stimola al peccato carnale, occorre ricordare che l’origine prima della concupiscenza è data dalla disobbedienza a Dio propria del peccato originale, che fu peccato di superbia in una natura umana che, trovandosi ad essere perfettamente signora degli appetiti inferiori, non sentiva da essi alcuno stimolo al peccato.

Dal resto, è chiaro che il demonio, essendo puro spirito, privo di corpo, non può tentare in modo sensuale, ma solo intellettuale, benché eccezionalmente possa eccitare i sensi interni o anche quelli esterni mediante la formazione preternaturale di fantasmi sensibili esterni, come si narra delle famose tentazioni di S.Antonio Abate.

Tuttavia nasce un’obiezione: se è vero che il demonio non ha che due strade da proporre all’uomo: quella del materialismo ateo e quella dello spiritualismo dualista, idealista e panteista, perché il demonio tenta Cristo con tre tentazioni? Che cosa gli propone? È una proposta che sviluppa quella originaria fatta ad Adamo ed Eva di essere come Dio seguendo la sua guida. Satana si  propone come vero Dio in alternativa al Dio creatore e trascendente. Prima di esaminare le tentazioni alle quali il demonio ha sottoposto Cristo, è bene che vediamo la proposta originaria fatta ai nostri progenitori.

In fin dei conti si tratta di scegliere

o per Dio o contro Dio; o per Cristo o contro Cristo. Tertium non datur

Ma la questione non è tutta qui. C’è il problema del rapporto con Dio. Se infatti con la morte il nostro io finisce nel nulla, che Dio esista o non esista non c’interessa, perché il rapporto con Lui suppone che possediamo un’anima spirituale ed immortale, perché è col potere dell’intelletto che sappiamo che Dio esiste ed è col potere della nostra volontà che obbediamo alla sua legge.

Ma se il nostro pensiero è solo una secrezione del cervello o è il risultato di combinazioni chimiche destinate a dissolversi, ci troviamo nelle condizioni di quelle medesime sostanze chimiche, alle quali non interessa nulla che Dio esista o non esista, perché non sono fatte per conoscerlo e fruire di Lui, ma solo per lavorare all’interno della natura nel rispetto delle sue leggi.

Cosa notevole è il fatto che questi due atteggiamenti, per quanto opposti fra di loro, in realtà di richiamano a vicenda, sicché l’uno porta all’altro e l’uno è la conseguenza dell’altro. Come accade questo? È il fenomeno tipico di quando si confondono due valori, in modo tale che, mancando la distinzione e la precisazione di come l’uno è ordinato all’altro, si crea un ibrido, un innaturale rapporto biunivoco, in modo tale che dall’uno si può passare all’altro e viceversa.

Nel nostro caso abbiamo la confusione tra lo spirito e la materia, per cui succede che i casi sono due: o si riduce lo spirito alla materia e si ha il materialismo; o si riduce la materia allo spirito e si ha l’idealismo o spiritualismo dualista. Nessuno, tuttavia, può vivere di sola materia, anche se Feuerbach diceva che «l’uomo è ciò che mangia»; ma intanto doveva ben esercitare il pensiero per fare quest’affermazione; così come nessuno può vivere di solo spirito o di solo pensiero.

Questa mostruosa osmosi appare evidente nella condotta pratica del materialista e dell’idealista: ci sono materialisti più arroganti, presuntuosi, megalomani, gonfi di superbia, ipocriti, prepotenti, narcisisti, saccenti e pieni di sé stessi di un idealista. E ci sono idealisti che sono più attaccati al denaro, avari, golosi, intemperanti, licenziosi, lussuriosi e carnali di un materialista.

Fine Prima Parte (1/4)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 26 febbraio 2021

 

 

 

 

 

Due persone si contendono senza sosta il nostro plauso e il nostro destino, 

persone che ci assicurano di guidarci alla nostra felicità, l’una in competizione con l’altra, e ci obbligano a prender posizione, a vagliare, discernere, esaminare e valutare, a fare scelte precise, ad accettare o rifiutare, ad acconsentire o a dissentire. 

Una è Gesù Cristo, l’altra è il demonio.


A noi la scelta di seguire o l’una o l’altra di queste due persone.

Gesù tentato dal demonio - Immagini da internet


[1] È dunque chiaro che tutto questo mio discorso presuppone l’esistenza del demonio come persona, con la quale posso interloquire. Il demonio, quindi, non è, come alcuni credono, un’immagine mitologica della potenza del male, ma, come tutte le religioni sanno, ed è confermato dal dogma cristiano (Concilio Lateranense IV del 1215, Denz.1000), un soggetto spirituale che spinge l’uomo al male o lo tormenta; è una vera e propria persona puramente spirituale senza corpo, a somiglianza di come l’uomo e Dio sono persone. Chi non crede all’esistenza del diavolo è proprio colui che è maggiormente soggetto ai suoi danni e al suo influsso, come il Don Ferrante di manzoniana memoria, il quale, non credendo al contagio della peste, non prese precauzioni e morì «maledicendo le stelle», con la differenza che nel primo caso il povero Don Ferrante perdette solo la vita fisica, ma chi non si difende contro Satana è condotto da lui all’inferno. Libri utili sull’argomento: R.Talmelli-L.Regolo, Il diavolo. Riconoscere la sua seduzione, difendersi dai suoi attacchi, Mondadori, Milano 2014; Corrado Balducci, Il diavolo. Esiste e lo si può riconoscere, Piemme, 1988.

[2] Cf Catechismo della Chiesa Cattolica, n.395.

[3] Karl Rahner. Il Concilio tradito, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2011.

[4] Rahner, come tutti gli idealisti, non ha problemi a far la parte del materialista quando gli conviene.

4 commenti:

  1. Buongiorno Padre, lei scrive che “considerando la nostra persona attualmente esistente su questa terra…..possiamo fare due ipotesi e soltanto due ipotesi/prospettive, perché esse si oppongono non per diversità ma per contraddizione e quindi per esclusione di altre possibili ipotesi” quella materialista in cui l’anima/spirito/identità si dissolve , o quella spiritualista dove invece periste.
    Domanda: quindi l’uomo nella sua capacità naturale tramite la ragione, a prescindere dalla rivelazione, è in grado o non è in grado di sapere se l’anima sopravvive dopo la morte o no? O appunto si deve accontentare di trovarsi di fronte alle suddette due ipotesi? Inoltre: quando si dice che si può dimostrare l’esistenza dell’anima allora è una dimostrazione valida o non è una dimostrazione valida? Grazie per la considerazione. Francesco Orsi

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    1. Caro Francesco,
      già Platone ha dimostrato l’immortalità dell’anima nel famoso dialogo Fedone, dove il filosofo dimostra che l’anima è immortale per il fatto che essa contempla mediante l’intelletto le idee, che sono immateriali, per cui, per poter compiere quest’atto di visione, occorre una potenza a sua volta immateriale, la quale a sua volta suppone il soggetto immateriale.
      Questo soggetto è l’anima, la quale è una forma semplice, non composta di parti e quindi è un ente indissolubile. Infatti la morte è la dissoluzione del vivente. Per questo l’anima è immortale. Si tratta dunque di una verità razionalmente dimostrabile.
      Tuttavia la dimostrazione platonica ha un difetto, che è dato dalla sua concezione dell’anima, che egli considera come se fosse un soggetto completo, per cui il corpo appare come un altro soggetto che sta di fronte all’anima, e che l’anima ha il compito di assoggettare a se stessa. Platone fa il paragone del nocchiero che guida una nave.
      Questo discorso è difettoso, perché non spiega come la persona umana possa essere un’unica sostanza. Si aggiunga il fatto che, se da una parte Platone ebbe ragione nel dimostrare l’immortalità dell’anima, dall’altra parte aveva una visione talmente pessimistica del corpo, che lo considerava come un carcere dell’anima e come una sorgente di illusioni e di tentazioni al peccato.
      Stante questa situazione, secondo Platone la beatitudine consiste nel fatto che l’anima si libera dalla prigionia del corpo e si innalza verso l’iperuranio dove va a contemplare le idee divine.
      Questa teoria di Platone fu corretta da Aristotele, il quale si accorse che l’anima in realtà non è un soggetto separato dal corpo, ma, in quanto principio di vita del vivente, essa dà forma vivente al vivente stesso. Quindi essa non è una sostanza completa, ma è la forma di quella sostanza completa che è la persona composta di anima e corpo. Per questo per Aristotele il corpo non è un nemico dell’anima, ma, come l’anima, è parte essenziale della natura umana composta di anima e di corpo.
      Quindi in Aristotele noi troviamo già le condizioni di possibilità di quello che sarà il dogma cristiano della resurrezione del corpo, sebbene Aristotele non sia arrivato a immaginare questa prospettiva per l’aldilà. Tuttavia, quando egli fa la descrizione della felicità umana, unisce i piaceri dello spirito a quelli del corpo.
      Stando così le cose, San Tommaso d’Aquino nella sua antropologia preferirà Aristotele a Platone, perché evidentemente Aristotele si accorda meglio di Platone con la rivelazione biblica riguardante l’uomo e la sua felicità.
      Stando così le cose si comprende come la Chiesa Cattolica abbia approvato la concezione tomista dell’uomo elevandola in due Concili a dogma di fede: il Concilio di Viennes del 1312 e il Concilio Lateranense V del 1513.

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  2. …..quindi materialisti e spiritualisti non conoscono le argomentazioni di Platone e Aristotele? Oppure se le conoscono per quale motivo teoretico le rifiuteranno? Inoltre San Tommaso pur riconoscendo l’immortalità dell’anima, aggiunge che Dio potrebbe annientarla, nel senso che tale azione azione diretta è per sé certamente possibile, ma non lo farà perché è stato Lui stesso a crearla immortale e supporre il contrario sarebbe come dubitare della sua sapienza distruggendo ciò che prima ha creato. Quindi sembrerebbe che alla fine la certezza dell’immortalità dell’anima sia radicata più nella fiducia nella ragionevolezza di Dio che non nella realtà stessa della natura dell’anima. O no? Grazie ancora per la considerazione.

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    1. Caro Francesco,
      i materialisti rifiutano l’argomentazione di Platone e di Aristotele perché non capiscono che cosa è lo spirito e cioè non capiscono quelle che sono le prove della sua esistenza. Per quanto riguarda gli spiritualisti bisogna distinguere gli aristotelici dai platonici.
      Gli uni e gli altri sanno che cosa è lo spirito, ma, mentre Aristotele considera lo spirito umano come semplice forma sostanziale del corpo, per cui Aristotele pone le basi per un’unione tra spirito e corpo, per la quale si giustifica l’unità dell’individuo o della persona umana, e in tal senso Aristotele è conforme al concetto cristiano dell’uomo.
      Platone invece concepisce lo spirito umano come se fosse una sostanza completa in se stessa e già di per sé capace di trarre la sua felicità solo da se stessa, mediante la contemplazione delle idee. Egli vede il corpo come un qualchecosa di accidentale, di sopraggiunto, di esterno allo spirito, un qualcosa che gli si contrappone e che lo disturba con le sue passioni, che lo distolgono dalla sua attività.
      Infatti Platone vede nella materia un qualchecosa che inganna la vista dello spirito, una apparenza vana e pericolosa, insomma un qualche cosa di estraneo al mio io, che è puro spirito, il quale può essere benissimo felice anche senza il corpo. Anzi, per Platone, io posso essere felice proprio liberandomi dal corpo, il che è tutto il contrario della prospettiva cristiana.
      Per quanto riguarda la volontà divina di mantenere in essere le creature, compresi i dannati dell’inferno, su ciò non c’è alcun dubbio in forza della sua infinita bontà e del fatto che qualunque creatura, se non fosse naturalmente buona, non esisterebbe neppure, perchè l’ente come tale è buono anche se si può trattare di un soggetto moralmente cattivo, come può essere il diavolo o il peccatore.
      Per quanto riguarda l’immortalità dell’anima, essa è immortale per sua natura e non perché Dio la vuole mantenere in essere. In altre parole, l’anima non può morire perché è una forma semplice, come ho già spiegato, ma non può morire dal punto di vista dell’essenza, non dell’esistenza.
      Dio può annullare un’anima, se volesse, ma non può fare che un’anima non sia un’anima, cioè l’essenza dell’anima comporta necessariamente l’immortalità, ma il suo esistere dipende da Dio, per cui, se Dio volesse, potrebbe togliere ad un’anima la sua esistenza. In quanto Creatore dell’anima, come le dona l’esistenza, gliela può anche togliere, se volesse, cioè l’esistenza dell’anima, come di ogni creatura, dipende sempre da Dio.
      Oppure potremmo dire che l’unico ente che non può assolutamente non esistere è Dio, perché la sua essenza è quella stessa di esistere. Invece la creatura non esiste con questa necessità, ma potrebbe anche non esistere. Per questo possiamo dire che, benchè l’anima abbia una essenza immortale, la sua esistenza è nelle mani di Dio, il quale nella sua bontà certamente la conserva per sempre.

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